mercoledì 28 aprile 2021
Enzo Carli: un lucido eretico
Attraverso gli amici dell’Acaf di Catania, che hanno invitato il Prof. Enzo Carli a intrattenere i soci per discutere sulla fotografia in genere, ho potuto avere l’opportunità di accertare che anche la fotografia continua a essere un mondo in continuo movimento.
Del Prof. Enzo Carli avevo sempre sentito parlare per interposta persona, anche ai tempi dell’ANAF, dove la sua era una firma autorevole nella fotografia dottrinale.
Con la sua facilità discorsiva e la piena padronanza della materia, l’argomento che veniva a trattare in Acaf riportava alle origini, con aspetti che sollevavano dubbi già sullo stesso dagherrotipo, primo procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini messo a punto dal francese Louis Jacques Mandé Daguerre, da un'idea di Joseph Nicéphore Niépce e del figlio di questi, Isidore.
Il suo roteare intorno a altre opportunità per l’utilizzo di analoghe scoperte o prototipi similari del periodo, mai presi in considerazione per scelte essenzialmente politiche e affaristiche, presenti anche a quel tempo, lasciava un po' facilmente intuire che in verità con la sua esposizione stava andando a costituire una serie di pretesti preparatori, per un confronto/dialogo che intendeva in qualche modo andare a suscitare.
Terminata la lectio, la levatura professionale e l’assolutezza di certe sue convinzioni non andavano a invogliare però a voler esporsi, anche per evitare il rischio di scoprirsi e incorrere in figure barbine. In qualche modo, però, il salomonico Pappalardo fece calare abilmente un suo ponte, onde consentire l’accesso alla fortezza inaccessibile palesata dal mitico Carli.
Gli argomenti addotti dal facilitatore, che enfatizzavano sulla necessità di un confronto continuo, per dirimere questioni e allargassero visioni e panorami, sono risultati utili a eleminare la classica soggezione che si viene sempre a creare tra un maestro e gli allievi intimoriti.
Sono pertanto nate delle domande e considerazioni che in breve hanno rivelato quello che forse in verità era stato il vero scopo del relatore: quello di ascoltare opinioni diverse dalle sue, che lo inducessero ad ampliare le sue esperienze accennate e le tante convinzioni; per inumidire e ricambiare acqua alla classica spugna che caratterizza menti, come la sua, di chi cioè è votato complementariamente a scienza e conoscenza. In questo caso mettendo anche in campo e in discussione suoi preconcetti già affermati, in ciò rivelandosi apertamente come quei classici eretici che vengono a chiedere - con fervore e nel caso specifico - quello che poteva essere il significato e il vero compito della fotografia.
Per un attimo ho rivisto uno di quei miei curiosi vecchi insegnanti che, pur mostrandosi burberi o accomodanti, rimanevano affascinati dalla freschezza delle idee degli altri, specie di noi giovani; affascinati dalle motivazioni (talvolta traballanti o poco sostenibili) che portavano i più irrequieti alla contestazione perpetua, magari più per contrapporsi alle generazioni mature che per proporre nuove visioni originali e credibili.
I conflitti generazionali sono sempre aspetti classici che si configurano in ogni epoca. Ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Con azioni che si caratterizzano nella voglia di verificare, sperimentare, insinuare dubbi, indurre le parti al confronto.
L’eresia, di per sé, è forse una prosecuzione dei dialoghi giovanili mai interrotti, che vedono con molta diffidenza tutte le certezze, specie se omologate e assunte a religioni. E’ la sublimazione del dubbio come punto di partenza in ogni cosa.
Ecco, quell’Enzo Carli che si presentava nello streaming non era quindi un Solone che si parlava addosso, che nel suo escursus dottrinale era in certi momenti pure risultato soporifero. Si rivelava in pratica un ricercatore che fa di ogni occasione un pretesto per discutere, in un confronto alla pari e senza pregiudizi. Uno studioso che, nella circostanza, aveva buttato l’amo per cercare di vedere che tipo di pesci potessero abboccare in quel simposio. Ma tutto questo, non per fare prede o per raccogliere un consenso a tutti i costi, ma per articolare maggiormente il suo pensiero già espresso, rimodulandolo e rendendolo più comprensibile e possibilista rispetto ad alcune delle sue convinzioni più nette.
Provo così a chiudere per un breve attimo gli occhi, per immaginare in un baleno i suoi fitti dialoghi con quello che è stato per lui certamente un mentore: Mario Giacomelli, il geniale maestro. Così come gli incontri di loro due con pure presente Pippo Pappalardo, appartenente anch'egli al mondo dei possibilisti, anche lui dotato di ampie conoscenze che travalicano l’ambito fotografico e che è sempre portato al perenne dialogo su tutto; per scoprire sempre nuove posizioni, angolazioni, ombre e luci differenti anche diverse dalle sue poliedriche immaginazioni.
Del resto esporre le differenze rivela come siano tante e diverse le verità coltivate da ciascuno. Anche le false verità, che necessitano di verifiche o continui collaudi e revisioni. Astenersi dal mettere o mettere in discussione le proprie posizioni potrebbe solo arrecare danni, come spesso accade, anche in chi detiene o crede di detenere quelle certezze e che spesso le difende con ferrea fermezza e assoluta intransigenza, rischiando di collocarsi statico o mummificato, pure se soddisfatto, in accomodanti e convenzionali templi pieni di polvere.
L’eresia dai cattolici - e non solo da loro - è sempre stata vista e vissuta come una posizione ideologica da temere e tenere lontana; senza mai considerare che potrebbe anche costituire, se approfondita nelle sue tesi, con spirito libero e una mente aperta, un’occasione per accertare la presenza e la valenza del sistema immunitario che dia sicurezza ed equilibrio, con la presenza di anticorpi che preservino dalla vanità - sempre deleteria – che genera e perpetua classificazioni, dottrine imbriglianti in appartenenze, e che – specie nel mondo del cattolicesimo – spinge a rinnegare o disconoscere i valori fondamentali dello stesso cristianesimo di base.
Mi accorgo che pericolosamente ci si sta però sempre più allargando e troppo dal seminato, sicuramente anche da quello che è stato l’oggetto dell’evento serale.
Ma, come ben si vede, emerge una verità, e questa volta verificata. E’ sufficiente buttare una lenza, anche senza canna e con un finto amo, affinchè - con l'ausilio di una sapiente pastura, che ben conoscono e confezionano i bravi maestri - si stanino nuove colonie di variopinti pesci che navigano nei mari che vanno a formare l'oceano globale.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
martedì 27 aprile 2021
Tiziana Sparacino: “Girotondo di anime” e “Invisibilia Covid 19 Times”
Mi chiede Tiziana, nell’omaggiarmi due suoi recentissimi libri fotografici, di scrivere due parole su quanto ha prodotto. Ma come si fa a scrivere qualcosa quando entrambi i volumi recano una prefazione di Pippo Pappalardo? Qualunque considerazione e qualunque cosa si possa dire espone al rischio del ridicolo e appare presunzione. Io, che sono temerario e spesso imprudente, rispondo per educazione alla gentile richiesta e m’imbarco nell’incosciente avventura.
L’occhio attento dell’avvocato Pappalardo è quello del pigmalione che riesce a cogliere efficacemente le potenzialità, spesso recondite e inespresse, di chi si mescola fra i tanti appassionati di fotografia che lo circondano.
Circostanze fortuite ma fortunate, hanno creato l’opportunità di un incontro ravvicinato fra Tiziana e Pippo, ovvero di una collaudata fotografa con uno tra i critici più attenti a cogliere e osservare nel panorama fotografico siciliano e non solo, entrambi facenti capo alla ACAF di Catania .
E’ quindi nata una felice sintonia fra un paziente esperto d’immagini e d’arte e una professionista ospedaliera impegnata in prima linea, che ha sempre coltivato la passione per la fotografia e specificatamente per il reportage.
Dal positivo incontro sono, per l’appunto, appena nati i due prodotti editoriali prima accennati, ricchi entrambi di tanti spunti e contenenti molte immagini fotografiche.
Il primo volume raccoglie un insieme di fotografie, proposte in bianco e nero, mi si dice selezionate da un’ampia massa di immagini, e che sviluppano un racconto intitolato “Girotondo di anime” (belle, aggiungerei io).
Si legge e mi si conferma che l’operazione di selezione non è stata semplice, secondo il principio che, come dicono i napoletani - e specie per gli appassionati di reportage fotografico - tutte le foto prodotte e prese in considerazione nelle scelte “sò pezze e core”.
