giovedì 27 giugno 2024
Mogol & Battisti: "....... le distese azzurre e le verdi terre, le discese ardite e le risalite"
Ogni tanto trovo utile ricercare e perdersi nel banale, nel fare considerazioni sull’ovvio, nel trovare interesse e diletto impegnando del tempo per dedicarsi al “Cazzeggio”; quello leggero, innocuo, salubre, evasivo, creativo.
In un mondo attuale, dove prevale la comunicazione visiva, immediata e spesso oggettiva, rispetto alla proliferazione di autori impegnati a scrivere, si associa una penuria di gente che è disposta a leggere.
Forse ha ragione quell’amico che l’altro giorno mi faceva notare come i libri non si regalano, perché per ciascuno ogni scelta deve essere libera ed essere solo rivolta verso quello che più interessa e aggrada.
Di regola gli argomenti o formule lessicali sono gli elementi che inducono a preferire un autore rispetto ad altri.
Al di là dello studio o per rispondere necessità di approfondimenti specifici, però la lettura deve in qualche modo costituire anche un diletto; deve permettere di riuscire ad aprire ampie praterie in cui poter fluttuare, anche con l’aiuto della propria fantasia.
Nel leggere un testo, peraltro, ciascun lettore rivedrà personaggi e scenari che derivano dall’assemblaggio di conoscenze, esperienze e sensazioni proprie.
Traendo spunto dal testo che l’autore esplicita ciascun lettore elabora, infatti e personalizzandole, visioni strettamente intime che attingono nell’album dei ricordi.
In ogni caso, come ripetutamente detto, la scrittura per chi scrive è certamente una forma di sana terapia. Che costituisce una risposta all’esigenze di voler comunicare, non per convincere, ma per ricercare l'avvio di un dialogo che non frapponga ostacoli preventivi.
Chi scrive, lo fa sostanzialmente per rivelare sé stesso, magari elaborando un proprio punto di vista. Se attraverso un saggio, un racconto, una dissertazione o altro non ha alcuna importanza.
Sarà il talento, la scorrevolezza e la valenza dei contenuti a influire sulle possibilità di successo o insuccesso e, in ogni caso, per chi è portato a scrivere, entrambe le possibilità non potranno mai costituire, un vero problema; a patto che si riescano a vivere e accettare i risultati come delle realtà naturali e comunque indipendenti dalle nostre attese.
Lo stesso vale anche per qualsiasi altra forma d’arte e ancor di più nella fotografia.
Quante meduse si librano nei mari e quante se ne trovano spiaggiate ogni giorno.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
lunedì 24 giugno 2024
Arte moderna - “Senzapelle” all’ex Chimica Arenella
SENZAPELLE ( la discarica ) ti offre mentre ti sottrae, ma quello che ti offre è ciò di cui sei pieno. SENZAPELLE è senza difese, senza protezione: è pericoloso quando togli qualcosa, ma lo sarebbe comunque e proprio per questo è audace, impavido. Non è un collettivo, non è un'occupazione, bensì una disoccupazione da noi stessi: ognuno di noi agisce diversamente così come il luogo agisce diversamente su ognuno di noi. Vorresti vedere un corpo senza pelle che cammina? Resteresti turbato così come probabilmente non ti piacerà questo luogo...ma se ti piacesse... Questo luogo ( questa città ) vive ancora di forti contraddizioni: è la sua fortuna, il suo dialogo più vero, ma con troppa fretta va verso una inevitabile omologazione e allora questo "attrito" per chi ha occhi poco offuscati e orecchie attente, sparirà. (Sinossi dell'evento, scritta da Fabio Ventimiglia che, unitamente a Fulvio Governale, ne è stato anche l'ideatore)
Obiettivo degli organizzatori era quello di creare performance artistiche attraverso elementi utilizzabili allo scopo e dispersi nel sito abbandonato della ex Chimica Arenella di Palermo.
Oltre che inibito al pubblico il luogo annovera una serie di strutture industriali in totale abbandono, divenute fatiscenti, che erano state realizzate agli inizi del novecento per attività fiorenti. Ad esso si associa una vera a propria discarica a cielo aperto, ricettacolo continuo di manufatti domestici e industriali.
Più volte messo in sicurezza il sito continua ad essere un’attrazione per molti artisti avvezzi a denunciare attraverso un’arte non convenzionale; un ambito culturale che ricerca spunti per mettere in luce le contraddizioni che continuano ad interessare l'ordine sociale dell’essere umano.
L’idea di sviluppare idee attraverso l’utilizzo di elementi assunti dalla discarica - e da collocare all’interno dei capannoni scheletriti - assume anche un aspetto assai presuntuoso; quello di conferire/inserire in qualche modo delle anime nei vuoti rimasti abbandonati e che continuano ad accumularsi.
