"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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venerdì 26 luglio 2019

Palermo, lì 26 luglio 2019 - TG3 RAI e TG nazionali: Cronaca giudiziaria cittadina



Un recente blitz della Polizia attuato a Palermo ha fermato un’organizzazione malavitosa dedita allo spaccio di droga pesante.
La particolarità dell’organizzazione criminale era quella d’assicurare “H24” la consegna di cocaina. Sembrerebbe che tramite dei telefonini sempre accesi i pusher dovevano tenersi pronti per la consegna tempestiva al domicilio dei richiedenti.
Dall’operazione è emerso anche un altro fatto importante e non trascurabile, ovvero che la clientela da soddisfare apparteneva a tutte le classi sociali e i domicili della stessa erano equamente diffusi nell’intero territorio cittadino.
Il fatto di per sé sembrerebbe riguardare una questione d’indagine di Polizia, volta a debellare lo smercio di sostanze stupefacenti illegali, in realtà la notizia più importante sarebbe quella della diffusione capillare di un uso di cocaina da parte di soggetti di diverso genere e appartenenti a fasce sociali variegate, ubicate in un’area territoriale diffusa nell’intero comprensorio di Palermo.
Qualche tempo fa, un’analoga operazione aveva messo in luce l’utilizzo diffuso e il relativo spaccio che andava ad interessare una moltitudine di professionisti che operavano, anche in quel caso, a Palermo, ma specificatamente nell’ambito giudiziario.
L’operazione di questi giorni evidenzia invece la portata molto più vasta del fenomeno.
Ne deriva che la dipendenza da cocaina è molto più diffusa di quanto si potesse immaginare e che tutte le fasce di popolazione risultano in parte interessate al problema.
Se ne deduce che nel palermitano navigano quindi, con ruoli contrapposti una massa di drogati e delle organizzazioni criminali che si fanno concorrenza per soddisfare “H24” le esigenze di tossici. Non occorre aggiungere altro.
Gli elementi del quadro, infatti, appaiono abbastanza sufficienti per capire il grado di stordimento/torpore che tende ad attanagliare parte del contesto sociale con cui ci ritroviamo a convivere.
Confusione e dipendenza che, certamente, condizionano anche le regole nello svolgimento del quotidiano e la piena osservanza dello “stato di diritto” che dovrebbe contraddistinguere il sociale e su cui crediamo di basare il tutto.
Non oso riflettere sulle possibili conseguenze nello scenario politico, inteso quest’ultimo come possibili figure coinvolte che dovessero appartenere alle classi dirigenti e a altri esponenti vari “eletti” assurti magari a gestire la cosa pubblica.
Come calcolo di probabilità, immaginando la pletora di tossicodipendenti che – come rivelato dall’indagine di Polizia – pervaderebbe tutti i ceti sociali cittadini, non può escludersi un possibile loro coinvolgimento.
Meglio fermarsi e attendere l’esito delle indagini. Altro che maggioranze e opposizioni, rossi, verdi, gialli, neri e interi colori intermedi dell'arcobaleno, qui - se si continua a ragionare e riflettere - l’affare si potrebbe ingrossare …….. e di molto.
Mentre scrivo mi sovviene un articolo che ho visto pubblicato qualche tempo addietro e che qualcuno mi aveva indotto a leggere ovvero che "nei fiumi italiani vi sono alti tassi di cocaina provenienti dagli scarichi fognari, con tutto ciò che questo comporta per i prodotti agricoli, ittici, ecc...".
Anche questa notizia di stampa induce a serie riflessioni sulla dimensione del fenomeno, non certamente circoscritto alla sola città di Palermo.  

© Essec


mercoledì 24 luglio 2019

“Democristiano” di nascita.



