"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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venerdì 29 aprile 2011

Referendum, Celentano: “Questo voto è l’unico mezzo per sopravvivere, fidatevi”

Caro direttore, ma soprattutto cari STUDENTI, comunisti, fascisti, leghisti e operai costretti a lavorare nell’insicurezza. Come avrete letto su tutte le prime pagine dei giornali, il governo non demorde. Continua, sfidando l’intelligenza anche di chi lo ha votato, nella sua DEMONIACA voglia di avvelenare gli italiani. Gli unici che, fino a prova contraria, hanno saputo distinguersi da tutti gli altri popoli IMBECILLI per aver avuto, già 24 anni fa, la saggia intuizione di dire NO alla bevanda radioattiva che, in nome di quel “benessere” tanto sbandierato da Berlusconi, ti uccide in cambio di un voto contro la VITA.

Ma oggi purtroppo il pericolo radioattivo, e quindi di morte lenta e dolorosa, è di gran lunga maggiore di quanto è avvenuto in quegli anni. Che peso può avere oggi la saggezza degli italiani se poi chi ci governa fa dei discorsi cretini come quello che abbiamo ascoltato a Porta a Porta dal ministro Paolo Romani? “Innanzitutto essere nuclearisti – ha detto – non può essere definita una bestemmia. Lo sono tutti i più grandi paesi del mondo, l’America, la Russia, la Cina, il Giappone e tutti i paesi europei. L’unica grande potenza industriale che non ha il nucleare è solo l’Italia”. Come dire che, se la maggioranza dei paesi industriali vogliono suicidarsi, la logica vuole che chi non si suicida è un mascalzone. Purtroppo invece, caro ministro, essere nuclearisti non solo è una bestemmia, ma significa essere DEMENTI fin dalla nascita. La verità è che il vostro è un trucco per indebolire il referendum: senza il quesito del nucleare (e ora state tentando di far saltare anche quello sull’ACQUA), sperate che il LEGITTIMO IMPEDIMENTO non raggiunga il quorum. Stavolta credo che sarà proprio il governo a finire con “il quorum a pezzi”.

Non so come si pronuncerà la Cassazione. È a lei che spetta l’ultima parola per decidere se il quesito referendario è venuto meno o no. In ogni caso non si potrà fare a meno di andare a votare. Se non altro per non deludere quel MILIONE di persone che vede in Antonio Di Pietro l’unico vero combattente per la salute delle prossime generazioni. Perché di questo si tratta, cari amici fascisti, STUDENTI, leghisti, comunisti e operai insicuri. Che Di Pietro stia cercando di salvarci dall’immane catastrofe lo si capirà prima di quanto si creda. La “Pubblica Ottusità” dei vari Romani, Sacconi, Quagliariello, Gasparri e Prestigiacomo ha quasi raggiunto il punto di non ritorno. E la NATURA, la cui pazienza è ormai a pezzi, non tarderà molto a darci i suoi nuovi segnali.

E a tal proposito voglio dire due parole non a Berlusconi, ormai in preda a uno stato confusionale, ma a ciò che è rimasto della sua COSCIENZA che, per meglio identificarla a chi legge la chiamerò con lo stesso nome del presidente del Consiglio, ma al femminile, poiché mi piace immaginare che la voce della coscienza abbia piuttosto i modi dolci e gentili di una bella figura femminile che non quelli rudi e maschili.

Cara Silvia, il fatto che tu sia inascoltata non significa che tu debba calare le braghe, scusa volevo dire la gonna, non so come sei vestita, non ha importanza; ma al governo c’è qualcuno di cui forse tu hai smarrito la fisionomia e che sta sbagliando tutto. Se tu lo molli si perde definitivamente e chi ci va di mezzo poi è la povera gente che lo ha votato. È il momento invece di alzare la voce e fargli capire come stanno le cose. Devi dirgli che gli italiani non sono così cretini… anche le formiche lo hanno capito che questa mossa di soprassedere sul nucleare non solo è una truffa ai danni di chi vuole VIVERE, ma serve soprattutto a tener fede a quel CONTRATTO di MORTE che Berlusconi ha firmato con Sarkozy per la costruzione di quattro nuove centrali NUCLEARI. Devi dirgli che non si può far gestire l’ACQUA ai privati. L’ACQUA è un bene comune, di tutti. Come si può pensare che, se io ho sete, devo pagare per bere? E poi devi dirgli che all’estero tutte le sue strategie risultano assai sospette, ridicole e soprattutto non chiare.

Cara Silvia, a tutti capita di dire qualche bugia, ma a fin di bene. Forse anche a te sarà capitato, o no?… Scusa dimenticavo, tu non puoi dire bugie… neanche a fin di bene… Il compito che ti è stato affidato, fin dai più remoti albori del mondo, è quello di dirci sempre la verità anche se noi continueremo a rifiutarla. Scusa, me l’ero scordato, per un attimo anch’io mi sono fatto prendere dalle puerili voglie di grandezza del mondo esterno…. Ora capisco perché fin dalla nascita il presidente del Consiglio ti ha ripudiata. Le bugie che lui dice infatti sono SPAVENTOSE e senza un minimo di pudore.
Vuol farci credere che lui davvero pensava che Ruby fosse la nipote di Mubarak. Vuol cambiare la Costituzione a furia di barzellette che non fanno ridere, ce l’ha coi magistrati che vogliono processarlo.

Le accuse su di lui non si contano ormai: magari è davvero innocente, però non lo sapremo mai. Lui continua a non presentarsi ai processi e non si accorge che i suoi elettori cominciano a farsi delle domande, a chiedersi se è giusto essere governati da un BUGIARDO. Certo, è difficile pensare che non lo sia, anche se il dubbio traspare lontanamente e subito svanisce di fronte all’ARROGANZA di tacere ciò che tutti si aspettavano da lui. Ossia, l’unica BUGIA che il Cavaliere avrebbe dovuto dire e che volutamente non ha detto per non condannare il malsano gesto di Lassini e i suoi TRISTI manifesti. Anzi ha fatto esattamente il contrario. Ha telefonato all’ATTACCHINO e gli ha espresso il suo pieno sostegno, naturalmente seguito a ruota dalla coppia Daniela Santanchè e Giorgio Straguadagno i quali, anche loro, gli hanno assicurato il voto nonostante il giusto aut aut del sindaco Moratti. Un gesto, quello della coppia “Daniela-Straguadagno”, da cui è chiaro il riferimento a possibili frizioni tra la Moratti e l’incantatore di serpenti. Lui è inafferrabile per i giudici che, a malapena, il massimo che hanno ottenuto è stato quello di portarlo fuori dal tribunale e non “DENTRO”, dove purtroppo non è possibile stabilire se i suoi comportamenti sono giusti o sbagliati.

Però, anche senza un tribunale, noi lo possiamo intuire dalle sue azioni. Come parla, come ride, come racconta le barzellette e soprattutto capire il motivo per cui le racconta. Capire cosa c’è dietro quella barzelletta raccontata con aria apparentemente ingenua e, cosa importante, dove è diretto l’amo che aggancerà la sua prossima vittima.

E la sua prossima vittima purtroppo sono ancora gli italiani. Da qualche parte ho letto che due signor “NESSUNO” TELECOMANDATI, come giustamente dice il cristallino Di Pietro, hanno presentato due emendamenti al regolamento della Rai in campagna elettorale, affinché tutto sia compiuto sul colossale SCIPPO perpetrato ai danni del referendum sul nucleare, nel caso la Cassazione vada contro la richiesta del governo, e si pronunci invece a favore della sua validità. Il primo emendamento consiste nel togliere alle tribune elettorali il 30% di spazio e darlo al “comitato per il non voto”, in modo da ridurre gli spazi promozionali per il Sì contro le CENTRALI ATOMICHE a un terzo. Il secondo vuole completare l’opera di devastazione facendo cominciare la campagna referendaria solo dopo le amministrative, anche qui per ridurre i tempi di dibattito che rimarrebbero di soli 12 giorni.

Come vedete non si tratta più di DESTRA o SINISTRA per capire che un uomo come Berlusconi non solo non può governare l’Italia, ma nessun paese. Al massimo lui e i suoi falsi trombettieri, come li chiama Travaglio, possono andar bene per una piccola TRIBU’, dove tutti quanti, raccolti intorno al capo, si nutrono a vicenda della loro stessa FALSITA’.

Cari amici fascisti, STUDENTI, leghisti, comunisti e operai insicuri. Mi sembra chiaro che a questo punto non ci resta che l’unico mezzo di sopravvivenza. Il voto. Non possiamo assolutamente mancare. Il 12 Giugno dobbiamo andare tutti a votare anche se, come è prevedibile, il governo tenterà l’impossibile per togliere dalle schede referendarie pure il LEGITTIMO IMPEDIMENTO. E, se lo dovesse togliere dobbiamo essere ancora più numerosi davanti ai seggi. E, se per caso le sedi elettorali fossero chiuse, il vostro voto lasciatelo pure per terra scritto su un piccolo foglietto già preparato a casa, in modo che l’indomani tutti i marciapiedi d’Italia siano invasi da quaranta milioni di bigliettini.

