Si torna a parlare di riforma della giustizia. La misura è colma:
costi e tempi vergognosi fanno di quella italiana una denegata giustizia. Ma da
sempre le denunce restano senza terapie. Semmai qualche tentativo di riformare
non la giustizia ma l’indipendenza dei giudici. Per contro sono possibili,
subito e a costo zero, interventi decisivi. A cominciare dalla prescrizione,
che soltanto in Italia non si interrompe mai, mentre ovunque altrove si
interrompe con il rinvio a giudizio o con la sentenza di primo grado, o – a
tutto concedere – con quella di appello. Da noi niente. E allora conviene
sempre allungare il brodo all’infinito perché arrivi la prescrizione che tutto
azzera. Ma così i processi non finiscono mai e qualunque riforma che non
toccasse la prescrizione si risolverebbe in una presa in giro.
Poi c’è il sistema delle impugnazioni. Oggi, per andare subito a
un esempio concreto, l’imputato confesso di un reato da niente, perciò
condannato al minimo della pena, ricorre lo stesso. Sempre e comunque. In
appello la pena (reo confesso condannato al minimo) sarà ovviamente confermata.
Al che l’imputato – sempre più incredibile – ricorre persino in Cassazione, pur
sapendo che non c’è niente da sperare. Morale: tutti ricorrono, il sistema si
ingolfa, i tempi rallentano e i processi si allungano. Occorrono (eppure non si
fa) dei filtri di grado in grado, che impediscano o fortemente sconsiglino i
ricorsi inutili. Per esempio si potrebbe finalmente abolire un retaggio del
diritto romano, il cosiddetto divieto di reformatio in pejus, grazie al quale
se a ricorrere è soltanto lui, l’imputato non rischia assolutamente nulla,
perché è vietato peggiorare di un solo giorno o euro la condanna già inflitta.
Ultracomodo, al punto che non ricorrere è masochismo.
C’è poi un intervento in radice, di sistema, che ritengo
indifferibile. Tra civile e penale abbiamo ben nove milioni di processi
arretrati. Una montagna contro cui qualunque riforma è destinata a schiantarsi.
Bisognerebbe avere il coraggio di abolire tout court il grado di appello. Così
si ricupererebbe una quantità consistente di magistrati, segretari e
cancellieri, da destinare in una prima fase esclusivamente all’eliminazione
dell’arretrato. Poi andrebbero concentrati sul primo grado che ne trarrebbe una
forte accelerazione, mentre la scomparsa dell’appello dimezzerebbe – se non più
– i tempi dei processi. Certo, lo ripeto, ci vuole un gran coraggio. Ma è
necessario (pur essendo scontato che le voci contrarie sarebbero un mare) per
non soccombere sotto un cumulo di macerie.
Si torna a parlare, poi, di falso in bilancio. L’attuale
disciplina è una iattura. Perché allenta fortemente le regole dell’impresa
favorendo i più forti. Rende opache le regole dell’economia pregiudicandone
credibilità e affidabilità. Dissuade risparmiatori e investitori. Oscura tutta
una serie di “spie” tecniche utilissime perché non restino sommersi fatti di
corruzione o di economia illegale, anche mafiosa. Urge dunque una riforma.
Anche per chi – come il nuovo premier – chiede che cessi il “derby ideologico”
fra politica e giustizia. Ora, se derby è sinonimo di scontro ad armi pari –
dissentono i tifosi del Toro, scottati da certi arbitraggi – è improprio
parlare di scontro quando uno solo, la politica, le dà e l’altro le prende.
Comunque sia, è facile vedere che nella storia del “derby” entra
anche il falso in bilancio. Perché, al netto della propaganda, è un fatto che
un’infinità di processi è cominciata quando il falso in bilancio era reato; –
ma a processo aperto le regole sono state allegramente cambiate con la
depenalizzazione, e i processi sono stati rottamati “perché il fatto non
costituisce più reato”. Uno dei tanti esempi di leggi ad personam, ma in questo
caso al danno si sono aggiunte beffe devastanti. Benzina per il preteso “derby”.
Chi con la depenalizzazione del reato è stato “graziato” (magari in decine di
processi), ha poi avuto la sfrontatezza di dire: vedete, decine di volte i Pm
mi hanno accusato e decine di volte sono stato poi assolto. Un accanimento
perverso. Ce l’hanno con me. Questi orridi magistrati invece che giustizia
fanno politica! Falso, ma così nasce la storia del “derby”. Per cui, quando
sull’attuale disciplina del falso in bilancio sarà messa una croce, non sarà
mai troppo presto.
Gian Carlo Caselli (Jack’s Blog – Il FattoQuotidiano – 28 febbraio 2014)