In una delle ultime trasmissioni di otto e mezzo di quest'anno la Gruber, che manifesta sempre irrequietezza e disgusto per tutti gli esponenti dei Cinque Stelle (e in questo non è unica), a prescindere e a priori, non potendo tenere testa al Presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, a un certo punto l’ha etichettato “democristiano”, senza alcun equivoco usando il termine a mò di offesa.
Particolarmente efficace è stata la reazione del Senatore della Repubblica che, mantenendo l'abituale tono pacato e signorile, le ha risposto che lui aveva avuto modo di conoscere tanti democristiani che, a suo parere, erano e sono rimaste delle persone integerrime e per bene.
Ha fatto intendere, quindi, che nel caso la sua intenzione fosse stata quella di voler offendere, quell’uscita risultava solo infelice e abbastanza squallida, ancor di più per una come lei che si professa come una “giornalista”.
Quell'episodio in realtà andava ad evidenziare lo scarso professionismo che attanaglia ormai - e da tanto tempo - molti elementi di quella categoria, i quali, al servizio di padroni e potenti che li stipendiano, esercitano - artatamente e faziosamente - sempre più l'"antico mestiere" a favore di chi li tiene al soldo come “mantenuti”.
Al riguardo, per avere vissuto gli anni mitici del '68, ricordo che ai miei tempi giovanili per chiudere spesso discussioni politiche che non prospettavano alcuna via d’uscita e possibilità di dialogo, usavamo in tanti - e quasi sempre - interrompere ogni confronto etichettando la controparte in: “tu sei un fascista” o “un comunista” a secondo dello schieramento di appartenenza. Intendendo ostentare con l'uso del termine, nell'evidente incapacità di saper affrontare la disputa verbale, volutamente un’offesa.
Quasi sempre, quando ogni tanto parlo di politica ora premetto che in origine ho votato - e per molti anni - il partito che fu la Democrazia Cristiana; ponendomi però sempre fra quelli di sinistra e che di quel voto esercitato in passato non provo alcun pentimento, anzi.
La cosa divertente è che oggi mi trovo spesso a posizionarmi, potiticamante e sempre più frequentemente, in aree più sinistrorse di coloro che sostengono di starci ancora forse a parole o che un tempo – prima di un imborghesimento "congenito" -  votavano per quei partiti di sx e che ancor oggi li votano solo per abitudine (difendendo contemporaneamente magari il loro nuovo status privilegiato) o solo per mantenere e perpetuare nostalgie ideologiche fideiste in cui si identificano sempre e che, in qualche modo, li accomuna ancora.
Ancor più divertente trovo l’essere oggi liquidato io, da alcuni “idealisti più giovani e impegnati”, come un “democristiano”. La loro intenzione sarebbe forse un po’ simile a quella adottata dalla Gruber con Morra, anche se la marcatura mi viene appioppata, diversamente, con ironica eleganza. Nel caso reagisco allo stesso modo del senatore Morra e mi apro in un sorriso. 
Forse sarà a causa dei tanti anni e delle esperienze vissute; delle tante guerre d'idee fasulle, delle ideologie sperdute, della visione e lo scorrere delle tante figure di cartone e delle tante realtà dove queste si riciclano, "qualificando" ogni epoca.
Per quanto può valere però tengo a precisare aspetti che possono apparire irrisori, ma non tanto; ovvero che oggi tifo sempre per la mia squadra d’infanzia, ma non in maniera apertamente faziosa come da giovane. Osservo di più prima di esprimermi e se oggi la mia squadra gioca male sono il primo a prenderne atto o se il goal è stato viziato da fuorigioco o se il rigore non c’era proprio e l'arbitraggio è stato scorretto - anche se a mio favore - lo riconosco io per primo e sono pronto ad ammetterlo, non occorre che la parte avversa me lo evidenzi.

 © Essec

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(The Beatles - ALBUM: Magical Mystery Tour  1967)


[Coro] Lascia che ti porti con me, perché sto andando a Strawberry Fields
Niente è reale e non c’è niente a cui appendersi
Strawberry Fields è per sempre
[Strofa 1] Vivere è facile con gli occhi chiusi, fraintendendo tutto quello che vedi
Sta diventando difficile essere qualcuno, ma tutto funziona
Non me ne importa molto
[Coro] [Strofa 2] Nessuno a cui penso è nel mio albero, intendo deve essere alto o basso
Questo è, non puoi, sai sintonizzarti, ma va tutto bene
Questo è, penso che non è troppo male
[Coro] [Strofa 3] Sempre, no, a volte penso sia io, ma tu sai che so quando è un sogno
Credo, ehm, no, voglio dire, ehm, sì, ma è tutto sbagliato
Questo è, penso non sono in accordo
[Outro] Strawberry Fields Forever
Strawberry Fields Forever



lunedì 22 luglio 2019

L’homo dialogicus è liberale e democratico.



Nel libro “Epistemologia del dialogo” – Carocci edizione 2011 - il Prof. Enzo Di Nuoscio compie un escursus filosofico e non solo che, nel sintetizzare e citare complessi pensieri e teorie di un ampio arco temporale, incentrano nel dialogo e nella democrazia l’essenza della missione umana volta a trovare soluzioni alle problematiche di ciascuna epoca.