L’operazione condotta a quattro mani, con quattro occhi e due sensibilità, una più distaccata e l’altra inevitabilmente coinvolta, è riuscita a generare un prodotto di ottima fattura, che si combina perfettamente con il titolo prescelto (non ho ancora capito se preordinato prima o scelto dopo la selezione definitiva delle immagini).
L’aggettivo qualificativo che io avrei aggiunto al titolo (belle) si sarebbe associato al fatto che tutte quante le immagini proposte rappresentano situazioni positive, comprese anche quelle del cimitero, che tendono anch’esse a completare i tasselli dell’ampio racconto.
Il messaggio che fa da filo conduttore è senza dubbio quello che i bambini sono, in ogni angolo del mondo, la positività dell’uomo nascente. Del piccolo uomo/donna che la società e le esperienze negli anni tendono a modellare secondo culture preconcette, che tramandano anche tradizioni non sempre positive. Nel prodotto confezionato, queste negatività rimangono abilmente escluse, per mantenere l’allegria di un girotondo continuo connesso al titolo e che altrimenti resterebbe irrealizzabile.
Chi ne avrà avuto occasione saprà bene che scattare fotografie in mezzo ai bambini è come ripiombare indietro nel tempo, rendersi complici e partecipi a una loro naturale allegria, alla purezza dell’esistenza destinata a perdurare in ognuno lungamente, senza se e senza ma, anche in età adulta, come tappa fondamentale e incancellabile del proprio vissuto.
La soluzione di tutte le immagini in bianco e nero è fondamentale nell’intento e rappresenta una scelta azzeccata. I colori avrebbero distratto e accentuato le eventuali evidenti differenze esistenti fra i contesti sociali dei vari angoli del mondo rappresentati. Così invece l’occhio dell’osservatore è obbligato a soffermarsi e ricercare le anime nascoste nei tanti visi, nei diversi personaggi, concentrandosi su sguardi, su composizioni e scelte operate nei tagli fotografici, voluti per raccontare meglio i messaggi visti e che sono stati colti.
L’altro volume, realizzato sulla tematica patologica del Covid 19, che ci sta attanagliando da oltre un anno, costituisce invece un prodotto diverso; andando a realizzare una perfetta osmosi tra quella che è professione medica e passione fotografica dell’autrice.
Il prodotto riesce a documentare senza alcun dubbio l’aspetto umano e ospedaliero venutosi a creare tra malati e comparti sanitari e la partecipazione intensa fra le due parti in causa.
Quanto è stato rappresentato, realizzato con foto mai invasive, racconta i diversi momenti di degenza di pazienti contagiati sottoposti alle terapie e l’impegno di tutta una folta schiera composita del personale addetto all’assistenza nell’ospedale ove la stessa Sparacino opera.
La competenza professionale ha, peraltro, saputo efficacemente isolare i fotogrammi rappresentativi di un impegno complesso e coordinato, senza mai eccedere in sensazionalismi o scoop d’effetto, che potessero risultare fuori luogo o poco rispettosi del dolore.
Un album fotografico che è certamente riuscito a storicizzare questo nostro tempo e che andrà a costituire in futuro un’importante raccolta completa, a testimonianza, per custodire un valido ricordo.
Non me ne voglia Pippo, se sono andato fuori tema. Nel caso, faceva parte del gioco e rientrava nei rischi che mi sono assunto di correre.
Complimenti a Tiziana Sparacino, per l’eccellente operazione realizzata con il conforto e la supervisione dell’amico comune Pippo Pappalardo.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
L’occhio attento dell’avvocato Pappalardo è quello del pigmalione che riesce a cogliere efficacemente le potenzialità, spesso recondite e inespresse, di chi si mescola fra i tanti appassionati di fotografia che lo circondano.
Circostanze fortuite ma fortunate, hanno creato l’opportunità di un incontro ravvicinato fra Tiziana e Pippo, ovvero di una collaudata fotografa con uno tra i critici più attenti a cogliere e osservare nel panorama fotografico siciliano e non solo, entrambi facenti capo alla ACAF di Catania .
E’ quindi nata una felice sintonia fra un paziente esperto d’immagini e d’arte e una professionista ospedaliera impegnata in prima linea, che ha sempre coltivato la passione per la fotografia e specificatamente per il reportage.
Dal positivo incontro sono, per l’appunto, appena nati i due prodotti editoriali prima accennati, ricchi entrambi di tanti spunti e contenenti molte immagini fotografiche.
Il primo volume raccoglie un insieme di fotografie, proposte in bianco e nero, mi si dice selezionate da un’ampia massa di immagini, e che sviluppano un racconto intitolato “Girotondo di anime” (belle, aggiungerei io).
Si legge e mi si conferma che l’operazione di selezione non è stata semplice, secondo il principio che, come dicono i napoletani - e specie per gli appassionati di reportage fotografico - tutte le foto prodotte e prese in considerazione nelle scelte “sò pezze e core”.
L’operazione condotta a quattro mani, con quattro occhi e due sensibilità, una più distaccata e l’altra inevitabilmente coinvolta, è riuscita a generare un prodotto di ottima fattura, che si combina perfettamente con il titolo prescelto (non ho ancora capito se preordinato prima o scelto dopo la selezione definitiva delle immagini).
L’aggettivo qualificativo che io avrei aggiunto al titolo (belle) si sarebbe associato al fatto che tutte quante le immagini proposte rappresentano situazioni positive, comprese anche quelle del cimitero, che tendono anch’esse a completare i tasselli dell’ampio racconto.
Il messaggio che fa da filo conduttore è senza dubbio quello che i bambini sono, in ogni angolo del mondo, la positività dell’uomo nascente. Del piccolo uomo/donna che la società e le esperienze negli anni tendono a modellare secondo culture preconcette, che tramandano anche tradizioni non sempre positive. Nel prodotto confezionato, queste negatività rimangono abilmente escluse, per mantenere l’allegria di un girotondo continuo connesso al titolo e che altrimenti resterebbe irrealizzabile.
Chi ne avrà avuto occasione saprà bene che scattare fotografie in mezzo ai bambini è come ripiombare indietro nel tempo, rendersi complici e partecipi a una loro naturale allegria, alla purezza dell’esistenza destinata a perdurare in ognuno lungamente, senza se e senza ma, anche in età adulta, come tappa fondamentale e incancellabile del proprio vissuto.
La soluzione di tutte le immagini in bianco e nero è fondamentale nell’intento e rappresenta una scelta azzeccata. I colori avrebbero distratto e accentuato le eventuali evidenti differenze esistenti fra i contesti sociali dei vari angoli del mondo rappresentati. Così invece l’occhio dell’osservatore è obbligato a soffermarsi e ricercare le anime nascoste nei tanti visi, nei diversi personaggi, concentrandosi su sguardi, su composizioni e scelte operate nei tagli fotografici, voluti per raccontare meglio i messaggi visti e che sono stati colti.
L’altro volume, realizzato sulla tematica patologica del Covid 19, che ci sta attanagliando da oltre un anno, costituisce invece un prodotto diverso; andando a realizzare una perfetta osmosi tra quella che è professione medica e passione fotografica dell’autrice.
Il prodotto riesce a documentare senza alcun dubbio l’aspetto umano e ospedaliero venutosi a creare tra malati e comparti sanitari e la partecipazione intensa fra le due parti in causa.
Quanto è stato rappresentato, realizzato con foto mai invasive, racconta i diversi momenti di degenza di pazienti contagiati sottoposti alle terapie e l’impegno di tutta una folta schiera composita del personale addetto all’assistenza nell’ospedale ove la stessa Sparacino opera.
La competenza professionale ha, peraltro, saputo efficacemente isolare i fotogrammi rappresentativi di un impegno complesso e coordinato, senza mai eccedere in sensazionalismi o scoop d’effetto, che potessero risultare fuori luogo o poco rispettosi del dolore.
Un album fotografico che è certamente riuscito a storicizzare questo nostro tempo e che andrà a costituire in futuro un’importante raccolta completa, a testimonianza, per custodire un valido ricordo.
Non me ne voglia Pippo, se sono andato fuori tema. Nel caso, faceva parte del gioco e rientrava nei rischi che mi sono assunto di correre.
Complimenti a Tiziana Sparacino, per l’eccellente operazione realizzata con il conforto e la supervisione dell’amico comune Pippo Pappalardo.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
lunedì 26 aprile 2021
FOTOGAZZEGGIANDO
Più che una piccola raccolta di tesi e teorie, un insieme di tanti punti di vista; ipotesi per l’appunto, che a volte si muovono dalla passione per la fotografia, per spaziare in libere disquisizioni.
Alla ricerca, forse o anche, d’interlocutori disposti a un dialogo.