Contro il NUCLEARE
Contro la PRIVATIZZAZIONE dell’ACQUA
Contro il LEGITTIMO IMPEDIMENTO

giovedì 28 aprile 2011

Professionisti con la crisi il lavoro è a “intermittenza”

Il lavoro, anche per i professionisti, è come una luce che si accende e si spegne. Alimenta speranze quando c'è, scava incertezze quando non se ne trova più. Avvocati, commercialisti e promotori finanziari. Architetti, biologi e geometri. Ma anche organizzatori di eventi, docenti, educatori e redattori. Tra loro, negli ultimi cinque anni, più di sei professionisti su dieci sono stati costretti a misurarsi con l'alternanza di tempi in cui si lavora e tempi in cui di lavoro proprio non ce n'è. A dirlo è lo studio, presentato questa mattina, di Ires-Cigl che ha analizzato un campione di quasi quattromila profili, tra autonomi, dipendenti e praticanti, del complesso mondo delle professioni.

Molte le difficoltà con cui questo spicchio significativo di italiani si ritrova a fare i conti. La crisi certo, ma anche i mancati interventi normativi per rendere davvero più aperto e efficiente il mercato delle professioni. Ora chiedono compensi equi, tutele sociali in caso di malattia, infortunio, maternità e disoccupazione.

Negli ultimi anni solo il 38,6 per cento è riuscito a lavorare in modo continuativo. La gran parte, però, ha vissuto a singhiozzo. Con il lavoro che va e viene. Commissioni e impegni per un po'. E poi niente. Nel complesso, nell'arco di cinque anni, sono stati coinvolti dalla discontinuità del lavoro il 61,4 per cento dei professionisti. Nell'ultimo anno il fenomeno, se possibile, è stato ancora più acuto e ha interessato il 64,6 per cento dei professionisti.

La discontinuità occupazionale sembra caratterizzare, in particolare, la vita dei lavoratori del mondo della cultura e dello spettacolo. Tra loro hanno un lavoro “intermittente” l'88,3 per cento. Le cose non vanno meglio per interpreti e traduttori se si considera che quasi tre su quattro alternano lavoro e stop indesiderati. La stessa cosa capita al 76,7 per cento di docenti e educatori. Simili percentuali anche per chi lavora nell'informazione e nell'editoria (vedi tabella).

Quanto al reddito le cose non vanno meglio. In media, nel 2009 il reddito annuale è stato inferiore a 15 mila euro per il 44,6 per cento e di questi più della metà non è arrivato a 10 mila euro. Uno su sei ha superato i 30 mila euro l'anno (vedi tabella). “Le entrate economiche – scrivono gli autori dell'indagine - seguono un’ampia variabilità sia tra i gruppi professionali che al loro interno. In generale, i redditi più bassi si registrano nelle professioni della cultura e spettacolo (il 64,5% ha meno di 15.000 euro netti annuali), nell’informazione ed editoria (59,6%), tra gli interpreti e traduttori (50,1%), i docenti ed educatori (67,8%), i ricercatori (52,6%), i lavoratori a bassa qualifica (50%)”.

Tempi di attesa e accesso al credito. Sei su dieci sono stati poi costretti ad aspettare più di sessanta giorni prima di emettere la fattura e ricevere il pagamento. Un altro 71 per cento dichiara di avere avuto difficoltà ad accedere al credito. Solo il 24,1 per cento arriva a fine mese senza difficoltà. Anche nel caso dei professionisti il primo ammortizzatore sociale è il ricorso all'aiuto dei genitori. Ne fa ricorso, spesso o qualche volta, il 53,8 per cento.

Peggio di prima. L'impatto della crisi si è sentito molto. Per il 30,4 per cento la propria condizione economica nell'ultimo anno è peggiorata in maniera sensibile e per un altro 29,4 per cento è peggiorata seppure di poco. E' rimasta stabile per il 26,9 per cento. Pochi quelli che invece hanno visto migliorare le condizioni (13,4 per cento).

Contributi e indennità. I redditi bassi cominciano a preoccupare molti. Tanto che quasi sei su dieci si dicono pronti a versare una quota contributiva pur di potere accedere a un’indennità di disoccupazione a cui per ora non hanno accesso. “È evidente come questa discontinuità nel reddito – scrivono gli autori del rapporto - abbia un impatto non solo sulla situazione presente ma anche sul futuro previdenziale, mostrando la necessità di intervenire con urgenza per sviluppare delle forme di sostegno al reddito nei periodi di non lavoro”.

Contratti e committenze. La maggior parte opera con partita Iva (il 47,2 per cento) o a regime di contribuzione minima. Ma molti hanno anche contratti del lavoro atipico. A progetto o collaborazioni occasionali. Soprattutto nella cultura e nello spettacolo, i docenti e gli educatori, gli interpreti e i traduttori, i lavoratori dell'informazione e dell'editoria. Uno su cinque ha un solo committente. A questi si deve aggiungere un altro 35,2 per cento che lavora per più committenti di cui uno però è quello principale. Il 44,2 per cento lavora invece per più committenti che pesano in maniera equa. Un unico committente è più diffuso tra i ricercatori (quasi in quattro casi su dieci), i professionisti dell'area economica e quelli dell'area gestionale-amministrativa.

La previdenza. Circa un terzo dei professionisti versa i contributi alla gestione separata dell'Inps e quasi un altro 14 per cento non ha alcun contributo pensionistico. Se si sommano queste due componenti, scrivono gli autori dell'indagine, si osserva come per “il 48,1% dei professionisti autonomi il futuro previdenziale sia caratterizzato da un elevato grado di incertezza”. Riguardo all’opportunità di versare una quota aggiuntiva in un fondo di previdenza integrativo, sarebbero d’accordo il 59,1% degli intervistati. Precisamente, la maggior parte sarebbe d’accordo solo se i compensi fossero più elevati (33,6%), il 18,7% solo se fossero previste delle detrazioni fiscali e solo il 6,7% valuterebbe questa opzione “solo se i compensi fossero definiti contrattualmente”. Dei rimanenti, il 21,9% non è interessato in alcun modo e il 19% preferisce scegliere individualmente sul mercato.

La scelta e la necessità. C'è poi la questione di quanto lo status di autonomo sia una scelta e quanto invece una conseguenza inevitabile delle condizioni del mercato e di quanto chiesto da committenti e imprese. La condizione di lavoratore autonomo è una scelta per il 44,9 per cento. Per il 46,6 per cento è l’unico modo di lavorare nel mercato mentre per un altro l’8,5 per cento è stato esplicitamente richiesto dal datore di lavoro.

Dipendenti e professionisti. Ci sono ad ogni modo dei vantaggi percepiti. La maggioranza dei professionisti ritiene di avere una maggiore autonomia rispetto a chi fa la medesima professione come dipendente. Molti ritengono di godere di maggiore flessibilità nell’orario di lavoro e di più opportunità di crescita. A questi fanno da contraltare alcuni svantaggi comunque significativi. Quasi la metà degli autonomi ritiene di avere una peggiore organizzazione del lavoro e minori opportunità di aggiornamento. E solo il 46,6 per cento degli autonomi ritiene di avere un maggiore riconoscimento professionale rispetto ai dipendenti. La quasi totalità (85,6%) pensa di sopportare più oneri fiscali e nel complesso il 59,1 per cento degli autonomi ritiene di avere un peggiore trattamento economico rispetto ai dipendenti.

Identificazione di sé. Se chiamati a dare una definizione al proprio status, quasi sette su dieci dicono di essere liberi professionisti con scarse tutele. Uno su dieci si rappresenta come un lavoratore autonomo, il 13,7 per cento si percepisce come un lavoratore dipendente non regolarizzato e solo una minima parte si sente un libero professionista affermato (7,5 per cento).

Le richieste. Quello che chiedono i professionisti in termini di welfare e politiche sono soprattutto tutele certe in caso di malattia e infortunio, agevolazioni pubbliche alla formazione professionale, incentivi alla stabilizzazione contrattuale, sostegno al reddito in caso di disoccupazione, semplificazione degli adempienti amministrativi e la facilitazione dell’accesso al credito. Quanto alla previdenza, i temi più caldi sono il ricongiungimento dei contributi e la parificazione dei coefficienti di calcolo a quelli dei lavoratori dipendenti che svolgono la stessa professione.

Gli obiettivi da perseguire. In questo contesto, ha detto Davide Imola, responsabile professioni di Cgil, è sempre più necessario raggiungere gli obiettivi che prevedono la “riforma delle professioni e un maggior riconoscimento professionale per chi opera fuori dagli ordini, il dialogo strutturale tra il sindacato e le forme di rappresentanza dei professionisti, la promozione di uno statuto del lavoro autonomo che dia impulso al lavoro dei giovani e tuteli l’autonomia dei professionisti con scarse tutele”.

Federico Pace (La Repubblica - 28 aprile 2011)

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Risposte alla domanda: “A quanto ammontava il suo reddito da lavoro netto nel 2009?”