Per la complessità e le particolarità sociali ed etico-culturali dell'arco temporale osservato, il volume mostra un’analisi che evidenzia le carenze e le particolarità che hanno condizionato la storia, ovvero di come l’approccio negli incontri fra popoli e civiltà diverse hanno influenzato - rallentadola o facilitadola, nelle complesse sfaccettature - l’evoluzione sociale e politica del nostro attuale mondo.

Piuttosto che imbarcarmi nel cercare di fare un sunto delle tante pagine dell’interessante volume, mi piace riportare alcune frasi dell’autore, che non sono esaustive delle intere questioni vivisezionate ma che, a mio parere, contribuiscono ad avere chiara l’essenza del progetto letterario.

Nelle sue conclusioni Di Nuoscio scrive anche: “L’homo dialogicus è liberale e democratico. E’ consapevole che quella del dialogo è una delle più impegnative scelte etiche. Per essere autentica, per non rimanere una pura e semplice petizione di principi, essa implica che ci si impegni per creare e difendere le condizioni affinchè il dialogo possa svilupparsi. Per questa ragione l’homo dialogicus difende i diritti e le libertà individuali e, avendo scelto la discussione critica come unico mezzo per la soluzione dei problemi comuni, vede nella democrazia l’unico regime politico compatibile con la propria scelta, poiché l’ordine democratico rappresenta quell’habitat nel quale si criticano le idee nel rispetto delle persone che le difendono. Coerentemente con la sua scelta di un dialogo improntato alla reciprocità, l’homo dialogicus non si limita a tentare di comprendere le ragioni degli altri, ma si preoccupa affinchè esse si possano liberamente esprimere, rimuovendo quegli ostacoli, politici, giuridici, ma anche economici e sociali, che sono di ostacolo a un dialogo vero. E’ sempre disposto ad ascoltare l'Altro, ma non necessariamente ad assecondarlo; è sempre pronto a combattere i fanatici, gli intolleranti e tutti coloro che, anteponendo la critica ad hominem a quella ad rem, sono nemici del dialogo”.

Inoltre, affermate la centralità dello “stato di diritto” e un approccio laico alle questioni, dice pure: “Essendo interessato più a risolvere i problemi che a dimostrare di avere ragione, l’homo dialogicus è sempre aperto alla critica e all’autocritica, pronto ad imparare dai propri e dagli altrui errori, disponibile 'ad ammettere  che io possa avere torto e tu puoi avere ragione, ma per mezzo di uno sforzo comune possiamo avvicinarci alla verità'”.

Uno degli altri punti saldi del pensiero sviluppato dal Prof. Di Nuoscio è quello che per l’umanità è possibile venire a delle verità relative ma giammai a certezze.

Dopo aver letto questo interessante lavoro, impregnato di tanta filosofia stratificata in millenni di storia e di pensiero, le considerazioni di ciascun lettore non potranno non riflettersi sullo scenario dell’epoca storica contemporanea. Alla reale inconsistenza delle “ideologie” - ormai residue e confuse - e alle improvvisazioni che incidono nella politica che governa nel nostro tempo.

Per non parlare della qualità/formazione delle tante vacue figure che hanno preso facilmente il sopravvento, sfruttando opportunità di vuoti venutisi improvvisamente a creare, in ultimo anche grazie alla trasformazione in “social” di quell’agorà politico classico che oggi non ha più audience e rivela sempre più anche una scarsa capacità di dialogo.

E non occorre fare i nomi dei partiti politici o dei pseudo esponenti autoproclamatasi classe dirigente, ciascuno potrà farsi facilmente un’idea molto chiara al riguardo. Per quanto ovvio, ogni valutazione potrà prescindere dalla frangia di appartenenza o dall'eventuale fazione.

Buona Luce a tutti!

 © Essec
 


sabato 20 luglio 2019

Dead man walking! Ovvero “Morto che cammina”!



