"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

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lunedì 27 febbraio 2017

L'ora legale - film (recensione)

 



L’ora legale, appunto, l’unica cosa che di legale funziona a Pietrammare, metafora esplicita di qualunque agglomerato più o meno urbano, o più o meno umano, di quella piccola-grande fetta di mondo che è il Meridione d’Italia (what ever means). Tutto il resto è malaffare, clientelismo, prepotenza, arroganza, torpore degli arti e delle menti; insomma un vissuto quotidiano, anzi un quotidiano, vissuto all’insegna della più convinta solare strafottenza, supportata, a sua volta, da quella filosofia di vita che si esprime al meglio con l’assunto: ”Levati di qua che mi ci metto io “ .

Non manca nulla in questo “Divertissement”di S. Ficarra e V. Picone, per chiarire con immagini, per altro coloratissime, quanto sopra solo accennato: dal traffico esasperante, al disordine, al degrado urbano, alla sporcizia contro il cui maleodorante accumulo si infrangono anche, le migliori intenzioni della “Differenziata”. Provvedimento, si sa, tardivo ma sacrosanto che, pare, inviterebbe , almeno dalla letttura che ne fanno i Pietrammaresi, anche i cani a darsi una regolata nell’espletamento dei loro bisogni!

Segue ancora un’allegra rassegna di luoghi comuni, ma talmente comuni e difficili da abbattere, da continuare a fornire abbastanza elementi per fare storia, politica e sociologia di sempre scottante e imprescindibile attualità.

E a nulla valgono a Pietrammare, nemmeno le elezioni per rinnovare la carica di Sindaco, perché l’homo novus con cui ci si illude che si possa voltare la pagina della storia, una volta eletto, sarà fatto contento e subito gabbato. Infatti, a rimettere le cose a posto, a far tornare tutto come il prima, di gattopardesca memoria, calerà, direttamente dalla capitale, un individuo losco, cupo, con un marcato accento romanesco, a dare ai cittadini, freschi di urne, una lezione di rinnovata omertà e tassativo, ineludibile ripristino dell’establishment. “Grazie Roma “ dunque “ verrebbe da dire con Venditti “che ci fai piangere e sentire ancora , una persona sola!” (“sola” da intendersi come aggettivo in italiano e sostantivo in romanesco. La scelta è libera!). Tale personaggio, a dire il vero intristisce, non poco, ci si diverte decisamente di più con Leo Gullotta, perfetto , anche questa volta, in abito talare, elegante ed impeccabile nel ruolo del parroco, ipocrita e traffichino, diplomatico e scaltro che trama dietro le sacre quinte ed auspica per i suoi concittadini il ritorno a quel passato rassicurante e protettivo che solo il candidato Patanè può garantire.

E chi, in tanta a noi ben nota grottesca commedia, può farci ridere di gusto se non Tony Sperandeo, maschera eccellente del cinema italiano; l’attore che non recita, impersona, con tanta autentica e genuina naturalezza da risultare sempre più vero del vero. Lo abbiamo visto spesso, rendere al meglio, anche in ruoli contraddittori, come quello dello sceriffo e del bandito per esempio, entrambi paradossalmente a lui assai congeniali e qui è “Patanè”, il candidato “ che bisogna votare anche senza un perché”!

L’unica nota stonata in tanta leggerezza, la faccia triste del suo avversario, il candidato, simbolo del cambiamento, promotore della svolta decisiva, nella politica del paese.
Ma, perché mai , ci chiediamo, questa faccia malinconica e rassegnata che lo fa apparire perdente anche da vincitore!? … Però a pensarci bene, ammettiamolo anche noi, cosa ci si può aspettare da uno che anche la moglie chiamava “Pierpalla”!? ..... Allora prof. Natoli si svegli: La DEMOCRAZIA è ALTERNANZA, bellezza! ...E forse, abbiamo perso tutti troppo tempo a non farcene una ragione. 