Gli stessi oggetti diventano quindi pretesti e ispirazioni essi stessi per argomentare delle tesi. La ricerca di un assemblaggio razionale costituisce pertanto la traccia materiale volta allo sviluppo di una narrazione (in precedenza parte degli stessi artisti avevano realizzato un’operazione similare intitolata “Filoconduttore”) che si manifesta attraverso una performance recitativa ovvero nella realizzazione d’installazioni volte a creare opere aperte, quindi liberamente interpretabili da ciascun osservatore.
L’esibizione di Zolletta rappresenta un processo di mutazione che nasce dal corpo di Florinda Cerrito (Palermo), che ospita la coabitazione delle due identità. L’uscita e i rientri di Zolla costituiscono esempio di una simbiosi gemellare in un unico soggetto bifronte.
Gli ideali, i sogni e l’esistenza ordinaria producono e generano continue metafore, satire e la maschera del Pierrot interpreta come un clown triste le ispirazioni evasive, le denunce, tutte quelle considerazioni personali che hanno necessità d’esprimersi.
Perseguendo il solco della recitazione creativa, Martina Ricciardi (Napoli), facendo anche ampio ricorso alla danza moderna, un’altra performance presentata nel contesto fatiscente traeva ispirazione dai resti di un gommone presente nel luogo; quasi a presagire l’avventura di una traversata, con le tante valige disseminate, raccattate nello spiazzo a simboleggiare i viaggianti. Uno scenario adatto a raccontare il travaglio e la trasformazione di una crisalide in farfalla, ovvero un processo di nascita o rinascita in un nuovo luogo.
“Fai bei sogni” era poi al centro di una intrigante installazione artistica che si prestava a differenti letture, anche contrapposte.
L’autrice (Sonia Priula, di Palermo, con l'installazione cuscino con poltrone rosse intorno in cerchio) voleva così far intendere a un “convitato di pietra” e, con uso figurativo, andava a predisporre e a materializzare la perenne presenza incombente all’apparenza invisibile, che muta, quindi inquietante e imprevedibile, che tutti conoscono ma che nessuno quasi mai nomina.
L’insieme intende alludere ai poteri occulti che sono il convitato di pietra della nostra democrazia. Presenze condizionanti che da sempre incidono nell’esistenza d’ogni essere.
Un cartello ritrovato il loco rivela un segreto inconfessabile che recita: "Il Colosso é cieco".
In una lettura dell’osservatore, con una chiave più positiva, ancorché realistica, l’installazione potrebbe pure rappresentare la sublimazione della morte.
L’evento conclusivo che riassume e riporta l’individuo al suo inizio, al suo stato primordiale. Mentre il suono ossessivo di un carillon, anche in costanza del fine vita, continua la sua nenia per sottolineare la drammaticità e il ciclico ripetersi di un rituale arcaico.
E se nell’intento dell’autore le poltrone numerate stabiliscono i ruoli e la disposizione non lascia scampo a un vivere condizionato, la merda consolidata stratificata sul velluto rosso brunito qualifica il giudizio sugli elementi appartenenti al ristretto cerchio magico.
Nello spazio aperto ricettario della discarica tecnologica, frigoriferi innalzati compongono a loro volta lo scenario di agglomerati urbani bombardati, svuotati, consunti, abbandonati come degli scheletri vuoti.
Violati dall’ego dei tanti che se ne sono serviti e vi si sono abbeverati, che svuotandoli li hanno pienamente vissuti.
Ovvero, se si vuole, anche frigoriferi come emblemi di ruderi, testimonianze di devastazioni causate dai tanti eventi bellici attuali che ci vedono impotenti e che inesorabilmente ci affliggono (Installazione "frigoriferi" di Fabio Ventimiglia).
In questo scenario desolato della ex Chimica Arenella appare d’un tratto la visione mistica di una croce, nascosta dietro un sudario celeste, che lascia intravedere la sagoma di una figura accennata e indefinita (Agustina Milone, argentina di Buenos Aires: installazione telo azzurro cianotipia).
In un altro ambiente isolato, non distante, adiacente e parallelo, si rappresenta un parziale d'universo che racchiude una serie di cerchi assemblati. Fatto di sistemi confinanti; adiacenti e posti in un equilibrio instabile che comunque risponde a leggi universali, relazionati fra loro (Gloria Agnello di Palermo: installazione cerchi).
Non poteva infine mancare la fotografia, proposta in chiave pittorica e allusiva da Giacono Barone (Palermo) attraverso un trittico che interagisce con oggetti materiali associati e che si allineano all’idea di fondo che orienta l’intera operazione artistica.
