"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."
Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).
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mercoledì 30 giugno 2021
Varianti e altro in tempi di Covid - In Asia i grilli fritti, in Italia c’è quello bollito
Qualche giorno fa, in un suo editoriale, Marco Travaglio ha associato Mario Draghi a risapute caratteristiche del cuculo che ama impossessarsi dei nidi altrui. Altre specie di volatili si distinguono per queste caratteristiche furbesche anche nel far covare proprie uova ad altri. Poi c’è anche chi si ciba di carogne: il mondo animale è vario. In ogni caso sono leggi di natura a cui rispondono per un loro DNA e forse Travaglio voleva enfatizzare le caratteristiche che identificano anche taluni presunti abili strateghi della razza umana.
Nella vita la nobiltà d’animo e la purezza di sentimenti presuppongono che chi si propone come illuminato statista riconosca i propri confini umani, con limiti e difetti, ma impongono altresì che si abbia il riconoscimento delle capacità altrui o quantomeno si dia pubblicamente atto a chi ha preparato il campo dei tuoi raccolti.
Con un’operazione edile che prefigura molte ombre sull’iter che ha portato all’attuale “Governo dei Migliori”, che hanno visto certamente la compartecipazione di rappresentanze sia interne che favoreggiamenti non convenzionali. Ne è riprova l’assistere oggi a una gestione del Governo della Repubblica senza che ci siano adeguati e chiari collegamenti con le forze politiche. L’opacità che ha accompagnato l’incarico dall’alto, non riferendoci solo al ruolo esercitato dal Capo dello Stato, determina il permanere della confusione in un’ammucchiata politica poco eterogenea, che proietta l’immagine di un’orgia politica dove i protagonisti sembrano assumere ruoli mutevoli e posizioni ambigue, promiscue e ambivalenti.
Al di là di ogni possibile dietrologia, che tuttavia può risultare pertinente, appare chiaro che l’obiettivo principale in Italia era ed è stato quello di esautorare e cercare di annientare quella rivoluzione pacifica che aveva dato adito alla crescita e alla materializzazione di un Movimento utopico costituito dal M5S. Alle solite oligarchie trasversali che hanno sempre mantenuto salde le leve del potere non poteva neanche star bene che un “Avvocato del Popolo” venisse a fare pure il Masaniello, senza nemmeno porsi prono o disponibile ad assecondare dialoghi e desiderata dei soliti padroni del vapore.
Oggi l’Italia, e forse tutto l’occidente capitalista, è pure pervaso da imprenditorie che amano solo il profitto, rimettendo le regole del classico rischio economico in capo al pubblico per tesaurizzare solo guadagni. Non solo, paradisi fiscali e finte nazionalità off shore consentono pure di continuare ad accumulare e occultare ricchezze che condizionano i mercati e le caratteristiche socio politiche dei vari paesi.
In tutto questo si confondono strategie nazionaliste, improntate talvolta a sopravvivenze ideologiche, con altre più lucide e ciniche strategie monopoliste, volte essenzialmente ad assecondare l’ingordigia di potere che ha sempre contraddistinto una larga fetta della razza umana (eternamente distinta in “metinculi e pianculi”).
Lobbies e interessi che accomunano delle caste simili indirizzano pertanto le politiche locali, nazionali e internazionali. E creano, a tale scopo, delle montagne di norme e codicilli volte a confondere per garantire al meglio privilegi a pochi. Premi Nobel ed altri riconoscimenti rappresentano solo piccole concessioni simboliche per dar parvenza di una democrazia, che non esiste in nessun angolo del mondo.
Quanto fin qui detto non costituisce nè una premessa generica e neanche un corollario colorato su quanto sta accadendo in questi giorni in Italia. E la perseveranza che si sta attuando per cercare di cancellare e magari trovare un modo per inchiodare l’ex Premier Giuseppe Conte costituisce, al riguardo, quasi un classico caso da scuola.
Lasciando perdere ogni ideologia e punto di vista personale, è indubbia e nota a tutti l’autonomia che ha palesato l’ex Primo Ministro rispetto alla burocrazia consolidata e gli interessi forti che da decenni indirizzano le sorti del Paese. Il modo più raffinato in uso in certi ambienti è sempre quello di ridicolizzare o squalificare il più possibile le figure di successo (o che riscuotono di molta popolarità) rappresentano in qualche modo ostacolo.
In questo scenario, come se non bastasse, s’insinua l’invidia/gelosia di chi, avendolo quasi inventato, scopre come si stia ormai ridimensionato il proprio ruolo. E’ questo il caso di Beppe Grillo, generatore del fenomeno Cinque stelle. Da sempre, del resto, le emancipazioni autonome dei seguaci hanno procurano fastidio.
A un osservatore esterno il cofondatore del Movimento appare oggi confuso e contraddittorio rispetto al lucido stratega. Il personaggio metaforico che in lui si rappresenta potrebbe, quindi, essere un “Grillo Bollito”, per distinguersi dalle prelibatezze asiatiche che, nella variante fritta, arricchisce i banchetti del cibo di strada commercializzato in Asia. Il richiamo/ricatto oggi pubblicato da Beppe Grillo su FB ne è una chiara riprova.
Il popolo grillino è in subbuglio e, salvo indottrinati, comprende bene tutto quel che sta accadendo. Capisce le paturnie che opprimono il Garante, capiscono la fragilità della sua posizione personale che precarizza anche una certa lucidità di pensiero.
Paradossalmente, poi, come sottolinea spesso lo stesso Travaglio nel suo editoriale di oggi – e non solo lui – più cercano di abbattere Giuseppe Conte e più cresce la sua popolarità fra la gente; alimentata dall’empatia che ha ingenerato in molti, anche perché espressione del mondo civile più genuino.
Di contro la figura del Primo Ministro attuale stenta a crescere, mantenuto in auge da media che lo sostengono e adulano per rispondere ai tanti loro padroni che pregustano la loro fetta di miliardi di un PNRR calato dal cielo e pronto da spartire.
Un aspetto non secondario nella vicenda è anche il vincolo del secondo mandato. Parte dell'elettorato 5 Stelle è infatti andato avanti e non vede più il vincolo come un tabù insormontabile. Che ne saranno di coloro che hanno maturato conoscenze e professionalità durante l’esercizio dei due mandati, ora che sono ridotti anche il numero dei parlamentari che comporranno Camera e Senato ridotte nei componenti. Atteso che con Draghi in cabina di regia non potrebbero in alcun modo trovare spazi in futuri incarichi di sottogoverno? Anche questo è un fatto concreto che porta a riflettere. L’elettorato grillino ha anche avuto modo di osservare come taluni onorevoli abili, durante la legislatura, si sono sempre mossi come quella figura della pubblicità Michelin di un tempo che rappresentava una sorta di Ercolino sempre in piedi. Molti di coloro che hanno votato il movimento hanno saputo apprezzare le politiche coerenti e potuto valutare opportunamente le scelte di campo, in verità mai apparse contraddittorie rispetto ai principi di base rivendicati.
La regola costante, infatti, è sempre stata quella di aderire agli “imparentamenti politici variegati” seguendo percorsi perseguibili ovvero che consentissero il raggiungimento degli scopi e mai di coltivare tout court solo il potere in quanto tale.
Per altri aspetti che riguardano la vicenda può anche tornare utile la lettura di un precedente colorito post, in cui si parla anche di democrazia.