Tomasz Trzcinski: Keith Jarrett - THE KÖLN CONCERT ...... e la favola di ..... Biancaneve



Nero carbone

Anche a chi non crede nelle favole,
piace sempre fantasticare
che un giorno
il suo piccolo principe
possa risvegliarsi dal sonno
… al tocco di una piccola strega
… in un crescendo musicale
… come in K. J. nel suo Koln Concert ……
(Essec)


sabato 25 febbraio 2017

Il peggior errore di Cristo: diventare uomo sulla Terra

 

E il Figlio disse al Padre. “Papà vorrei scendere un po’ sulla Terra”. Dio corrugò la fronte. Era da un po’ di tempo che quel figliolo lo preoccupava. Niente di grave in verità. Nulla a che vedere con la rivolta di Lucifero, quel campione di superbia, ammalato di SuperEgo, che aveva osato dire “meglio essere primi in Inferno che in Ciel servire”. L’aveva cacciato giù nel profondo, quello screanzato. Anche se gli seccava un po’ quello che gli riferivano gli Angeli addetti ai servizi segreti. Pare che Satana si divertisse un mondo. Era un sadico e si era inventato per i Dannati le torture più terribili, gente immersa nel ghiaccio per l’eternità, cose che nemmeno a Guantanamo…Del resto la colpa era sua. Era stato Lui a dare a Lucifero quel compito. Ma Satana e i suoi sodali (nel profondo ne aveva cacciati un bel po’ perché la sedizione era stata seria e molti vi avevano aderito) stavano esagerando. Poiché Lui non aveva poteri sull’Inferno, che era l’unico luogo fuori dalla Sua giurisdizione, da un po’ di tempo si era dato da fare per tramutare le pene e molti li aveva mandati in Purgatorio. Qui niente waterboarding, stimoli elettrici, umiliazioni, solo una profonda sonnolenza in attesa che passasse il periodo di carcerazione preventiva e assurgessero anche loro al Paradiso. 

No, da suo Figlio non c’era da temere nulla del genere. Era dolce, affettuoso, accuditivo (cosa che era diventata importante adesso che Lui veniva vecchio. Addirittura laggiù sulla Terra qualche devoto lo raffigurava con una lunga barba bianca, cosa che gli seccava moltissimo). Era solo un po’ irrequieto quel suo figliolo, attraversava l’età dell’adolescenza. Ma la sua contestazione era soft. 

Perché vuoi scendere sulla Terra, figliolo?”. “Papà qui mi annoio un po’. Siamo solo in tre, tutti maschi per giunta. E poi, lo dico col massimo rispetto, quello Spirito Santo è veramente insopportabile. E’ troppo astratto e non si possono mai fare quattro chiacchiere alla buona. Qualche volta scendo le scale e vado giù a giocare a calcio con i Cherubini e i Serafini. Ma vince sempre la squadra dove ci sono io. E ho il sospetto che mi facciano vincere apposta per evitare qualche ritorsione. Anche se Noi, lo dovrebbero sapere, non siamo punitivi come quei nostri vicini, come si chiamano, ah sì gli Jahvè. Insomma per dirtela tutta, Padre, vorrei farmi qualche scopatina. Con le Sante non c’è niente da fare, sono quasi tutte vergini e anche quelle che non lo sono hanno in testa il dovere della castità. E poi non posso essere proprio io a dare il cattivo esempio dopo che da duemila anni facciamo professione di sessismo. Addirittura qualche tempo fa un tuo Vicario in terra, non mi ricordo più come si chiama, so però che è finito all’Inferno perché si è scoperto che non credeva in Te, aveva messo nella sua location, come simbolo del Male, la fotografia di quella bellissima, carinissima, ingenuamente maliziosa, deliziosa ragazza, te la ricorderai sicuramente anche Tu, BB, Brigitte Bardot. Un vero bijoux. Un eccesso di zelo se mi consenti, pardon se mi permetti, Padre”. 