Per consentire di avere una giusta percezione di una particolare esperienza recentemente vissuta, occorre precisare che da qualche tempo ad Ario capitava, pensando intensamente a qualcuno, che nell’arco temporale di ventiquattro ore al massimo, quel qualcuno si manifestava: in un incontro, in una telefonata, in un accadimento o quant’altro. Era una cosa strana che non sapeva spiegare razionalmente e che sistematicamente aveva avuto modo di verificare, specie con talune persone. 
Veniamo al fatto. Tempo addietro e precisamente nello scorso gennaio, veniva informato che improvvisamente, per i postumi di una banale caduta domestica, una persona cara era venuta a mancare. 
Si trattava di uno di quei casi che riguardavano persone, per tanti aspetti - e non parentali - che sono state vicine. Il dispiacere era sentito perché veniva meno una persona cara.
Nel caso specifico si trattava di un professionista avanti negli anni che aveva assistito, con efficacia e precisione, lui e i familiari più stretti in alcune vicissitudini che avevano avuto necessità del suo apporto. 
Come spesso accade, nel tempo, il rapporto assistito-cliente si trasforma in un qualcosa di più; in un’anomala amicizia sottaciuta che diventa implicita e crescente nei commiati susseguenti a ogni incontro, basata, oltre che sul rapporto di fiducia, anche alla stima cementificata nel tempo. 
Per farla breve, ieri, nel tornare stanco e accaldato a casa, Ario intravedeva da lontano una figura che gli appariva assai familiare. Nella persona che si avvicinava trovava una straordinaria somiglianza con il potenziale defunto. 
Era certo che nella vita i casi di somiglianza sono talvolta impressionanti, ma questa volta la cosa appariva assai stana.
Man mano che il soggetto gli si avvicinava trovava questa somiglianza sconvolgente. 
L’abbigliamento inusuale e l’aspetto messianico però contribuivano a rendere surreale la visione: credeva di essere protagonista di una allucinazione, di un abbaglio colpa forse del tanto sole che avevo preso quel mattino.
Poteva trattarsi anche un fratello gemello, ma non gli risultava ne avesse avuto uno, un figlio molto somigliante che – per l’età del soggetto trapassato – poteva anche corrispondere a una logica d’invecchiamento: chissà? 
Tutte queste elaborazioni mentali avvenivano in una frazione di tempo brevissimo, perché il personaggio che intanto stava incrociando andava con passo spedito. 
Ma non poteva capacitarsi, non riusciva a capire, a mantenersi lucido e raziocinante. 
Se avesse raccontato a qualcuno quello che stava vivendo, lo avrebbero preso per un pazzo scatenato, un caso da ricovero.
Ebbe però la prontezza nell’incrocio di accennare a un saluto che il soggetto con affabilità prontamente andò a ricambiare, andando oltre. 
Ario si fermò e si girò all’indietro per verificare ancora più se la scena che stava vivendo fosse un fatto reale. Il soggetto a questo punto si fermò anche lui e, tornato indietro sui suoi passi, raccolse la stretta di mano che Ario gli aveva offerto. 
Ario non sapeva che dire, ma doveva necessariamente provocare una risposta. 
“Come va?” Non aggiungendo nulla alla specificità del rapporto per la sua professione. 
La risposta veloce fu: “abbastanza bene, grazie”. 
“Ha mantenuto il recapito sempre al solito posto?” Disse Ario. 
“Si, in via …….. n.ro 8. Come sa, lo Studio l’ho già chiuso. Alla mia età, che vuole, ho 86 anni”. 
“Quasi quasi non la riconoscevo”. Disse Ario. 
“Con questo suo abbigliamento e la velocità in cui stava andando, sembra quasi un ragazzino”. 
Con un aperto sorriso e la rituale consueta gentilezza, porse questa volta per prima lui la mano del saluto. 
In pochi attimi Ario lo vide scivolare con passo spedito verso la sua direzione. 
Ario riprese anche lui la sua strada che era ormai prossima a casa, ma non riusciva a rendersi pienamente conto se quella scena appena vissuta fosse successa davvero o fosse frutto di un qualcosa d’inspiegabile. 
Eppure le risposte alle poche domande erano state a tono, il brevissimo scambio di parole appariva coerente. 
Rientrato a casa, cercò di comunicare l’incredibile accaduto a qualcuno. Però non riusciva a trovare contatti affidabili. 
Finalmente riuscì a parlarne in famiglia e, ovviamente, il racconto allertò dubbi sul suo stato mentale.  
“Non è possibile, stai bene? Mi fai preoccupare seriamente”. 
Non restava ormai che verificare al più presto la fonte dell’informazione arrivata a gennaio, ma come fare? La soluzione più ovvia era quella di contattare velocemente lo stesso informatore e, con un certo garbo, chiederne conferma. 
Il risultato dell’indagine diede lieto fine alla vicenda kafkiana, il professionista che aveva incontrato era proprio lui. Il potenziale defunto era vivo e vegeto e, evidentemente, per un malinteso si era innescato l’assurdo equivoco. In verità c’era stata una dipartita, ma il deceduto era stato il socio di studio.
Rinfrancati tutti quanti della bella della notizia, Ario tirò finalmente un respiro di sollievo. 
Qualcuno sostiene che accadimenti come questi, in genere portano bene perchè tendono a allungare la vita ai protagonisti. 
Il messaggio messo in circolo in famiglia fu: “Tardo pomeriggio, zio Ario ha incontrato l'avvocato …….! Sconvolto lo ha salutato e ha scambiato con lui qualche parola! Mi ha chiamato subito e mi ha raccontato!  Io incredula e preoccupata che avesse parlato coi morti! Chiamo subito l'avvocato ……. e vengo a scoprire che a morire era stato in verità ………! Cioè il socio! Dead man walking! Non preoccupatevi, quindi, se vi dovesse capitare di incontrare anche voi per strada l’avvocato!” 

