giovedì 31 dicembre 2020

Almanacchi, almanacchi nuovi, lunari nuovi. Bisognano almanacchi?


Dal nostro caro amico Pippo Pappalardo:

 

Dialogo tra un venditore di almanacchi ed un cuore…… rabberciato.

- Almanacchi, almanacchi nuovi, lunari nuovi. Bisognano almanacchi?

- Amico, datemi un almanacco nuovo, ma che sia diverso, e che mi annunci un anno buono.

- Quello vecchio vi è, forse, dispiaciuto?

- Se devo essere sincero, si, mi è dispiaciuto, e non poco.

- E come vorreste quello nuovo?

- Vorrei non saperlo, ma vorrei che, almeno, fosse capace di restituirmi il tempo perduto.

- Quale tempo avete perduto, messere?

- Quello necessario per capire, ad esempio, le nuove immagini dei nostri corsisti, quello che ho smarrito per non aver vissuto l’otto marzo, quello che ho commentato per la ricorrenza delle dichiarazioni dei diritti umani ma non ho attraversato con i miei compagni di avventura; e poi, quello dei martedì mancati, delle birre non condivise, delle canzoni solo accennate, e, ancora, dei libri e dei sorrisi immaginati e scambiati solo a distanza, a troppa distanza.

- Beh, un lunario così affollato non saprei darvelo, né immaginarlo. Non potreste scriverlo da voi come se fosse un’agenda dei buoni propositi?

- E cosa dovrei appuntarvi? Di quella volta che ho avvertito come una meditazione nel “profilo di un’onda” che separava la terra dal mare, e vorrei parlarne ancora con chi, quell’onda, ha ascoltato? Oppure di una fotografia che ha “combattuto con un quadro” e, ancora, combatte? Oppure della “sagoma musicale di un pescatore” che mi ha raggiunto dal lontano Oriente? O, ancora, di un “girotondo d’anime” che mi ha invitato ad essere un anello di un infinito cerchio magico? Ogni giorno del nuovo lunario avrebbe avuto, invero, un volto, un nome, uno sguardo: adesso i giorni del vecchio almanacco sono finiti ed io non ho fatto in tempo a prendere qualche appunto.

- Messere mio, un lunario così come lo vuole lei lo si può solo sognare.

- No, assolutamente no. Deve esistere! Deve sapere che io l’ho guardato, fino ad oggi. Era nei volti dei miei amici, nei lunari da loro medesimi realizzati e i loro volti, erano cordiali, benevolenti, leggeri; ed io ho vissuto il loro tempo e loro il mio. Ed è stato bello. Te lo giuro! Ma qualcuno, qualcosa, quest’anno me l’ha rubato; ed ora vorrei che il tuo nuovo lunario mi garantisse che di quella perdita mi restasse almeno il ricordo.

- Non la seguo più messere. Io le posso augurare solo che i suoi desideri si avverino. Di più non posso. Ma che possa restituirle i ricordi, beh, mi sembra difficile.

- Se l’immagine si farà ricordo, quell’immagine diventerà memoria. Non avrebbe un almanacco, un lunario con le immagini dei miei amici, quelli che mi prendono in giro per le “pappalardate”, per le mie debolezze, per le mie infatuazioni fotografiche? Un lunario con i loro sorrisi intrisi di “rame di Napoli”, di “Fiasconaro”, di biscotti, ma anche di rime, canzoni, sogni, immagini, ninne nanne?

- In verità, messere, non ho mai visto un almanacco così formulato.

- Perché tu non sai che la Fata Turchina esiste veramente e cura il tuo cuore, prima e dopo i suoi incantamenti; perché tu non sai che gli amici ti soccorrono quando hai bisogno di allontanare i pensieri tristi e ti stimolano a riprendere i tuoi vecchi sentieri e, insieme, ritornano a camminarti accanto; talvolta, ancor quando hai viaggiato solo sulle carte geografiche, gli amici ti portano con loro e ti fanno uscire anche da un’anestesia che ti ha stregato con una affabulazione degna di Sherazade. Tutto questo, mi è stato rubato.

- Ma potrà riprenderselo!

- Si, ma quando questo avverrà sarò più vecchio e, magari, nel bosco delle mie immagini, qualche presenza non ci sarà più – o, peggio, non la riconoscerò! -.

- Strana cosa è il tempo. E pensare che ho avuto la presunzione di venderne qualche istante!

- Il tempo siamo noi, caro il mio venditore, e pertanto, ancorché mi dispiaccia, non comprerò il tuo calendario, ma cercherò nella memoria i volti dei miei compagni di avventura e di poesia, per ritrovare quel tempo che sto cercando e se ci sarà qualche assenza, qualche cicatrice, qualche lacrima, me ne farò una ragione, o meglio ne cercherò, pensa un po’ tu, la comune, condivisa speranza. Buon anno a te.

- Buon anno a Vostra Signoria e grazie della confidenza. Almanacchi, lunari, almanacchi nuovi.

 

Pubblicato sulla pagina ACAF di Facebook

 

P.S. - Racconto ispirato ad un bellissimo corto realizzato da Ermanno Olmi del 1954. Per confermare come spesso tutte le cose si ricollegano, Pippo mi ha raccontato che durante un suo incontro avuto con Olmi, parlando di questo filmato, il regista ebbe a dire che il tutto aveva avuto origine da una richiesta della Rai di andare a realizzare qualcosa che fosse collegata alla letteratura italiana. Nel caso, nella scelta, lui optò per Giacomo Leopardi che nel 1832 aveva pubblicato un breve dialogo appartenente alle “Operette morali”, dal sapore malinconico e inquieto, noto come “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere. Anche questa precisazione di Pippo è una ennesima sua chicca regalata e che arricchisce il contenuto del suo scritto.