Aree professionali Reddito netto (euro)
Meno di 10mila Da 10 a 15mila Da 15 a 20mila Da 20 a 30mila Più di 30 mila
Giuridica 30,9% 12,2% 13,7% 20,9% 19,4%
Economica 11,0% 18,0% 13,0% 30,0% 24,0%
Gestionale amminstrativa 12,8% 23,1% 18,8% 22,2% 22,2%
Tecnica 19,0% 21,4% 16,7% 19,9% 21,3%
Socio-sanitaria e assistenziale 21,9% 17,2% 23,4% 14,1% 20,3%
Cultura e spettacolo 40,8% 23,7% 11,8% 9,2% 10,5%
Informazione e editoria 35,4% 24,2% 17,2% 14,1% 5,1%
Interpreti e traduttori 26,0% 24,1% 19,4% 15,0% 10,8%
Docenti e educatori 35,5% 32,3% 16,1% 3,2% 3,2%
Ricercatori 26,3% 26,3% 5,3% 21,1% 21,1%
Operai, artigiani e basse qualifiche 30,0% 20,0% 20,0% 30,0% -
MEDIA TOTALE 23,0% 21,6% 17,0% 18,5% 17,2%
Fonte: IRES-CGIL, aprile 2011

Risposte alla domanda “Negli ultimi cinque anni come si sono alternati i periodi di lavoro e non lavoro?”

Area professionale Lavoro-NonLavoro
Intermittente Continuato
Giuridica 50,3% 49,7%
Economica 36,1% 63,9%
Gestionale-amministrativa 53,0% 47,0%
Tecnica 61,4% 38,6%
Socio-sanitaria e assistenziale 56,8% 43,2%
Cultura e spettacolo 88,3% 11,7%
Informazione e editoria 65,8% 34,2%
Interpreti e traduttori 70,6% 29,4%
Docenti e educatori 76,7% 23,3%
Ricercatori 23,8% 76,2%
Operai, artigiani e basse qualifiche 57,7% 42,3%
MEDIA TOTALE 61,4% 38,6%
Fonte: IRES-CGIL, aprile 2011

mercoledì 27 aprile 2011

I due pescatori

La morte andò a trovare il vecchio. Ci andava quasi ogni giorno, ormai. Sedeva insieme a lui sulla riva e lo guardava pescare. Quando il vecchio prendeva un pesce e lo rimetteva in acqua, la morte scuoteva la testa. Il vecchio annusava l'odore delle alghe portate a riva dalle onde. Diceva ridendo:
- Sono morte, ma respirarle fa bene ai polmoni.
- Ridi pure, vecchio - diceva la morte, e si riparava dal sole con un cappellaccio di paglia sfondata.
Il pescatore osservava i colori del mare pennellati dal vento, una striscia chiara di bonaccia e laggiù una striscia indaco di maestrale, e pensava alle isole che aveva visitato. La morte pensava ai galeoni inabissati, agli scheletri che li abitavano, e ad antiche battaglie. La lenza vibrava sottile, quasi invisibile, sospesa tra due mondi.
- Le onde sono tutte diverse - diceva il vecchio. - Se ascolti bene, quando si infrangono a riva, non sentirai mai due volte lo stesso suono. Il mare è un grande musicista. E anche i pesci sono uno diverso dall'altro. Ci sarà sempre un riflesso, un ricamo sulla pinna, la miniatura di una squama che non avevi mai visto prima.
- Anche i soldati sembrano tutti uguali - disse cupa la morte.
- Bisogna averne visti morire molti per capire la differenza.
Una nuvola coprì il sole, e il vecchio rabbrividì.
- È ora che tu venga con me, vecchio - disse severa la morte.
- Hai tanti anni, ormai fai fatica a vedere la lenza, i pesci ti scappano. E quando li prendi, li lasci andare, perché pensi che ti assomigliano. Perché vuoi vivere ancora? Che speranza hai?
- Magari mi succederà ancora qualcosa di bello. Mi passi un verme?
La morte infilò il verme sull'amo, con maestria. Poi disse:
- Cosa vuoi che ti succeda ancora? Passi i tuoi giorni tra malattia e insonnia, e non fai altro che ricordare. Vivi solo nel passato, ormai.
- Forse hai ragione - disse il vecchio.
Il vento cambiò e le barche all'ormeggio cominciarono a girarsi, come in una danza. Il vecchio catturò un pesciolino d'argento col colletto nero e lo ributtò in acqua.
- Ti ho mai raccontato di quell'aragosta che scappò dalla cesta, e camminò fino al mare? Correva come un gatto, te lo giuro.
- Me lo hai raccontato almeno dieci volte. E io ti ho raccontato di quello che mi è successo con Rasputin?
- Almeno dieci volte anche tu. E tanto tempo che ci conosciamo, morte.
- Sì, molto. Da quando morì il tuo cane.
- No, - disse il vecchio - non fu allora. Fu tristissimo, avevo solo sette anni. Ma pensai che Billy non era morto, aveva semplicemente fatto un salto troppo lungo. Era un gran saltatore, aveva spiccato un balzo oltre il mondo. Per molto tempo ci giocai insieme, gli parlavo e lui mi seguiva. Tu non c'eri ancora.
- Non ricordo - disse la morte.
- Ricordi benissimo - disse il vecchio. - Ti ho conosciuto l'anno dopo, quando ho visto sul letto mio fratello, pallido e con la fronte fasciata. Allora mi sei venuta vicino. E da allora, a nessun pensiero sono stato fedele come al tuo.
- Grazie - disse la morte con un inchino.
- E anche tu mi sei fedele - disse il vecchio. - Vai in giro per il mondo, ma so che ti ricordi sempre di me.
Il mare ora era calmo e trasparente. La lenza era una freccia infissa nel mare, immobile e argentata. Il silenzio sembrò troppo anche alla morte.
- Tu pensi che io sia ingiusta, vecchio?
- Ingiusta, inutile, crudele.
- E perché parli con me?
- Cos'altro posso fare?
- Forse potrei non essere ingiusta - disse la morte. - Ma se fossi giusta, allora anche la vita dovrebbe cambiare, non credi? Pensare a me sarebbe diverso, niente potrebbe essere come prima. Niente di quello che c'è rimarrebbe. E non sarebbe una morte anche questa?
- Parli troppo, morte, mi spaventi i pesci.
- Già. Sai, anche per loro la morte è ingiusta.
- Sì, lo so. È un pensiero che qualche volta non mi fa dormire.
Il vecchio sembrò di colpo immensamente triste.
- Qual è il momento più felice che ricordi, vecchio?
- Oh, sono tanti - rispose il pescatore.
- Il primo che ti viene in mente.
- Tanti anni fa, in un giorno d'estate come questo, io e mio figlio andammo a pescare. Lui aveva otto anni. Camminando verso la spiaggia, incontrammo un campo di girasoli. Era sterminato, saliva su una collina come un'onda e poi la scavalcava e scendeva, tutto il mondo sembrava d'oro. Entrammo nel campo. Nuotavamo in un mare frusciante, pieno d'odori e insetti. A ogni folata di vento, i fiori si muovevano tutti insieme, come fanno i banchi di pesci, nessuno dava l'ordine, sapevano dove andare. Ogni girasole era diverso dall'altro. Come le onde, e come i soldati. Io e mio figlio stavamo vicini. Io proteggevo lui e lui proteggeva me. Salimmo fino in cima alla collina e vedemmo un oceano grande, assetato di sole. Poi ritornammo indietro. Un amico ci aveva visti. Perciò ho una foto di quel giorno. La guardo ogni volta che sono triste.
- Bel ricordo, - disse la morte - ma cosa c'entra con la speranza? Tuo figlio è grande ormai. Il campo di girasoli forse non esiste più. Il tuo amico è morto. E tu non sai più pescare, sei quasi cieco, non riconosci un dentice da un'orata.
- E tu non riconosci più i soldati dai bambini - disse il vecchio.
Il sole stava calando, i lampioni del lungomare si accesero e illuminarono le chiome delle palme. Lontano si vide il balenare di un faro.
- Anche i segnali dei fari sono tutti diversi - disse il vecchio.
- Quello laggiù, per esempio...
- Non cambiare discorso - disse la morte, sfiorandolo con la mano. - Allora, cosa speri per il tuo misero futuro, vecchio?
Il vecchio guardò lontano.
- Spero di tornare ancora, insieme a mio figlio, in quel campo di girasoli - rispose.
- Ma non succederà, - disse la morte, spazientita - morirai e non succederà!
- Non ti arrabbiare - rise il vecchio. - Io morirò, è vero. Ma non puoi convincermi che non succederà. Non puoi niente contro questa speranza. Non c'entra la fede, né la paura. Neanche tu, qui vicino a me sulla Terra, sai cosa succederà.
La morte restò in silenzio.
- E bada, - continuò il vecchio - anche se io decidessi di morire, se mi togliessi la vita, neanche allora mi avresti tolto la speranza. Tornerò in quel campo, con mio figlio.
La morte rise amaramente e tirò un sasso nell'acqua. Il sasso affondò senza rumore. Poi si alzò in piedi, e il vento le fece volare via il cappellaccio. Era piena di rughe, assomigliava al pescatore.
- Ci vediamo domani, vecchio testardo. Ho lavoro sull'autostrada, stanotte.
- Vacci piano - disse il vecchio.
- Andate piano voi - disse la morte. Riprese il cappello, se lo calcò in testa e guardò il mare. Sospirò. Sembrava non avesse voglia di andarsene.
- E dov'è questo campo di girasoli? - chiese.
- Domani ti porto - disse il vecchio.