E quanto vuoi stare laggiù sulla Terra?”. “Ah poco, pochissimo, una trentina d’anni, un attimo in termini cosmici. Non ti lascerò solo con lo Spirito Santo a lungo. Allora, me lo permetti, Padre? Dai, solo una ‘fuitina’, rapida rapida”. “Va bene, però ti devo avvertire che per tutto il periodo in cui sarai un uomo in carne e ossa patirai le sofferenze degli uomini”. “Beh, vorrà dire che farò un po’ di esperienza”. “Va bene, va bene. Oltretutto potrai essere utile per portare a Noi, con qualche miracolo ben mirato, un po’ di quella gente perché mi sembra che da qualche tempo, laggiù, molti abbiano deviato e non ci riconoscano più come i veri padroni del Cielo e della Terra. Comunque per scendere, per favore, prendi l’astronave più piccola, quella un po’ scassata, perché ho intenzione di farmi un gran bel viaggio con l’Ammiraglia”. 

Una volta sceso in terra Cristo si trovò di fronte ad alcune questioni logistiche. Essere un bèbè non lo attirava affatto, ma la cosa poteva essere superata inventandosi qualche leggenda a cui gli uomini, quegli eterni creduloni, avrebbero prestato sicuramente fede. Lui voleva nascere intorno ai vent’anni. Con i poteri suoi e di suo Padre poteva permetterselo. E così fece. Per una decina d’anni s’immerse nella vita degli uomini: donne, prostitute, feste, vino, hashish che si faceva venire dall’Oriente e anche qualche scappatina con i ‘travesta’. 

Dopo essersi divertito pensò che era giunto il momento di seguire le raccomandazioni di suo Padre che gli aveva chiesto di fare un po’ di proselitismo. Era un grande illusionista, moltiplicò i pani e i pesci, camminò sulle acque del lago di Tiberiade, resuscitò un morto, ridette la vista a un cieco. In verità questa fu l’operazione più difficile. Dovette mandarlo sul lago, fargli raccogliere un bel po’ di argilla, spalmargliela sugli occhi, aspettare un bel po’ di tempo e poi finalmente quello tornò a vedere. Ma nemmeno lui era sicuro che questo miracolo fosse avvenuto realmente o non fosse piuttosto frutto di autosuggestione. 

Era anche un po’ deluso. Non è che la sua missione avesse avuto un grande successo. In tutto aveva raccolto dodici seguaci. Ma anche quel piccolo manipolo aveva irritato della gente di laggiù, gli ebrei, quelli che credevano al loro vicino di casa, Jahvè. Così un giorno si trovò circondato da quelli: gli volevano fare la pelle. Per fortuna arrivò in tempo il comandante romano della piazza che lo portò dal governatore di Giudea, un certo Ponzio Pilato. Costui chiamò i maggiorenti degli ebrei e chiese loro di cosa accusassero quell’uomo. “Afferma di essere il figlio di Dio –risposero- mentre di Dio ce n’è uno solo, il nostro”. Mentre il mob, la folla, tumultuava sotto il palazzo chiedendo che a quell’imbroglione fosse data la giusta punizione, Pilato chiese a Cristo: “Senti, rinuncia a questa storia del ‘figlio di Dio’, io mando via quei rompicoglioni che non fanno che innescare gazzarre mentre è mio dovere mantenere l’ordine pubblico e tu sei salvo”. “Io non posso rinnegare me stesso” rispose Cristo. “You are foolish Jesus Christ, how can I help you se sei così testone? Io non credo che tu nemmeno intenda le mie parole, sembri quasi assente, non capisci che la tua vita è nelle mie mani?”. “Nelle tue mani non hai proprio niente, everything is fixed, and you can’t change it”. Pilato prese la frusta, chiese a Cristo di abbassarsi la tunica bianca scoprendo la schiena e gli assestò 39 frustate. Ma quello era irremovibile. “Senti Cristo, tu mi sei simpatico, sei anche un gran bel ragazzo, giovane, perché ti vuoi martirizzare e far crocifiggere?”. “Sia fatta la volontà di Dio”. “E allora sai che ti dico: io me ne lavo le mani”. 