 

lunedì 28 dicembre 2020

Don Raffae'


Dalla rassegna stampa di oggi in un articolo di un noto quotidiano è scritto che ........ tra il 23 e il 24 le visite dell'ex premier e del leader della L. e poi il deputato del Pd L., l'imprenditore A. e ancora F., S., L., LR. E' lunga la lista dei politici che da settimane stanno incontrando l'ex braccio destro di B. a Rebibbia perché condannato a 6 anni e mezzo per bancarotta. Solidarietà o scambi di suggerimenti? Nel dubbio l'ex senatore si è fatto crescere una barba da saggio consigliere. 

Nulla di nuovo, cose risapute. Ci vuol poco e il pensiero va al compianto e geniale Fabrizio De Andrè e al suo:

Io mi chiamo Pasquale Cafiero
E son brigadiero del carcere, oiné
Io mi chiamo Cafiero Pasquale
E sto a Poggio Reale dal '53
E al centesimo catenaccio
Alla sera mi sento uno straccio
Per fortuna che al braccio speciale
C'è un uomo geniale che parla co' me
Tutto il giorno con quattro infamoni
Briganti, papponi, cornuti e lacchè
Tutte l'ore co' 'sta fetenzia
Che sputa minaccia e s'a piglia co' me
Ma alla fine m'assetto papale
Mi sbottono e mi leggo 'o giornale
Mi consiglio con don Raffae'
Mi spiega che penso e bevimm' 'o café
Ah, che bell' 'o cafè
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta ch'a Ciccirinella
Compagno di cella, c'ha dato mammà
Prima pagina, venti notizie
Ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
Si costerna, s'indigna, s'impegna
Poi getta la spugna con gran dignità
Mi scervello e m'asciugo la fronte
Per fortuna c'è chi mi risponde
A quell'uomo sceltissimo immenso
Io chiedo consenso a don Raffae'
Un galantuomo che tiene sei figli
Ha chiesto una casa e ci danno consigli
Mentre 'o assessore, che Dio lo perdoni
'Ndrento a 'e roulotte ci alleva i visoni
Voi vi basta una mossa, una voce
C'ha 'sto Cristo ci levano 'a croce
Con rispetto, s'è fatto le tre
Volite 'a spremuta o volite 'o cafè?
Ah, che bell' 'o cafè
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta ch'a Ciccirinella
Compagno di cella, c'ha dato mammà
Ah, che bell' 'o café
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta di Ciccirinella
Compagno di cella, preciso a mammà
Ca' ci sta l'inflazione, la svalutazione
E la borsa ce l'ha chi ce l'ha
Io non tengo compendio che chillo stipendio
E un ambo se sogno 'a papà
Aggiungete mia figlia Innocenza
Vuo' 'o marito, non tiene pazienza
Non vi chiedo la grazia pe' me
Vi faccio la barba o la fate da sé?
Voi tenete un cappotto cammello
Che al maxi-processo eravate 'o cchiù bello
Un vestito gessato marrone
Così ci è sembrato alla televisione
Pe' 'ste nozze vi prego, Eccellenza
Mi prestasse pe' fare presenza
Io già tengo le scarpe e 'o gilley
Gradite 'o Campari o volite o cafè?
Ah, che bell' 'o café
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta ch'a Ciccirinella
Compagno di cella, cc'ha dato mammà
Ah, che bell' 'o café
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta di Ciccirinella
Compagno di cella, preciso a mammà
Qui non c'è più decoro, le carceri d'oro
Ma chi l'ha mai viste chissà
Chiste so' fatiscienti, pe' chisto i fetienti
Si tengono l'immunità
Don Raffae' voi politicamente
Io ve lo giuro, sarebbe 'nu santo
Ma 'ca dinto voi state a pagà
E fora chist'ati se stanno a spassa'
A proposito tengo 'nu frate
Che da quindici anni sta disoccupato
Che s'ha fatto cinquanta concorsi
Novanta domande e duecento ricorsi
Voi che date conforto e lavoro
Eminenza, vi bacio, v'imploro
Chillo duorme co' mamma e con me
Che crema d'Arabia ch'è chisto cafè
 
Buona luce a tutti!
 
  © Essec

C’era una volta la Lira italiana

La Lira italiana è stata sostituita con l'Euro (EUR) il 1 gennaio 1999. Il cambio fissato a quel tempo faceva sì che un Euro equivaleva a 1936.27 ITL. La tabella che segue fornisce un quadro chiaro di una scala di valori a confronto.  

 

Questa schematizzazione, che appare quasi un reperto storico di una realtà monetaria ormai in disuso, in verità risulta ancora molto utile per dare un senso realistico alle cose e alla politica economica che ci riguarda sempre da vicino.

In questi giorni si sente spesso parlare di Recovery Fund; ma che cosa significa questo termine e soprattutto cosa indica?

Per la cronaca, si tratta di un fondo, in origine auspicato dagli italiani e oggi ideato dai francesi, che permette di emettere i cosiddetti “recovery bond” che hanno come garanzia il bilancio dell’Unione Europea.