Il tutto intervallato da storie, talvolta solo frutto di fantasie, per alimentare pretestuosi dubbi che sempre insidiano e minano tutte le certezze.
Un insieme di brevi appunti che focalizzano aspetti, per riflettere o ricordare.
In altre parole, una raccolta di scritti e tante fotografie di vario formato, quindi, scattate negli anni e da leggere o rileggere quando e quanto si vuole, in quello che sarà per ogni volta e per ciascuno il giusto tempo.
https://pubblicailtuolibro.com/products/fotogazzegiando-di-toti-clemente
https://www.ibs.it/fotogazzeggiando-immagini-racconti-ediz-illustrata-libro-toti-clemente/e/9788855402361?inventoryId=295482219
Buona luce a tutti!
© ESSEC
sabato 24 aprile 2021
Serate Fiaf in streaming del giovedì: Mauro Galligani
Un Mauro Galligani straripante quello che ha intrattenuto giovedì sera gli iscritti Fiaf e non solo.
In uno streaming - che è durato ben oltre tre ore - ha mostrato moltissime immagini realizzate nel corso della sua lunga carriera, spiegandone talvolta concezione e esecuzione; infarcendo il tutto con una ricca aneddotica che usciva fuori spontaneamente, con personaggi e ricordi, come spesso accade quando ci si propone di mangiare solo poche ciliegie.
Il parterre della serata, oltre ai soliti esponenti Fiaf che normalmente presentano gli ospiti di serata (Roberto Rossi e Claudio Pastrone) e da chi coordina interventi e collegamenti (Roberto Puato), era anche composto da Toni Capuozzo (giornalista e scrittore), Carlo Verdelli (ex direttore de La Repubblica) e dall’avvocato Pippo Pappalardo (nella veste di critico fotografico).
Tutti personaggi scelti dal Galligani per la stima che ha sempre avuto nei loro confronti, invitati e coinvolti a testimoniare il complesso e composito racconto d'autore.
In verità le opinioni addotte sono da subito andate oltre la barriera del fotogiornalismo, perché hanno a turno chiamato in causa anche il mondo dell’editoria in genere; focalizzando le costrizioni e i limiti del giornalismo italiano rispetto a quello che questa stessa professione rappresenta nel resto del mondo libero o quantomeno più evoluto rispetto al nostro.
Un capolino nell’ampio dibattito l’ha anche fatto il “Fattore C” che, quando si presenta, consente di apporre quella classica ciliegina candita che impreziosisce ogni torta.
All’inizio dello streaming un breve video introduttivo ha proposto un Mauro Galligani raccontato da Enrico Deaglio e Gianni Mura che, per i diversi aspetti e per le rispettive specializzazioni giornalistiche, si sono soffermati soprattutto sul collega che li aveva accompagnati come fotografo in esperienze da inviati per le diverse testate.
Gli interventi successivi di Verdelli e Capuozzo però, facevano risultare un po’ troppo edulcorato il mondo del fotogiornalismo che era stato narrato e riproposto, dopo il filmato d'apertura (con Deaglio e Mura), anche dallo stesso Galligani. Forse, in questo, per la solita questione che spesso porta, da vecchi, a ridimensionare e redimersi a posteriori, per le competitività e i contrasti che nella vita portano spesso a screzi e contrasti. Che porta a rivedere bonariamente, solo molto tempo dopo, anche le esperienze negative vissute nel passato.
Dopo gli interventi dell’ex direttore de La Repubblica e di Toni Capuozzo, interrotto purtroppo nel suo racconto, una ricca serie d’immagini hanno illustrato i vari reportages dei lavori svolti da Galligani come inviato; “comandato”, come ha più volte tenuto a ribadire, dai direttori di giornale. Perché, a suo dire, andare come volontari in zone di guerra o in territori infidi non è uno sport per dilettanti e – potendo farne a meno – ha sottolineato, sarebbe stato meglio evitare rischi inutili, specie se alla ricerca di sola vana gloria.
Al riguardo ha pure evidenziato che eventuali errori, che in questa attività inevitabilmente non si può mai fare a meno di commettere, non consentono di aver un modo, una alternativa supplementare, per poter rimediare. Del resto la storia del fotogiornalismo bellico ci ha insegnato, come piccoli errori o trascuratezze siano risultati spesso fatali; citando fra gli altri Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Toni Capuozzo e lo stesso Galligani hanno poi confermato, che la fotografia di quest’ultimo è sempre stata vera, mai artefatta, nemmeno in minime postproduzioni.
Mai è stata, cioè, costruita alterando scene o influenzando i soggetti che venivano ritratti; bensì, Galligani ha sempre operato immaginando quanto sarebbe potuto accadere, in funzione del contesto in cui si trovava ad agire. Attendendo magari pazientemente che quanto ideato trovasse opportunità di manifestarsi, per essere colta al volo l'immagine, in uno o due soli scatti.
In questa chiave è stata quindi evidenziata la sua parsimonia nell’uso della macchina fotografica; confermando questo questo suo modo di fare anche nell’era digitale.
All’ascoltatore, quale ero io, venivano quindi in mente le tecniche fotografiche dei naturalisti che, acquattati e mimetizzati nel loro capanno, attendono pazienti di catturare la scena, che necessita dalla evidente assenza della presenza umana.
Per Galligani il casotto d’appostamento era immediatamente scelto dopo una sua veloce e acuta osservazione dei luoghi e il suo scenario naturalistico era quindi rappresentato dal mondo reale, di guerra, sportivo, o quant’altro connesso al proposito che si era prefissato.
Ogni incarico professionale da fotogiornalista, richiedeva e richiede tuttora la realizzazione con obiettivi preventivati a monte e che si torni poi al giornale - a una scadenza prefissata e improrogabile - per consegnare improrogabilmente i risultati attesi. In argomento era anche prospettata, per Galligani, una certa similitudine che lo accostava alla tecnica di cattura di un animale rapace, che attende paziente, inanellando magari tanti voli per poi indirizzarsi sulla preda, individuata anche attraverso piccoli indizi, che solo un occhio attento può riuscire cogliere.
Chi avrà la tenacia di assistere a tutta quanta la registrazione dell’evento Fiaf, avrà certamente modo di cogliere anche l’estrema attenzione prestata da Galligani all’intervento di Pippo Pappalardo che, con la solita maestria, ha saputo inquadrare l’intero operato dell'amico fotografo dentro una cerchia molto più ampia del reportage giornalistico.
Pappalardo ha pure focalizzato in cinque punti classici il modus operandi che ha sempre caratterizzato, a suo parere, l’azione di Mauro Galligani e che lo stesso ha perfettamente - e fin da subito - interiorizzato. Punti che si soffermano anche su aspetti intimistici e filosofici, che rispondono a una logica connotata da un’indipendenza assoluta rispetto ai grandi autori, che ha studiato e assimilato negli anni giovanili di formazione nella scuola romana di fotografia e cinema.
Osservazione, elaborazione mentale (magari attesa anche prolungata) e scatto sono gli elementi che possono costituire sempre parte costante nella didascalia di ogni immagine fotografica di Galligani.
Veniva appurato da tutti gli intervenuti che l’azione fotografica, rivolta alla ricerca dei tanti aspetti che hanno connotato i suoi sintetici racconti, non si è mai perduta nell’inclusione di elementi superflui, che avrebbero anche potuto distrarre da quello che voleva essere un suo preciso messaggio.
Nel corso della serata sono stati espressi molti concetti, raccontati moltissimi aneddoti e i tanti differenti interventi hanno ampliato i contenuti degli argomenti discussi.
Nella circostanza, non sono mai mancati i riferimenti politici, anche attualizzati, legati alla contestualità del nostro tempo.
Sarebbe inutile voler dilungarsi ancora per cercare di raccontare ciò che è accaduto, perché gli accenti, i chiaro scuri e i colori di ogni discussione sono stati tanti, ma proprio tanti veramente.
A chi rimanesse curioso, non rimane che andare vedere le registrazioni postate nel canale You Tube Diaf della Fiaf, per la lunga durata, divisa in due parti (https://youtu.be/D6E7DqLcgDI e https://youtu.be/50-K8lcL36w).
Buona luce a tutti!
© ESSEC
martedì 20 aprile 2021
Pippo Pappalardo interviene sull'articolo incentrato sulla serata di Giancarlo Torresani dedicata a Federico Vender
In risposta al mio racconto della serata su Federico Vender, promossa da Manuela Gennburg, Presidente del Gruppo Venetofotografia, e felicemente condotta con la solita professionalità e precisione da Giancarlo Torresani, un sollecito riscontro di Pippo Pappalardo, approfondisce e evidenzia aspetti che certamente io non sarei mai stato in grado di affrontare nello stesso livello contenutistico e espositivo. Riporto di seguito quanto ricevuto.
