Ci
si può girare intorno quanto si vuole ma se da più di settanta giorni
siamo in questa situazione di stallo è perché, con i pretesti più vari,
non si vuole che i Cinque Stelle, “los grillinos” come li chiamano in
Spagna, vadano al governo. Non si vuole cioè rispettare la volontà di 11
milioni e mezzo di cittadini cui si aggiungono 5 milioni e passa di
elettori della Lega, in totale più di 17 milioni di persone. Non si
vuole cioè rispettare la tanto e sempre strombazzata Democrazia.
Contro
i Cinque Stelle sono tutti coloro che finora sono stati ben incistati
nel sistema, partiti, poteri economici, ricchi, intellettuali,
giornalisti. Fra chi cerca di mettere i bastoni fra le ruote il più
importante, per il ruolo che ricopre, non certo per la sua
autorevolezza, è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il
quale, scoprendo improvvisamente d’esser Luigi Einaudi, si arroga
diritti che non ha, come quello di nominare di fatto i ministri o di
escludere da questo ruolo le persone che non gli garbano. Purtroppo per
Mattarella noi non siamo una Repubblica presidenziale ma parlamentare.
Ed è il Parlamento, e solo il Parlamento, che può sfiduciare i ministri,
in pectore o già in carica, o dar loro credito.
Matteo
Salvini ha detto, a mio parere giustamente, che quello che è in atto
oggi non è uno scontro fra destra e sinistra, categorie che dopo due
secoli e mezzo di vita sono divenute obsolete, ma fra popolo ed élites
(è lo stesso scontro che c’è in America fra Donald Trump, comunque lo si
voglia giudicare, e i suoi avversari). Alla trasmissione radiofonica Tutta la città ne parla il giornalista di Repubblica
Paolo Griseri obbiettava che le élites sono sempre esistite e sempre
esisteranno. E’ vero, ma bisogna vedere a favore di chi queste élites
governano od operano. Possono operare a favore della cittadinanza o
invece a favore di se stesse e dei propri amici come in Italia è
avvenuto perlomeno negli ultimi trent’anni. La questione non è nuova. Il
mitizzato Ottaviano Augusto governò “in nome del popolo” ma a favore
delle élites senatoriali, latifondiste e nullafacenti. L’imperatore
Nerone, maledetto e dannato in saecula saeculorum, che pur di
quelle élites faceva parte al più alto livello, governò invece in favore
della plebe e di quelli che oggi chiameremmo i ‘ceti emergenti’, cioè
produttivi e contro l’aristocrazia parassitaria. E per questo alla fine
fu costretto al suicidio.
La
storia si ripete incessantemente, c’è sempre qualcuno che si illude di
scardinare un sistema prevaricatore: o fa una brutta fine o, arrivato al
potere, diventa a sua volta prevaricatore (è stato il destino di molte
Rivoluzioni, a cominciare da quella russa) o, ed è la cosa più subdola, i
vecchi poteri, specialisti nel trasformismo, “fingono di cambiare
perché nulla cambi”.
Scendendo
molto di categoria uno di questi potrebbe essere il destino dei Cinque
Stelle. Speriamo di no, perché sognare non è ancora proibito, almeno
ufficialmente.
Ma scendiamo ancora di più, nell’infimo e nel ridicolo. Ieri Libero,
diretto da Vittorio Feltri, titolava “Un laureato così non lo merita
neppure l’Italia”. Naturalmente l’editoriale dello stesso Feltri era
tutto un fare le pulci al candidato premier che lui, speranzosamente,
chiama già ex, Giuseppe Conte. Da quale “vergine dai candidi manti” vien
la predica. Il libertario Feltri è stato sospeso per sei mesi
dall’Ordine dei giornalisti per aver pubblicato sul suo giornale
articoli in cui si definiva il direttore dell’Avvenire Dino Boffo
un “noto omosessuale attenzionato dalla polizia”. Già l’accusa rivolta a
Boffo era di un moralismo ributtante e da vecchia zia –essere
omosessuali non è una colpa- ma per soprammercato era anche falsa. Però a
Boffo costò la carriera. “Un giornalista così non lo merita neppure
l’Italia”.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2018)