Nello specifico, si tratta d’indebitamenti della comunità europea volti a ottenere dal mercato denaro liquido per finanziare i paesi che stanno maggiormente risentendo dell’impatto negativo del Covid 19 sull’economia.

La pandemia che si stenta a contenere, ha infatti messo a nudo carenze strutturali e aggravato difficoltà di ripresa economica in molti paesi. La stretta interconnessione delle realtà produttive all’interno della Comunità, maturata la pessima esperienza scaturita dalla crisi Greca, ha convinto tutti i paesi della necessità di mettere a punto un piano straordinario finalizzato ad aiutare le economie nazionali più deboli, al fine di prevenire e scongiurare possibili effetti domino che potrebbero sicuramente scatenarsi negli altri paesi dell’unione; Germania in primis. Del resto il capitalismo intelligente prevede che quelli che in molti chiamano aiuti in verità spesso costituiscono forme di finanziamento e di sostegno per le economia nazionali, penamente intese come “nazionalismo e interesse di parte”.

L’accordo finale raggiunto e necessario per procedere all'erogazione di liquidità ha visto fissare in circa 750 miliardi di euro l’ammontare complessivo della specifica operazione (recovery fund). Di questi sono circa 209 mld quelli assegnati all’Italia (fra finanziamenti a fondo perduto e prestiti da rimborsare a medio termine), individuata come la principale nazione che necessita di tempestivi e maggiori fondi di supporto per fronteggiare anche la ripresa.

Per rendere forse meglio l’idea a quelli che, se hanno ancora i capelli, li hanno certamente brizolati o bianchi, i 209 mld di euro corrisponderebbero a ben 404.680.430.000.000 (ovvero 404.680,43 mld) delle vecchie lire italiane.

Riportare i valori alla vecchia lira, facilita a comprendere lo sconquasso che tutti i “gatti” e le “volpi” adiacenti al campo dei miracoli della penisola “collodiana” stanno mettendo in atto. Il subbuglio politico che si sta scatenando ne è la logica ed elementare conseguenza.

A proposito, per avere coscienza della svalutazione intervenuta nel nostro paese con l’avvento della nuova moneta, oggi un panino al panificio costa mediamente 0,50 centesimi di euro che corrispondono a quasi alle mille lire del 1998. Tutto è andato in modo indolore, senza che ce ne accorgessimo.

Attraverso la tabella riesumata ciascuno può facilmente farsi una propria idea sugli equilibri e sui valori nuovi che abbiamo adottato, forse senza averli interiorizzati e digeriti completamente.

In tutto questo è utile anche ricordare che l'ammontare del debito pubblico italiano al 16 ottobre 2020 equivale a 2.578,9 mld di euro (MES e Recovery fund esclusi) che, in lire italiane al 1998, corrisponderebbero a 4.993.446,70 mld (ovvero a 4.993.446.703.000.000) di lire. Cifre a tanti zeri che ricordano molto la Repubblica di Weimar

Un’ultima cosa che si  dimenticava di dire è che il piano straordinario degli interventi finanziari in verità si chiama “Next Generation Eu” e non “Recovery Fund”. E, anche se con somme da spendere nel presente, servirebbero a investire sul futuro.

 

Buona luce a tutti!

 

 

  © Essec

 


venerdì 25 dicembre 2020

“Un giorno normale, un giorno speciale” di Antonio Lorenzini


Quaranta anni fa la Legge Basaglia ha determinato la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici in Italia, ma con ciò non è che sono come d'incanto scomparsi gli affetti di malattie mentali.

Di certo le condizioni precedenti di quei poco fortunati in moltissimi casi, senza esagerazione, erano prossime allo stato carcerario e le produzioni di vari fotografi hanno spesso documentato anche la scarsa salubrità delle strutture e lo stato igienico di molti dei manicomi italiani.

In occasione del quarantennale dall’introduzione della Legge Basaglia in Italia sono state diverse le mostre celebrative realizzate. Fra queste, di quella allestita a Palermo, curata da Helga Marsala, si è raccontato nell’articolo intitolato "Anche a Palermo si celebra Franco Basaglia".

Nei giorni scorsi Antonio Lorenzini, appassionato fotoamatore e da tempo impegnato nel sociale, mi ha trasmesso un suo ennesimo portfolio, anche questa volta complesso, che affronta un aspetto specifico riguardo all’articolato argomento in questione, fornendo anche imputs per capire la storia raccontata.

Occorre dire che oggigiorno i pazienti, se non mantenuti all’interno delle loro famiglie, vengono accolti in strutture sanitarie.

Le malattie mentali sono appunto situazioni molto complesse che, specialmente se collegate a contesti familiari per vari aspetti difficili, nella maggior parte dei casi determinano da subito un sostanziale abbandono dei malati nelle comunità che li ospitano.

Ma la realtà insegna che non tutte i disturbi mentali sono uguali, per intensità o patologie, e non sempre necessitano di soluzioni estreme. Anzi, talvolta – se saputi adeguatamente gestire, curare o assecondare – possono coabitare col normale quotidiano e magari sprigionare potenzialità creative che meriterebbero rispetto e valorizzazione. Tanti gli esempi nel passato e i più noti potrebbero essere diversi: da Van Gogh a Munch o Ligabue in pittura; Baudelaire, Virginia Woolf o Hemingway in letteratura; altri ancora nelle molteplici discipline e non necessariamente legate all’arte o alle sole lettere.