"Caro Toti,
il lodevole tentativo di riprendere in mano le vicende della fotografia italiana e analizzarne i percorsi estetici, storici, politici come pure quelli di costume e di tendenza, deve fare i conti con i dispositivi espositivi che intende adoperare.
In tal senso non può bastare l’eroico e competentissimo contributo del caro Giancarlo, costretto in un paio di ore a sviscerare la complessa vicenda dell’esperienza fotografica di Federico Vender e del suo contributo alla storia nazionale della fotografia.
Il pregevole, come sempre peraltro, intervento di Torresani intendeva riprendere in mano il personaggio e la personalità del fotografo scomparso; quindi metterne a fuoco, a memoria futura, i caratteri per noi fotoamatori più significativi, traendo dall’oblio la sua opera e ricollocarla, grazie ad una attenzione riconquistata, nel suo giusto posto.
Questo lavoro ieri sera è stato realizzato ma siamo ancora agli inizi. Per proseguirlo dobbiamo per una parte, tornare indietro e ricostruire le informazioni che ci mancano (ed i nostri amici ne sanno assai) un’altra parte, proiettarci in avanti corredati, però, dagli studi biografici e scientifici che esistono e che sono, in gran parte, assolutamente disponibili.
Fare insomma quello che è stato fatto attorno a Paolo Monti, la cui eredità artistica prima ancora che materiale, è stata travagliata, turbata e malridotta nonostante il valore assoluto della sua persona. Solo da qualche anno ci possiamo accostare alla sua fotografia con minore sufficienza e approssimazione, consapevoli della storia, fotografica e no, prima di lui e dopo di lui (peraltro i suoi compagni di lavoro per gran parte, sono ancora viventi e pronti a testimoniare). I libri attorno alla vicenda della Gondola sono tantissimi e, per di più, la Gondola è viva e vegeta.
Altra storia è quella di Cavalli, personaggio più complesso. Ma, bada bene, non trattasi di una storia difficile o dimenticata. Tutt’altro! La vicenda è ben documentata e tantissimo sappiamo delle opere della Bussola e dei suoi soci e molto sapremo quando gli eredi Cavalli svincoleranno l’accesso al patrimonio del fotografo.
Quindi, riprendendo le tue considerazioni, capisci bene che, alla luce di quanto sopra, esiste solo un problema di seria esegesi storica da effettuare anche per il nostro amico, mancando la quale dobbiamo supplire con l’efficiente strumento Torresani il quale armato di buona volontà toglie la polvere dalle pagine e ci tira, benevolmente, le orecchie perché magari non abbiamo studiato.
Solo quando avremo studiato, potremo verificare la qualità di quanto ci ha fatto vedere il nostro maestro Torresani. Per adesso dobbiamo fiduciosamente raccogliere il suo invito e andare avanti, senza distrarci e fidandoci del buono e tanto che sta dietro di noi; e magari cercando non lontano dalle tue parti.
Ti ricorderai certamente di Paolo Morello, palermitano ed eccellente storico della fotografia; ti ricorderai di Diego Mormorio, siciliano e trapanese, altro insigne storico, ed amico a me caro: ti rimando ai loro libri, che possono bastare per allargare l’orizzonte di cui ieri sera Giancarlo ci ha fatto intravedere i colori, ma possono, di riflesso, accendere nuovamente i riflettori su un dibattito culturale che pensavamo sopito ma che ieri sera l’acume di Giancarlo ha fatto risorgere.
F.to Pippo Pappalardo."
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Giancarlo Torresani ci racconta Federico Vender
Molti cultori di fotografia certamente sono a conoscenza del fatto che soli pochi circoli fotografici, nati nel Nord dell’Italia nel primo dopoguerra, hanno fortemente influenzato l’intero mondo della fotografia nazionale; con l’intento di promuoverla come forma d’arte dal punto di vista professionale e rivalutarla rispetto al ruolo prettamente documentaristico cui comunemente veniva fino ad allora associata. Introducendo, ciò, veniva anche portata avanti l’idea e l’intenzione di sviluppare e innovarne i principi ispiratori, nonchè i potenziali specifici canoni espressivi e creativi del settore.
Si sta parlando de “La Bussola” (1947), nata a Milano, della “Gondola” (1948), della ”Associazione fotografica Misa” (1954) e del “Gruppo friulano per una nuova fotografia” (1955).
Com’è naturale che sia, vuoi per indirizzare e diversificare intenti personali nell’ambito associativo, vuoi per un sovraffollamento intervenuto in circoli preesistenti, alcuni dei fotografi fondatori delle prime realtà andranno poi a costituire o a confluire via via in aggregazioni nate successivamente, per sviluppare nuove idee e rinnovare scuole di pensiero.
Attraverso il web si può facilmente apprendere che i principali membri fondatori del primo gruppo storico furono Giuseppe Cavalli, Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Federico Vender e Luigi Veronesi, che firmarono il Manifesto del gruppo fotografico La Bussola, pubblicato, nel maggio del 1947, sulla rivista "Ferrania”.
Ci si sta soffermando a parlare de “la Bussola” perché Federico Vender è stato il fotografo su cui Giancarlo Torresani ha incentrato recentemente una sua serata streaming, organizzata dal gruppo “Venetofotografia” e rivolta a intrattenere un attento e trasversale (in età e non solo) pubblico di appassionati di fotografia.
Un fotografo, Vender, che mostra tante ombre. Anche per una scarna produzione di opere oggi rimaste che, a detta di chi lo ha raccontato, ad un certo punto sembra distaccarsi da tutto quello che è stato il suo modo di essere. Fin quasi ad arrivare anche al punto di quasi autocensurarsi, nel salvare solo una parte della sua maggiore produzione fotografica e senza che, apparentemente, nessuno sia stato forse in grado di interferire sulle sue decisioni.
Un evidente interprete e prosecutore d’idee e visioni d’avanguardia che nel postfascismo si dedica quasi interamente ad una forma espressiva nuova per quel momento (fotoromanzo) e che in brevissimo tempo andrà a riscuotere un grande successo popolare.
E' il fotoromanzo, infatti, che lo vede fra i suoi maggiori realizzatori. Come direttore della fotografia avrà modo di gestire le principali produzioni delle riviste del tempo, un'attività che lo assorbe e gli consente di dedicarsi a un genere che per un verso diventa strumento di cultura popolare e dall’altro alimenta incontri sempre nuovi con personaggi che si andranno in breve ad annoverare nei tanti attori in erba degli anni della rinascita economica italiana.
Figurano fra i protagonisti dei suoi fotoromanzi i vari Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Giorgio Albertazzi, Ilaria Occhini, Alida Valli, e tantissimi altri, fra questi sono molte le bellissime donne.
Come è già accaduto a tanti intellettuali e artisti, sembra pure che a un certo momento della sua vita venga a scattare una coscienza che lo rende incerto del suo mondo, forse dubbioso del suo modo d’essere, fino a far cadere ogni convinzione su tutto quello che lo ha gratificato nel passato.
Testimonia ciò anche l’aneddoto, databile intorno agli anni novanta e che riguarda un casuale incontro di Vender con Paolo (amico di Torresani, che segue anche gli eventi di Giancarlo in “Venetofotografia”). Nel racconto di Paolo si evidenzia la circostanza che lo porta a scoprire quasi casualmente Vender, durante un'occasionale visita ad una mostra fotografica, dove un Vender anziano quasi si rivela con un certo imbarazzo, pur firmandosi in un biglietto lasciato alla fine.
Quella firma e quello strano approccio inducono a indagare e avviare una ricerca nel passato di questo strano uomo apparso riservato che però, quasi inconsciamente, genera i presupposti per rivelare la sua vera identità e a far scoprire il ruolo culturale che ha rappresentato in un periodo che ha cavalcato l’intero periodo fascista e il primo ventennio italiano successivo.
L’autocratica o autonoma epurazione, come meglio si vuol credere, di tutta quella che verosimilmente oggi rappresenta solo una piccolissima parte della sua produzione non è poi detto che corrisponda ai canoni estetici esclusivamente connessi alla fotografia.
Lo studio dei personaggi che hanno navigato nella storia dell’arte spesso è comprensibile anche attraverso quelle che vengono classificate, nel tempo, come delle opere minori e che, invece, magari costituiscono il frutto di sperimentazioni infelici ma che sono inconfutabilmente momenti di transito e di apprendimento per dei passaggi che introducono solo dopo a risultati definiti, ritenuti solo dall’autore validi o migliori.