Non occorre aggiungere altro, occorrerà solo aspettare l’evoluzione naturale degli eventi. Non ultimo, i sondaggi riproposti ad ogni settimana, prospettano percentuali di gradimento per i partiti che appaiono mutevoli e accennano a affiancamenti e sorpassi, senza mai mettere bene in vista quel 39% che non manifesta mai alcuna preferenza e che, in qualche caso, comporta – alle elezioni vere – anche risultati sorprendenti.
Così come nel 2018 il M5S costituì una bomba, sono anche convinto che un’elezione politica fatta oggi non produrrebbe dei risultati conformi ai sondaggi.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
P.S. - A completamento del discorso si rimanda all’editoriale di oggi del solito Travaglio che, come sempre, non le manda a dire e – lasciando a ciascun lettore la facoltà di condividere o meno – esprime in modo chiaro e trasparente il suo pensiero.
lunedì 28 giugno 2021
Bisogna anche adeguarsi a quelle che sono le proprie caratteristiche
Ogni esistenza conserva memoria delle esperienze vissute, in un accumulo disordinato che si mantiene apparentemente confuso in ciascuna mente.
Ogni tanto ci si sofferma sui ricordi o su certi accadimenti e affiorano sensazioni, stati d’animo che riportano a rivivere le gioie, le paure, le bramosie, le mancanze che la vita, nei vari capitoli, ha rappresentato; il tutto sedimentando in un tempo che costituisce per ognuno il proprio passato e tutto ciò che a esso è rimasto legato.
Nella vita adulta, agli altri le esperienze rimangono nascoste e ciascuno mantiene racchiusi in se segreti intimi mai confessati che hanno certamente condizionato il proprio stato attuale.
Turbamenti, scoperte, desideri, successi, rinunce e privazioni sono l’amalgama che avvolge l'esistenza di ognuno. Compresi i tabù e i limiti che, più o meno consciamente, ci hanno orientato nelle scelte, condizionate anche e non poco dal caso.
Apparenti errori o azioni istintive hanno creato per tutti dei destini non completamente prevedibili, che solo le combinazioni e la casualità hanno lentamente generato e fuso.
Nell’età matura, pur guardando avanti, si ha piena coscienza dei propri trascorsi e si è portati a guardare l’evidente traguardo che è la nostra realtà di oggi, che ci appartiene e non ammette ormai nessuna nostalgia, poiché la formula matematica ha già elaborato nel tempo tutte le addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni e ogni altra forma di calcolo o alchimia che ha determinato per ciascuno un risultato.
Per quanto ovvio, quindi, l’esito finale - stante i presupposti e ogni condizione - è il seguito naturale di un percorso, dove ciascun passaggio intermedio è stato condizionante. I se e i ma, anche avventurandosi a voler fare un percorso a ritroso, non avrebbero più, pertanto - e in ogni caso alla fine della fiera - alcun senso.
Questa lunga premessa sta anche alla base delle caratteristiche specifiche creative e artistiche di ciascun individuo e la branca fotografica del portfolio, posto in argomento, costituisce forse una delle più tipiche espressioni algebriche.
Nel caso, infatti, il bagaglio culturale personale di ciascun fotografo si fonde con quella che è la complessa evoluzione individuale e, pertanto, ogni prodotto proposto da ciascun autore, tende a rappresentare ogni volta un pò la sintesi che ciascuno riesce a realizzare secondo il proprio modo d’essere.
In questo gioco complicato, s’interfaccia anche la figura del lettore che, nell’incontro, a sua volta, mette in campo il suo bagaglio formativo, altrettanto ingombrante e nella maggior parte dei casi pure anch’esso complesso.
Psicanalisi affinate quindi si mettono a confronto, con raffronti di mondi che possono contrapporsi o riconoscersi in empatie, qualora si ritrovino riflessi nei famosi rispettivi neuroni a specchio.
Pertanto è facile che si determinino pure predisposizioni verso autori o lettori, a secondo del ruolo assunto in campo da ognuno, per portare avanti varie narrazioni che - in qualche maniera - si possano anche spersonalizzare per essere abbracciate o respinte da altri, oltre alle due parti che sono i principali attori dell'incontro.
Accedendo a un competere che prevede tanti fotografi impegnati a raccontare una loro storia, per essere giudicati, inevitabilmente, al fine di differenziare e addivenire all’assegnazione di un premio, ci si deve pertanto rilassare e accettare qualsiasi risultato.
La domanda che si viene a porre, quindi, è: si può essere soddisfatti di una lettura del portfolio che è stato presentato in un appuntamento fotografico, anche se non ci si ritrova fra i lavori segnalati per essere premiati? La mia risposta è un si convinto! Senza riserve!
Anche perché non occorre necessariamente vincere, quando può già risultare positivo e appagante l’aver raggiunto una sufficienza nella valutazione di quello che può essere il proprio racconto.
Quando peraltro apprendi che nel tuo caso le immagini non hanno comportano ripetizioni e sono riuscite a mostrare scene coerenti in una manifestazione complessa, dove il divertimento costituisce il denominatore comune nella tematica proposta, cosa si vuole di più? Un premio? Ma occorre tenere conto che i competitori sono tanti e in genere tutti capaci di produrre portfoli meritevoli. Ogni appuntamento e confronto in questo campo, risulterà pertanto utile, se l'approccio rimane sereno e consapevole.
Nelle letture esce fuori, ad esempio, che il rischio che spesso si corre nell’editing è quello che, in una costruzione di sequenze, ogni fotografia possa far immaginare (introdurre già) quello che sarà presentato nella scena successiva. Nella circostanza apprendi che un’impaginazione accurata, frutto di un confronto con altri e disponibile ad accogliere eventuali suggerimenti, può apportare dei vantaggi e talvolta anche generare un maggiore dinamismo narrativo, utile all’arricchimento e nella fluidità delle letture.
Del resto, come sempre, bisogna anche adeguarsi a quelle che sono le proprie caratteristiche, accontentarsi delle capacità che eventualmente ci contraddistingono e accettare, altresì, serenamente quelli che possono essere i propri limiti.
Queste piccole e semplici cose accennate, solo per voler dire che da qualunque confronto, come nella vita, bisogna saper discernere le informazioni che a nostro modo di vedere ci possano tornare utili. Anche per modificare e affinare il proprio linguaggio o la maniera di esprimersi, non tanto per modificare il proprio modo di essere ma, bensì, per arricchire il proprio vocabolario e rendersi così maggiormente comprensibili agli altri.
Oltre alle teorie più o meno definite, ci sono poi anche le mode, le tendenze, le scuole di pensiero e tante altre questioni che intervengono. Ma ciò fa parte dell’evoluzione e delle trasformazioni che irrompono in ogni campo artistico-letterario, lungo il lento decorso della storia umana. L'argomento a questo punto si allargherebbe a tanto altro e, per la passione fotografica, basta e avanza quanto è stato già detto.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
venerdì 25 giugno 2021
Se ci sono due coglioni, il sospetto è che possa esserci un terzo intruso … ah ah ah!