E così Cristo fu portato sul Calvario seguito da una folla urlante tutta eccitata, come sempre, per uno spettacolino fuori ordinanza. I chiodi piantati nelle mani e nei piedi facevano un male cane. Inoltre a star lì gli era venuta una sete terribile. Peraltro il Padre lo aveva avvertito: per quel suo capriccio avrebbe dovuto sopportare i dolori degli uomini. Cominciò a pensare di essersi cacciato in un brutto guaio. Invocò l’aiuto di suo Padre. Silenzio. Forse Quello era in giro per il cosmo con la sua Astronave e non si accorgeva di ciò che stava accadendo. “Padre, padre, perché mi hai abbandonato?”. Cominciò anche a dubitare che suo Padre avesse quei poteri di cui si era sempre vantato. Venne anche sepolto in un sepolcro. A quel punto Dio, ritornato dal suo viaggio, di cui era molto soddisfatto, si accorse di quello che stavano facendo a suo Figlio e lo richiamò a sé. 

Allora com’è andata la tua esperienza?” gli chiese sorridendo. “Male, molto male, mi hanno conciato per le feste. E poi anche tutti quei divertimenti non è che siano gran cosa. Il sesso di cui laggiù fanno gran caso non è che un semplice sfregar di mucose, anche piuttosto disgustoso devo dire. Ma il fatto più grave è che quelli lì, gli uomini, sono della gentaccia. Ti proporrei di cacciarne molti di più all’Inferno abbandonando quella politica di appeasement con gli umani che hai inaugurato da un po’ di tempo. Fai come gli Jahvè. Forse sono loro a essere nel giusto”.



Per chi stona la Campana



 
Mesi e mesi a parlare di codici etici, a discettare di responsabilità politiche e morali da non confondere con quelle penali, a chiedere ai nemici di giustificarsi per un paio di nomine, di polizze e di sms (peraltro tagliuzzati), poi promuovono Micaela Campana nella Commissione Congresso del Pd, appena costituita dal presidente Matteo Orfini per fissare le regole delle prossime primarie del partito. Micaela Campana, chi era costei? La deputata Pd, responsabile Welfare della segreteria Renzi, che ha collezionato 39 “non ricordo” al processo Mafia Capitale durante la sua cosiddetta testimonianza in aula. E che, alla fine del dibattimento a carico di Carminati, Buzzi & C., verrà indagata per falsa testimonianza (la strana tempistica è prevista dalla sciagurata “riforma” di quel reato varata nel 1995 per abolire l’arresto in flagranza voluto da Giovanni Falcone), visto che la Procura ha chiesto al Tribunale di trasmetterle gli atti della scena muta.

Ma oggi siamo buoni e vogliamo far finta che sul capo della Campana non gravi quella spada di Damocle penale. Parliamo di fatti e delle questioni etico-politiche conseguenti. E partiamo dal 2 ottobre 2016, quando l’allora premier Matteo Renzi, alla scuola di formazione del Pd, se ne esce con questa sparata: “Pensate che avrebbero detto se Paola Muraro fosse del Pd. In fondo la svolta della Raggi è dare la gestione dei rifiuti a una donna collegata totalmente a Mafia Capitale, a quelli che c’erano prima. La doppia morale dei 5 Stelle fa ridere i polli”. 

È appena uscita la notizia di una telefonata intercettata anni fa tra la futura assessora della giunta Raggi e Salvatore Buzzi, a proposito di certe carte mancanti all’offerta presentata in una gara d’appalto che una coop di Buzzi avrebbe poi perso. Nessun reato, nessun favoritismo e nessuno scandalo: una storia di ordinaria burocrazia, talmente innocente che la Muraro non è stata mai sentita, neppure come teste, dai pm di Mafia Capitale. Ma tanto basta a Renzi per associare “totalmente” la Muraro a Mafia Capitale (beccandosi una querela per diffamazione). Passano due settimane e il 17 ottobre Micaela Campana viene sentita al processo Mafia Capitale. Deve spiegare perché al telefono chiamava Buzzi “grande capo”. Perché gli chiese di finanziare le cene elettorali di Renzi, fornendogli via sms il codice Iban del Pd (dopodiché Buzzi bonifica 15 mila euro e avverte la Micaela). Perché gli chiese soldi anche per suo marito Daniele Ozzimo (poi condannato a 2 anni e 2 mesi per corruzione in Mafia Capitale). 