Stefano Benni (La Grammatica di Dio - Storie di solitudine e allegria - 2007 - Feltrinelli)

Il populismo che si nutre di ignoranza

Quando Obama vinse le elezioni, nel 2008, furono molti a esser convinti che una grande trasformazione fosse possibile, che con lui avremmo cominciato a capire meglio, e ad affrontare, un malessere delle democrazie che non è solo economico. La convinzione era forte in America e in Europa, nelle sinistre e in numerosi liberali. La crisi finanziaria iniziata nel 2007 sembrava aver aperto gli occhi, preparandoli a riconoscere la verità: il capitalismo non falliva. Ma uno scandaloso squilibrio si era creato lungo i decenni fra Stato e mercato. Il primo si era ristretto, il secondo si era dilatato nel più caotico e iniquo dei modi. Lo Stato ne usciva spezzato, screditato: da ricostruire, come dopo una guerra mondiale.

Le parole di Obama sulla convivenza tra culture e sulla riforma sanitaria annunciavano proprio questo: il ritorno dello Stato, nella qualità di riordinatore di un mercato impazzito, di garante di un bene pubblico minacciato da interessi privati lungamente dediti alla cultura dell'illegalità. Non era un'opinione ma un fatto: senza l'intervento degli Stati, le economie occidentali sarebbero precipitate. Un'economia non governata non è in grado di preservare lo Stato sociale riadattandolo, di tenere in piedi l'idea di un bene pubblico che tassa i cittadini in cambio di scuole, ospedali, trasporti, acqua, aria pulita, pensioni per tutti.

Quel che sta accadendo oggi non smentisce i fatti. Li occulta, li nega, con il risultato che i cittadini si sentono abbandonati, increduli, assetati di autorità che semplifichino le cose con la potenza del vituperio. Intervenendo per sanare il mercato, Stati e governi hanno adottato misure forse corrette ma il momento della verità l'hanno mancato, con il consenso delle opposizioni. Hanno mancato di dire che al mondo di ieri non torneremo, e che gli sforzi fatti oggi daranno frutti lentamente, perché lenta e lunga è stata la malattia capitalista. Di qui il dilagare di populismi di destra, in Europa e America, e la forza ipnotica che essi esercitano sulle opinioni pubbliche.

Prima ancora che la crisi finanziaria divenisse visibile fu l'Italia a negare i fatti, con Berlusconi e Lega. L'Italia è stato il laboratorio di forze che ovunque, oggi, sono in ascesa: in Belgio il Vlaams Belang (Interesse fiammingo), in Olanda il partito anti-islamico di Geert Wilders, in Ungheria il Fidesz, in Francia il Fronte di Marine Le Pen, in Finlandia i Veri Finlandesi.

Il rifiuto dello straniero, la designazione dell'Islam come capro espiatorio, la chiusura delle frontiere mentali prima ancora che geografiche: i populismi odierni si riconoscono in tutto questo ma la xenofobia non è tutto, non spiega la natura profonda della loro seduzione. All'origine c'è una volontà ripetitiva, sistematica, di non sapere, non vedere la Grande Trasformazione in cui stiamo entrando comunque. C'è una strategia dell'ignoranza, come sostiene il professore di linguistica Robin Lakoff, un desiderio di fermare il tempo: "L'attrattiva dei populisti scaturisce da un affastellarsi di ignoranze: ignoranza della Costituzione, ignoranza dei benefici che nascono dall'unirsi in sindacato, ignoranza della scienza nel mondo moderno, ignoranza della propria ignoranza" (Huffington Post, 30 marzo 2011).

Il vero nemico dei nuovi populismi è la democrazia parlamentare, con il suo Stato sociale e la sua stampa indipendente. Di qui le incongrue ma efficaci offensive antistataliste contro Obama, nel preciso momento in cui l'economia ha più bisogno dello Stato. Di qui il diffuso fastidio per la stampa indipendente, quando più ci sarebbe bisogno di cittadini responsabili, quindi bene informati. A tutti costoro i populisti regalano illusioni, cioè il veleno stesso che quattro anni fa generò la crisi. Ai drogati si restituisce la droga. Cos'è d'altronde l'illusione, se non un gioco (un ludus) che dissolve la realtà nelle barzellette sconce quotidianamente distillate dal capo? Cos'è il fastidio per la stampa indipendente, se non strategia che azzera la conoscenza dei fatti? Meglio una barzelletta del potente che una notizia vera sul potente.

L'Italia è all'avanguardia anche in questo campo: la concentrazione dell'informazione televisiva nelle mani di uno solo è strumento principe dell'ignoranza militante, e distraente. In Ungheria l'odio per la stampa impregna il partito del premier Viktor Orbán: le nuove leggi varate dal governo prevedono un'autorità di controllo sui mezzi di comunicazione, composta di cinque esponenti nominati dal partito di maggioranza. All'autorità spetta di verificare se la stampa è "equilibrata e oggettiva", di decidere multe o chiusure di giornali o programmi tv, di imporre ai giornalisti la rivelazione delle fonti se sono in gioco "la sicurezza nazionale e l'ordine pubblico".

Anche lo straniero come capro espiatorio è gioco d'illusione, feroce, con la realtà multietnica in cui già da tempo viviamo. Il fenomeno non è nuovo. Negli anni '20-'30, la Germania pre-nazista esaltò il Blut und Boden, il sangue e la terra, come fonte di legittimazione politica ben più forte della democrazia. Oggi lo slogan è imbellito - si parla di radicamento territoriale, davanti a una sinistra intimidita e plaudente - ma la sostanza non cambia. La brama di radici, ancora una volta, impedisce il camminare dell'uomo e lo sguardo oltre la propria persona, il proprio recinto. Consanguineità e territorio divengono fonti di legittimazione più forti della Resistenza.

Helsinki ladrona, Roma ladrona, Washington ladrona: si capisce da questo slogan (lo stesso in Finlandia, Italia, America) come l'anti-statalismo sia centrale. Come la xenofobia sia il sintomo più che la causa del male. Vedendo che la crisi perdura, le popolazioni hanno cominciato a nutrire un'avversione radicale verso l'idea stessa di uno spazio pubblico dove la collettività, tassandosi, difende i più deboli, i più esposti. I populisti non temono di contraddirsi, anzi. D'un sol fiato si dicono antistatalisti e promettono uno Stato controllore, tutore dell'etnia pura, normalizzatore delle coscienze e delle conoscenze.

I sondaggi sul successo del Tea Party, il movimento neoliberista Usa, lo confermano. La molla decisiva non è il razzismo: è il rigetto della riforma sanitaria di Obama, del principio dell'etica pubblica. L'etica pubblica mette tutti davanti alla stessa legge, perché nessun interesse privato abbia la meglio. Lo Stato etico dei populisti impone il volere del più forte: Chiesa, lobby, etnia. Lo chiamano valore supremo, non negoziabile. In realtà è puro volere: suprema volontà di potenza.

Come mai le cose sono andate così? Come mai Obama può perdere le elezioni? In parte perché i governi hanno sottovalutato l'enorme forza del risentimento. In parte perché non hanno spiegato quel che significa, nel mondo globalizzato, salvare il bene pubblico. Ma è soprattutto la verità che hanno mancato: sono quattro anni che descrivono la crisi come superabile presto, il tempo d'arrivare alle prossime elezioni. Obama stesso ha omesso di spiegarla nella sua lunga durata: come qualcosa che trasformerà le senescenti società occidentali, che le obbligherà a crescere meno e integrare giovani immigrati, se non vorranno scaricare i propri anziani come il vecchio capofamiglia sulla sedia a rotelle che i nazisti gettano dalla finestra nel Pianista di Polanski. Per paura elettorale i governanti celano la verità, e ora pagano il prezzo.

Anche l'Europa ha la sua parte di colpe. Gli strumenti li avrebbe: può usare l'articolo 7 del Trattato di Lisbona, contro le infrazioni antidemocratiche in Italia o Ungheria. Può costruire una politica dell'immigrazione, avendone ormai la competenza. Se non lo fa, è perché non guarda ad altro che ai parametri economici. Perché è indifferente all'ethos pubblico. Perché quando esercita un potere, subito se ne pente. Perché dimentica che anch'essa è nata nella Resistenza.

Nel momento in cui la sua fonte di legittimazione politica è usurpata (al posto della Resistenza: il radicamento territoriale) l'Europa ammutolisce. Ha vergogna perfino delle cose non sbagliate che ha fatto: del comportamento che ebbe nel 2000, ad esempio, quando i neofascisti di Haider divennero determinanti nelle elezioni austriache del '99. Non mancarono certo gli errori: troppo presto si usò l'arma ultima delle sanzioni, presto abbandonate. Ma anche se disordinatamente, l'Unione almeno reagì, s'inalberò. L'Austria fu costretta a riaprire ferite tenute nascoste, a discutere colpe sempre negate, e il suo volto cambiò. Se l'Unione è così invisa ai populismi vuol dire che potrebbe far molto, se solo lo volesse.

Barbara Spinelli (La Repubblica - 27 aprile 2011)

Afghanistan: una pace di carta

Meno male che ci sono i leghisti. Ai quali dei principi non frega niente, ma dei danee moltissimo. È il Carroccio che sta spingendo Berlusconi a ridimensionare la nostra partecipazione alle cosiddette “missioni di pace”. Ma il Cavaliere ha puntato il dito sull’obiettivo più sbagliato: sull’unica vera missione di pace decisa dall’Onu in questi anni, quella in Libano che interpone un contingente internazionale fra gli Hezbollah e Israele impedendo così a queste due comunità di massacrarsi a vicenda.