Oggi Marco Travaglio chiude il suo editoriale così: “Cosa intendeva esattamente Grillo quando chiese a Conte di fare il capo politico, visto che ora pretende di decidere al suo posto la linea politica, la segreteria e la comunicazione? Ha presente la differenza tra capo politico e prestanome, portaborse, badante? L’affermazione “non sono un coglione”, detta dall’interessato, vale quel che vale. Ma qualunque capo politico accettasse di farsi dettare la linea politica, la segreteria e la comunicazione da un altro non sarebbe un capo politico: sarebbe un coglione. Come se ne esce? In due soli modi. 1) Gli eletti e gli iscritti ai 5Stelle votano sulla nuova piattaforma (“uno vale uno”) per decidere chi fa il capo e chi fa il coglione. 2) Conte si grillizza per un giorno, manda tutti affanculo e se ne torna a fare l’avvocato e il professore, dopo quattro mesi di volontariato senza stipendio, riconsegnando i 5Stelle a Grillo: è lui che li ha fondati, è giusto che sia lui ad affondarli.”
Un ragionamento ineccepibile rispetto a quanto sta oggi accadendo in casa 5 Stelle, dove da qualche tempo Grillo non azzecca più una mossa, adombrando così il sospetto che la vera mente lucida di tutto l’ambaradan utopistico venutosi a realizzare, forse era proprio Roberto Casaleggio o che i problemi personali tuttora non definiti gli precludono la ragione.
A veder bene l’azione istintiva di Grillo appare naturale e non mostra nessuna originalità rispetto a tutti quei cambiamenti che hanno sempre interessato circoli, associazioni, fondazioni e, più in generale, tutto quello che è sempre nato da iniziative private volte a realizzare dei progetti sociali e che s’intendono spesso blindare con statuti scolpiti come fossero dei "comandamenti" e di cui poi ci s’innamora fino a tal punto da crederle creature proprie. Tanto da far nascere gelosie rispetto a nuovi, vissuti come abusivi, che vorrebbero intaccarne le regole o, ancor peggio, avere la pretesa di variarne gli indirizzi o di assumerne lecitamente la guida.
Il grande progetto rivoluzionario dei 5 Stelle, che mantiene in sè principi ancora validi e condivisibili, rischia così di decadere miseramente in pregiudizi che palesano paradossalmente una paura per la democrazia. Mostrando così la scarsa emancipazione in coloro che si erano proposti di voler fondare una società diversa e più giusta, in un contesto politico che intanto si trasforma.
Paradossalmente l’illuminismo originario trova ora evidenti limiti nel non saper vedere il futuro, temendo pure che chi vuol portare avanti i fondamentali ideali possa perfino rivelarsi un intruso, interessato a impossessarsi di una “creatura” non sua.
L'affiorare di gelosie per i consensi che si sono inevitabilmente riversati in chi è stato capace, fa inevitabilmente così venir meno la valenza di quella meritocrazia decantata, che ha sempre costituito un elemento di fede politica intoccabile per il Movimento.
Quindi accade che, persa la lucidità di saper discernere fra lealtà e nuove strategie per adeguare il movimento ai tempi, espressioni buttate a caso inducano a straparlare mischiando parole senza senso. Sperando tristemente nella sola fedeltà dei tanti assurti al ruolo di parlamentare solo per caso e che, non disponendo di capacità proprie, non hanno comunque un futuro politico. Che tristezza.
In questo caso pare appropriato quel suggerimento che spesso si consiglia, per dire a Beppe: “prima di parlare, la prossima volta, prenditi i tuoi tempi e ..... magari, almeno, conta fino a dieci”. Anche perchè qualcuno poi valuta e l'elettorato fluido dei nostri tempi non è costituito solo da mentecatti.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
mercoledì 23 giugno 2021
Tutti i bambini del mondo sono dei cuccioli
Moltissimi anni fa partecipai a una serata nella quale, con dei proiettori carousel integrati della Kodak, andammo a presentare in pubblico dei diaporami a tema.
Il parroco della parrocchia che aveva messo a disposizione la sala sottostante alla chiesa fu molto contento dell’iniziativa. Gli intervenuti, che non erano tenuti a pagare l’ingresso, in molti conferirono, infatti, un contributo economico di propria sponte.
Ricordo che il mio lavoro in quella serata era costituito da un reportage d’immagini di un viaggio in Cina del 1991; come pure ricordo che quel parroco venne a fare la classica domanda che spesso viene proposta a chi ama fotografare: “perchè la fotografia e cosa induce a fare delle foto”.
In modo spontaneo andai a rispondere che per me fotografare sempre nuove cose, anche attraverso viaggi in luoghi diversi, era una necessità di ricerca e indagine, per osservare umanità nel mondo, per potere conoscere meglio così anche se stessi. Di ciò sono convinto anche adesso e, osservare cercando di capire modi di vivere differenti, talvolta alquanto lontani dal nostro ambiente culturale, sta da sempre alla base delle tante esperienze di viaggio.
In questi giorni ho anche assistito a un lungo dibattito, nato a seguito di una proiezione d’immagini pubblicate in un recente prodotto editoriale incentrato sulla “asiaticità”, e dal confronto sono affiorate interessanti considerazioni.
Le disquisizioni sull’argomento partivano però tutte da presupposti un po’ prevenuti, ovvero erano genericamente accomunate da idee abbastanza preconcette, seppur basate su studi attenti e approfondimenti documentati.
In sostanza, basandosi su una cultura occidentale, seppur proiettata alla ricerca delle radici culturali delle varie realtà oggetto dei viaggi, l’intento dei progetti - e conseguenzialmente i reportage fotografici – era forse più quello di voler verificare idee precostituite.
In un caso però l’approccio trovava una giusta chiave, stante l’assoluta predisposizione a voler respirare l’aria mistica millenaria consolidata, comune nelle civiltà meno contaminate.
L’argomento veniva pure a mescolare i recenti cambiamenti intervenuti in talune comunità, basate su un progresso molto politicizzato, pure influenzato fortemente da una globalizzazione travolgente.
La Cina, in ciò, ha rappresentato un classico esempio che corrisponde alla velocità vertiginosa in un cambiamento sociale volto a un colonialismo 2.0, che risponde in parte anche a necessità interne di questa grande nazione.
Lo stesso potrebbe dirsi anche per l’India, ove però confliggono profonde diseguaglianze in una organizzazione sociale che continua a basarsi su caste, rispetto a un disegno capitalistico governativo che, però, qui non presuppone mire espansionistiche.
Sono, in ogni caso, ancora molti gli angoli del mondo che mantengono pressochè integre delle comunità che resistono rispetto alla globalizzazione selvaggia che avanza inarrestabile.
In ogni caso, ogni realtà deve essere studiata anche per le caratteristiche autoctone. Mettendo dentro culture, ordinamento politico, religioni e ogni altra specificità tipica.
Un aneddoto apparentemente stupido, che ricordo ancora, è stato quello emerso in un dialogo fra un turista italiano - durante un viaggio nella Cina classica (proprio quello del 1991 accennato prima) - con la guida locale, che in quei tempi il partito comunista assegnava ai tour, per accompagnare i turisti stranieri.
Per trarre vantaggio economico nel proporre e vendere prodotti made in Cina, si facevano visitare anche molte fabbriche, per poi indirizzare ai reparti vendita e invogliare a comprare prodotti realizzati il loco. Erano, ad esempio, industrie tessili, dove si realizzavano bellissime sete, oppure luoghi dove era sviluppato tutto l’intero ciclo produttivo di cloisonne e altre realtà ancora.
