La banchina di Lampedusa invasa da due fazioni di
esagitati che salutano la capitana Carola Rackete appena sbarcata e
arrestata, alcuni insultandola e altri esaltandola, è la perfetta
rappresentazione di questo povero Paese che non riesce più a ragionare, ma solo
a tifare. E a twittare.
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere tra ciò che
ha fatto di buono la Sea Watch-3, cioè caricare da un gommone pericolante in
acque libiche 53 migranti (un giorno magari le Ong ci sveleranno quale divina
ispirazione le fa trovare sempre nel posto giusto al momento giusto nello
sterminato Mediterraneo); e ciò che han fatto di inaccettabile, cioè
infischiarsene della legge del porto sicuro più vicino (in Tunisia o
a Malta)
per creare l’ennesimo incidente politico col governo italiano, ricorrere al Tar
contro il no di Roma e poi fregarsene della sentenza negativa, appellarsi
alla Corte di Strasburgo e poi ignorare il verdetto contrario, violare i
divieti di ingresso in acque italiane e di sbarco a Lampedusa, fino alla
manovra spericolata e criminale di ieri, quando per poco non c’è scappato il
morto tra i finanzieri della motovedetta schiacciata sulla banchina. Non lo
diciamo noi fottuti giustizialisti. Lo dice il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio,
non certo sospettabile di filo-leghismo visto che aveva chiesto di processare
Salvini per sequestro di persona e abuso d’ufficio per il caso Diciotti
e ora ha disposto l’arresto in flagranza della Rackete: “Le ragioni umanitarie
non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi,
in divisa, lavora in mare per la sicurezza di tutti”. Lo ribadiscono gli uomini
della Guardia di Finanza sulla motovedetta: “La Sea Watch
non ha fatto nulla per evitarci, siamo stati fortunati: poteva schiacciarci”. E
il Reparto Operativo Aeronavale delle Fiamme Gialle di Palermo parla di “un atto di forza
inaspettato, un gesto irresponsabile che ti puoi aspettare da un
narcotrafficante o un contrabbandiere su un motoscafo”. Cos’hanno fatto e
cos’hanno da dire ora i parlamentari-crocieristi de sinistra saliti a bordo
della Sea Watch per garantirvi la loro personalissima “legalità”? E i fan
dell’eroina non potrebbero almeno smetterla di chiedere la liberazione di
un’indagata che, magari animata dalle migliori intenzioni, commette illegalità
che non verrebbero tollerate in nessuna democrazia del mondo?
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere fra la
simpatia umana che ispira la giovane cooperante e le ragioni del diritto, che
non autorizzano chi compie un gesto umanitario a commettere reati.
E non c’entrano nulla con Salvini
che chiede arresti e condanne come se fosse il padrone dei magistrati e passa
dalla parte del torto annunciando che i 42 migranti “possono restare in mare
fino a Natale”. Parole e condotte che vanno censurate duramente, senza per
questo tacere le illegalità della Sea Watch.
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere fra
l’apprezzamento per il coraggio di una donna che sfida le legittime leggi di un
Paese che legittimamente non condivide con un atto di disobbedienza civile
di cui si assume le conseguenze senza scappare né piagnucolare, opposta alla
viltà di Salvini che dal suo processo è scappato grazie all’impunità parlamentare,
e i doveri di uno Stato di diritto che non può farsi dettare la politica
migratoria da un’Ong tedesca di bandiera olandese.
Chi volesse ragionare saprebbe distinguere fra le
leggi di uno Stato democratico come il nostro e quelle di regimi totalitari o
autoritari come l’Italia fascista, la Germania nazista, il Sudafrica
dell’apartheid e l’India colonia britannica. Ed evitare paragoni impropri
fra la capitana e i partigiani della Resistenza, Mandela e Gandhi. Il
governo italiano non è frutto di un golpe militare né di un’invasione: è
espresso dalla maggioranza del Parlamento regolarmente eletto un anno e mezzo
fa, appena plebiscitata da consensi persino superiori alle Europee
del mese scorso. Dunque le leggi italiane, giuste o sbagliate che siano, sono perfettamente
legittime e conformi alla Costituzione, a meno di non accusare di alto
tradimento i presidenti della Repubblica che le hanno promulgate (incluso Mattarella)
e di incostituzionalità la Corte costituzionale che, quando interpellata, le ha
validate. Oltretutto i reati contestati alla capitana (resistenza a nave da
guerra, tentato naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) non
li ha inventati questo governo, ma esistono nei codici dell’Italia e di tutti
gli Stati degni di questo nome da tempo immemorabile. Certo, per battersi
contro una legge c’è sempre la disobbedienza civile. Purché non venga spacciata
per la nuova Resistenza,
specie da chi, anziché salire sulle montagne, la combatte comodamente assiso
sul suo bel sofà.
Chi volesse ragionare vedrebbe che le due propagande,
opposte ma speculari, della Sea Watch e di Salvini hanno motivazioni diverse,
ma si alimentano a vicenda. La Sea Watch schiva i porti più vicini per puntare
sempre solo sull’Italia perché sa di trovarvi il nemico perfetto: Salvini. E
Salvini ha bisogno di una Sea Watch al giorno perché è il nemico perfetto per
dirottare l’attenzione generale dalle vere emergenze a quella fasulla,
ma elettoralmente più lucrosa: l’immigrazione che, purtroppo per lui,
ormai scarseggia. Altrimenti gli toccherebbe spiegare se vuole votare o no,
perché non espelle un solo clandestino, dove prende i soldi per la Flat Tax,
dove sono finiti i 49 milioni rubati dalla Lega, cosa deve ad Arata&Siri,
perché difende a spada tratta i Benetton, Arcelor Mittal
e gli affaristi delle grandi opere inutili. Cioè, quel che per lui è peggio,
gli toccherebbe governare.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2019)