Chissà cosa ci sarà stato nei lavori censurati e distrutti; che forse nell’impeto della selezione hanno semplicemente voluto cancellare tracce o testimonianze di un proprio e personalissimo vissuto. Delusioni da nascondere, anche ai propri occhi affinché la mente elimini ricordi: chissà. Un fatto sembra però certo sul cambiamento, in qualche modo concomitante con i postumi di un incidente stradale che lo porta a un quasi isolamento, quasi a un rifugio, a Malcesine prima per poi andare alla Casa di riposo della vicina Arco.
Un ampio mistero avvolge in ogni caso il personaggio Vender, quasi sconosciuto a molti, e che - anche attraverso le poche opere rimaste, per un suo volere e scelta - lascia intravedere una creatività e originalità che si pone, non tanto più avanti, ma assai diversa rispetto ai canoni dei suoi tempi; che avrà di certo anche condizionato, forse pure fortemente, i suoi stessi compagni di avventura, con i quali si era ritrovato a fondare “La Bussola”.
Certo la discrezione che lo contraddistingueva, così come viene raccontato negli aneddoti di chi lo ha conosciuto negli anni ottanta e novanta, consolidano dubbi e alimentano non pochi misteri.
Non ultimo l'impressione di voler quasi rinnegare la valenza di un passato che l’ha visto molto impegnato in una certa fotografia nascente e nella quale ha sperimentato - e con molta maestria – immagini che richiamano, nelle sue raffinate realizzazioni, il mondo statuale e un certo pensiero pittorico che quasi va a lambire il movimento futurista. Anche qui, chi lo sa quali fossero le sue frequentazioni artistiche, nella dinamica creativa dei primi anni del novecento.
A margine della serata, da un breve dibattito ampiamente condiviso, è anche emersa l’indubbia importanza della storia dell’arte nella formazione didattica di una nazione. Per l'spetto culturale che impone di procedere verso una rivisitazione storica permanente dei fenomeni socio-artistici intervenuti nel tempo. Rivisitando, al riguardo, anche aspetti architettonici o quant’altro di espressivo. In funzione degli apporti che risultano certamente corrisposti nella formazione della cultura moderna, che ne rimane contaminata, ancor chè occultata nella didattica del nostro tempo. Tutto quanto astenendosi dall’anteporre o frapporre alcun condizionamento socio-politico che possa diventare tout court pregiudizievole.
Di tutti questi eventi in streaming, i circoli e le associazioni organizzatrici, che stanno provvedendo a registrarle, di fatto contribuendo a costituire un valido archivio che, oltre a documentare le lectio dei vari relatori, consentirà di poter raccogliere tanti ricchi e validi dibattiti che, ogni volta, completano gli argomenti trattati, facendo nascere anche spunti meritevoli di ancora altri ulteriori incontri e nuovi approfondimenti.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
mercoledì 14 aprile 2021
Le 24 ore che costituiscono una giornata.
Fra le tante cose dette, in una recente conferenza che qualche giorno fa Pippo Pappalardo ha tenuto durante un suo racconto descrittivo del suo Mario Giacomelli, mi ha molto colpito un punto.
Nell'esordio della sua introduzione all’evento ebbe infatti anche a precisare: “Parlerò di un mio modo di vedere Giacomelli, che è nato sostanzialmente da alcuni pretesti incontrati nei libri, incontrati nelle poesie, incontrati casualmente. Ho cercato, quindi, di voler incontrare questa persona, ci sono riuscito”. Ha poi soggiunto: “E poi, tutto sommato, se metto assieme il tempo che ho trascorso con Mario Giacomelli, io una giornata non l'accumulo. Sono state poche ore, però mi sono state significative, non solo quelle ore ma per le risposte che lui ha dato a certe mie domande che, li per lì, mi sono sembrate risposte sibilline ma che poi, nel tempo, ancora oggi risultano degli squarci di luce e di assoluta evidenza.”
A un ascolto veloce sembrerebbero delle esplicitazioni, quelle di Pappalardo, di non particolare rilevanza ma, riflettendoci un po’ più a fondo, non è proprio così.
In verità ci ha voluto dire che tanti brevi incontri intensi, gli hanno permesso di raccogliere tanti punti di vista del Maestro, con tante risposte su tanti spunti posti e riguardanti variegati argomenti.
Anche se, come dice, assemblando temporalmente la densità dei dialoghi, si sarebbero potute assommare forse le 24 ore che costituiscono una giornata, quel breve tempo è risultato più che sufficienti per avere chiaro il pensiero del soggetto che gli stava di fronte.
Poichè anche lui interessato a confrontare le proprie opinioni. Senza, quindi, l'intento di ostentare certezze di parte, in un dialogo libero e mai preconcetto che ha consentito a entrambi i dialoganti di andare avanti nell’intento di un reciproco arricchimento, cosa che può solo venir fuori da un dibattito aperto e alla pari.
Un nostro modo di presentare chi ci sta intorno è spesso quello di etichettare con la classica frase: “questo è un caro amico mio”, ma in verità quanto a fondo conosciamo veramente la persona che classifichiamo come tale? Quanti momenti di verifica ci hanno permesso di conoscerci a fondo reciprocamente? Quanti confronti senza barriere ci hanno consentito di verificare la sussistenza di un'assoluta onestà intellettuale in entrambe le parti?
Alcune volte non basta una vita per conoscere realmente un soggetto. Talvolta anche quelli che frequentiamo spesso o che convivono con noi, magari a noi vicini per interessi comuni; con i quali però non abbiamo mai avuto un'occasione seria per scavare sui reciproci sentimenti, sui valori che ci appartengono e su quelli che potrebbero – in un contesto anche solo leggermente variato – pure contrapporci.
Il racconto che Pippo Pappalardo ci ha fatto l’altra sera di Mario Giacomelli è stato assolutamente convincente ed è stato pure sufficiente a descrivere il quadro di una personalità complessa, composita, libera, imprevedibile, curiosa e al contempo piena di paure.
Con quel condensato di tanti piccoli incontri, Pappalardo ha voluto lanciare un chiaro messaggio agli astanti e forse anche rinnovare una sua ferma convinzione.
Ci ha voluto far capire che scremando ogni dialogo dai convenevoli di rito e cercando di approfittare di ogni occasione per arricchire elementi, aggiungendo nuovi tasselli, si può avere modo di capire. Per individuare e riconoscere gli ingranaggi più complessi che, in qualche modo, animano e alimentano genialità che, per manifestarsi, hanno bisogno dei giusti input posti da interlocutori attenti. E, ovviamente, per chi indaga o studia, occorre essere capaci di raccogliere e assemblare i frammenti delle tante piccole risposte fornite, che costituiscono i pensieri e che, nell’insieme, vanno a comporre ogni puzzle che ci contraddistingue.
Quanto fin qui osservato, traeva spunto da un evento e risultava a contorno del racconto su un fotografo famoso, passato alla storia della fotografia.
Il messaggio lanciato nell'occasione era però una considerazione molto attenta, che andava molto più in là del mero oggetto che era stato il tema della serata.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
sabato 10 aprile 2021
Serata “Arvis” dedicata a Mario Giacomelli.
Non c’erano dubbi che il racconto di Mario Giacomelli fatto da Pippo Pappalardo sarebbe stato un successo. Del resto la ricca miscellanea di critica fotografica, aneddotiche ed esperienze direttamente vissute dal relatore con l’artista, non poteva che affascinare tutti gli appassionati di fotografia che hanno potuto assistere alla diretta in streaming organizzata dall’ARVIS di Palermo.
Le adesioni hanno sfiorato il centinaio di presenze medie e l’interesse suscitato ha anche prodotto, alla fine, una serie di considerazioni e domande che hanno determinato un ampio prolungamento rispetto alla durata programmata.
In genere, quando si parla di Mario Giacomelli ci si rifà alle foto dei pretini o a quelle di Scanno, ma l’ampia esposizione di Pappalardo ha raccontato della dirompente irruzione dell’artista nel panorama fotografico del periodo e della lenta e complessa evoluzione della sua fotografia nel tempo.
Nelle caratteristiche di Pippo Pappalardo, c’è già quella di analizzare a fondo l’argomento che andrà a trattare. Nel nostro caso, in più, gli stretti legami personali con Enzo Carli in particolare, gli hanno consentito di andare a illustrare il pensiero di Mario Giacomelli sulla base di conoscenze acquisite dalla frequentazione; come risultato di tanti scambi d’idee, di confidenze e anche di contraddittori, sempre utili a comprendere fino in fondo il pensiero sottostante alla produzione fotografica del Maestro; nelle sue varie e diverse fasi creative e oltre (Giacomelli tipografo, pittore, poeta, fotografo e fine pensatore).