Sul pullman il turista del nord Italia, ridendo, ebbe a osservare ad alta voce che noi occidentali, per produrre un certo risultato industriale, magari tramite un’adeguata catena di montaggio robottizzata, avremmo impiegato non più di un dipendente. La guida turistica locale fece pacatamente però osservare che la popolazione in Cina era costituita da oltre un miliardo di persone, per cui l’impiego della manodopera - che poteva forse apparire per il nostro mondo spropositata - era per loro una necessità socio-economica, volta a consentire il più possibile il lavoro per la sussistenza della gente.
Quest’aneddoto sta ancora una volta a confermare che non sempre un osservatore esterno riesce a cogliere le complessità che caratterizzano usi, costumi e consuetudini.
Per poter avere una idea delle realtà che si visitano occorre pertanto molta umiltà e uno spirito di osservazione che riesca andare al di là di ciò che la nostra cultura è portata a vedere.
Tutto questo prescinde dalle realtà politiche che caratterizzano temporalmente i vari angoli del mondo. Poiché, in questo caso, le cose si complicano in interconnessioni nazionalistiche, tra organizzazioni più o meno democratiche e forma di totalitarismo che si incastrano temporalmente secondo interessi convergenti o contrapposti, in relazione anche agli equilibri politici internazionali contingenti.
La verità certa è che nessuno ha facoltà di scegliere dove nascere e i contesti che accolgono i tanti nascituri andranno a modellarli secondo le realtà sociali ospitanti. Ne è riprova assoluta il fatto che tutti i bambini del mondo sono dei cuccioli, per l’insita spontaneità e pulizia che li accomuna, a prescindere dalla figliolanza.
Per concludere, una costante nei miei rientri in Italia era la semplice considerazione di quanto C. avessi avuto nel nascere e vivere nel mio mondo.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
domenica 20 giugno 2021
Street Photography a Palermo, un pretesto dei fotoamatori per raccontare la città
La fotografia è anche una passione, ma pure un’occasione per immergerti nella gente e respirare la stessa aria, adeguatamente premuniti in tempo di mascherina, tamponi e vaccini.
Il gruppo Street Photography Palermo presente su Facebook e su Instagram porta avanti, da qualche tempo, un’iniziativa volta a documentare il territorio. Puntando non solo sulle bellezze monumentali e architettoniche di cui Palermo è ricca, ma anche sui cittadini che la abitano, i turisti che trascorrono le loro vacanze e quant’altro caratterizza, in quei momenti di caccia fotografica, i luoghi.
Forse inconsciamente si sta così lentamente realizzando anche un prodotto dai contenuti antropologici, che testimonia della realtà sociale che percorre gli ambienti cittadini del centro storico, ricchi d’integrazioni, di umanità che rispondono sempre positivamente ai solleciti del gruppo eterogeneo di fotografi in campo, che si compone ogni volta di “cacciatori” diversi che, oltre a cercare l’immagine, tendono a instaurare un’interlocuzione spontanea con le variegate umanità che incontrano.
Con l’appropriato testo che segue, l’amica Lorella, ha saputo sintetizzare le impressioni ricavate dalla piacevole passeggiata d’ieri, anche se svoltasi sotto un torrido sole estivo. Le foto che vengono man mano postate sui profili social anzidetti fanno da corollario al suo racconto o, se si vuole, anche all’incontrario o viceversa, fate voi.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
“Incontrare la felicità’, cercarla e parlarne è’ stato da sempre oggetto di tanta letteratura, arte, poesia, oggi ci siamo interrogati sul significato che diamo alla felicità, cosa rappresenta per noi , come la configuriamo nei vari aspetti della nostra vita, e passo dopo passo, attraverso i nostri incontri con le persone che abbiamo conosciuto e con le quali abbiamo parlato, attraverso le loro idee e i loro racconti, ci siamo messi in ascolto e abbiamo raccolto. Come quando si raccolgono fiori da annusare o frutti da mangiare , le parole di tante persone, una donna al balcone che guarda chi passa per strada, un uomo con il suo cavallo e le sue immagini sacre che ci parla di cinema a e musica, una allegra famiglia che si gode una giornata di riposo e che chiacchiera allegramente in un vicolo della città,un bambino intimidito che guarda la madre perché non sa cosa rispondere, ma poi ci sorride, un ragazzo in bici al porto che guarda il mare e i gabbiani, una bambina che ci guarda incuriosita seduta sui gradini di un vicolo, la scimia che ci mostra il suo rifugio con tutta la sua vita ai margini, occhi luminosi che ringraziano il cielo per averci incontrato, il ragazzo alla cassa del bar del porto che ci sorride dietro la mascherina.
La serenità, la famiglia e il lavoro, la salute, avere i soldi, essere in pace, il sorriso della gente, abbracciare la mamma, l’amore, la sincerità, l’onestà, occhi luminosi, fare musica e stare con gli amici, poter stare con la famiglia avere coraggio, avere fede, affidarsi a Dio, a Santa Rosalia.
Oggi da Borgo Vecchio al Porto, alla Cala , alla Vucciria, per le vie della città’, tante le persone incontrate come le cose che ci siamo detti, tante le emozioni di gioia provate, come tanti sono stati gli occhi che si sono guardati, senza diffidenza o paura o stupore, con il cuore Torniamo a casa con il cuore colmo di felicità.
Perché la felicità è fatta di piccole cose, momenti e gesti quotidiani, una parola, una carezza, uno sguardo sincero e autentico, un incontro che può alleggerire o rallegrare la tua giornata, ma soprattutto grazie a noi, alla fotografia che ci ha permesso di stare insieme e raccontare tutto ciò.
©Lorella Aiosa - Palermo, sabato mattina del 19 giugno 2021.”
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Fotografia
martedì 15 giugno 2021
"Nient'altro che il cuore" (galleggiando sul Lago Trasimeno) di Antonio Lorenzini
Dei lavori che mi ha a suo tempo trasmesso Antonio, al fine di conoscere un mio punto di vista, me ne era rimasto sospeso uno. Il titolo attribuito al portfolio era: “Nient'altro che il cuore" al quale ho aggiunto io (galleggiando sul Lago Trasimeno).
Rappresenta uno di quei lavori, che per la loro tipologia a me risultano complessi e nebulosi. Di quelle proposte che sono molto chiare ed evidenti all’autore, per quanto vorrebbe palesare, ma non lo stesso potrà spesso risultare in chi le osserva.
A mio parere, infatti, è uno di quei racconti accennati, tracciati per grandi linee, che lasciano intravvedere scorci di travagli interiori, complessi insiti in chi propone.
Le scelte estetiche, come spesso accade anche per altri autori del genere - e anche in questo caso - appaiono velate, accennate, allusive, grigie, oniriche in un dormiveglia confuso.
Leggerne il racconto è come assumere un ruolo in psicanalisi, per cercare di discernere le volontà esplicite e inconsce che si mescolano in una voglia di dire e non dire.
Come se l’autore, steso nel suo lettino, proiettasse delle immagini di se: costruendoci un suo portfolio fotografico.
Difficile e delicata risulta, quindi, ogni osservazione che volesse andare oltre il dovuto, perché si potrebbe anche rischiare di sfiorare fili elettrici non adeguatamente isolati, rimasti ancora scoperti.
Ciò, anche se il sospetto è che il fotografo volesse indurre qualcuno ad entrare nella sua costruzione, per aiutare a fare ordine, nel disordine introspettivo, a cui è peraltro – e da tempo – abituato.