Come se le immagini volessero interagire, proponendo oggetti associati a foto che configurano concetti aperti, lasciati alla libera interpretazione di chi vede e si viene a porre come osservatore.
Un’installazione di neon costituisce lo spazio infernale; lasciando intravedere carcasse d’auto e tracce di detriti d’un ambiente umano arido, buio e definitivamente devastato che non da adito a speranze (Installazione luminosa di Fulvio Governale).
"Yo no tengo casa. El mundo es mi casa. Casa es mi cuerpo". Questo è quanto è riportato nel cartello della installazione realizzata da Claudia Cordaro (Palermo). Altre isolate installazioni posizionate anche sulla riva ( Martina Billeci di Palermo con performance sul mare) simboleggiavano evidenti derive e assurgono a monumenti kitsch di una civiltà confusa, proiettata e condannata a restare inesorabilmente …… definitivamente: "Senzapelle".
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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mercoledì 19 giugno 2024
Votare? Per chi votare?
To vote and who to vote for? This is the question ....... questi due quesiti si sarebbero potuti sottoporre anche all'Amleto di Shakespeare, se si fosse anche lui trovato coinvolto nelle ambasce di una scelta in campagna elettorale.
Il consociativismo partitico italiano ormai consolidato abbisogna sempre di personaggi spendibili, che cioè godano di assoluta credibilità, per continuare a sviluppare non tanto la politica (non sempre quella con la P maiuscola per la gestione della Res Pubblica), ma nell'impegno di poter continuare a mantenere il potere; manovrando le leve, ai fini di loro interessi e a quello di pochi eletti consociati.
Alle riconoscibili bandiere linde che si usano sventolare ad ogni tornata elettorale, per poter così ostentare candidati dotati d’etica, avvezzi a trasparenza e pulizia morale, si alternano ogni volta ricambi generazionali; con personaggi nuovi. Anch’essi spendibili, assai utili a far confluire consensi da altri filoni ancora inesplorati (magari attingendo a riserve o a intonsi bacini): i cosiddetti "procacciatori di consenso sani".
Ad ogni tornata, di qualsiasi votazione, viene quindi a rigenerarsi la solita confusione - che talvolta annebbia financo l'elettore ideologizzato - che coinvolge ancor piu' chi rimane partiticamente indipendente. Ovvero quei cittadini puri d’animo che, in quanto non coinvolti in alcun modo nelle ricorrenti spartizioni - dirette o indirette - della cosa pubblica, non risultano inquadrabili in schieramenti definiti.
Può, quindi, capitare e capita di frequente che candidati sicuramente apprezzabili, preparati e degni di rispetto, seppur da tempo impegnati in una politica pulita e trasparente, vengano prescelti nell’ennesima operazione volta alla raccolta di nuovi consensi. .
In questo si distinguono, specie in occasione di tornate di livello superiore, i soliti partiti .
Così facendo, si vengono a incrociare commistioni fra familiarismo e amministrazioni d’interessi pubblici, puntando sul fatto che amicizie segnino il nome nella fatidica scheda, a prescindere dal simbolo che si va a rappresentare.
Nulla di nuovo sotto il sole. Il rito del voto, ogni volta, inscena commedie e ripropone drammi. Ideologie e affetti spesso si contrappongono, con confronti che presentano logiche inconciliabili; che spesso ingenerano travagli e problematiche che necessitano un impegno per essere risolte.
Le cose si vengono a complicare ancor di più nelle tornate amministrative, specie quando si registrano candidature dai posizionamenti opposti anche fra stretti consanguinei.
Si corre il rischio d'indurre a costrizioni e a scelte improprie. Come quando si andava in giro a far sottoscrivere contratti porta a porta, per polizze assicurative o enciclopedie. Una pratica in molto in voga negli anni settanta, quando si ricorreva a tali espedienti da neo diplomati a spasso - e comunque senza reddito - e si andavano a costringere parenti, amici e conoscenti ..... per poter poi incassare delle piccole provvigioni, derivanti delle "sole” enciclopediche/assicurative" che si erano riusciti a piazzate.
Tornando alle elezioni, riunioni, incontri, inviti e convivi vari difficilmente producono soluzioni sagge.
La via di fuga talvolta adottata potrà essere il non voto, esercitabile come formula d'estrema razio ma per una volta, perché questa soluzione non potrà mai rappresentare una espressione di cultura politica e men che meno una scelta legata alla coscienza e all’etica sociale.
Quindi, una volta per tutte, anche se la convivenza umana obbliga a continui compromessi, per evitare il riproporsi d’inutili patemi, occorrerebbe andare dritto per quella che é la vera propria strada.
Assegnando preferenze a dei candidati compatibili con quelle che sono le proprie temporanee convinzioni, coerenti con le idee che connotano il nostro vero modo d’essere del momento.