Francesco Petrarca, vissuto nel 1300, scriveva già al suo tempo in modo categorico che “non esiste alcun ingegno se non mescolato alla pazzia.

Venendo alle ventidue fotografie proposte da Antonio, queste documentano un aspetto particolare della gestione di soggetti affetti da patologie neurologiche. 

Nello specifico le immagini selezionate si riferiscono a un gruppo di sei malati ex psichiatrici (cinque uomini e una donna) ai quali è ciclicamente concessa, una volta al mese e per due giorni consecutivi, la possibilità di vivere una sorta di convivenza autogestita, come se fossero in gita; nel senso che viene concessa ai sei l’opportunità di sperimentare una vita di gruppo quasi autonoma (anche se nella intera durata, rimangono costantemente assistiti da personale specializzato del loro centro di cura). Durante il breve periodo, a detta dell'autore, i rapporti nel gruppo non determinano alcuna gerarchia, bensì creano e consolidano una collaborazione granitica fra i sei soggetti, con una pressochè automatica distribuzione dei compiti.

Dopo questa necessaria premessa veniamo a parlare specificatamente delle foto del portfolio intitolato “Un giorno normale, un giorno speciale”.

Il testo che lo accompagna racconta: “Un gruppo di ex psichiatrici si ritrova mensilmente all’interno di una casa che diventa ‘famiglia’ per due giorni e dove tutto diventa ‘straordinaria quotidianità’ fino a ritornare ‘controllo e solitudine’”. Dopo il breve periodo, infatti, i soggetti rientrano nella loro normalità che si svolge nel centro di cura che li accoglie.

Personalmente, quando ho impattato con le fotografie, non avendo mai avuto opportunità di assistere ad esperienze del genere, il mio pensiero è subito andato al film diretto da Milos Forman nel 1975 e tratto dall’omonimo romanzo intitolato “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Ken Kesey, dove un meraviglioso Jack Nicholson generava una temporanea evasione del gruppo col bus della clinica.

A differenza della temporanea fuga rappresentata nelle scene del film, le foto che compongono il lavoro di Antonio descrivono la storia di un accadimento reale e razionalmente programmato.

L’inizio della narrazione fotografica comincia con l’immagine che ritrae un componente del gruppo che s’intrattiene alla finestra nell'attesa che arrivi il mezzo che li trasporterà alla nuova residenza. 

In verità la prima tappa sarà una sosta al bar del supermercato per far colazione e poi procedere ai necessari acquisti per il pranzo conviviale. Con la monetina si sgancia il carrello per la spesa e via.

Lungo le corsie l’unica donna fra i sei si sofferma davanti ai pupazzetti di pelouche con uno sguardo sognante, che lascia intendere tante cose. Al termine degli acquisti ognuno ha il suo sacchetto della spesa.

La tappa successiva è nell'interno chiuso della nuova casa, dove ciascuno tira fuori dal sacchetto ciò che ha probabilmente scelto e che condividerà col gruppo. 

Ciascuno ha un compito nel preparare il pranzo collettivo e, dopo aver consumato, si provvederà infine a lavare i piatti con gli assistenti che daranno una mano.

Nel pomeriggio ognuno dei sei si dedica ai propri interessi, chi legge e chi discute magari degli accadimenti al supermercato o d’altro, chi si isola ripendando ai momenti, solo chi si trovasse lì potrebbe saperlo.

In vista della notte ciascuno prepara il proprio letto, per dormire il suo sonno e sognare nel suo mondo libero.

E' già domani e finisce la gita. Si valica la porta, c'è chi scende le scale a piedi e chi prende l'ascensore in compagnia e in breve ci si riprova sulla strada ad attendere il pulmino che riporterà tutti quanti alla residenza principale.

La sequenza delle fotografie costruita da Lorenzini costituisce un racconto completo di una giornata speciale che la naturalezza rappresentata sembrerebbe però negare, presentandola come semplice vivere quotidiano.

L'accurata scelta delle foto può essere letta come dei fotogrammi di un film che documentano in modo delicato i momenti di una normale e ordinaria gita fuori porta che può fare un gruppo di amici qualsiasi, anche se avanti nell’età.

Dal punto di vista sanitario il prodotto sapientemente confezionato testimonia un plauso sulla cura assicurata agli assistiti da quel centro, dove un gruppo - e forse non solamente quello - certamente ogni mese conta fiducioso sull’arrivo della giornata premio tanto attesa che li aiuta a vivere; il tutto con la stessa tenerezza e attenzione che si usa con i bambini.

 

Buona luce a tutti!