Qualunque lettura improntata alla prudenza potrà in ogni caso tornare utile, in quanto risulterebbe di per sé gratificante, anche per la semplice attenzione prestata alla narrazione. Non occorre dilungarsi oltre sui significati della specifica operazione proposta che, senz’alcun dubbio, utilizza canoni comunicativi che per molti aspetti appaiono abbastanza simbolici ed eloquenti.
Di certo questo è un ambito che si muove nel campo della fotografia terapeutica e occorre saper valutare e soppesare l'uso dei giusti termini in questi casi. Del resto le forme terapeutiche sono molto più comuni di quanto si pensi in ogni manifestazione creativa dell'individuo, più o meno evidenti a seconda del mezzo espressivo usato.
Il lavoro di Antonio di per sé risulta, a mio modo di vedere, abbastanza armonioso nella successione delle immagini e nelle gradazioni di grigi, sfocati e mossi. La sua storia adombra eventi, personaggi, esperienze miscelate in nebbie senza tempo.
Ancora una volta, con la sua fotografia, Lorenzini è riuscito a esprimere molto bene le sue impressioni e sensazioni, che mantiene proprie come tracce nel vivere certi suoi momenti.
La forza comunicativa dell’arte, anche fotografica, sta anche in questo. Ciascuno potrà poi cogliere gli elementi secondo le proprie attitudini e, in ogni caso, leggerà come meglio sarà portato a credere.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
domenica 13 giugno 2021
“In memoria di un amico morto con un secchio in mano” di Gaetano Martorana.
Ieri, 12 giugno, costituiva uno strano anniversario, di un fatto di cronaca nera accaduto tanti anni fa. Gaetano ha tirato fuori quell'accadimento dal sacco dove custodisce tanti ricordi di un'adolescenza comune, una triste storia questa volta. Mi ha, quindi, proposto di pubblicare questo pezzo che porta indietro le lancette del tempo e, che in qualche modo, rinverdisce la memoria di un amico comune che, per noi giovani, allora virgulti pischelli, era anche uno dei personaggi positivi a cui fare riferimento e che in una notte di cinquanta anni fa non ebbe fortuna.
© ESSEC
"DEDICATO AD UN AMICO CHE MI E’ RIMASTO NEL CUORE E CON IL QUALE PRENDEREI ANCORA IL CAFFÉ NEI MOMENTI LIBERI, COME AI VECCHI TEMPI"
“In memoria di un amico morto con un secchio in mano” di Gaetano Martorana.
Il 13 Giugno del 1971 si sarebbe votato per il rinnovo del Parlamento siciliano e alle forti tensioni e le contrapposizioni, che erano state feroci, tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, si aggiungevano nuovi soggetti che cercavano spazi e proponevano novità.
Il panorama politico, che vedeva affacciarsi altri partiti all’orizzonte siciliano, faceva sì che gli attori contrapposti in queste elezioni non erano i soliti due, come era stato nei suffragi precedenti e fin dal 1947.
Per la borgata di Acqua dei Corsari la vigilia elettorale fu un giorno nefasto. Di fronte alla scuola elementare Ignazio Castrogiovanni di Acqua dei Corsari – nella notte del venerdì, tra le 24,00 e le 0,15 – venne a consumarsi una tragedia inaspettata.
Michele Guaresi trovò la morte in modo assurdo per mano di un poliziotto. Due colpi in sequenza misero fine alla vita di un padre di quattro figli piccoli e di un quinto ancora in grembo della moglie. Per l’imprevedibilità del destino, il nuovo nacque orfano e il rapporto con il padre fu tramite una sua fotografia e il racconto di amici suoi e della mamma.
La beretta che esplose i colpi, freddò oltre che un padre di famiglia, un attivista del PRI che, in quella calda estate di 50 anni fa, aveva finito di attaccare l’ultimo manifesto.
La guerra degli attivisti, in quegli anni, era spietata per conquistare l’ultimo spazio per attaccare l’ultimo manifesto. A chi faceva campagna elettorale questo gesto dava l’ingenua impressione che nelle tre sezioni della scuola di via Ammiraglio Cristodulo, si potessero vincere le elezioni così. E per questo la guerra tra gli attivi galoppini delle varie fazioni era senza esclusioni di colpi.
Per attaccare i loro manifesti si organizzavano con secchi, pennelli e colla, confezionata all’ultimo minuto con la farina e alle 23,30 e si partiva, secchio in una mano e manifesti sottobraccio. In quel tempo ancora non esistevano regole articolate per attaccare i manifesti elettorali, se non la distanza di duecento metri dai seggi.
Spesso succedeva, specialmente l’ultima notte, che si attaccavano i manifesti sulla colla di chi li aveva appesi prima, attaccandoli con le mani e con un solo colpo di pennello ed era già bello e attaccato, cosi facendo si impiegava metà tempo e si risparmiava la colla. Poi a mezzanotte scadeva il tempo utile e tutti lì davanti al bar a commentare e sfottersi; e quando finiva lo sfottimento si scioglieva il gruppo e si andava a tutti dormire.
Allora i partiti erano un’altra cosa e gli schieramenti avevano confini ideologici più marcati, ma il venerdì sera era una gara d’abilità. Chi avrebbe attaccato l’ultimo manifesto sarebbe stato il vintore della sua parte del torneo, che avrebbe avuto l’epilogo il lunedì pomeriggio. Quelli che erano stati armati di colla e pennello, erano pure gli stessi che si riarmavano di carta e penna per prendere i risultati dello scrutinio, per comunicali dall’unico telefono a gettoni presente nell’ingresso della scuola, ai rispettivi comitati elettorali.
In quel periodo in quella periferia, feudo incontrastato della Democrazia Cristiana, lontana dal centro della città, senza servizi, dove l’unico lusso che avevano i “Corsaloti” erano la scuola elementare e la chiesa: a quel tempo tutto era più difficile!
In questa piccola comunità agricola, alla fine degli anni sessanta si era però creato un nuovo fermento, gli operai avevano preso coscienza della durezza del loro lavoro e così ora desideravano che i loro figli, dopo la quinta elementare, continuassero ad andare a scuola. Si, perché la scuola media per i nati nel dopoguerra era stata una conquista, un riscatto un modo per evolversi, per cambiare vita uscendo dallo stato sociale in cui erano relegati la maggior parte degli abitanti di questa estrema periferia sud fastidiosa della città, piena di braccia da sfruttare, che non aveva una scuola media.
Molti di quei ragazzi che, si erano portati in città per frequentare la scuola media, timidamente dopo, si sarebbero anche proiettati verso la scuola superiore sperando di diventare ragionieri o geometri. Queste frequenze di scuole superiori avevano anche fatto nascere nei giovani del luogo le prime convinzioni politiche autodeterminate, che si discostavano da quelle che i poveri galoppini, quasi con bonario consiglio segnalavano alle famiglie più povere di borgata. Senza spiegare ne perché o per come avrebbero dovuto votate il Tizio o il Caio che veniva amorevolmente “imposto” dicendo: “Io u canusciu è un bravu cristianu, e si avemu bisognu ri qualchi cosa nnu truvamu”.
Il mettere insieme il falso plurale nell’utilizzo del “noi” accendeva, nella fantasia dei buoni. In pochi erano mai usciti dalla borgata, e solo i maschi, magari solo per andare fuori per il servizio militare a servire la patria. Molti erano portati a pensare alla possibilità che “criscennu me figghiu macari ci po’ pinzari chistiu chi staiu vutannu”, allora per amore, speranza o timore applicano la regola del: “calati juncu ca passa la china”, tanto dobbiamo andare a votare lo stesso e per questo un candidato vale l’altro.