Perché fece da tramite col viceministro dell’Interno Filippo Bubbico (Pd) per sbloccare in Prefettura un appalto vinto dalla coop buzziana Enriches e ostacolato da una ditta rivale. E poi una serie di altri contatti e richieste al limite dello stalking, roba da far sbottare Buzzi con un collaboratore della deputata: “È una mucca che, per essere munta, deve mangiare”. Tipo quando la Campana – annota il Ros – “chiama Buzzi e riferisce che a Colli Aniene devono sgomberare un appartamento da alcuni immigrati” e Buzzi si mette a disposizione del di lei cognato, consigliere Pd al IV Municipio. O quando un uomo di Buzzi si sente chiedere aiuto dallo staff della Campana per un trasloco e Buzzi gli dice di lasciar perdere perché quegli scrocconi “non vogliono pagare”. O quando Buzzi manda uno dei suoi a incontrare la Campana che “sicuramente vorrà dargli qualche nominativo da assumere”. O quando le chiede di presentare un’interrogazione parlamentare, peraltro senza esito. A ogni episodio che il pm Luca Tescaroli le rammenta, la Campana risponde “non ricordo”. Anche a proposito della gara sbloccata in Prefettura grazie alla sua intercessione presso il viceministro: ora non ricorda, ma all’epoca dei fatti schioccava a Buzzi un bel “Bacio grande capo!”. 

Per la Procura tutti questi fatti (ma non l’improvvisa perdita di memoria) sono penalmente irrilevanti. Ma sono avvenuti e pongono al Pd una gigantesca questione politica e morale. Invece Renzi, Orfini & C. lasciano l’amicona di Buzzi in Direzione e ora la promuovono in Commissione Congresso. Del resto si tengono pure al governo il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione (Ncd), addirittura imputato per turbativa d’asta, falso, abuso e corruzione elettorale in un altro filone di Mafia Capitale, quello sulla gara truccata del Cara di Mineo. E non hanno mai restituito i 15 mila euro versati da Buzzi, ora imputato per mafia e corruzione, alla cena di finanziamento del novembre 2014 (l’ha fatto solo la fondazione renziana Open per altri 5 mila euro). Nessun imbarazzo neppure per le intercettazioni in cui il presunto boss di Mafia Capitale aderiva entusiasta al renzismo: “Siamo diventati tutti renziani… a me me piace Matteo Renzi, che cazzo vuoi?… Er problema è un altro, er problema è che non ce stamo più noi… una cosa incredibile: Grillo è riuscito a distruggere il Pd”. Il che non gli impediva una certa trasversalità nelle donazioni: “Noi abbiamo finanziato legalmente Rutelli, Veltroni, Alemanno, Marino, Zingaretti, Badaloni, Marrazzo, tutti praticamente, anche Renzi: tutti contributi dichiarati in bilancio”. Sette nomi su 8 sono del Pd, uno è di destra, mancano solo i 5Stelle. Ce n’è abbastanza per ribaltare la frase di Renzi: “Pensate che avrebbero detto se Micaela Campana fosse dei 5Stelle. 

In fondo la svolta di Renzi è mettere in Commissione Congresso una donna collegata totalmente a Mafia Capitale, a quelli che c’erano prima. La doppia morale del Pd fa ridere i polli”. Questi, come diceva Leo Longanesi, credono che la morale sia la conclusione delle favole.