Ma i leghisti spingono da tempo anche per il ritiro dei nostri soldati dall’Afghanistan, la cui presenza ci costa 800 milioni di euro l’anno in un momento di emergenza e di grave crisi economica. Tanti per noi, anche se non paragonabili al miliardo di dollari degli Stati Uniti il cui debito pubblico sta per far saltare in aria il mondo intero.

La differenza fra la missione in Libano e quella in Afghanistan è palese. In Afghanistan la Nato sta facendo una guerra (nel nostro caso in evidente violazione dell’articolo 11 della Costituzione) e occupa un Paese da dieci anni. Quali sono stati i risultati di questa brillante operazione? Dovevamo, secondo le intenzioni, ricostruire un Paese che proprio noi, insieme ai sovietici, avevamo contribuito a distruggere e invece lo abbiamo definitivamente devastato, dal punto di vista materiale, economico, sociale e morale.

Durante il periodo talebano a Kabul vivevano un milione e duecentomila persone, oggi ce ne sono cinque milioni e mezzo. Basterebbe questo. La disoccupazione era all’8% oggi è al 40 e in alcune regioni all’80. L’artigianato locale è stato distrutto (adesso i burqa li fanno i cinesi). Nell’Afghanistan governato dai Talebani non c’era corruzione, oggi è endemica, nel governo, nelle autorità locali, nella polizia, nell’esercito e anche in parte nei contingenti internazionali. Ma la corruzione forse più devastante è quella della magistratura. Per avere una sentenza bisogna pagare, per averla favorevole bisogna strapagare. Tanto che gli afgani, anche quelli che non condividono la sharia, preferiscono rivolgersi ai tribunali talebani perchè in assenza di qualsiasi giustizia la loro è perlomeno una giustizia, sia pur spiccia.

Ashraf Ghani, un medico afgano che ha fatto il dottorato alla Columbia University, che ha insegnato otto anni a Berkley e alla John Hopkins, che è stato funzionario della Banca Mondiale, il più occidentalizzante dei candidati alle elezioni presidenziali del 2009 (una farsa: 35% di votanti, con decine di migliaia di elettori che hanno votato due o tre volte), e quindi non sospettabile di simpatie talebane, ha commentato amaramente: “Nel 2001 eravamo poveri ma avevamo la nostra moralità. Questa alluvione di dollari ha distrutto la nostra integrità”. Nel 2000 il Mullah Omar aveva bloccato la coltivazione del papavero e la produzione di oppio era crollata quasi a zero. Adesso l’Afghanistan produce il 93% dell’oppio mondiale.

Oggi tutti gli afgani, non solo i Talebani, pashtun, tagiki, uzbeki, hazara, gente delle campagne, uomini e donne colti della città, vogliono una cosa sola: che le truppe straniere se ne vadano. Se il terrorismo internazionale ha avuto, con Bin Laden, una sua base in Aghanistan, oggi con tutta evidenza sta da altre parti. E allora perché ci ostiniamo a rimanere in quel Paese a farci ammazzare e ad ammazzare gente (60 mila morti civili) che non ci ha fatto niente di male e mai ce ne farebbe se non pretendessimo di stare in armi sulla loro terra?

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2011)

Due nani politici al di sotto di ogni sospetto

Ci sono nani politici al di sotto di ogni sospetto. Vale per loro il testo di una canzone di Fabrizio De Andrè: "Hanno il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo".
"C'è qualcuno che si ricorda quel bellissimo film degli anni 70, "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto"? Un potente ispettore di polizia uccide la sua amante e dissemina la scena del delitto di molte prove che possono incastrarlo, per provare a sè stesso e agli altri che il potere non si fa processare e condannare. E anche dopo che ammette il suo delitto tutti fanno a gara nel far finta di niente. Chissà perchè, ma mi è venuto in mente subito dopo la conferenza stampa dei due nani..." liliana g., roma

Blog Beppe Grillo

martedì 26 aprile 2011

Genchi: colpevole per non aver commesso il fatto

Buongiorno a tutti, vorrei cominciare leggendovi due righe da un documento che risale a 32 anni fa “oggi 29 gennaio 1979 alle ore 8,30 il gruppo di fuoco Romano Tognini Valerio dell’organizzazione comunista Prima Linea ha giustiziato il sostituto Procuratore della Repubblica Emilio Alessandrini, uno dei magistrati che maggiormente ha contribuito in questi anni a rendere efficiente la Procura della Repubblica di Milano nel tentativo di ridare credibilità democratica e progressista allo Stato”.

Thyssenkrupp: una sentenza storica -Questo è il volantino con cui i terroristi rossi di prima linea rivendicavano l’assassinio del Pubblico Ministero Alessandrini, sostituto Procuratore a Milano che stava indagando sulla strage nera di Piazza Fontana. Perché dei terroristi rossi ammazzano un magistrato, tra l’altro esponente delle correnti progressiste della Magistratura che sta indagando su una strage neofascista? Perché lo spiegano bene, per i suoi meriti, perché è uno dei magistrati che maggiormente hanno contribuito in questi anni a rendere efficiente la Procura della Repubblica di Milano e a ridare credibilità democratica e progressista allo Stato, colpivano i magistrati bravi, onesti e li colpivano non per i loro errori o per i loro demeriti, ma per i loro meriti. La stessa cosa sta avvenendo oggi, soltanto che a colpirli non è più un’organizzazione terroristica che si propone di sovvertire lo Stato, ma è un Presidente del Consiglio che sta sovvertendo lo Stato e che sta facendo alle istituzioni dello Stato molti più danni di quelli che hanno fatto i terroristi delle Brigate Rosse che involontariamente finirono per rafforzare le istituzioni e per conservare ai loro posti anche dei politici che invece avrebbero dovuto andarsene, proprio perché lo Stato fece fronte comune contro il terrorismo negli anni della solidarietà nazionale, oggi l’insidia è molto, molto maggiore e più pericolosa proprio perché le armi non sono più i mitra, ma sono le parole, le leggi, i proclami televisivi, i comizi, le istituzioni piegate agli interessi privati, non c’è nessuno di autorevole che lanci l’allarme, il Quirinale almeno mentre sto parlando tace e tutte le altre istituzioni che dovrebbero intervenire, tacciono a loro volta, protestano i magistrati, ma come al solito sembra una guerra personale, tra loro e Berlusconi, protestano poco per la verità le opposizioni che non hanno ancora preso l’iniziativa che avrebbero dovuto prendere, quella di abbandonare in blocco un Parlamento comprato e venduto per interessi privati, i grandi giornali, a parte rare eccezioni fanno i pesci in barile e fanno finta di non vedere e parlano di scontro mentre c’è un’aggressione direi senza precedenti perché è semplicemente l’ultimo episodio di tanti altri, ma un’aggressione forsennata, forse la battaglia finale, ultima spallata contro l’unico potere di controllo che con tutti i suoi limiti e i suoi difetti ci rimane e cioè il potere giudiziale, è interessante vedere che ancora una volta non vengono attaccati i magistrati fannulloni, i magistrati corrotti, i magistrati inefficienti, vengono attaccati esattamente come da parte dei terroristi 32 anni fa, i magistrati migliori, quelli delle Procure di Milano, di Palermo e adesso vedrete che partirà un attacco anche a Torino, perché a Torino, proprio nel giorno in cui a Milano venivano fuori questi orribili manifesti fuori le BR dalla Procura, a Torino un grande magistrato, Raffaele Guariniello otteneva da una grande Corte di Assise una sentenza memorabile in cui si condannano i vertici di un gruppo multinazionale tedesco la Thyssen Krupp, per avere scientemente messo a rischio la vita dei loro lavoratori nello stabilimento di Torino, dando origine a quel rogo stragista che ne eliminò, se non erro, 7. Il N. 1 della Thyssen Krupp è stato condannato a 16 anni e attenzione non per il solito reato di omicidio colposo con cui ce la si cava sempre con qualche anno, da cui poi detraendo indulti, attenuanti condizionali etc. gli imprenditori assassini la fanno sempre franca e non vanno in galera, condannato a 16 anni di reclusione per omicidio volontario, avete letto sui giornali, avete sentito in televisione, volontario con dolo eventuale, cosa vuole dire? Vuole dire che sapere che gli impianti antincendio non sono a norma e non fare nulla per metterli a norma, per risparmiare qualche migliaio di Euro, perché questa è la ragione per cui sono morti gli operai della Thyssen Krupp, significa ammazzare gli operai, accettando il rischio, ecco il dolo eventuale, che gli operai possano lasciarci la vita e questo equivale a una volontà, a un dolo e quindi omicidio volontario con dolo eventuale e questa è una sentenza pilota e naturalmente adesso sta mettendo il terrore, la Confindustria non ha perso occasione per schierarsi dalla parte dei condannati e per strillare contro la presunta esagerazione della pena. La pena è il minimo che potesse toccare ai responsabili di una strage dove sono morte molte persone, a causa della colpevole, dolosa incuria dei vertici della Thyssen Krupp, il fatto che l’organizzazione sindacale degli imprenditori italiani invece di scomunicare coloro che tradiscono la legge e mettono a repentaglio la vita dei loro lavoratori, solidarizzi con loro, la dice lunga sul culo sporco degli imprenditori italiani che si fanno rappresentare da gente così! La dice lunga sul fatto che non si possono permettere che altre sentenze del genere vengano emesse e quindi strillano e quindi anche loro cercano di intimidire la magistratura, visto che ci sono altri processi aperti per altre stragi sul lavoro, che si spera sull’esempio di questa sentenza, potranno imboccare quando ne ricorreranno i presupposti giuridici, la stessa strada e cioè quella non dell’omicidio colposo, involontario, ma quello dell’omicidio volontario con il dolo eventuale e nel momento in cui i magistrati vengono definiti brigatisti, terroristi, cellule rosse, eversori, associazione per delinquere, dalla più alta carica di governo, purtroppo l’abbiamo sul groppone, è bene sapere da quale parte stare, dalla parte dei magistrati che hanno visto tanti loro colleghi cadere negli anni del terrorismo, mentre Berlusconi si faceva proteggere dalla mafia, non dimentichiamo mai e mentre altri magistrati si facevano corrompere da Berlusconi tramite l’Avvocato Previti, non dimentichiamolo mai!