 

  © Essec

 

martedì 22 dicembre 2020

La fotografia digitale è un mosaico di pixel


Nel libro “La furia delle immagini – Note sulla postfotografia” di Joan Fontcuberta, edito dalla Einaudi nel 2016,  si legge tra l’altro che “nel suo processo più tradizionale, la fotografia non è altro che un deposito di atomi d’argento organizzati secondo una determinata configurazione. Invece la fotografia digitale è un mosaico di pixel, il risultato di una codificazione numerico-binaria. La postfotografia, quindi, fornisce un’informazione visiva senza bisogno di un supporto: privo di corporeità, l’essere postfotografico diviene pura anima, puro spirito.” Proseguendo nel suo ragionamento scrive ancora che “la fotografia non si stampa più, anzi opera come un’eterea composizione di pixel che è ubiqua, saltando come un saltimbanco da schermo a schermo; perde quindi le sue caratteristiche materiali, la sua fisicità. Senza la sua condizione di oggetto fisico, l’immagine non può essere investita del suo potere magico e smette di agire come un talismano o una reliquia. 
Si potrebbe pure osservare che anche i pixel necessitano di una struttura che, ancorchè tecnologicamente avanzata, possa permettere la materializzazione visiva del supposto etereo depositato a sua volta su un supporto moderno che lo conservi per la decodifica. Ma non è questo il punto. 
Un’altra considerazione espressa da Fontcuberta riguardo allo strumento fotografico è quella che, mentre le reflex manuali o automatiche, ancorchè necessitanti dell’utilizzo di una pellicola, avevano un loro limite di utilizzo nel collasso meccanico del mezzo, le nuove macchine digitali (incluse le mirrorless) hanno un limite certo nella ricettività massima di informazioni di un sensore, quantificabile in circa duecentocinquantamila scatti. 
In considerazione di quanto detto e di fatto accertato, ascoltare ancora dibattiti sulla scarsa valenza delle immagini realizzate con l'uso di cellulari (anche i più evoluti) apparirebbe come dialogare su un qualcosa che è assolutamente fuori dalla logica e dal tempo. 
Nell’era del pixel disquisire oggi sul mezzo che consente di realizzare un’immagine non ha alcun senso. Costituisce solo un continuare a discutere su qunto può risultare conformante e ottimale la marca della macchina utilizzata (come per le dispute eterne fra Nikonisti, Canonisti e via dicendo).
Sarebbe sostanzialmente quasi rimanere fermi alla diatriba della valenza dell’analogico rispetto al digitale. Cose ormai obsolete che appartengono al passato e superate dai tempi.

 

Buona luce a tutti!

 

  © Essec

 

 


sabato 19 dicembre 2020

“Mamma li turchi”


Se qualcuno fosse curioso e volesse conoscere quale potrebbe essere la composizione della società italiana di un prossimo futuro, potrebbe solo fare oggi un giro in alcune realtà siciliane.

Una delle prime comunità che ha sperimentato l’integrazione a largo raggio è stata in Sicilia la cittadina di Mazara del Vallo che, per la sua economia principale dedita alla pesca, ha favorito l’immigrazione nordafricana, dalla Tunisia principalmente.

Col tempo, una sana scolarizzazione e una lungimiranza della politica locale, hanno fatto in modo che le differenze culturali fossero accettate da tutte le etnie e che le stesse divenissero anzi fonte di valorizzazione per le specificità caratteristiche connesse alle differenti terre d’origine. 

Nei quartieri palermitani di Ballarò, dell’Albergheria, del Capo e del Centro storico più in generale, le etnie inglobate nel tessuto popolare cittadino risultano più composite, ma anch’esse abbastanza integrate. La ricchezza delle tante diversità dei paesi d’origine, in questi casi però, ha fatto sì che le differenze culturali fossero mantenute nelle comunità. Anche qui, un’amministrazione comunale aperta alla globalizzazione interraziale ha saputo creare i presupposti per una convivenza pacifica. 

In tutti e due i casi le operazioni di integrazione si ricollegano pure alle specifiche caratteristiche dei luoghi. 

Entrambe le realtà, infatti, come moltissime altre città che si affacciano sul mediterraneo, hanno sempre vissuto nei secoli le mescolanze dei popoli, collegate ai porti e al relativo traffico commerciale. 

Le immagini che i media hanno diffuso in questi mesi e che oggi diffondono, pubbliche proteste dei mazaresi per prima e i festeggiamenti della liberazione ora, dei diciotto sequestrati marinai in Libia, testimoniano i sentimenti di una comunità promiscua che fotografa la vera realtà italiana. 

Una realtà che rimane incomprensibile per molti cittadini di altre aree geografiche della penisola, che sconoscono queste esperienze e che tendono a preservare integrità di razze impossibili. Questi sconoscono la storia o non hanno mai compreso dell’essenza del suo valore, atteso che le migrazioni storiche fra i continenti nei millenni hanno sempre abbattuto l’isolamento delle tribù autoctone. Per non parlare delle vere origini familiari di molti militanti leghisti, figli di meridoniali trapiantati, impegnati a venerare anche loro la fantasiosa "apolla". 

Stupide rivendicazioni di razze ariane ieri e del popolo padano oggi rappresentano pertanto solo pretesti per delle speculazioni politiche finalizzate al raggiungimento del potere; per non parlare delle infiltrazioni da un capo all’altro del mondo delle tante comunità malavitose e barbare che hanno sempre condizionato l’economia globale e il vivere quotidiano di ciascuno in ogni tempo. 

Riguardo al famoso “mamma li turchi”, sul web si trova una racconto indistinguibile circa la sua veridicità storica e che recita come alla fine del 1700, un gruppo di Ottomani arrivò in Sicilia e durante un pranzo a Palazzo Comitini, un ammiraglio Turco fu visto picchiare una ragazzina, quindi tutti indignati, iniziarono una vera e propria "caccia al Turco" e i bimbi correndo per le strade urlavano "Mamma li turchi!" come per dire "Mamma ho trovato un turco!"

 

Buona luce a tutti!