© Essec

 

domenica 14 luglio 2019

“Ogni blocco di pietra ha una statua dentro di sé ed è compito dello scultore scoprirla” – Michelangelo



Erano le tre di notte e Ario fu svegliato dalla potenza della storia che stava vivendo come fosse vera.
Le immagini che scorrevano nel suo sogno erano talmente belle che già pensava di poterle riproporre così, senza alcun commento.
Nel dormiveglia immaginava come impaginare il portfolio fotografico, non voleva che le foto distraessero dal messaggio. Era necessario stabilire una sequenza che aiutasse alla facile lettura, non occorreva aggiungere parole che sarebbero potute risultare superflue, le fotografie erano di per sè assolutamente eloquenti.
Intanto che rifletteva e riordinava il tutto, andava rendendosi conto che quanto stava pensando accadeva nell'onirico e che il suo ragionamento si collocava al confine di un risveglio.
Capì che ben presto tutto sarebbe svanito e che avrebbe solo lasciato il convincimento di avere appena fatto un bellissimo sogno.
Come a tutti, capita spesso di sognare, la fase rem del sonno è comune, ma Ario è fra quelli che dimenticano immediatamente le storie sognate; proprio dopo pochi attimi dal risveglio del sogno non rimane più nulla nei suoi ricordi, solo la vaga sensazione di avere sognato.
Quella notte la sua mente aveva però elaborato visioni di eccellenza, immagini ricche e bellissime che andavano a testimoniare di momenti d’attualità, d’impegno civile.
In verità non avrebbe saputo più neanche descriverle perché, già in semiveglia, nel tentativo di fissare il racconto, le tante visioni sembravano sciogliersi velocemente come neve al sole.
La potenza delle fotografie sognate era stata però talmente alta da indurlo a prendere l'Ipad che teneva sempre poggiato sul comodino, per cercare di bloccare in un testo quelle visioni divenute assai labili e che andavano via via scomparendo.
Le scene rappresentate erano legate a un qualcosa di confuso, simile a una festa, di gente giovane che partecipava gioiosamente forse per dei salvataggi in mare o qualcosa di simile.
Nel sogno erano coinvolti privati, autorità, esponenti del ministero degli esteri e tutti quanti risultava che avessero documentato l'evento con delle fotografie eccellenti.
I tagli compositivi e le espressioni dei volti sembravano ispirati a quadri di grandi autori. Luci caravaggesche, pose michelangiolesche e tanto altro ancora avevano arricchito le visioni.
Come sempre capitava, col risveglio, la memoria di Ario eliminava in breve tempo il ricordo di ogni illusione.
Stavolta, però, anche da sveglio era certo della straordinaria bellezza che aveva costatato con la vista delle tante fotografie sognate.
Per rendere l’idea a chi pratica la fotografia, Ario viveva i suoi sogni come in una camera oscura, in cui mancava però, e da sempre, il liquido di fissaggio. Le molteplici immagini sviluppate rinnovavano ogni volta lo stupore di sempre, ma le nuove luci - infine - azzeravano il tutto, lasciando soltanto tante gelatine di sali d’argento annerite. Le pellicole e le carte fotografiche nella sua mente avevano, quindi, vissuto il processo inverso della teoria di Michelangelo ovvero avevano ermeticamente custodito - nel breve spazio di un sogno, in un nero profondo – ogni foto rivelata ormai andata scomparsa.
Ario andò a scrivere questo suo piccolo racconto, non tanto per voler affermare qualcosa di speciale, ma per cercare di fissare intanto un fatto e cioè che pure la sua vita era stata costellata di sogni, anche se ogni mattina, al risveglio, pensava di avere solo dormito, anche in quella notte trascorsa.
Mise però a supporto del testo una immagine nera, per lasciare a ciascun osservatore la piena libertà di poter vedere e leggere - con il proprio immaginario - ciò che ognuno avrebbe voluto. 