Senza soccombere a debolezze dettate da condizionamenti amicali o affettivi, occorrerebbe semplicemente procedere decisi nell’esercizio consapevole del proprio voto, perseguendo il concetto significante e sottostante alla vera democrazia.
Mantenendo, quindi, distinte le differenze implicite e aggettivanti dei vari ruoli.
E allora, su votare? Per chi votare? Bastera' recarsi alle urne ed esprimersi secondo coscenza.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Il consociativismo partitico italiano ormai consolidato abbisogna sempre di personaggi spendibili, che cioè godano di assoluta credibilità, per continuare a sviluppare non tanto la politica (non sempre quella con la P maiuscola per la gestione della Res Pubblica), ma nell'impegno di poter continuare a mantenere il potere; manovrando le leve, ai fini di loro interessi e a quello di pochi eletti consociati.
Alle riconoscibili bandiere linde che si usano sventolare ad ogni tornata elettorale, per poter così ostentare candidati dotati d’etica, avvezzi a trasparenza e pulizia morale, si alternano ogni volta ricambi generazionali; con personaggi nuovi. Anch’essi spendibili, assai utili a far confluire consensi da altri filoni ancora inesplorati (magari attingendo a riserve o a intonsi bacini): i cosiddetti "procacciatori di consenso sani".
Ad ogni tornata, di qualsiasi votazione, viene quindi a rigenerarsi la solita confusione - che talvolta annebbia financo l'elettore ideologizzato - che coinvolge ancor piu' chi rimane partiticamente indipendente. Ovvero quei cittadini puri d’animo che, in quanto non coinvolti in alcun modo nelle ricorrenti spartizioni - dirette o indirette - della cosa pubblica, non risultano inquadrabili in schieramenti definiti.
Può, quindi, capitare e capita di frequente che candidati sicuramente apprezzabili, preparati e degni di rispetto, seppur da tempo impegnati in una politica pulita e trasparente, vengano prescelti nell’ennesima operazione volta alla raccolta di nuovi consensi. .
In questo si distinguono, specie in occasione di tornate di livello superiore, i soliti partiti .
Così facendo, si vengono a incrociare commistioni fra familiarismo e amministrazioni d’interessi pubblici, puntando sul fatto che amicizie segnino il nome nella fatidica scheda, a prescindere dal simbolo che si va a rappresentare.
Nulla di nuovo sotto il sole. Il rito del voto, ogni volta, inscena commedie e ripropone drammi. Ideologie e affetti spesso si contrappongono, con confronti che presentano logiche inconciliabili; che spesso ingenerano travagli e problematiche che necessitano un impegno per essere risolte.
Le cose si vengono a complicare ancor di più nelle tornate amministrative, specie quando si registrano candidature dai posizionamenti opposti anche fra stretti consanguinei.
Si corre il rischio d'indurre a costrizioni e a scelte improprie. Come quando si andava in giro a far sottoscrivere contratti porta a porta, per polizze assicurative o enciclopedie. Una pratica in molto in voga negli anni settanta, quando si ricorreva a tali espedienti da neo diplomati a spasso - e comunque senza reddito - e si andavano a costringere parenti, amici e conoscenti ..... per poter poi incassare delle piccole provvigioni, derivanti delle "sole” enciclopediche/assicurative" che si erano riusciti a piazzate.
Tornando alle elezioni, riunioni, incontri, inviti e convivi vari difficilmente producono soluzioni sagge.
La via di fuga talvolta adottata potrà essere il non voto, esercitabile come formula d'estrema razio ma per una volta, perché questa soluzione non potrà mai rappresentare una espressione di cultura politica e men che meno una scelta legata alla coscienza e all’etica sociale.
Quindi, una volta per tutte, anche se la convivenza umana obbliga a continui compromessi, per evitare il riproporsi d’inutili patemi, occorrerebbe andare dritto per quella che é la vera propria strada.
Assegnando preferenze a dei candidati compatibili con quelle che sono le proprie temporanee convinzioni, coerenti con le idee che connotano il nostro vero modo d’essere del momento.
Senza soccombere a debolezze dettate da condizionamenti amicali o affettivi, occorrerebbe semplicemente procedere decisi nell’esercizio consapevole del proprio voto, perseguendo il concetto significante e sottostante alla vera democrazia.
Mantenendo, quindi, distinte le differenze implicite e aggettivanti dei vari ruoli.
E allora, su votare? Per chi votare? Bastera' recarsi alle urne ed esprimersi secondo coscenza.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
lunedì 17 giugno 2024
“Talè cu c’è!”
Vi assicuro che quando si è avanti negli anni può generare anche un certo panico.