Al povero Michele questo non piaceva e come i giovani guardava ad un futuro per i suoi figli migliore di quello che aveva vissuto lui.
Michele era un grande lavoratore, sempre in giro a ricercare modi onesti di guadagno per fare il bene della sua famiglia. Non gli piaceva però la sudditanza politica e l’occasione gliela avevano procurata i suoi amici più giovani, quelli che incontrava spesso al bar, quelle volte che restava in zona non costretto dal lavoro in trasferta.
Era stato contaminato dal fermento che serpeggiava tra i ragazzi e assieme ai giovani studenti sperava nel cambiamento, ad un’equità sociale maggiore.
Per questo s’impegnava e sperava. Per lui, i suoi amici e pure i suoi figli, che pur erano ancora piccoli, sperava una vita migliore della sua, affinché tutti potessero avere quello che lui non aveva potuto avere.
La campagna elettorale del 1971 alle regionali, come aveva già fatto l’anno prima per le comunali, lo aveva visto impegnato fino allo sfinimento.
Quella maledetta notte, con grande generosità aveva faticato in modo instancabile e aveva mandato via tutti dicendo che gli ultimi manifesti li avrebbe affissi lui. Avevano già quasi finito e si stavano dirigendo tutti verso casa, quando il lampeggiante della gazzella lo mise in allarme, e d’istinto era scappato. Il giovane poliziotto, da poco non più allievo e sprovveduto, era intanto sceso dalla macchina con l’arma in pugno per inseguire lui ed altri fuggitivi diventati presto ombre in un buio pesto.
Il milite si aggirò d’intorno fino a cogliere il povero Michele rannicchiato in mezzo all’erba alta di una timpa di terra più alta della strada. La paura colse entrambi impreparati all’emozione e la tragedia diventò, si scatenò in un attimo. Dopo quei due colpi di pistola che ruppero il silenzio della notte. E in quel preciso momento la storia di cinque bambini e una donna cambiò radicalmente. Il futuro di un intero nucleo familiare fu decapitato, il capofamiglia reciso e una tempesta si abbatté su quelle piccole persone innocenti e ignare, figli di un padre che sognava un futuro migliore, bello, che si era fermato sul nascere. In un attimo la storia della sua famiglia fu malamente riscritta.
Oggi a cinquanta anni dall’evento luttuoso, sempre di più sembra che in quella notte il suo sacrificio fu assurdo, legato al caso e inutile.
Se quel giovane poliziotto avesse mantenuto l’emozione e lo avesse identificato, invece di sparargli per paura, gli avrebbe potuto appioppare una infrazione amministrativa e forse una multa di cinquantamila lire, che magari non avrebbe neanche pagato il povero Michele ma qualcun altro per lui, il partito dei suoi manifesti probabilmente.
Oggi comunque potrebbe essere un piccolo riconoscimento a monito, mettere una lapide in ricordo del luttuoso e nefasto evento, che arrecò la morte a Michele e cambiò irreversibilmente anche la vita di tante persone.
Noi auspichiamo che ciò possa avvenire e che una testimonianza materiale possa essere apposta in quel famigerato luogo periferico di borgata, dimenticato nei ricordi.
Palermo 12 06 2021"
© Gaetano Martorana
mercoledì 9 giugno 2021
“Fotogazzeggiando” dopo un mese - Pretese, attese e indifferenze diffuse.
Sollecitato da qualcuno ad andare a riprendere argomenti più leggeri, improntati sul naturale cazzeggio, gioco forza affronto una questione frivola che mi tocca da vicino, ma che spesso coinvolge anche altri in fattispecie analoghe.
Quando si scrive troppo e su troppe cose si può anche rischiare di perdersi e magari prendersi troppo sul serio, mettendo così a rischio tutta una filosofia perseguita, improntata a un approccio semplice.
Stranamente pochissimi sono però fin qui risultati i riscontri, peraltro sollecitati a taluni, sulla congruità del volume intitolato provocatoriamente “Fotogazzeggiando”, titolo alla fine scelto come risultato di un compromesso mediato con l’editore.
Le uniche considerazioni ricevute in ogni caso hanno ancora una volta riguardato l’utilizzo della semplicità del linguaggio espositivo, che a detta di diversi avrebbe consentito un facile accesso ai contenuti; senza obbligare il lettore a dover imbattersi in citazioni e bibliografie varie, non necessarie per argomentare su singole questioni esposte in maniera piana.
In verità, forse è più veritiero il fatto che sono stati pochi coloro che si sono impegnati a leggere i capitoli dell’intero lavoro, anche perché, generalmente, a un libro non acquistato, non scelto e quasi occasionalmente ricevuto non si da particolarmente credito o attenzione. Nulla di nuovo sotto il sole, come si suole dire in questi casi.
Poi magari potrà pure accadere che in un prossimo futuro, in momento di stanca o magari in penuria di qualcosa sotto mano da poter leggere, capiterà di riprendere questo strano oggetto accantonato e – superando il naturale pregiudizio per una titolazione che sembrerebbe alludere a una goliardia – magari si troverà modo e tempo per porre attenzione all’operazione editoriale, scoprendo che forse non era un’idea bislacca, com’era apparso e, anzi, rivelatrice di una certa originalità metodologica.
Il silenzio che ha anche accomunato la maggior parte degli stessi omaggiati che hanno letto, escludendo chi ha riposto il volume in un angolo dopo aver dato una rapida occhiata alle sole figure (come si usava fare da piccoli nel guardare velocemente giornaletti e fumetti), lascerebbe intendere essenzialmente, comunque, due aspetti.
Un primo, di non condivisione dei contenuti, ritenendoli poco meritevoli per un qual si voglia commento e men che meno utili per un contraddittorio, stante anche l’assenza assoluta di “citazioni dotte”; un secondo di non volersi avventurare in disquisizioni che porterebbero allo scoperto quell’interlocutore che è restio a esporsi e che da sempre è votato alla prudenza.
In entrambi i casi o forse in tutti e tre i casi (includendo nel conteggio anche chi non ha neanche accennato a una minima lettura), l’autore resta sconsolato e destinatario di una magra considerazione.
Per intendersi, non è che aspirasse di ricevere plauso o approvazione in fiducia, ma si sarebbe accontentato anche di semplici opinioni, esprimendo, nel caso, un parere per esternare financo la mediocrità e la disapprovazione motivata anche sull’operazione intrapresa. L’assenza di reazioni mi ha fatto tornare in mente il titolo attribuito in un portfolio - con foto in bianco e nero - riguardante la “piscaria” di Catania: “Il silenzio dei pesci”.
Il silenzio, in ogni caso, certifica indifferenza; cosa che non può tornare utile né a chi scrivendo ambiva a sollecitare, né al lettore che con il suo non esprimersi continua a far persistere un equivoco tra le velleità ambite e i risultati dell’operazione oggettivamente raggiunti.
In conclusione occorre in ogni caso prendere atto del fatto che, se solo pochi sono stati coloro che si sono pronunciati, il silenzio e le indifferenze diffuse di tutti gli altri vorrà pur dire – e chiaramente - qualcosa.