Buona luce a tutti!

  © Essec


martedì 9 luglio 2019

Enzo Di Nuoscio: "E’ democratica. Sceglie la discussione critica.”






“E’ democratica. Sceglie la discussione critica.” È il titolo assegnato da Enzo Di Nuoscio a un capitolo del suo libro “Elogio della mente critica". Per la limpidezza del suo scritto e l’assoluta attualità nel dibattito socio-politico, riporto di seguito l’intero capitolo, senza frapporre alcun commento che, come vedrete, apparirebbe ridondante e del tutto superfluo.

“Proprio perché individualista, fallibilista e relativista, la mente critica è una mente democratica. Consapevole che nessun essere umano può avere un punto di vista privilegiato sul mondo, sceglie la democrazia intesa, secondo la felice definizione di Karl Popper, come “società aperta”, aperta al maggior numero possibile di visioni del mondo, filosofiche, religiose, ideologiche, politiche, compatibili fra loro. “Chiusa” solo agli intolleranti, cioè a coloro che vogliono affermare il proprio punto di vista con la forza.
Sceglie la democrazia perché il suo tratto peculiare è la discussione critica, proprio come accade nella scienza. Così come la scienza avanza attraverso la discussione critica perché nessuno scienziato ha la verità assoluta, allo stesso modo la democrazia si sviluppa mediante il dibattito perché nessun soggetto politico può avere in tasca l’idea di società perfetta; così come nella scienza il confronto critico serve a eliminare gli errori, analogamente in democrazia esso serve a ridurre la violenza e i mali sociali; così come nella scienza la disputa si sviluppa nel rispetto di principi accettati dalla comunità scientifica, parimenti in democrazia la discussione critica si manifesta all’interno delle regole condivise dello Stato di diritto. Non identificando la verità con dogmi, i cercatori di verità con gli interpreti privilegiati, la scienza e la democrazia non scambiano il dissenso con l’eresia. Al consenso passivo preferiscono, come avrebbe detto Bertrand Russel, un “dissenso intelligente”, che è il più prezioso contributo per la soluzione dei problemi comuni.
Una mente critica sa che è proprio quest’ultimo aspetto la vera risorsa della democrazia: se la democrazia è soprattutto dissenso, allora il consenso sulle regole di espressione del possibile dissenso diventa il punto di svolta che permette alle democrazie di trasformare il pluralismo e la diversità in una grande risorsa per risolvere i problemi. La mente critica non accetta, dunque, la diffusa convinzione secondo cui la discussione critica, e quindi la democrazia, sono possibili solo tra persone accomunate dagli stessi valori. E’ invece convinta che, una volta accettato il principio che l’unica critica ammessa è quella ad rem, regolata dallo Stato di diritto, allora la discussione sarà tanto più fruttuosa, tanto più utile per risolvere problemi, quanto più diversi saranno i valori, le opinioni e anche le tradizioni culturali degli interlocutori.”

Per completezza d’informazione, il volume di Enzo Di Nuoscio (professore ordinario di filosofia presso l’Università del Molise) è stato pubblicato nel 2016 da “editori laterza”.

 © Essec

Massimo Fini: "Carola-Antigone è nel torto, ma ha ragione"