Ero sicuro di avere scritto un pezzo, anzi di averlo per di più anche pubblicato e il non essere in grado di rintracciarlo crea la paura del rincoglionimento veloce.
Chi ha la mia stessa età può di certo meglio capire.
Alla fine ho risolto con l’IA di primo livello, ovvero inserendo nel motore di ricerca Google quegli elementi essenziali utili a trovarne traccia.
Bando alle ciance, checché si continui a dire sulle paure e la pericolosità dell’intelligenza artificiale, è assodato che gli algoritmi sono ormai diventati fondamentali nel sociale e in ogni aspetto del modello occidentale in cui siamo immersi.
Sono pure convinto che, con la velocità della ricerca scientifica, si potrà trovare presto un modo, per collocare nel cervello di ognuno un qualche marchingegno sofisticato; in grado non solo di registrare - come duplicatore di memoria e anche a distanza - ma di agevolare ogni possibile ricerca dati, allocati in qualunque spazio fisico/chimico del cervello. Con tutto quello che ne potrà conseguire. Orwell dixit!
Recuperato il testo, lo ripropongo di seguito nel mio blog abituale, anche per renderne completo il contenuto.
Per la cronaca, il pezzo l’avevo intitolato “Talè cu c’è!” ed è tuttora consultabile, corredato da tante fotografie scattate quel giorno, sul periodico web Dialoghi Mediterranei.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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“Talè cu c’è!” È l’esclamazione che ogni tanto rimbomba per le vie di Palermo quando, senza averlo in alcun modo previsto, ci si incontra inaspettatamente fra amici.
Questa volta è stato Pino che, bighellonando per le stradine del Quartiere Capo, lancia un’occhiata al salone del barbiere e scopre all’interno tre suoi amici che non vedeva da tempo.
Causa Covid 19 e tanti altri impedimenti, era da molto che non si incontravano in presenza. Qualche collegamento streaming e delle sporadiche email erano stati gli unici contatti con alcuni di loro. La passione per la fotografia è anche il comun denominatore che li unisce e la leggerezza nei rapporti costituisce un altrettanto importante collante.
Ma che ci fate qui? Chi l’avrebbe mai detto? Ci siamo riproposti tante volte d’incontrarci e, senza farlo apposta, ci ritroviamo tutti insieme dal signor Luciano. Il salone da barba, del quale io e Salvo siamo ormai clienti, è uno di quei locali di una volta che fa ancora respirare quell’aria antica. La sua frequentazione è un caldo ritrovo, prescinde infatti dalla prestazione professionale, rappresenta un salotto popolare nel quale ci si incontra fra amici per discutere del più e del meno e, vista l’età media dei frequentatori, anche per farsi reciproca compagnia.
Il quartiere Capo è una miniera di colori, di sguardi, di circostanze che offrono spunti per fare fotografia. I risultati non hanno molta importanza ma il divertimento nel cercare angoli, luci, scorci, dettagli è motivo sufficiente per divertirsi. Nell’incontro casuale il solo Pino circolava disarmato. Noi che avevamo programmato il taglio di capelli da qualche tempo eravamo infatti tutti con la macchina fotografica pronta allo scatto.
Come sanno bene tutti i fotoamatori, ogni pretesto è utile per divertirsi a fare dei click. Quindi, anche il rituale taglio offre l’occasione e pone il soggetto a modello a beneficio degli altri, per sfogare liberamente l’infantile goliardia. In questi casi l’età non conta, o forse sì perché l’anzianità induce a vedere il mondo in maniera disincantata, appare naturale divertirsi con poco e giocare felicemente con la tua macchinetta. Da questi incontri nascono fotografie di un album che documentano momenti di vita, senza pretese o manie di protagonismo, con l’intento di avere immagini utili solo a ricordare.
L’arredamento del salone di Luciano è abbastanza sobrio e non ha un vero stile, è un ambiente semplice che fa anche da punto di riferimento per gli ambulanti locali anche per necessità impellenti. L’aria che qui si respira è la stessa di quegli anni settanta, di quando eravamo giovani e il barbiere era anche opportunità per incontri generazionali. “A cu appartieni?” Ci chiedevano gli anziani per cercare di capire le discendenze o, più semplicemente, come curiosità anche per legare i discorsi che ascoltavano al ceto sociale di appartenenza.
L’arrivo casuale di Pino è stato anche l’occasione per rivelare l’identità di un frequentatore costante del salone. Ad un certo punto Pino, rivolgendosi al soggetto ebbe a dire un’altra fatidica frase: «A me pare di conoscerla, ma non saprei dire né come e né perché».
«Forse in un campo di calcio o come spettatore» venne a rispondere prontamente l’interloquito. Proseguì dicendo “Io sono Schiavo, Giuseppe Schiavo, il centromediano del Palermo calcio negli anni sessanta.” La Carrà avrebbe detto: “Caramba che sorpresa!”