Genchi mazziato e assolto - Ciò premesso non ho nessuna intenzione, l’ho già detto la settimana scorsa, di inseguire questo squilibrato nei suoi deliri, essi sì, eversivi e terroristici, ma vorrei darvi una notizia che, salvo Il Fatto Quotidiano e qualche trafiletto e altri giorni nessuno ha dato, credo neanche i telegiornali che pure a suo tempo si occuparono a lungo del presunto scandalo da cui poi era scaturito quel processo.Mi riferisco alla sentenza che è stata emessa mercoledì a carico di Gioacchino Genchi, sapete voi del blog di Beppe, voi del sito del Fatto, voi che leggete Il Fatto chi è Gioacchino Genchi, quest’ultimo è il poliziotto, il consulente informatico di decine e decine di tribunali, Procure, Corti di Assise e Corti di Appello che da 25 anni ormai mette la sua intelligenza e la sua competenza tecnica al servizio delle indagini, mai al servizio di parti private, sempre al servizio della magistratura, per fare luce su stragi, omicidi di mafia, vicende di mafia politica e che per questo dopo avere collaborato con Luigi De Magistris in una delle tante indagini alle quali ha collaborato a Catanzaro, è stato fucilato con i mezzi moderni, con le televisioni, con i giornali, con le penne assassine che si aggirano non informazione, nella disinformazione italiana e che l’altro giorno fortunatamente ha trovato un giudice che lo ha assolto. Lo ha assolto dall’accusa di accessi abusivi Genchi ha due processi: uno è ancora in corso, l’altro è quello che si è chiuso mercoledì in primo grado con la sua piena assoluzione e attenzione, non perché il fatto non costituisce reato ma è stato commesso, oppure perché il fatto non costituisce più reato perché è stato depenalizzato, neanche per insufficienza di prove, è stato assolto perché l’accusa non stava in piedi e come nascono le accuse a Gioacchino Genchi? Forse è interessante andare a ripescare la genesi di questi processi perché è una genesi politica, la Procura di Roma aprì indagini su Gioacchino Genchi dopo una campagna martellante di attacchi a Genchi, in cui politici di quasi tutti i partiti, tranne uno, il solito, non lo nomino altrimenti dico poi che faccio pubblicità, ma è cronaca, tutti i partiti politici di destra e di sinistra, tranne uno attaccarono Genchi. Era il gennaio 2009, per la precisione il 24 gennaio 2009, Silvio Berlusconi Presidente del Consiglio terrorizzato in quel momento dalla possibile uscita di certe telefonate che minacciavano di svelare retroscena dei suoi rapporti con alcune signorine, poi diventate ministre, annunciava in televisione “sta per scoppiare uno scandalo enorme, il più grande della storia della Repubblica, c’è un signore che ha spiato 350 mila persone” il signore in questione era naturalmente Gioacchino Genchi, erano i giorni in cui si bombardava a reti e edicole unificate sul caso Genchi, l’archivio Genchi, Genchi ha sospettato di avere accumulato milioni di tabulati, di numeri di telefono, di intercettazioni telefoniche e era sospettato addirittura di usare quell’enorme archivio informatico per ricattare di qua e di là, tant’è che del caso si occupo il Copasir, il comitato per il controllo sui servizi di sicurezza, il comitato parlamentare bicamerale, all’epoca presieduto da Rutelli e oggi presieduto da Massimo D’Alema, Massimo D’Alema non c’era ancora. A ruota tutti i garantisti a gettone o a intermittenza, quelli che intervengono solo quando c’è di mezzo il loro padrone o uno dei loro padroni, si misero a strillare all’unisono con il Cavaliere per dire che quello di Genchi era uno scandalo mai visto. Maurizio Gasparri capogruppo del Pdl disse “roba da Corte Marziale” la Corte Marziale è il Tribunale speciale dinanzi al quale si trascinano i soldati che commettono dei crimini durante le guerre, finiscono davanti alla Corte Marziale e poi vengono fucilati, questo disse Gasparri. Rutelli per non essere da meno all’epoca stava nel PD, poi si è messo improprio, disse che quello di Genchi era un caso molto rilevante per la libertà e per la democrazia. Cicchito disse “siamo di fronte a un’inquietante Grande Fratello” e non si riferiva al Grande Fratello di Canale 5, si riferiva al Grande Fratello di Orwell al mostro spionistico che controlla tutto e tutti nelle dittature. Lanfranco Tenaglia ex Magistrato del PD disse “vicenda grave”. Italo Bocchino ancora nel Pdl e non ancora diventato antiberlusconiano disse “è il più grande caso di spionaggio della storia repubblicana”. Clemente Mastella che da anni martellava Genchi, chiamandolo addirittura Licio Genchi lo definì quella volta “un pericolo per la democrazia” e Luciano Violante del PD disse che era un fatto intollerabile e Gaetano Quagliariello del Pdl disse “scenario inimmaginabile e preoccupante per la sicurezza dello Stato” Genchi era un nemico delle istituzioni, da respingere probabilmente a cannonate. Giuseppe Caldarola ex PD che scrive su Il Riformista disse “spioni deviati spiano migliaia di cittadini, il Parlamento e il governo” e Luigi Zanda del PD disse che Tavaroli e Genchi presentavano diverse analogie, chi è Tavaroli? E’ il capo della Security privata della Telecom, arrestato per avere accumulato dossier per conto dei vertici della Telecom, mentre Genchi lavora per conto di un’entità che si chiama Stato italiano, giustizia italiana, fa niente, Tavaroli e Genchi tante analogie! I giornali si scatenano, non tutti naturalmente, i principali, La Stampa e Il Corriere titolano “un italiano su 10 nell’archivio di Genchi” gli italiani sono 60 milioni, quindi Genchi avrebbe nei suoi archivi dossier su 6 milioni di italiani, pensate quanto deve essere enorme la sede degli uffici di Genchi per contenere 6 milioni di schedature, forse è grossa come il Pentagono, come la sede della Cia. Il Giornale “il grande orecchio, miniera d’oro” Libero “l’intercettatore folle” Pierluigi Battista Corriere della Sera “lugubre monumento alla devastazione della privacy, nuvola potenzialmente ricattatoria” questo è una piccola antologia di quello che fu detto e fu scritto quando scoppiò il caso Genchi. La Procura di Roma, sempre molto sensibile agli umori della politica, pensò bene di fare cosa gradita aprendo indagini e processi a carico di Genchi. Uno, quello ancora in corso, riguarda l’accusa a Genchi di avere, abuso d’ufficio, accumulato ai tempi dell’indagine Why not?, una serie di dati su cellulari intestati a parlamentari, sapete che i parlamentari non possono essere intercettati e non si può neanche acquisire informazioni sul traffico telefonico che compare nei tabulati telefonici, il tabulato è l’elenco delle telefonate che partono e arrivano a una certa scheda associata ovviamente a un telefonino e così si capisce chi telefona a chi, per quanto tempo, da dove parte la chiamata, non si sa naturalmente chi viene chiamato prima, chi viene chiamato dopo, ci sono le sequenze, gli incroci è questo che fa Genchi, non c’è il contenuto delle chiamate, ma naturalmente si può desumere dalla frequenza di certe chiamate anche il rapporto di intimità che c’è tra il chiamante e il chiamato e quindi questi dati sensibili a carico dei parlamentari non possono essere acquisiti perché il parlamentare ha l’immunità, salvo che il Parlamento autorizzi il magistrato a acquisire queste intercettazioni e questi tabulati. Altra cosa, naturalmente, lo sappiamo benissimo, è se la voce del parlamentare viene intercettata mentre si controlla il telefono di un altro che parla con il parlamentare, in quel caso si parla di intercettazioni in diretta e è perfettamente legittima, ma per usarla contro il parlamentare, ci vuole comunque il permesso del Parlamento, lo stesso vale per i tabulati, naturalmente quando è che chiedi il permesso al Parlamento di poter usare i tabulati di un parlamentare? Quando inizia il processo perché è durante il processo che si fa un uso penale di certa documentazione. Ma in ogni caso per mandare al Parlamento la richiesta di autorizzazione all’uso dei tabulati acquisiti, bisogna prima sapere che quei tabulati appartengono a un numero di telefono in uso a un parlamentare e come mai a sapere se un telefono lo usa un parlamentare o un normale cittadino? Mica lo individui dal prefisso, l’utente della scheda e del cellulare, quante volte uno si imbatte in un numero di telefono e come fa a riconoscere un telefono di un parlamentare dal telefono di un cittadino normale? Il prefisso è sempre lo stesso, non è che ci sono dei prefissi particolari per i parlamentari, soltanto quando sviluppi, vedi da dove partono le telefonate, vedi dove arrivano, puoi desumere che c’è un parlamentare, quindi li devi giustamente acquisire presso le compagnie telefoniche e soltanto dopo che hai cominciato a lavorarci, quindi a usarli, puoi capire che c’è un parlamentare dietro a quel numero, anche perché spessissimo sono intestati a società, altri sono intestati direttamente alla Camera, altri sono intestati direttamente addirittura a Ministeri, quindi come fai a sapere se un telefono intestato a un Ministero o a uno dei due rami del Parlamento è in uso a un segretario, a un usciere, a un agente della scorta, a un funzionario, a un dirigente, o se è in uso proprio al Ministro o al parlamentare? Devi fare delle indagini e questo è quello che hanno fatto De Magistris e Genchi e Genchi, come del resto De Magistris si trovano indagati per avere acquisito e usato tabulati di parlamentari, come se dotati di virtù divinatorie, potessero loro immaginare e già sapessero che i numeri di cui chiedevano alla Tim o alla Vodafone o a altri gestori il tabulano, erano intestati a parlamentari, è un processo totalmente incredibile, folle, paradossale, si pretende che il magistrato e il suo consulente siano lo spirito santo, riescano a individuare dal solo numero telefonico se appartiene o non appartiene a un parlamentare.