Per non tediare oltremodo chi sta leggendo riporto di seguito, non già le domande poste alla fine dell’evento, ma alcune delle considerazioni scritte in chat durante lo streaming e che sintetizzano e focalizzano alcuni momenti della serata.
Luisa: Impressionanti queste fotografie. Non conoscevo l’opera di Giacomelli. Grazie Pippo!!
Bruno: Conoscevo già le opere di Giacomelli, ma è un piacere sentirne il racconto.
Max: Manca il cielo nei paesaggi di Giacomelli, ma sono presenti parecchi volti …
Domenico: I segni violenti dei bianchi e dei neri penso siano una conseguenza del suo amore per l’inchiostro …
Vilma: Uno spaccato di Giacomelli veramente inedito e molto interessante.
Eleonora: Mi sono incantata ad ascoltarla.
Maura: Racconto delle foto e della vita, carico di sentimento.
Giancarlo: Mi piace ricordare che Giacomelli non è stato solo fotografo, tipografo, poeta; egli nasce come pittore astratto, materico, per lui la fotografia è stata il mezzo più congeniale per esplorare la sua interiorità e quella del mondo degli uomini. Convinto sostenitore che la fotografia, con la forza della sua verità, è capace di trasmetterci immagini evocate, sospese, che altro non sono che rimandi visibili di noi stessi, della nostra interiorità.
Francesca: Un viaggio, quello di Giacomelli, per penetrare nel mondo attorno e dentro di sé, utilizzando linguaggi e tecniche che liberano e non limitano.
Arturo: Le foto di Giacomelli rispecchiano il suo modo di vita interiore, amando e dando lustro alle persone semplici che gli stavano vicino, le sue foto sono nell’immaginario dell’artista geniale.
Rosamaria: La siepe/parete di Giacomelli forse va letta attraverso la simbologia della finestra, luogo del passaggio obbligato tra spazio chiuso introspettivo e quello aperto del desiderio di conoscere in maniera libera. Un processo che necessita di un percorso nel tempo, che non può non logorare. Consapevolezza che fu anche di Leopardi.
In ogni caso e per quanto ovvio, si osserva che le considerazioni espresse dai partecipanti e fin qui elencate, hanno fatto da corollario all’ampia Lectio del relatore della serata e danno prova della partecipazione coinvolgente e attenta di tutti gli intervenuti, anche esperti in materia; i quali hanno sempre mantenuto costante il loro collegamento (come ha detto più di qualcuno: incollati alla sedia per le quasi tre ore di trasmissione).
Chi ne avrà voglia potrà anche recuperare, con la registrazione che è postata su You Tube e attivabile attraverso il seguente link: https://youtu.be/Aep5_PFVaSI .
Per completezza d’argomento, si cita una precedente performance in streaming di Pippo Pappalardo, incentrata sempre su Mario Giacomelli (maggio del 2020) e su cui si ebbe a scrivere in un articolo dal titolo “Prendi due e paghi uno …. Per poi ‘appanarsi’ di fotografia”, postato sul mio blog “laquartadimensionescritti”.
Quell’articolo chiudeva così:
Domandando un giorno a Ferdinando Scianna chi fosse stato per lui il più grande fotografo di tutti i tempi, ebbe come risposta: "Henry Cartier-Bresson, ovviamente". Pippo gli disse: "e Mario Giacomelli allora?" La risposta del Maestro Ferdinando fu: "Che c’entra, quello è stato un Genio, ma in quanto tale non classificabile, perché fuori da ogni schema e invaso dall’immensa fantasia creativa."
Anche il sottoscritto conosceva Giacomelli, ma non così a fondo e con la profonda empatia dimostrata dall’amico Pippo, che tutti noi ringraziamo per il gran regalo che ci ha - ancora una volta - concesso.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
mercoledì 7 aprile 2021
“Il ruolo delle figure retoriche in fotografia: La metafora e le altre”
Ora ho forse capito meglio perché Bicocchi e Pappalardo si stimano a vicenda.
Quando ho iniziato a percorrere la mia strada in salita nel campo del portfolio fotografico, l’amico Pippo ebbe a suggerirmi come attento lettore Silvano Bicocchi, che a quei tempi sconoscevo del tutto.
Assistere alle sue performance si rivelò, per me, una vera scoperta sia per l’aspetto fotografico che per tutta quella variegata cultura che si manifestava e componeva in una attenta lettura di una serie fotografica che, se ben confezionata, andava a costituire un complesso ma scorrevole racconto.
Casualmente l’altra sera mi sono ritrovato ad assistere alla “Riflessione” condotta appunto da Silvano Bicocchi (Direttore del Dipartimento Culturale Fiaf), proposta al Fotoclub Il Castello, dal titolo “Il ruolo delle figure retoriche in fotografia: La metafora e le altre”.
Quasi due ore di lezione che, per la complessità degli argomenti e l’intreccio fra le differenti classificazioni esplicitate, hanno affascinato gli astanti, ma anche lasciato - al termine - un pubblico quasi del tutto ammutolito.
Come accade in queste performance complesse, che miscelano scuole di pensiero a principi di filosofia, specie per chi non è molto addentro ai temi, alla fine rimane un certo spaesamento che, in ogni caso, tende a cercare di razionalizzare la moltitudine d’input ricevuti.
L’esposizione delle varie fattispecie oggetto della lectio associava la teoria a esemplificazioni pratiche costituite da fotografie, spesso di stessi autori, anche al fine di far meglio comprendere certe sfumature che differenziavano la diversa classificazione delle immagini.
Dopo una breve introduzione, si è partito dall'esempio di Metafora e poi illustrare esempi di ….. Allegoria, Metonimia, Sinestesia, Ossimoro, Preterizione, Sineddoche, Similitudine, Iperbole e Chiasmo.
Già il significato dei soli titoli attribuiti ai capitoli non erano terminologie descrittive d’uso comune e, ricollegandomi alla frase iniziale di questo scritto, la successiva rilettura mi ha indotto a ricorrere al consulto ripetuto della Treccani, per comprendere a pieno i concetti.
Queste mie necessità mettevano certo a nudo i limiti culturali e riproponevano i frequenti casi in cui mi trovo a seguire letture di portfolio o davanti a scritti compositi e ricchi di citazioni, come i casi che vedono come protagonista Pippo Pappalardo.
Le esibizioni di entrambi i soggetti, Bicocchi e Pappalardo, partono sempre dalla fotografia per poi spaziare, sfiorando o approfondendo tanti temi, galoppando liberi in praterie che, agli occhi dei normali, appaiono sconfinate.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Quando ho iniziato a percorrere la mia strada in salita nel campo del portfolio fotografico, l’amico Pippo ebbe a suggerirmi come attento lettore Silvano Bicocchi, che a quei tempi sconoscevo del tutto.
Assistere alle sue performance si rivelò, per me, una vera scoperta sia per l’aspetto fotografico che per tutta quella variegata cultura che si manifestava e componeva in una attenta lettura di una serie fotografica che, se ben confezionata, andava a costituire un complesso ma scorrevole racconto.
Casualmente l’altra sera mi sono ritrovato ad assistere alla “Riflessione” condotta appunto da Silvano Bicocchi (Direttore del Dipartimento Culturale Fiaf), proposta al Fotoclub Il Castello, dal titolo “Il ruolo delle figure retoriche in fotografia: La metafora e le altre”.
Quasi due ore di lezione che, per la complessità degli argomenti e l’intreccio fra le differenti classificazioni esplicitate, hanno affascinato gli astanti, ma anche lasciato - al termine - un pubblico quasi del tutto ammutolito.
Come accade in queste performance complesse, che miscelano scuole di pensiero a principi di filosofia, specie per chi non è molto addentro ai temi, alla fine rimane un certo spaesamento che, in ogni caso, tende a cercare di razionalizzare la moltitudine d’input ricevuti.
L’esposizione delle varie fattispecie oggetto della lectio associava la teoria a esemplificazioni pratiche costituite da fotografie, spesso di stessi autori, anche al fine di far meglio comprendere certe sfumature che differenziavano la diversa classificazione delle immagini.
Dopo una breve introduzione, si è partito dall'esempio di Metafora e poi illustrare esempi di ….. Allegoria, Metonimia, Sinestesia, Ossimoro, Preterizione, Sineddoche, Similitudine, Iperbole e Chiasmo.