 

  © Essec

 

 

 

 

venerdì 18 dicembre 2020

Fotografia


 
Quest’anno in Fiaf si sta procedendo a un riesame della complessa organizzazione allo scopo di rendere più rispondente il proprio assetto e rendere meglio fruibili le tante offerte settoriali ai propri iscritti.
Nell’ambito di tale censimento, quest’anno sono stati programmati una serie d’incontri instreaming per continuare l’attività culturale nonostante il Covid. 
L’apertura della serie ha registrato l’intervento di Mario Cresci e una partecipazione all’evento ha fatto registrare il pieno dei collegamenti possibili nella piattaforma Gotowebinar (per chi se lo fosse perso è stato postato il video su You Tube). 
In relazione al successo di affluenze, al fine di garantire la partecipazione a un maggior numero di soci è stato, quindi, acquistato un nuovo spazio che permette collegamenti fino a 500 postazioni. 
Il secondo appuntamento di giovedì 17 era incentrato sull’illustrazione dei primi cinque dei venti portfolio finalisti dell’edizione Portfolio Italia 2020, con l’intervento sia degli autori che dei relativi lettori. 
Fra i lavori presentati, personalmente, sono rimasto particolarmente catturato dal portfolio proposto da Csaba Istvan Santa, che vedevo per la prima volta. 
Composto da una serie di immagini (mi pare fossero venti) che a qualcuno magari potevano risultare apparentemente slegate, costituiva invece un perfetto documento dei luoghi e delle molteplici emozioni vissute in prima persona dall’autore ed efficacemente narrate. 
Personalmente ho visitato quegli stessi luoghi anche io nel 2017  alla "Cavallerizza Reale" ma a manifestazioni terminate e, il vedere quelle foto, ha riempito quel vuoto di sensazioni che avevo istintivamente immaginato con la fantasia, girando per quegli spazi che ancora ne testimoniavano tracce (qualche foto si trova nel mio slide show su Torino). 
Il tutto mi porta pertanto a comprendere pienamente il commento espresso dalla lettrice piemontese Barbara Bergaglio, che ha proceduto alla sua lettura e che ha pure raccontato di aver proposto il lavoro per un premio senza però aggiungere ulteriori commenti e facendo sì, come la stessa ha riferito, che parlassero solamente le immagini. 
Queste considerazioni credo che siano sufficienti per testimoniare non solo la valenza della fotografia nel sociale, ma anche per sottolineare l’importanza di questo tipo di associazionismo che consente di mostrare anche a una più ampia platea lavori che altrimenti molto difficilmente potrebbero essere visti dai tanti appassionati del settore. 
 
Buona luce a tutti! 
 

  © Essec

lunedì 14 dicembre 2020

Sbiellare


Sbiellare v. intr. [der. di biella, col pref. s- (nel sign. 4)] (io sbièllo, ecc.). – 1. (aus. essere) Negli sport motoristici, e anche nella tecnica automobilistica, motociclistica, ecc., di un motore alternativo a combustione interna in cui si verifichi accidentalmente la rottura di una o più bielle (per es., per un regime a una frequenza di rotazione superiore a quella massima). 2. (aus. avere) a. Con riferimento al guidatore, provocare o subire la rottura di una biella. b. In senso fig., nell’uso fam. o scherz., perdere il controllo di sé, dei proprî nervi: mi sa che ieri sera tu abbia un po’ sbiellato. (fonte web: Treccani.it/vocabolario)

Negli ultimi tempi in tanti suggeriscono di moderare la grafomania che mi spinge a scrivere prendendo spunto da accadimenti che mi toccano e che inducono a soffermarmi e approfondire alcune cose. In realtà la sindrome che mi pervade devo riconoscerla come vera e nasce dal bisogno di voler fermare su una pagina bianca le impressioni del momento, i pensieri suscitati a caldo dall’accadimento e aiutare a riflettere sulle considerazioni susseguenti.

In una società sempre più concentrata all’individuazione di un colpevole, da ricercare costantemente negli altri, mi sovviene spesso la storia del “Ritratto di Dorian Gray”, ove si narra di uno strano personaggio che, però, costituisce una fotografia perfetta dell’uomo d’ogni tempo.

Un Dorian Gray perennemente bello in pubblico, mentre il suo ritratto dipinto nel quadro occultato in soffitta registra fedelmente ogni segno della sua decadenza, fisica e morale.

Spesso siamo convinti che certe fissazioni siano generate dalle complesse elaborazioni del nostro cervello e che insicurezze personali c’impongano - quasi inconsciamente - d'assumere posizioni di perenne difesa. E' per questo che taluni scelgono, perciò, di esporsi sempre, mettendosi in perenne evidenza, intimoriti dal fatto che mantendosi nell’ombra non alimentino interesse o, anzi peggio,  s'avvalori l’impressione di apparire come dei semplici fessi. 

Spesso, quindi, i maschi come tanti pavoni tendono a sfoggiare la ruota esibendo le variopinte penne colorate; le femmine invece si dipingono, s’imbrattano, mascherandosi, per apparire eternamente belle o quantomeno interessanti agli occhi degli altri. In entrambi casi si cerca di attirare attenzione, per nascondere paure.

Metaforicamente pavoneggiarsi e abbellirsi, nel lessico della comunicazione verbale comporta l’uso di retoriche e utilizzi di parole inusuali, ricercate, modellate agli scopi.