Il nostro Pino era un incallito appassionato di calcio, che ha praticato nel tempo anche a buoni livelli. Accadde dunque come un’illuminazione che lo investì di ricordi. Il riconoscimento reciproco fu per Schiavo anche la rimozione di un tappo. Tante considerazioni del tempo e aneddoti vari cominciarono a fluire, in una narrazione che anche a noi vecchi appariva riferirsi ad un tempo recente, appena trascorso.
Io riuscivo persino a rivedere il mezzo busto di tante figurine della Panini che, da giovani, eravamo tutti impegnati a raccogliere nel classico album. Con acquisto di bustine, il mercato degli scambi dei reciproci doppioni e la ricerca delle rarità. Dieci Sandro Bolchi valevano un Gianni Rivera. E poi Sarti, Burgnich, Facchetti, Altafini, Maldini Senior, Trapattoni, Sivori, Bercellino primo e secondo (quest’ultimo, quando giocava nel Palermo, nelle giornate assolate, amava stazionare sempre nelle zone di campo dove c’era ombra), Guarneri, Sandrino Mazzola, Pizzaballa, Vavassori e via dicendo. Quanti nomi!
La discussione fra i due ex calciatori inesorabilmente portava a dire: «quello sì che era calcio vero, no quello di adesso che, con ossessionanti tatticismi e schemi elaborati, rendono difficile cogliere le differenze fra una partita vista dal vivo e una simulata in play station».
Il classico ritornello nostalgico in uso negli anziani che ricordando solo aspetti positivi di quei tempi tendono sempre a trasfigurare tutto quanto appartiene al loro tempo passato che coincide con la loro giovinezza.
Per tornare alla sacralità degli ormai rari saloni da barba vintage, centrale rimane l’opportunità d’incontro che offre a una classe di età sempre più emarginata, in un mondo che va troppo veloce, che corre e non trova mai tempo per capire e riflettere sul tempo che trascorre.
Se vi capita di incontrare accrocchi di anziani intenti a discutere e riuscite a guardarli, negli occhi di chi racconta vedrete riaccendersi una luce, quella dei ricordi. Mentre negli altri che ascoltano e partecipano, come svegliandosi da un incantesimo, riemergono tanti avvenimenti, personaggi, usi e costumi di una loro vita che, come fece osservare un’amica a Pippo, saprà pure di naftalina, ma che assai bene ancora si conserva.
Una volta la storia tramandata, i racconti dei vecchi, le loro parole erano vissuti come fonti d’insegnamento, saggezze di esperienze. Ora riescono a sopravvivere in riserve indiane, come i negozi di barbieri anziani, o più di frequente nelle case di riposo che in gergo moderno sono denominate RSA.
mercoledì 5 giugno 2024
Dei furbi e dei fessi - Ovvero delle simbiosi biologiche
Dal “Codice della vita italiana” di Giuseppe Prezzolini.
1) I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.
2) Non c’è una definizione di fesso. Però, se uno paga il biglietto intero in ferrovia; non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella pubblica istruzione, ecc..; non è massone o gesuita; dichiara all’egente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc..; questi è fesso.
3) I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.
4) Non bisogna confondere il furbo con l’intelligente. L’intelligente è spesso un fesso anche lui.
5) Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.
6) Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.
7) Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.
8) I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.
9) Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro. 10) L’Italia va avanti perchè ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.
11) Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.
12) Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.
13) Ci sono fessi intelligenti e colti che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: uno perchè sono fessi; due perchè gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.
14) Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l’altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: primo, perchè non c’è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; secondo, perchè non c’è furbo che preferisca il quieto vivere alla lotta e l’associazione con altri briganti alla guerra contro questi.
15) Il fesso s’interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione.
16) L’italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva perfino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l’italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l’esempio e la dottrina corrente – che non si trova nei libri – insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l’ha colpita, ma in cuor suo si ripromette d’imparare la lezione per un’altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l’Italia è appunto l’effetto del secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.
L'elenco ricorda un po’ la distinzione fra metinculi e pianculi ...... su cui ci si è già da tempo dilungati.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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lunedì 3 giugno 2024
Francesca Barra: "Il quarto comandamento. La vera storia di Mario Francese che sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese giustizia"
Come sovente accade per le notizie di cronaca, queste si succedono e poi velocemente si dimenticano senza lasciare traccia.
Personalmente ho avuto modo di tornare sull’argomento per una serie di combinazioni e incontri.