Lo scontro sulla Sea Watch fra Matteo Salvini, ministro dell’Interno, che rappresenta la legge italiana, e la ‘capitana’ Carola Rackete, comandante della nave, riproduce l’antico dramma greco rappresentato da Sofocle in Antigone. Il fratello di Antigone, Polinice, dichiarato “nemico della patria”, non può essere sepolto, per le leggi di Tebe, rappresentate dal re Creonte, e il suo cadavere lasciato ai vermi e ai corvi. Antigone, che ho visto interpretata magistralmente da Elisabetta Pozzi al Teatro Fraschini di Pavia, mossa da pietas seppellisce ugualmente il fratello in segreto. Scoperta da Creonte, che deve far rispettare la legge (“dura lex, sed lex” come dicevano i latini), sarà di fatto costretta al suicidio.   
Non c’è dubbio quindi che Salvini, come Creonte, dal punto di vista della legge abbia ragione e Carola Rackete, come Antigone, torto. Ma nel confronto e nel raffronto umano fra la ‘capitana’ e il ‘capitano’, come viene chiamato enfaticamente e arbitrariamente Salvini, è quest’ultimo a uscirne in pezzi. Gran bella ragazza, Carola Rackete si laurea giovanissima in scienze nautiche, prende un master all’università inglese di Edge Hill, diventa secondo ufficiale su alcune navi che si occupano di temi ambientali per approdare nel 2016 al comando della Sea Watch. Sia detta di passata: oltre a quella materna, il tedesco, parla quattro lingue, inglese, francese, spagnolo e russo. Dubito molto che una ragazza (oggi ha 31 anni) con queste credenziali percorra i mari per fare “il trafficante di uomini”. Altro è il suo sentimento. 
Matteo Salvini, che non può essere considerato un adone, anzi a vederlo fa un poco ribrezzo, per usare una volta tanto un mantra berlusconiano non ha mai fatto una sola ora di lavoro, serio, in vita sua e non è nemmeno riuscito a laurearsi. Non ho contezza in quali lingue sia in grado di parlare, certamente non l’italiano. E’ un politico di professione più adatto alle parole, tonitruanti, che all’azione. E’ forte con i deboli, i migranti, debole con i forti e va a strisciare, umiliando la nazione italiana che in ogni momento afferma di rappresentare, ai piedi di Donald Trump, che i coglioni ce li ha davvero ed è il nemico numero uno dell’Europa e quindi anche dell’Italia. Nonostante le sue pose scultoree ha l’aria d’esser un vile. Carola Rackete di coraggio, morale e fisico (in fondo su quella nave di dannati ci sta anche lei condividendone le sofferenze) ne ha da vendere: violando le acque territoriali italiane rischia grosso, l’arresto, la carcerazione e una condanna per “favoreggiamento di immigrazione clandestina”. Ha anche provato, con una certa sfrontatezza, a entrare nel porto di Lampedusa ma è stata fermata dalle navi della Guardia di Finanza. Insomma Carola Rackete è Antigone, Matteo Salvini, nobilitandolo parecchio, Creonte che nel proseguo della tragedia greca finirà molto male, cosa che potrebbe capitare anche all’improvvisato ‘capitano’, come accadde ad un altro Matteo, Renzi, se continuerà a fare il fenomeno anche in materie che, a differenza della difesa dei confini nostrani, non lo riguardano affatto. Insomma,  almeno ai nostri occhi, Matteo Salvini pur avendo ragione ha torto e Carola Rackete pur avendo torto ha ragione. 

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano 29 Giugno 2019)