Ammuinare è anche un altro dei modi prescelti e, in questo, c’è anche chi si specializza, come si suole dire, nel girare le frittate. Taluni, per essere convincenti, anzi, denunciano gli altri, additando a colpevole chi talvolta le colpe le ha, invece, subite ….. ma, continuare questo discorso non darebbe spazio per dire altro. Si può solo osservare, che con le frittate ripetutamente capovolte può accadere che, nel lungo abuso, queste si attacchino alla padella, rischiando bruciature e fumo.

E’ pure frequente che dei saggi pacieri si possano affacciare per sanare diatribe e, magari sconoscendo o fraintendendo del tutto il “causa-effetti”, travisino anche le competenze sull’onere della prova; confondendo financo l’esatta individuazione di colui cui spetti fare un’eventuale prima mossa riparatrice.

La buona fede però non ha colpe, specie se frutto di disinformazione, ma i messaggeri poco avveduti si ritrovano spesso - gioco forza - a complicare ulteriormente le questioni.

Ovviamente ciascuno è libero di fare quel che meglio crede, potrebbe tornare utile però agli attori di una qualunque contesa il messaggio del romanzo citato in premessa.

Andare cioè a verificare e a rivedere i segnali desumibili dal proprio ritratto stile “Dorian Gray” che, come ha meravigliosamente narrato Oscar Wilde, teniamo occultato e che raccoglie nelle tracce di un volto rugoso tutto quello che riusciamo a celare in pubblico ma che noi conosciamo assai bene.

Migliorare patologie calcificate però è - e resterà sempre - impossibile e l’onestà intellettuale richiesta che, in ogni caso, appare indispensabile. Per chi intende intraprendere con coscienza la via della guarigione, una qualsiasi terapia sarebbe certamente inutile se si vorrà indagare sulle vere cause nocive sottostanti al proprio problema. Sarà comunque difficile tornare indietro sui propri passi, ancor di più saper riconoscere serenamente i propri errori. Motivo per cui, in un paese di azzeccagarbugli, per la litigiosità insita nell’umano, la professione di avvocato civilista resta un’attività vitale e fra le più fiorenti.

Si può, quindi, concludere con il verso del terzo canto dell'Inferno della  Divina Commedia, dove Virgilio dice a Dante la famosa frase "non ragioniam di lor, ma guarda e passa" e che nella versione d'uso più popolare è stata oggi trasformata ed è nota come: "non ti curar di loro, ma guarda e passa".

 

Buona Luce a tutti!

 

 © Essec

 


giovedì 10 dicembre 2020

ASSENZA

Fra i lavori di portfolio fotografico ce ne sono alcuni che apparentemente appaiono semplici ma che, specie per gli argomenti che trattano, in verità necessitano d’essere un po’ lasciati a sedimentare, per cercare di scrivere sugli stessi qualcosa di diverso, attraverso una più attenta visione delle immagini, che sappia leggere un po’ fra le righe della storia.

Antonio Lorenzini, che di recente ha potuto incassare un assai prestigioso riconoscimento pubblico a Corigliano Calabro, con il suo lavoro dedicato a “Timmy”, eccelle nei suoi portfolio che trattano aspetti sociali.

Tempo addietro ha voluto inviarmi alcune sue raccolte, chiedendomi di scrivere dei pareri e, pur essendo io solo un appassionato che rimane intrigato da queste forme di racconto fotografico, ho aderito con i miei tempi.

La serie riassunta nella foto allegata rappresentava, a mio modo di vedere, uno dei lavori più complessi e complicati su cui andare a scrivere.

A monte, il tema affrontato da Antonio già non era facile da rappresentare con delle sole foto, ma molto si sarebbe potuto dire sull’argomento. Racconto quindi la mia.

Paola, una madre oggi trentasettenne, tre figlie.

E’ stata una ragazzina che non ha avuto l’opportunità di vivere l’adolescenza serena che le sarebbe spettata e che, come accade in tante realtà familiari degradate, ad un certo punto si ritrovò a divenire una genitrice super precoce, costretta a navigare, per quanto intuibile, una vita precaria e avventurosa.

A quell’età non poteva avere di certo la maturità necessaria e l’opportunità minimale per curare una figlia che, per il limitato divario d’età, poteva rappresentare verosimilmente per lei la sorella più piccola.

Questa figlia fu affidata da subito a una coppia, che ha provveduto nel tempo a crescerla come tale. Ormai è opinione consolidata quella che dice che i figli sono di chi li cresce e, forse, di questa situazione Paola oggi ne è pienamente cosciente.

Da esperienze successive, sono nate altre due figliole che, per il passato sbagliato le sono state recentemente tolte dal Tribunale, per essere affidate a un centro per i minori. Proprio nel momento in cui Paola si stava faticosamente liberando da una vita che l'ha ingannata e travolta fin da quando era poco più che bambina.

Ora le sue giornate sono scandite dal ricordo, dal vuoto, dall'attesa e dalla speranza di poter riabbracciare al più presto almeno le sue due figlie più piccole e riprendere con loro una vita insieme.

 


Una madre, due figlie ancora adolescenti, più una, che è figlia naturale e giovane donna che ha beneficiato di altri affetti. Un tribunale per i minori e Paola, una mamma alla quale, per un passato “sbagliato”, sono state oggi strappate due figlie (considerazione quest'ultima, che potrebbe essere smentita dalla cruda realtà dei fatti).