La passione per la fotografia e la ricerca di pretesti per documentare eventi è stata la prima delle casualità che mi hanno coinvolto, facendomi conoscere i fratelli Francese. In vero anche la seconda è pur essa collegata alla fotografia, per una mostra organizzata all’Arvis di Palermo, dove venivano esposti - con una trovata originale - una serie di scatti fotografici nel realizzati da Massimo Francese.
Il Prof. e amico Nino Pillitteri che, oltre a “Webzoom” amministra anche il sito web https://www.marioegiuseppefrancese.it/, ebbe a curare quell’evento all’ARVIS.
Lo stesso Pillitteri ogni anno, si adopera per assicurare il reportage fotografico all’ambito premio che, con il coinvolgimento dell’Ordine dei Giornalisti, viene assegnano ai professionisti che si sono particolarmente distinti nel settore.
Per la cronaca, nella XXV edizione Il Premio Mario Francese è stato conferito a Lara Sirignano, cronista dell'Ansa. A Domenico Iannacone è andato il Premio Giuseppe Francese, mentre il Liceo Sciascia-Fermi di Sant’Agata di Militello ha vinto il premio Mario e Giuseppe Francese riservato alle scuole, per il cortometraggio “La voce del futuro”.
Oltre alle notizie apprese nel giorno dell’omicidio di Mario Francese, non conoscevo tanto altro. L’opportunità di essere stato coinvolto fotograficamente alle ultime edizioni del premio mi hanno fatto acquistare un libro oggi outlet, edito da Rizzoli nel 2011 e scritto da Francesca Barra, intitolato “Il quarto comandamento – La vera storia di Mario Francese che sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese Giustizia.
Un libro che per un meridionale non può non essere coinvolgente, di buona fattura e che ho letto con una voracità inusuale.
Nella quarta di copertina è riportato una considerazione di Carlo Lucarelli che recita: “quando si uccide un giornalista è per ridurlo al silenzio. Ma se lo ricordiamo e ne leggiamo gli scritti, allora ci parla ancora. Se continuiamo a raccontarlo, Mario Francese ha vinto e loro hanno perso.” In copertina c’è l’efficace sintesi espressa sul libro da Roberto Saviano: “un libro che lacera le coscienze”.
Il libro, che si articola su due parti, focalizzando tempi, luoghi e considerazioni differenziati per l’epoca del padre e rispetto a quelli del riscatto operato dal figlio. Di quest’ultimo vengono pure riportate annotazioni del suo diario che consentono di entrare molto addentro ai molteplici aspetti intimi e problematici che caratterizzano il personaggio. Aspetti che legano le storie di vittime e sopravvissuti.
Dilungarsi in dettagli o citazioni appare superfluo, per il semplice fatto che ogni parte del volume scritto da Francesca Barra - che ha saputo assemblare le tante informazioni avute da familiari e amici dei Francese - fornisce elementi fondamentali per cercare di comprendere. Non ultima le difficoltà professionali e lavorative che spesso accompagnano chi rimane isolato perché opportunamente lasciato solo.
Le questioni storicamente accertate che hanno indotto la mafia all’omicidio Francese si ricollegano ai traffici politico malavitosi che hanno caratterizzato la realizzazione nel territorio di Roccamena della diga di Garcia. A tal riguardo riporto quanto ebbe a scrivere nel giugno 2023 il figlio anch’esso giornalista di Mario Francese: “La diga di Garcia è stata una grande speranza ma anche un bagno di sangue: in questa grande incompiuta che finalmente sarà sbloccata, si è abbeverata la mafia corleonese, la stessa mafia che nel 1979, anno della morte di mio padre, prende il sopravvento e inaugura la stagione degli omicidi eccellenti". L'articolo continua: "Così il giornalista Giulio Francese ha ricordato il sacrificio del padre, il cronista Mario Francese, ucciso da cosa nostra nel 1979 e al quale da oggi è stata intitolata la diga Garcia." (fonte Giornale di Sicilia – Palermo, 22 giugno 2023).
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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domenica 2 giugno 2024
"Bambini di Sicilia" - Fotografie di Enzo Sellerio al Loggiato di San Bartolomeo
Prima di procedere per questo scritto, io stesso ho sentito la necessità di andare a rivedere uno streaming che in tempo di Covid l’amico Arturo Safina aveva organizzato per parlare di Enzo Sellerio e della sua fotografia.
Nel caso specifico, non si trattava di un semplice ripasso ma il bisogno di andare a rileggere l’autore, per capire meglio e prima di formulare delle considerazioni sulla mostra che avevo appena visitato al Loggiato San Bartolomeo di Palermo, gestito dalla Fondazione Sant’Elia, dal titolo “Bambini di Sicilia”.
Il magistrale racconto che nello streaming del 2021 fa di Enzo Sellerio l’amico Pippo Pappalardo consente di avere un quadro completo del personaggio, che felicemente rapporta al suo tempo e raccorda con personaggi e avvenimenti culturali nazionali e internazionali temporalmente coevi, paralleli al suo percorso artistico.