Già il significato dei soli titoli attribuiti ai capitoli non erano terminologie descrittive d’uso comune e, ricollegandomi alla frase iniziale di questo scritto, la successiva rilettura mi ha indotto a ricorrere al consulto ripetuto della Treccani, per comprendere a pieno i concetti.
Queste mie necessità mettevano certo a nudo i limiti culturali e riproponevano i frequenti casi in cui mi trovo a seguire letture di portfolio o davanti a scritti compositi e ricchi di citazioni, come i casi che vedono come protagonista Pippo Pappalardo.
Le esibizioni di entrambi i soggetti, Bicocchi e Pappalardo, partono sempre dalla fotografia per poi spaziare, sfiorando o approfondendo tanti temi, galoppando liberi in praterie che, agli occhi dei normali, appaiono sconfinate.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Giuseppe Conte: La mia lettera al direttore Massimo Giannini pubblicata questa mattina su "La Stampa"
"Gentile Direttore,
da alcune settimane sono impegnato nel compito di rifondare il Movimento 5 Stelle, in modo da rilanciarne la carica innovativa e renderlo pienamente idoneo a interpretare una nuova stagione politica. Anche per questa ragione sto evitando di rilasciare dichiarazioni e di intervenire nell’attualità politica. Ritengo prioritario preparare al meglio una nuova agenda politica, da condividere con la massima ampiezza, che sappia esprimere un progetto di società rispondente ai bisogni più urgenti dei cittadini, ma fortemente proiettata su un modello di sviluppo che coinvolga anche le generazioni future. Ma sono costretto a intervenire per correggere alcune falsità riportate nel lungo editoriale, che Lei ha offerto ai lettori del suo giornale il giorno di Pasqua, dedicato ai vecchi e ai nuovi scenari di politica estera del nostro Paese, con particolare riguardo al conflitto libico, dal titolo “Italia e Libia. Un atlante occidentale”.
Non posso tacere perché queste notizie false, essendo attinenti alla politica estera perseguita dall’Italia negli ultimi anni, non riguardano solo la mia persona, ma anche un buon numero di nostri professionisti, della filiera diplomatica e dell’intelligence, che hanno condiviso gli sforzi e profuso grande impegno in questa direzione.
Non entro, peraltro, nel merito delle varie considerazioni da Lei formulate. Sono sue, opinabili valutazioni. Non Le scrivo per aprire una discussione sui complessi scenari di geo-politica. Ma trovo palesemente fuorviante riassumere tutte le iniziative di politica estera poste in essere dai due governi da me presieduti con l’immagine di un’“Italietta che finalmente si risveglia dalla sbornia nichilista, sovranista e anti-occidentale di questi ultimi tre anni”.
Sono rimasto colpito dall’incipit del Suo editoriale. Con un accorto espediente retorico ha messo in relazione tre notizie: la prima vera, la seconda e la terza completamente false.
La prima notizia, vera, è che “Dopodomani [oggi per chi legge, n.d.r.] Mario Draghi volerà in Libia”. Questa notizia è seguita da un suo commento, pienamente legittimo: “è una missione cruciale, non solo per la difesa del nostro interesse nazionale, ma in parte anche per la ridefinizione del nuovo Ordine Mondiale, la riaffermazione dei valori dell’Occidente, la ricostruzione del ruolo dell’Europa”.
Subito dopo ci sono due notizie false, che non riguardano solo me personalmente quanto la politica estera perseguita dall’Italia. Queste due falsità sono precedute da un suo commento molto malevolo: “Le ultime pezze a colori improvvisate da Giuseppe Conte nel Corno d’Africa e nella Penisola Arabica hanno portato più malefici che benefici”. La prima falsità: “I due incontri ad Abu Dhabi con Mohammed bin Zayed, tra il novembre 2018 e il marzo 2019, furono talmente inutili sul dossier libico che lo sceicco emiratino diede ordine ai suoi diplomatici di non organizzargli mai più altri colloqui con l’Avvocato del Popolo”.
La seconda falsità: “Il blitz a Bengasi del 17 dicembre 2020, organizzato come uno spot di bassa propaganda solo per riportare a casa i pescatori mazaresi previa photo-opportunity con Haftar, è stato ancora più imbarazzante”.
La prima notizia è smentita dal fatto che dopo le date che Lei ricorda ho avuto ulteriori colloqui con lo sceicco Mohammed bin Zayed, che hanno confermato non solo l’eccellente rapporto personale instaurato, ma anche le ottime relazioni tra i nostri due Paesi. Mi permetta poi di sottolineare che la sua falsità suona davvero ingenua: in pratica ha tentato di convincere i Suoi lettori che lo sceicco emiratino avrebbe informato solo lei che non avrebbe più accettato colloqui con il sottoscritto, quando invece abbiamo sempre operato, anche a tutti i livelli della filiera diplomatica e di intelligence, nella reciproca consapevolezza che i nostri rapporti fossero molto buoni.
La seconda falsità è non meno sorprendente, in quanto già all’epoca dei fatti chiarii che volai in Libia non per piacere, ma perché fu l’unica condizione per ottenere il rilascio dei diciotto pescatori. L’ho fatto. Lo rifarei. Dopo un lungo negoziato e dopo avere respinto altre richieste che giudicai non accoglibili, atterrai all’aeroporto di Bengasi, dove Haftar mi accolse e firmò in mia presenza il decreto di liberazione dei diciotto pescatori. Quanto alla photo opportunity, caro Direttore, la informo che ho ricevuto più volte Haftar a Roma, anche nel pieno di quest’ultimo conflitto libico. Aggiungo che non troverà in giro nessuna mia foto con i pescatori: a loro e a tutti i cittadini di Mazara ho mandato un saluto a distanza. Ho evitato di incontrarli proprio per non dare adito a speculazioni inopportune. Ma vedo che con Lei questa premura, ancora a distanza di tempo, non è servita.
Concludo. Ci auguriamo tutti che il viaggio del premier Mario Draghi in Libia possa rivelarsi utile. Il dossier libico rimane strategico per gli interessi italiani ed europei ed è estremamente rilevante negli equilibri geo-politici mondiali. Non credo che nessuno abbia difficoltà ad aderire al suo auspicio che questa possa essere la svolta che l’intero mondo occidentale attende da anni. Ma non serve e non vale a rafforzare questi auspici la denigrazione di chi è venuto prima.
Gentile Direttore, Lei e l’intero gruppo editoriale a cui il Suo giornale fa riferimento avete abbracciato convintamente una causa. Ora, non dico che debba fidarsi di me. Ma dia retta almeno a un raffinato stratega quale Talleyrand, che ai suoi collaboratori raccomandava sempre: “𝘚𝘶𝘳𝘵𝘰𝘶𝘵 𝘱𝘢𝘴 𝘵𝘳𝘰𝘱 𝘥𝘦 𝘻𝘦̀𝘭𝘦” (“Soprattutto non troppo zelo”). Quando si eccede in fervore si rischia di servire male la causa.
Cordialmente, Giuseppe Conte"
lunedì 5 aprile 2021
L’onestà intellettuale, non è cosa comune.
In questi periodi di prolungati lockdown capita spesso di avventurarsi in revisioni da topi d’archivio. Per far ciò si aprono vari sportelli e cassetti per accedere a pile di carte e appunti gelosamente conservati.
Di frequente va poi a finire che molti dei documenti esaminati cambiano solo di posto nelle varie disposizioni e la grande busta preparata per la raccolta differenziata destinata alla carta rimane ad accogliere solo vecchie fotocopie e fogli di riviste, riguardanti articoli attinenti alle materie.
In questa lenta operazione, ci si ritrova pure a rileggere dei contenuti e tornano alla mente momenti di vicissitudini che avevi già avviato al dimenticatoio.
L’ironia, che con il passare degli anni si è affinata, però oggi riesce a cogliere aspetti che indurrebbero a ilarità, ma che in verità fotografano sistemi atavici e modi di fare abbastanza assurdi, che sembrerebbero fuori dal tempo, ma che in alcune realtà costituiscono prassi che continuano a resistere.
Allo scopo di poter far capire le peculiarità di un certo documento ritrovato, mi tocca descriverne gli elementi essenziali.
Si tratta di un modulo di estrema importanza nello sviluppo di carriera di un impiegato, nel caso denominato “Mod. 10 ispettorato”, che viene redatto dagli incaricati d’ispezione interna per ciascun elemento che ha un ruolo nella realtà lavorativa oggetto di osservazione.
La natura di questi tipici incartamenti, che è alquanto riservata, accompagna l’intero sviluppo di carriera di ciascun dipendente e costituiscono elementi di consultazione per le commissioni incaricate a presiedere eventuali selezioni e concorsi interni.