Per chiudere questo breve scritto e focalizzare meglio il concetto sul silenzio (nel caso riferito alla musica, ma che nell’essenza può ben essere universale) utilizzo per intero un periodo tratto da appunto a suo tempo preso da Ezio Bosso per un’intervista e pubblicato nel libro “Faccio musica – Scritti e pensieri sparsi”, curato da Alessia Cappelletti - edito da PIEMME nel maggio 2021 - e che si sofferma in particolare sul suo concetto in questione in manera - a mio modo di vedere - abbastanza puntuale e calzante:
“Il silenzio di per sé non esiste, anche il sangue che ci scorre nelle vene fa un suono. E non esiste l’ultima nota. E’ vero, tra una nota e l’altra, tra una parola e l’altra c’è una pausa, ma non è un vuoto. E’ un pieno, un pieno di tensione. Il silenzio è questa tensione da cui nasce la musica. Il silenzio ultimamente è una forma di attesa. Tacciamo per ascoltare qualcosa d’altro. Io ho vissuto silenzi di tanti tipi, ne ho intere collezioni. E ho imparato a starci dentro. L’uomo di oggi invece ne è molto spaventato, ha paura dell’imbarazzo che avverte nel silenzio. E questo perché qualcuno gli ha messo in testa il mito della superiorità della forza. Ma è una menzogna: viviamo in un creato che ci dimostra quanto siamo piccoli. La nostra potenza non è nella forza, nel tentativo costante di affermare noi stessi. C’è una potenza che nasce dalla fragilità, nel non avere sempre le parole. Da quell’imbarazzo che avvertiamo davanti a noi stessi. Perché ci obbliga a trascendere, ad andare oltre. A stabilire nuove connessioni.”
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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martedì 8 giugno 2021
Piaceri e dolori nel porfolio fotografico
Basandosi sull’istinto, un attento osservatore sa riconoscere da sé la differenza fra mestiere e passione. Se poi alla passione si associa la generosità di voler condividerla con altri, si crea quell’atmosfera che rende partecipi a momenti che presentano sempre aspetti di novità.
Una disciplina fotografica come quella del portfolio, già complessa di suo, presuppone delle conoscenze tecniche di base sulla fotografia che risultano comunque indispensabili nel confezionamento di qualunque tipo di rappresentazione o racconto.
Il massimo raggiungibile, in questo campo, oserei dire, presuppone un connubio e un’intesa assoluta tra chi propone una storia e chi di contro (ma mai contrapponendosi) ne prospetta una sua lettura autonoma, basata sul titolo attribuito al lavoro e sull’osservazione attenta della sequenza preordinata delle immagini.
In alcuni casi può accadere che un portfolio non necessiti di particolari interventi e che risulti quindi autosufficiente; ma ciò però può non essere utile per una approvazione piena, poichè la coerenza compositiva e l’essenza stessa del racconto possono anche non essere profittevoli per suscitare le attenzioni attese.
Buono, onesto e ben strutturato può pertanto risultare un prodotto che espressivamente non comporta però più di una certa normalità, che non riesce, cioè, a coinvolgere più di quanto grammaticalmente è adeguatamente documentato.
In argomento è fatto sempre più cenno all’importanza dell’enfasi in fotografia; della proposizione, specie in portfolio, d’immagini che, specificatamente posizionate, riescono a dare maggiore respiro alle storie. Consentendo così all’osservatore di poter diversificare all'occorrenza i termini di lettura, aggiungendo anche margini per andare oltre le apparenze; riuscendo talvolta pure a irrobustirne gli elementi, rispetto a proposte poco prolisse che magari erano state approntate dall’autore.
Da tutto questo deriva, come spesso accade nel relativismo connesso a qualunque forma di scienza umana, che un prodotto culturale basato su moltitudini di regole e convenzioni - solo in teoria conciliabili - si possa scontrare con le difficoltà oggettive che si ritrovano, nell’avventurarsi a cercare di esprimere un pensiero presunto come assoluto.
L’esercizio e l’intrapresa in ogni caso rimangono validi, perché riescono a sempre intrigare e appassionare tutti i soggetti che ne restano coinvolti. Assistere a talune letture di portfolio, specie se non si è direttamente interessati, come si ebbe a dire in altra circostanza, è quasi paragonabile ad intrattenersi nell’assistere ad un evento culturale, di teatro, musica o altro, poco importa.
Le tante tessere del puzzle da ricomporre, sono sempre tante e innumerevoli, sia per dimensioni, colori e contenuti. Ma spesso certi incastri apparentemente riusciti (realizzati dal fotografo) al lettore risultano anche intercambiabili, senza precludere troppe variazioni nel disegno originario complessivo.
Qui intervengono la bravura dell’autore del prodotto di base e la capacità del lettore di turno che proverà a costruire, riordinando i pezzi o aggiungendo/eliminando altro per addivenire ad un racconto leggermente diverso. Mai volto a prevaricare o esprimere una verità assoluta, ma per aggiungere un proprio punto di vista che potrebbe anche non essere accolto dall’interlocutore del momento.
In ogni caso, la sintesi dell’incontro costruttivo tra fotografo e critico in queste circostanze dimostrerà l’eventuale validità del progetto approntato, qualunque ne sia poi stato il prodotto finale.
Come sempre, sperimentare e mettersi in discussione rimane l’unico modo per allargare le visioni, per evolvere conoscenze e cultura in ogni disciplina. Le critiche improduttive di chi si mantiene escluso e intransigente fanno anch’esse parte del gioco, ma alla fine, fortunatamente, non incidono più di tanto.
In conclusione, per chi volesse approfondire di più sull'argomento, potrebbe tornare utile un pezzo che riguarda questo stesso tema in discussione, pubblicato su questo stesso spazio web qualche giorno fà.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
giovedì 3 giugno 2021
Si susseguono tanti convegni e appuntamenti socio-politici
Si susseguono, specie in ogni primavera, tanti convegni e appuntamenti socio-politici dove non mancano relazioni e resoconti sugli andamenti nei vari campi. In queste occasioni sono anche tante le ricette che vengono esposte e proposte per risolvere facilmente anche problemi che si presentano complessi, atavici e quasi definitivamente irrisolvibili.
Per chi avesse difficoltà nel comprendere le essenze vere delle ricette, comprendenti i più profondi concetti, che ispirano la nostra classe politica contemporanea e il Gotha di buona parte dell’intellighenzia più illuminata, suggerisco caldamente una consultazione del sito https://letteralmente.net/frasi-celebri/massimo-catalano, dove sono raccolte la maggior parte delle tracce utilizzate dai tanti esperti specialisti - e oggi anche dai “Migliori” - che in ogni campo e per qualsiasi questione riescono a trovare soluzioni percorribili e sempre rassicuranti per un sicuro successo.
Le tracce “alla Catalano” affrontano ogni argomento e al referenziere (o a chi ne analizza i termini e prepara i discorsi) basta solo individuare quella che fa più al caso proprio, infarcendola all’occorrenza con qualche supercazzola conforme agli stili delle mode letterarie del momento. In tutto questo, magari facendo molta attenzione a quello che potrà essere il destinatario immediato o finale della relazione.
Una ricca cassata alla siciliana con tanti canditi, coperta di glassa e infarcita di ricotta abbondante, per i più esigenti intellettualoidi golosi, con meno ingredienti – che potrebbero solo risultare dispersivi - per coloro che si pongono o si ritrovano su livelli culturali più bassi e gradiscono prodotti più rustici e meno elaborati.