Pappalardo riesce a focalizzare efficacemente anche le peculiarità intellettuali e il messaggio culturale di Sellerio, ponendo l’accento su come il suo approccio costituisce, senza ombra di dubbio, la creazione di nuove tracce, talvolta originalissime, che poi altri seguiranno.
Evidenzia altresì i collegamenti con il mondo visivo che lo hanno ispirato e che nel tempo ha somatizzato. Spunti, idee e quant’altro che, associati al suo indiscutibile talento, gli hanno poi consentito di replicare, personalizzandoli, anche particolari modelli pittorici d’autori famosi.
In questa ottica viene anche messa in risalto anche l’importanza, nella sua crescita stilistica e compositiva in genere del pittore Bruno Caruso, oltre che l’attenzione rivolta dal Sellerio fotografo a tanti altri analoghi autori del novecento.
Poiché ogni altra considerazione rischierebbe qui di risultare parziale e incompleta, anche per la ricchezza e la valenza del filmato postato su You Tube, si rimanda, chi fosse interessato a conoscere meglio Sellerio come personaggio e un po’ come uomo, alla visione dell’eccellente esposizione che ne ha fatto il critico Pippo Pappalardo, che lo ha pure personalmente conosciuto.
Venendo alla mostra, vedere le immagini esposte oggi al Loggiato e alla mia età è stato come un precipitare con un vortice nel passato, come fossi andato indietro di sessant’anni con l’ausilio della fantomatica macchina del tempo. Molte scene simili, nascoste nell’inconscio, le avevo infatti viste coi miei occhi.
A quei tempi non era ancora arrivato il boom economico e, specie nel Sud Italia, la miseria toccava tantissime famiglie e molte di quelle scene le ricordo bene.
Le fotografie di Enzo Sellerio sono dei flash che documentano un neorealismo siciliano senza fronzoli.
Rubano, senza malizia, momenti di spontaneità del quotidiano di giovanetti che si affacciano alla vita, che si divertono con poco, che indossano spesso degli stracci ma che si manifestano umili, magari sudici, ma a loro modo dignitosi.
Le fotografie selezionate e proposte al pubblico nella esposizione palermitana presentano scene e situazioni popolane, così come erano e apparivano al fotografo, interessato a rappresentare solo la realtà; per narrare uno spaccato proletario della Sicilia.
Nelle novanta immagini esposte, per la metà inedite, “ci sono gli occhi dei bambini che raccontano”, filtrati dallo sguardo attento del fotografo intento a cogliere e documentare nel profondo ciò che la sua sensibilità riesce a vedere.
L’esposizione allestita colleziona e mette in sequenza scene di strada, intimità, feste religiose, giochi innocenti, con una sagacia che abbina estetica e composizione per confezionare racconti condensati in un solo fotogramma.
Come raramente accade nell’andare a visionare una mostra, in questo caso il visitatore è quasi inconsciamente indotto ad un loop visivo continuo. Per scoprire ogni volta dettagli e immaginare altro, nel rivedere e soffermarsi più volte davanti a una stessa foto.
Tranne piccole eccezioni, dal mondo dei bambini raffigurato in mostra rimangono escluse foto che riguardano bimbi della borghesia e delle classi sociali più agiate in genere. Ne deriva, come è comprovata dalla restante ricca produzione fotografica - non idoneamente fatta conoscere dai familiari che ne custodiscono l’archivio - che molte fotografie “selleriane” sostanzialmente anticipano quella che è nota come streetphotography (di certo in Italia).
Inoltre emerge un’altra questione sottostante assai evidente, ovvero che con la sua fotografia Enzo Sellerio tende a denunciare e a far conoscere tematiche sociali e politiche trascurate e meritevoli d’attenzione.
Tornando alle foto in mostra a Palermo e in esposizione per tutto il mese di giugno, si può concludere che l’operazione è certamente riuscita, anche per la tematica specifica che affronta e che in qualche modo è resa attuale dalle tragedie che continuano a imperversare nel mondo.
La drammaturgia rappresentata dalle fotografie esposte, ancorché riferita ai bambini siciliani di fine novecento, richiama e si associa inevitabilmente alle tragedie ucraine, palestinesi e d’altri luoghi meno noti che interessano e travolgono soprattutto i bambini e di cui la stampa occidentale non parla perché più interessata a speculare sulle miserie umane.
Di certo Enzo Sellerio è stato un precursore nello scenario fotografico italiano, culturalmente proiettato in avanti rispetto al provincialismo e al dogmatismo artistico dominante nel suo tempo.
Buona luce a tutti!
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