Va da sè che i giudizi riportati diventano delle vere pietre miliari per qualunque possibile sviluppo lavorativo; valido anche per l’eventuale impiego del soggetto in particolari settori ritenuti delicati.
Per meglio intendere le considerazioni redatte da un gruppo ispettivo, in un lontano luglio del 1978 e attinente all’incartamento in questione, è importante specificare l’età, l'ambito operativo e l’attività svolta dall’impiegato giudicato: “Età 26 anni, settore operativo di Cassa”, con mansioni di “sportello, contazione biglietti, compilazione registri di cassa, etc...”.
Nello spazio dedicato a “note speciali e osservazioni” risulta riportato quanto segue: “Elemento un po’ polemico, non del tutto soddisfatto del tipo di lavoro che è chiamato a svolgere, il soggetto adempie tuttavia alle proprie incombenze, sia di sportello che interne, con precisione e ordine.” Inoltre: “Il senso del dovere di cui è dotato gli consentirà sempre di non demeritare ma riteniamo che, perdurando nelle sue convinzioni, non sarà possibile chiedergli l’entusiasmo necessario per ulteriormente migliorarsi”.
Occorre anche precisare, per completezza d’informazione, che nel documento acquisito certe sottolineature apposte in due frasi non corrispondevano temporalmente alla stesura dei giudizi dei tre ispettori interni del '78, ma erano il frutto di una particolare attenzione da parte di componenti di commissioni interne nominate successivamente, per prove d'esami o avanzamenti di carriera per anzianità congiunta a meriti. Le frasi sottolineate erano, quindi, rispettivamente: "Elemento un pò polemico" e "non sarà possibile chiedergli l'entusiasmo necessario per ulteriormente migliorarsi".
In altre parole, quanto accertato costituiva prova di evidenti pregiudizi (pure evidenziati con matita rossa) che, di regola, in quella realtà amministrativa hanno e da sempre anticipato/condizionato le prove e gli scrutini.
Per quanto ovvio, hanno sempre inciso sull’atteggiamento assunto dagli esaminatori sui candidati, allo scopo di preparare e pervenire a preselezioni “non dichiarate” (ne tantomeno mai regolamentate) che avrebbero in ogni caso precluso qualsiasi eventuale ambizione carrieristica, avanzata lecitamente da soggetti autocandidati che però erano da intendersi poco graditi per eventuali avanzamenti.
Deroghe imprevedibili potevano sempre accadere, ma queste costituivano - e sempre - solo delle rare eccezioni atte a confermare la regola.
In oltre trent’anni di carriera vissuti in prima linea posso assicurare che l’andazzo gestionale delle risorse in quella realtà non è cambiata per nulla. Anche gli sviluppi osservati adesso dal di fuori non sembrano peraltro aver apportato alcuna significativa variazione.
Il tempo passa, si vivono tanti momenti ed esperienze, ma certi vizi rimangono atavici e volti fondamentalmente a frenare certe intelligenze un pò esuberanti, specie se scomode e poco accomodanti.
La chicca ritrovata nel cassetto m’induce a mantenerla ancora e di custodirla con cura. Quel documento mi porta alla mente tanti ricordi, moltissimi personaggi, taluni sgradevoli anche, ma tantissime belle persone dotate di una rara preziosità: l’onestà intellettuale, che non è cosa comune.
Per chi rimane ancora curioso riguardo al possesso di una copia conforme del modulo in questione, si può dire che deriva da documentazione riveniente dall’accesso agli atti del fascicolo personale dell’interessato. Facoltà che è stata concessa da qualche tempo a ciascun soggetto, in forza della Legge 241 del 1992.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Di frequente va poi a finire che molti dei documenti esaminati cambiano solo di posto nelle varie disposizioni e la grande busta preparata per la raccolta differenziata destinata alla carta rimane ad accogliere solo vecchie fotocopie e fogli di riviste, riguardanti articoli attinenti alle materie.
In questa lenta operazione, ci si ritrova pure a rileggere dei contenuti e tornano alla mente momenti di vicissitudini che avevi già avviato al dimenticatoio.
L’ironia, che con il passare degli anni si è affinata, però oggi riesce a cogliere aspetti che indurrebbero a ilarità, ma che in verità fotografano sistemi atavici e modi di fare abbastanza assurdi, che sembrerebbero fuori dal tempo, ma che in alcune realtà costituiscono prassi che continuano a resistere.
Allo scopo di poter far capire le peculiarità di un certo documento ritrovato, mi tocca descriverne gli elementi essenziali.
Si tratta di un modulo di estrema importanza nello sviluppo di carriera di un impiegato, nel caso denominato “Mod. 10 ispettorato”, che viene redatto dagli incaricati d’ispezione interna per ciascun elemento che ha un ruolo nella realtà lavorativa oggetto di osservazione.
La natura di questi tipici incartamenti, che è alquanto riservata, accompagna l’intero sviluppo di carriera di ciascun dipendente e costituiscono elementi di consultazione per le commissioni incaricate a presiedere eventuali selezioni e concorsi interni.
Va da sè che i giudizi riportati diventano delle vere pietre miliari per qualunque possibile sviluppo lavorativo; valido anche per l’eventuale impiego del soggetto in particolari settori ritenuti delicati.
Per meglio intendere le considerazioni redatte da un gruppo ispettivo, in un lontano luglio del 1978 e attinente all’incartamento in questione, è importante specificare l’età, l'ambito operativo e l’attività svolta dall’impiegato giudicato: “Età 26 anni, settore operativo di Cassa”, con mansioni di “sportello, contazione biglietti, compilazione registri di cassa, etc...”.
Nello spazio dedicato a “note speciali e osservazioni” risulta riportato quanto segue: “Elemento un po’ polemico, non del tutto soddisfatto del tipo di lavoro che è chiamato a svolgere, il soggetto adempie tuttavia alle proprie incombenze, sia di sportello che interne, con precisione e ordine.” Inoltre: “Il senso del dovere di cui è dotato gli consentirà sempre di non demeritare ma riteniamo che, perdurando nelle sue convinzioni, non sarà possibile chiedergli l’entusiasmo necessario per ulteriormente migliorarsi”.
Occorre anche precisare, per completezza d’informazione, che nel documento acquisito certe sottolineature apposte in due frasi non corrispondevano temporalmente alla stesura dei giudizi dei tre ispettori interni del '78, ma erano il frutto di una particolare attenzione da parte di componenti di commissioni interne nominate successivamente, per prove d'esami o avanzamenti di carriera per anzianità congiunta a meriti. Le frasi sottolineate erano, quindi, rispettivamente: "Elemento un pò polemico" e "non sarà possibile chiedergli l'entusiasmo necessario per ulteriormente migliorarsi".
In altre parole, quanto accertato costituiva prova di evidenti pregiudizi (pure evidenziati con matita rossa) che, di regola, in quella realtà amministrativa hanno e da sempre anticipato/condizionato le prove e gli scrutini.
Per quanto ovvio, hanno sempre inciso sull’atteggiamento assunto dagli esaminatori sui candidati, allo scopo di preparare e pervenire a preselezioni “non dichiarate” (ne tantomeno mai regolamentate) che avrebbero in ogni caso precluso qualsiasi eventuale ambizione carrieristica, avanzata lecitamente da soggetti autocandidati che però erano da intendersi poco graditi per eventuali avanzamenti.
Deroghe imprevedibili potevano sempre accadere, ma queste costituivano - e sempre - solo delle rare eccezioni atte a confermare la regola.
In oltre trent’anni di carriera vissuti in prima linea posso assicurare che l’andazzo gestionale delle risorse in quella realtà non è cambiata per nulla. Anche gli sviluppi osservati adesso dal di fuori non sembrano peraltro aver apportato alcuna significativa variazione.
Il tempo passa, si vivono tanti momenti ed esperienze, ma certi vizi rimangono atavici e volti fondamentalmente a frenare certe intelligenze un pò esuberanti, specie se scomode e poco accomodanti.
La chicca ritrovata nel cassetto m’induce a mantenerla ancora e di custodirla con cura. Quel documento mi porta alla mente tanti ricordi, moltissimi personaggi, taluni sgradevoli anche, ma tantissime belle persone dotate di una rara preziosità: l’onestà intellettuale, che non è cosa comune.
Per chi rimane ancora curioso riguardo al possesso di una copia conforme del modulo in questione, si può dire che deriva da documentazione riveniente dall’accesso agli atti del fascicolo personale dell’interessato. Facoltà che è stata concessa da qualche tempo a ciascun soggetto, in forza della Legge 241 del 1992.
Buona luce a tutti!
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