La parte più divertente in tutto questo rimane sempre negli editoriali e nei resoconti approntati dagli esperti delle tante testate giornalistiche (carta stampata, telegiornali o talk fa poca differenza), chiamati, a loro volta a confezionare scritti che spieghino e interpretino “verità soggettive”, quasi sempre però volte ad assecondare le pretese dei loro padroni (che solo in pochissimi casi corrispondono ai loro lettori, qualunque ne sia la fede politica).
Mi piace citare, per chiudere, una frase del nostro Massimo che recita così. “ Il mio editore mi costringe per contratto a pensare una volta al giorno. E’ un negriero”, ma nell’editoria di oggi c’è chi è ancora più filantropo e assegna anche dei ricchi premi fuori busta a chi smette di pensare in proprio. In qualche caso li mette pure un po’ più genuflessi a dirigere un giornale, quasi "a propria immagine e somiglianza", ma questa è un’altra storia.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
martedì 1 giugno 2021
Confrontarsi è sempre utile e costruttivo
Poter visionare i tanti lavori che partecipano a un appuntamento di lettura di portfolio fotografico non è possibile, sia che l’evento si svolga dal vivo o anche se, per ragioni di Covid, abbia uno svolgimento in streaming. Succede pertanto che, da osservatori, ci si trovi sempre a saltellare, alternandosi fra un tavolo e l’altro, sperando di poter cogliere delle letture interessanti. Una scelta utile potrebbe allora anche essere questa che si indica di seguito.
Confidando sulle peculiarità di lettori noti, specie nel caso in cui non si conoscono tutti gli autori in gara, si può puntare a soffermarsi sui tavoli di quei lettori che reputiamo più affini ai nostri gusti; anche perché – e in ogni caso – i loro escursus inducono a riflessioni, consentendo di apprendere informazioni e catturare sempre nuove sfaccettature che gli stessi riescono a mettere in campo, indipendentemente dalle caratteristiche dei lavori esaminati.
Alle Letture del 21° Spazio Portfolio Italia delle Fiaf di questo fine maggio 2021, seguendo la logica anzidetta, ritengo di essere stato abbastanza fortunato.
Fra i tanti lavori presentati e che sono riuscito a intravedere, infatti, un progetto che mi ha particolarmente coinvolto, è stato quello di Antonio Presta, intitolato “In fondo al colore”.
Le immagini che lo componevano venivano a raccontare di una realtà drammatica, fotograficamente documentata in modo fedele, con aspetti che potevano anche apparire incredibili.
Informazioni supplementari, fornite dall’autore durante la lettura, hanno anche aggiunto elementi per far comprendere agli osservatori presenti al tavolo la portata di quanto veniva rappresentato.
Ennesima prova delle situazioni difficili cui possono trovarsi a vivere soggetti imbrigliati in un’esistenza ormai del tutto sfuggita di mano.
La tragicità del racconto era ben comprensibile, nonostante gli scatti evidenziassero aspetti che in qualche caso accennassero solamente; evitando dettagli di scene che non erano necessarie all’essenza della narrazione.
L’osservazione attenta di tutti gli elementi del portfolio consentivano, infatti, di cogliere perfettamente oltre il visibile e lo sguardo del soggetto fotografato in primo piano, a chiusura del lavoro, mostrava l’assoluta eloquenza della sussistenza di un mondo lontano, diverso, distante, ma maledettamente aderente a una “umanità che era altra”.
Un altro lavoro, sempre a mio parere, molto ben strutturato e sviluppato era stato quello proposto da Giuliano Reggiani, intitolato “Una questione privata”. Un portfolio anch'esso intenso che mescolava i duplici aspetti di una famiglia di artisti di strada. Il lavoro veniva a proporre immagini che alternavano un’intimità familiare all’espressione artistica degli stessi soggetti, fotografati in azione con i loro costumi e strumenti di scena.
L’operazione veniva quindi a proporre un unicum che, attraverso sapienti momenti di ripresa e con la cattura di sguardi e di atmosfere, riusciva a entrare nel profondo d’intimità legate, che risultavano di per sé esplicite e non necessitavano dell'ausilio di parole.
Sono riuscito pure ad assistere a letture di altri portfolio di fotografi che per la prima volta presentavano un loro progetto in ambito Fiaf. Lavori tutti ben preparati anche se, come evidenziato dagli stessi lettori, in qualche caso, meritevoli di rivisitazioni per qualche piccola pecca, per ridondanze o necessitanti di qualche più generico ritocco.
Durante la proclamazione furono infine elencati - nella giornata di domenica - i diciotto portfolio finalisti, che si erano contesi l’ammissione in finale. Fra questi figuravano i lavori di Presta e Reggiani, ma nessuno dei due era, poi, risultato fra i vincitori.
I lavori che avevano primeggiato nell’appuntamento d’esordio del 21° Portfolio Italia di Fiaf non li avevo seguiti in lettura ma, ancora una volta avevo riprova e verificavo la mia difficoltà in questa complessa branca fotografica.
Infatti, mentre ero riuscito a leggere in modo fluido, restandone pure coinvolto, i due lavori prima descritti di Presta e Reggiani, tranne in un caso, non trovavo analoga fluidità e chiara comprensione nei lavori che, invece, avevano vinto nella manifestazione.
Da ciò ho quindi desunto che, così come è molto difficile e complicato riuscire a creare un portfolio fotografico, equilibrato e esaustivo, appare altrettanto difficile far coincidere la proposizione del creatore di un progetto con chi si propone a leggerlo e valutarlo.
Paradossalmente sarei portato anche a pensare che in ogni lettura, al di là della sensibilità e delle predisposizioni di ognuno, il lettore mette sempre in campo una preparazione molto ampia che porta a visioni e interpretazioni che oltrepassano l’apparente.
La logicità sequenziale, pertanto, non è sempre legata a delle successioni d’immagini pedissequamente “documentaristiche” ma necessita - di volta in volta - di fotografie enfatiche, utili ad allegorie, con presenza d’immagini quasi oniriche che consentono di creare collegamenti, per dare sufficiente spazio anche a interpretazioni altre. Vaghi semivuoti indefiniti o foto neutre sono utili a rafforzare intuizioni o ad alludere a qualcosa che viene fatto intendere, con più chiavi interpretative, rivolte magari furbescamente alle caratteristiche del lettore che ogni volta si è prescelto.
Questi elementi costituiscono spesso anche fattori importanti che comportano processi di letture differenti, che determinano approvazioni o bocciature, in funzione di chi è chiamato a interpretare e giudicare.
In ogni modo, quindi, non esistono bocciature o dieci e lode assoluti, ma sempre giudizi relativi, correlati a tempi, ai luoghi e, ovviamente, anche alle specificità delle singole parti in causa.
Comunque, a prescindere di come uno la pensi, le letture di portfolio costituiscono un ottimo esercizio per indurre a ragionare, per riflettere su tutto quanto è compendiato nell’arco creativo strettamente connesso al mondo della fotografia.
Confrontarsi è sempre utile e costruttivo, sia per chi propone che per chi si mette in gioco. Questa è una regola fondamentale che Silvano Bicocchi, Pippo Pappalardo e molti altri lettori come loro tendono sempre a ricordare in premessa, agli amanti della specifica disciplina, ogni qualvolta si accingono a iniziare le loro mai banali letture.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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