La vita talvolta si nutre d’illusioni e non muore mai il desiderio di poter tornare indietro per correggere un passato che, nel caso, più che vissuto, è stato semplicemente subito.

 

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martedì 8 dicembre 2020

Saranno le scienze umane a salvare la Democrazia?


In un altro recente articolo si ebbe a scrivere come “appare sorprendente che, davanti a una pandemia acclarata e diffusa a livello mondiale, neanche l’opposizione politica riesca a trovare una logica costruttiva o, quanto meno, intellegibile sulle proposte praticabili e, nel caso, alternative. O che taluni politici più sgamati, da sempre concentrati al mantenimento del potere e dei relativi benefici, continuino a tenere d’occhio principalmente le disponibilità liquide presenti nei bilanci delle loro ‘Fondazioni di riferimento’ ovvero ai tanti affari che si potrebbero incrementare attraverso debordi ulteriori di debito pubblico, MES compreso, ovviamente per il presunto rilancio dell'economia”.

Per rimanere con i piedi per terra e avere coscienza del piglio statalista che dovrebbe prevalere nell’attività di governo e nella gestione del potere politico - da rivolgere all’interesse primario della collettività - risulta importante la proposta editoriale della casa editrice Rubbettino del 2018, che contiene scritti molto attuali che pongono attenzione sul cittadino come persona e indicano la filosofia, quella con la consapevolezza della certezza irraggiungibile, come strumento essenziale di riferimento per una società basata sulla democrazia.

Il Prof. Enzo Di Nuoscio non ha dubbi al riguardo e le argomentazioni sviluppate nel volume “Democrazia avvelenata” fanno emergere l'attualità e l’importanza degli studi umanistici nella formazione culturale dei giovani, per poi avere l'uomo adulto democratico. Asserendo, infatti, in proposito come “lo studio della filosofia favorisca la pratica della democrazia”.

Nel saggio, gli elementi esposti a supporto di questa tesi, in qualche modo, fanno pure emergere indirettamente la necessità di un’ampia rivisitazione dei programmi educativi vigenti. Per ricreare un nocciolo di insegnamenti di base, almeno nelle prime classi di formazione scolastica, volti ad assicurare una formazione che accomuni i discenti nella pratica di studi univoci che, poi, andranno a differenziarsi inevitabilmente in funzione delle differenti discipline insite alle specializzazione settoriali. E’ sottolineato, infatti, che “l’homo democraticus deve essere intellettualmente attrezzato a gestire, dal punto di vista concettuale ed emotivo, situazioni di crisi economiche e di difficoltà sociali, alle quali ciclicamente si troverà a fare fronte nel corso della propria vita”.

Viene anche detto come sia importante anche la conoscenza della storia. Non quella nozionistica, ma la storia studiata con spirito critico. “Il passato ti spiega il presente per indirizzare il futuro” dice oggi in proposito il contemporaneo Alberto Angela.

Altro aspetto importante nello scritto è rappresentato dalla indissolubile correlazione del libero mercato con la democrazia; un connubio indispensabile affinchè possa esistere una società ”aperta”, ove viga e sia mantenuto un sistema economico regolato dalla libera concorrenza, “necessaria per frenare e incanalare l’interesse personale”. L’homo democraticus dovrà essere attento a saper difendere la democrazia dalle potenziali degenerazioni del “capitalismo storico”, un aspetto questo su cui Di Nuoscio argomenta in uno specifico capitolo.

Vengono, quindi, attenzionate questioni che potrebbero nascere attraverso politiche non adeguatamente lette e valutate; che potrebbero anche accentuare divaricazioni sociali e far proliferare monopoli lobbistici. Situazioni che, abbinate alla società consumistica attuale, indurrebbero classi meno abbienti – e non solo esse - a frustrazioni continue e a portare a forme di populismo, con rischi di nascite di derive sempre più oligarchiche.

Per il mantenimento di una società democratica si dovrà, quindi, fare in modo che a ciascuno venga assicurata una posizione sociale economicamente decorosa, che consenta di rimanere liberi per esercitare i propri doveri e poter rivendicare i diritti, secondo le proprie lecite aspettative.

Stante la progressiva e sempre maggiore invadenza del “pubblico”, palesato con forme di comunicazione moderne limitate e influenzate spesso da pareri poco approfonditi, sostituiti e sovrapposti - velocemente e continuamente - in un sistema globalizzato (oggi espressi attraverso i social o prodotti da media schierati), particolarmente importante risulta la necessità di poter assicurare e preservare un sistema politico-sociale dove ogni cittadino elettore disponga degli elementi autonomi per saper discernere, secondo le proprie idee e in ogni situazione sociale vigente.

Insomma, ancora una volta un saggio molto ricco questo del Prof. Di Nuoscio, che assembla un insieme di questioni e che magistralmente si dipana in un’analisi complessa.

Quanto scritto in questo volume dai contenuti attualissimi, “Democrazia avvelenata”, prodotto nel 2018 dall’editore Rubbettino, rappresenta una fotografia 2.0 piena di dettagli, che non tralascia alcuno dei milioni di colori che caratterizzano i tanti pixel concettuali possibili su tematiche così complesse, interconnesse e complicate, che nell'insieme costituiscono il mondo che stiamo vivendo.

 

Buona luce a tutti!

 

  © Essec