Tante inchieste, stesse ombre - E’ un processo folle che credo finirà nel nulla anche per una semplice ragione: l’abuso in atti d’ufficio è stato riformato nel 1997 dal Parlamento italiano, una legge tra l’altro vergognosa, votata da quasi tutti i partiti, in questo modo: per essere ancora reato l’abuso d’ufficio, l’abuso commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, deve contenere una finalità patrimoniale, ci devi guadagnare dall’abuso che fai. Se per esempio favorisci un tuo parente, la tua fidanzata, tua moglie, tuo figlio, un amico, un compagno di partito che poi ti dà in cambio un tornaconto, allora c’è l’abuso di ufficio patrimoniale, se invece fai semplicemente un atto abusivo, ma non c’è finalità patrimoniale, un atto illegale, illecito, indebito e non c’è una finalità patrimoniale, l’abuso d’ufficio non è più reato, allora anche se per assurdo e come dico è un assurdo, Genchi e De Magistris avessero disposto indebitamente l’acquisizione di quei tabulati perché già sapevano, preveggenti che i tabulati erano di telefoni intestati a parlamentari, il reato di abuso d’ufficio non può scattare perché? Perché non è che De Magistris o Genchi ci hanno guadagnato qualcosa patrimonialmente ad acquisire dei tabulati di parlamentari al massimo hanno avuto degli elementi in mano per indagare che non avrebbero potuto avere e che naturalmente se si fosse arrivati al processo, sarebbero stati immediatamente dichiarati nulli e inutilizzabili, in quanto acquisiti non secondo la legge, ma contro la legge, quindi anche se avessero fatto ciò di cui sono accusati, né Genchi, né De Magistris potrebbero mai rispondere di un reato che è iscritto completamente in maniera diversa da come invece sono andate le cose in quel caso, ma questo processo è ancora in corso e quindi si vedrà come andrà a finire davanti al Tribunale di Roma. Invece l’altro processo nato da quella campagna forsennata contro Genchi, nemico dello Stato, nemico della Repubblica, nemico della democrazia, eversore, spione, ricattatore, raccoglitore di dossier e chi più ne ha, più ne metta, si è concluso mercoledì scorso, assoluzione piena, il più grave scandalo della storia della Repubblica come lo definì Berlusconi, per metà si è già sgonfiato ma nessuno naturalmente ha chiesto scusa a Genchi, nessuno di quelli che hanno detto o scritto quelle puttanate che vi ho letto prima, ha fatto retromarcia, ha ammesso di essersi sbagliato, ha detto di non farlo più, ha rimediato con articoli riparatori, chissà per esempio Pierluigi Battista se ci farà la grazia di riconoscere che non c’era nessun lugubre monumento alla devastazione della privacy, nuvola potenzialmente ricattatoria nel caso Genchi o quei giornali come Il Corriere e La Stampa che titolarono “un italiano su 10 nell’archivio Genchi” o altre scemate di quelle dimensioni, cosa ha stabilito il giudice? Che Genchi è innocente, parola del Gup, del Tribunale di Roma Marina Finiti dall’accusa di accesso abusivo alla banca dati Siatel, quale era l’accusa? Che Genchi abbia interpellato abusivamente gli archivi informatici della Siatel per acquisire informazioni su Giorgio Riolo e Maddalena Carollo, chi sono? Giorgio Riolo è quel Maresciallo del Ros dei Carabinieri che fu accusato insieme a un altro, a Ciuro di essere una delle talpe nella Dda di Palermo e che fu poi arrestato e condannato in Cassazione, Maddalena Carollo era l’intestataria di una scheda telefonica che era stata fornita a Totò Cuffaro, questa era una prestanome, non si sa neanche se consapevole o meno, di quelle schede telefoniche che usava Cuffaro, sperando di non essere intercettato e chi gliele aveva date quelle schede “sicure” a Cuffaro, una delle quali intestata a questa Maddalena Carollo? Gliele aveva date Francesco Campanella, il mafioso legatissimo a Provenzano che faceva anche nei ritagli di tempo, il Presidente del Consiglio Comunale di Villa Abbate e era anche il leader dei giovani nazionali dell’Udeur, era il capo dei giovani mastelliani a livello nazionale, poi si è rivelato essere un mafioso, era quello che aveva procurato i documenti falsi a Bernardo Provenzano per la sua trasferta ospedaliera a Marsiglia per l’operazione alla prostata, poi è diventato collaboratore di Giustizia e è finito in galera. Campanella fornisce a Cuffaro questa scheda “sicura” sicura fino a un certo punto perché poi viene smascherata nelle indagini proprio grazie alla capacità tecnica di Gioacchino Genchi e scopre che quella scheda era in uso a Cuffaro, vedete com’è difficile risalire al reale utente di un numero telefonico? Questo numero telefonico era intestato a questa Maddalena, era stato fornito da Campanella a chi? Al governatore della Regione Sicilia, immaginate quante indagini per riuscire a capire la trafila, per riuscire a capire alla fine chi era che faceva le telefonate con quella scheda. La scheda GSM serviva a coprire i contatti telefonici con Riolo e stiamo parlando, quindi, dell’inchiesta sulle talpe, un’inchiesta molto importante a cui Genchi, come a tante altre aveva collaborato, l’accusa si è rivelata infondata, assolto, interessante però capire perché ce l’avevano tanto con Genchi per avere lavorato così bene in quell’inchiesta? Il perché lo potete capire anche voi, ci sono personaggi legati all’Udc , Cuffaro, al centro-destra sempre Cuffaro che poi è passato infatti con Berlusconi, giusto in tempo prima di finire in galera e anche a esponenti deviati delle forze dell’ ordine e l’inchiesta era nata da un rapporto del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Stefano Crociata e del Colonnello del Ros Pasquale Angelo Santo, lo scandalo Genchi monta mentre Genchi scrive, Antonio Massari su Il Fatto, sta collaborando con De Magistris nell’inchiesta Why not?, Genchi ha ricostruito un’anomala fuga di notizie nell’inchiesta Poseidone e in questi suoi report investigativi scrive “è dalle indagini sulla strage di Capaci che non provavo un simile imbarazzo” infatti Genchi che si era occupato anche dalle indagini sulla strage di Capaci lavorando per De Magistris, sospetta che la talpa, questa volta, sia il diretto superiore di De Magistris, il Procuratore capo che guarda un po’ la combinazione, dopo un po’ sottrae l’inchiesta Poseidone a De Magistris, sottrazione illegale scopriranno poi i magistrati di Salerno che dopo averlo scoperto verranno a loro volta trasferiti lontano da Salerno dal Csm e quindi anche l’inchiesta Why not?, poco dopo viene sottratta, sempre illegalmente secondo Salerno a De Magistris. Nel marzo 2009 lo studio di De Magistris viene perquisito dal Ros e i giornali in quell’occasione, siamo con singolare tempismo, il 24 gennaio 2009 Berlusconi urla che sta per scoppiare il più grave scandalo della storia della Repubblica italiana, quindi quegli ultimi 60 anni, due mesi dopo uomini del Ros, bisogna sempre parlare di uomini del Ros perché il Ros è una cosa grossa, seria e importante, il reparto operativo speciale dei Carabinieri, all’interno del Ros ogni tanto ci sono alcuni tipetti mica male, due mesi dopo la sparata di Berlusconi parte il Ros e va a perquisire il maxiarchivio, come veniva definito dai giornali, quello con 6 milioni di dati, su 6 milioni di persone a Palermo e nei giornali si scrive che il maxiarchivio illegale di Genchi sono state intercettate milioni di persone e il Ministro Alfano lo definisce un grave pericolo per la sicurezza della Repubblica, naturalmente l’assoluzione dell’altro giorno, dimostra che Genchi tutto quello che ha fatto lo ha fatto nell’assoluta legalità, anzi ogni volta che Genchi fa un accertamento peritale, lo fa su mandato scritto del magistrato, non è che si inventa le cose da fare, tutti gli incarichi peritali del consulente tecnico del PM devono essere richiesti per iscritto, in modo che non resti nulla di misterioso, tutto documentato. Nel frattempo Genchi, lo sapete, un mese fa, è stato cacciato dalla Polizia di Stato per ordine del Capo della Polizia Manganelli, anche lì su richiesta pressante di molti politici che se lo volevano levare di torno e è stato destituito dalla Polizia, è la sanzione più pesante ovviamente, gli hanno levato i gradi e l’hanno buttato fuori, è un trattamento che non hanno subito neanche i poliziotti aguzzini, condannati per le violenze al G8 di Genova o condannati per altri episodi di sevizie e di