mercoledì 3 luglio 2019

Palermo: Pride 2019



Il Pride costituisce ogni anno una occasione per aderire a un evento collettivo aperto e coinvolgente, dove ciascuno partecipa come vuole, in modo libero e civile in un contesto gioioso.
Quest'anno ricorreva il cinquantennale dei "moti di Stonewall" e la massa dei partecipanti è stata più nutrita. Per la coincidenza di questo appuntamento il corteo di Palermo si è quindi svolto di venerdì anziché nel tradizionale sabato.
I moti di Stonewall hanno rappresentano la nascita del movimento Lgbt+ per come lo concepiamo oggi – sottolinea il Direttivo di Coordinamento Palermo Pride – a parer nostro è doveroso celebrare questa ricorrenza. Oggi è più importante che mai dare luce e merito alle coraggiose ribellioni di cittadini, persone che si sono scontrate contro la violenza, l’ottusa oppressione e la discriminazione. È vero che da quella notte sono migliorate molte cose ma è altrettanto vero che, come la storia ci insegna di continuo, i diritti acquisiti possono essere perduti: è bene non dare per scontato ciò che abbiamo. In Italia sono molte le battaglie ancora in corso e sono molti, purtroppo, gli episodi di violenza ai danni di persone Lgbt+ e non solo: deboli, outsider, migranti sono oggetto di forme contemporanee e istituzionalizzate di bullismo. Oggi è più importante che mai marciare per le strade”.
Il raduno di Palermo è cominciato due ore prima che avesse inizio la sfilata della variopinta fiumara, programmata per le diciotto.
Il corteo finalmente si metteva in moto, le forze dell'ordine accompagnavano il serpentone umano per agevolare essenzialmente lo scorrere della tanta gente lungo il percorso.
Come in tutte le feste e gli eventi che accadono a Palermo, tante bancarelle mobili erano già attrezzate per vendere gadgets colorati e smistare le varie tipologie di bibite rinfrescanti e poco alcoliche, indispensabili per attenuare l'estrema calura estiva.
Nel contesto promiscuo vi era ospitato di tutto, ogni genere trovava la sua allocazione amalgamandosi in modo naturale nella massa festosa.
Tanti operatori dei media erano presenti per riprendere i momenti, intervistare i soggetti che per loro erano più in vista. Uno, truccato in modo clownesco da SS nazista, rilasciava un'intervista alla Rai regionale, con l’onnipresente “Gigliorosso” a filmare.
Un prete di strada festeggiava con personaggi a lui prossimi, vicini alla sua chiesa, e intanto distribuiva volantini inerenti alla “Chiesa Cattolica Ecumenica di Cristo”, aperta a tutti. Il suo volantino riportava scritto: “Dimmi chi discrimini e ti dirò chi sei!!!
Nei diversi carri approntati per la sfilata, i tanti giovani si scatenavano in balli sulla scia di musiche da discoteca e di concerti rock, trascinando nella festa la platea del corteo sottostante.
Un trenino giallo con tanti palloncini rosa era lì a trasportare dei genitori che partecipavano alla festa accompagnandosi con i loro figli e nipoti. Erano tutti vestiti con magliette rosa di un’associazione “ApS” (Associazione di Promozione Sociale), che riportavano stampati tre cuori e con dietro la scritta “è l’amore che crea una famiglia”. Erano gli aderenti e i supporters delle Famiglie Arcobaleno, un’associazione fondata nel 2005 da genitori omosessuali, sulla scia del modello francese “Association des Parents Gays et Lesbiens” nata anch’essa per promuovere il dibattito pubblico sull'omogenitorialità e la tutela di tali formazioni sociali.
L'aria di festa intanto pervadeva tutti, la comunità era di certo rappresentata in tutte le sue componenti sociali e la goliardia legava in modo armonioso l'intero contesto. Il clima sereno e l’interazione che si respirava dimostrava, ancora una volta, come la società civile si evolve e vive sempre più velocemente rispetto ai tempi della politica.
I cittadini che s’incontravano erano tutti li a partecipare e con i loro telefonini andavano a documentare. Negozianti sull'uscio li vedevi pervasi d'allegria, dai balconi si affacciavano tanti soggetti di ceto diverso, che elargivano sorrisi.
Bimbi, giovani, maturi, anziani, tutti insieme in un’unica festa, per partecipare e godere di quel momento di sana e pacifica convivenza civile.
Difficile, in un ambiente così dispersivo e mutevole, era riuscire a scattare un insieme di foto che potessero raccontare la ricchezza del momento. In ogni modo, alcune mie immagini dell'evento sono pubblicate su Economia & Finanza Verde.
Nella sua pagina FB l'amico Tony ha scritto: "Girano post ed hastag sull'indecenza del Pride, sul censurabile eccesso della manifestazione. Tutto questo supportato da qualche foto di bacio, chiappe al vento e lecca-lecca fallici. Migliaia di like e condivisioni, molti probabilmente da gente che ad un Pride non hanno mai partecipato. Il Pride è una festa sull'amore senza distinzioni, dove si può esprimere l'orgoglio di essere sé stessi senza timore, guardare poche foto e demonizzare tutto è buttare il bimbo con l'acqua sporca. Al Pride di Palermo ci sono sempre tante famiglie (di tutti i tipi) e bambini ed è sempre una festa fantastica. A tutti i like dico di non credere a me, venite la prossima volta e rendetevene conto di persona."
Per concludere, cito  una domanda e una risposta riportate in un articolo di Margherita Cavallaro che chiude il suo scritto dicendo: “A 50 anni da Stonewall, c’è davvero ancora bisogno del Pride? Sì, perché l’omofobia esiste e non è solo quella che ci uccide fisicamente. Il Pride serve perché le nostre vite sono ancora controllate dalla paura e questa si combatte e sconfigge solo con l’amore” e certamente con la cultura e la diretta conoscenza delle realtà, aggiungo io.

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Un'immagine, un racconto

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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