torture, Genchi che non ha mai torto un capello a nessuno, ma ha fatto solo quello che gli chiedevano i magistrati, e l’ha fatto bene, è stato destituito dalla Polizia , quindi non è più un poliziotto, nel suo blog su Ilfattoquotidiano.it scrive “si è conclusa alle 15,15 un’udienza preliminare del processo a mio carico tenuta dal Gup Marina Finiti, il processo è stato aperto per i presunti accessi abusivi alla Siatel oggetto delle contestazioni della Procura di Roma, formulate nel marzo 2009, sempre 2 mesi dopo la sparata di Berlusconi in contestualità con la perquisizione del Ros, con la perquisizione e il sequestro del mio archivio. Alla base delle indagini il rapporto del direttore dell’agenzia delle entrate e gli accertamenti del Ros. Mi erano state contestate le attività di accertamento nei processi più importanti degli ultimi anni, tra questi interrogazione, interpello di quella banca dati relativa al nominativo del Maresciallo del Ros, anche esso, Giorgio Riolo, poi arrestato e condannato dalla Cassazione come talpa nella Dda di Palermo e quello su Maddalena Carollo, la fantomatica intestataria della scheda GSM coperta fornita all’allora Presidente della Regione Cuffaro da Francesco Campanella, per i contatti riservati con Riolo e con un altro ex Maresciallo dei Carabinieri, poi entrato in politica credo nell’Udc Massimo Zucchelli. Grazie alla difesa dell’Avvocato Fabio Repici, ci scrive sempre Gioacchino Genchi, ho dimostrato la legittimità di tutti gli accessi alla Siatel, necessari per l’identificazione dei soggetti poi indagati e condannati per gravissimi reati, dall’omicidio alla strage, dal traffico di stupefacenti alla mafia, dai vari tribunali e Corte d’Assise che avevano utilizzato le risultanze del mio lavoro in quasi tutta Italia, dove una breve camera di consiglio di pochi minuti e dopo un calvario giudiziario di oltre due anni, il Gup Marina Finiti ha pronunciato la sentenza “il fatto non sussiste”. Ormai anche i bambini, commenta Genchi, hanno capito che la montatura del cosiddetto caso Genchi dopo le anticipazioni del Presidente del Consiglio Berlusconi che mi aveva definito il più grande scandalo della storia della Repubblica, serviva solo a bloccare la mia collaborazione con l’autorità giudiziaria nelle più importanti inchieste che si stavano facendo in Italia, nonostante tutto non ho mai perso la mia fiducia nella giustizia, mi sono presentato al Giudice e mi sono fatto processare come loro volevano, la cosa che mi rende più orgoglioso è che anche il Pubblico Ministero di udienza che non è lo stesso evidentemente che aveva fatto quella meravigliosa indagine, la Dott. Ssa Maria Cristina Palaia ha chiesto la mia assoluzione con formula piena.” Sapete qual è il risultato? Il risultato è che Genchi non è più poliziotto in seguito alla campagna di diffamazione e di calunnia e ha perso, anche da privato cittadino, consulente tecnico, titolare di una società specializzata in consulenze tecniche delle procure, gran parte delle sue consulenze, perché? Perché ci vuole un bel coraggio da parte dei magistrati a affidare ancora le consulenze tecniche di indagine a uno che è indagato e addirittura imputato a Roma per avere violato la legge, quindi Genchi ha perso molto del suo lavoro, da un lato ha perso il lavoro in Polizia e dall’altro ha perso il lavoro che svolgeva in aspettativa della Polizia di consulente tecnico di moltissime procure e tribunali. Dico questo non perché pensi che ci sia stato un complotto a danno di Genchi, c’è stata una campagna violentissima della politica, quasi concentrica, c’è stata un’indagine sbagliata della Procura di Roma, forse per compiacere i politici, questo non lo so perché è un processo alle intenzioni, lo penso, penso che sia stata per compiacere tutti quei politici che lo volevano sotto indagine, ma nessuno di tutti quelli che parlano di errori giudiziari, di quelli che ogni volta che viene o prescritto o magari assolto con varie formule tutt’altro che limpide un potente, urlano subito: e adesso chi paga? Chiedetegli scusa, restituitegli quello che gli è stato tolto, gli avete rovinato la vita, caso Tortora! Questo non è un caso Tortora perché per fortuna Genchi non è mai stato arrestato e per fortuna gode anche ottima salute, ma certamente ha subito un danno nella sua reputazione, ha subito un danno nel suo lavoro e ha subito un danno anche nel suo orgoglio perché immaginate un poliziotto che vede continuare a far carriera in Polizia gente condannata per avere torturato ragazzi innocenti, tipo quelli del G8, che si vede invece lui cacciato dalla Polizia, dopo avere servito né più e né meno lo Stato italiano per tutti questi anni, forse meriterebbe qualche articoletto, forse meriterebbe le scuse di qualcuno e forse chi, con tanta leggerezza parla di errori giudiziari quando riguardano sé stesso, dovrebbe cominciare a rendersi conto che i processi si fanno per vedere se uno è colpevole o è innocente, quando poi si stabilisce che tizio era innocente, bisogna andare a vedere come era nata l’indagine, perché ci sono molte indagini che nascono quando sembra che veramente uno potrebbe essere il colpevole e poi durante il corso del procedimento si scopre che invece, magari non lo era, a questo serve la giustizia, questa però non è un’indagine nata quando sembrata che Genchi avesse commesso dei reati, perché lo si sapeva benissimo anche nel gennaio 2009 quando Berlusconi lo definì il più grave scandalo della storia repubblicana che Genchi non aveva commesso nessun reato, bastava andare a vedere le carte. Andatevi a prendere i passaparola, gli articoli che abbiamo scritto nel 2008/2009 quando partì l’attacco a Genchi in simbiosi con l’attacco a De Magistris, in simbiosi con l’attacco ai PM di Salerno Nuzzi e Verasani e Apicella che stavano indagando sul complotto, quello sì, che aveva portato a espropriare De Magistris delle sue inchieste a Catanzaro e vi renderete conto che c’erano già allora gli strumenti per capire dove stava la verità, poi non discuto, uno può anche aprire un’indagine e dopo 3 anni non presentarsi in udienza, mandarci un altro che chiede l’assoluzione dell’indagato, fa parte della fisiologia, ma se non ci fosse stato quel fuoco di sbarramento concentrico contro Genchi, probabilmente quell’indagine non sarebbe mai iniziata, probabilmente Genchi sarebbe ancora in Polizia, probabilmente continuerebbe a essere il consulente di gran parte delle Procure dei tribunali per la semplice ragione che è bravo e ci azzecca e bisognerebbe anche interrogarsi su un’altra cosa: ma se per farlo fuori hanno impiegato quell’enorme dispendio di energie e di balle, cosa c’era che non doveva saltare fuori nelle inchieste Why not?, Poseidone e limitrofe? Guardate che nelle indagini che sono state strozzate sul nascere dopo che le hanno tolte dalle mani di De Magistris e di Genchi e anche di altri che lavoravano lì, che lavoravano in quell’indagine nazionale a De Magistris, c’erano personaggi che guarda un po’, sono venuti fuori in altre indagini! Alcuni sono venuti fuori nelle indagini sulla cricca della protezione civile, altri sono venuti fuori nelle indagini sulla P3 che hanno portato a indagare e/o a arrestare Carboni, Lombardi, Verdini, Dell’Utri, quella nuova Loggia P2 aggiornata ai giorni d’oggi e un altro personaggio sul quale stavano lavorando nell’indagine "Why not?", Luigi Bisignani già piduista, già pregiudicato per la maxitangente Enimont, ora di nuovo attenzionato dalla Procura di Napoli nell’indagine di Woodcock. Erano tutti personaggi che evidentemente fino a 3 anni fa erano molto ben coperti, al punto che appena qualche Magistrato si avvicinata o qualche consulente si avvicinava a loro e ai loro telefoni saltava immediatamente in aria, forse l’indagine Why not? e l’indagine Poseidone attendono ancora di essere scritte e sappiamo esattamente per colpa di chi non hanno potuto arrivare fino in fondo e sappiamo anche che, per non farle arrivare fino in fondo si è fatta strage dei diritti della reputazione dell’immagine dell’orgoglio, onestà, della carriera lavorativa di persone come Gioacchino Genchi, passate parola.

Marco Travaglio (Passaparola del 18 aprile 2011)


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Monte Pellegrino visto da casa natia di Acqua dei Corsari

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