mercoledì 22 febbraio 2017

Scissione Pd: la sconfinata lista di disastri renziani, a beneficio di Richetti



https://youtu.be/WZ-AQXZJlEM


Ieri, a Otto e mezzo, c’era quel furbacchione di Matteo Richetti. Persona intelligente e scaltra, quando si trova a difendere per partito preso ciò su cui è il primo a non credere poi granché – ovvero Renzi e il renzismo – utilizza una tecnica dialettica vecchia come il codice di Hammurabi: fingere di dare ragione a chi ti sta criticando. Ieri lo ha fatto con Antonio Padellaro: “Padellaro qui ha ragione”, “Posso essere d’accordo”, “Non nego che in parte sia così”. Esaurito tale artificio, Richetti ha poi riassunto le motivazioni degli scissionisti con un semplicistico “Renzi gli sta antipatico”. Magari fosse quello. Renzi non è solo antipatico, ma privo pure di qualsivoglia talento. L’antipatia bisogna potersela permettere. E lui non può: si atteggia a Messi quando al massimo è Dertycia. 

Il punto non è personale, bensì politico. Lasciamo stare gli scissionisti veri o presunti. Pensiamo a quelle centinaia di migliaia di persone che, pur avendo dato credito a Renzi nel 2014, oggi non lo rivoterebbero neanche sotto tortura. Davvero, secondo il prima-renziano-poi-no-adesso-sì-domani-vediamo Richetti, è solo questione di “antipatia”? Se così fosse, gli riassumo (per sommi capi) la sconfinata lista di disastri commessi da Renzi. Disastri che, fino all’altro giorno, era il primo a notare. Infatti, prima di imbarcarlo in fretta e furia nel carrozzone dei “votiamo sì il 4 dicembre per sconfiggere l’Isis come dice la mia amica Boschi”, Renzi detestava Richetti ritenendolo una sorta di Civati 2 La Vendetta. Ecco la lista parziale, caro Matteo (Richetti). 

1. Una classe dirigente improponibile, fatta di “Ciaoni” Carboni e “Dolci Forno” Picierni, al cui confronto Fedriga è Churchill e Crimi “Bob” Kennedy.

2. La sconfinata mestizia, e magari fosse solo mestizia, del cosiddetto giglio magico.

3. “La buona scuola”, riforma quasi del tutto indecente grazie alla quale il Pd si è giocato l’appoggio degli insegnanti.

4. Il “Jobs Act”, che a Farinetti e Briatore è piaciuto parecchio, ma agli operai meno.

5. I giovani, così attratti dal giovine gattopardo-rottamatore da votare tutti tranne lui.

6. Gli intellettuali, che a parte Baricco sono scappati così lontano dal Pd che adesso Carofiglio, per recuperarli, dovrebbe essere come minimo uno sciamano navajo coi controcazzi.

7. Liguria, Veneto, Roma, Napoli, Torino, Arezzo, Sesto Fiorentino. Eccetera.

8. Quel gran genio di De Luca, forse esponente illustre di quella sinistra “a cui pensavamo noi emiliani quando volevamo un mondo unito dopo la caduta del Muro” (cito Richetti ieri sera, parola più parola meno).

9. Alfano, Verdini, Lorenzin e questo bel governo rimasto più o meno lo stesso nonostante la Waterloo meravigliosa del 4 dicembre.

10. Una riforma costituzionale da vergognarsi in eterno, scritta peraltro peggio delle bozze di Moccia.

11. Una legge elettorale “che tutti ci invidieranno”. E infatti si è visto.

12. La bocciatura della riforma Madia, le mancette per (non) vincere il referendum, il “salvabanche” per “quelle tre banchette toscane” (cit Renzi), i condoni pronunciati all’inglese (do you know volountary disclosure?), la mancata lotta all’evasione. E molti altri demoni.

13. L’occupazione della Rai, roba che in confronto la Legge Gasparri era quasi figa e Minzolini meritava il Pulitzer.

14. L’Unità attuale, che non è morta perché non la compra nessuno: si è suicidata leggendo andrearomano.

15. Il sistematico disprezzo per il dissenso, l’opposizione e tutto ciò che non era iper-renziano. “Gufi”, “professoroni”. E magari “specchio riflesso”, come si faceva all’asilo, che è poi lo stadio intellettuale a cui è rimasto il renzismo.

16. Una carrellata infinita di sconfitte, al punto tale che – in neanche tre anni – il renzismo è riuscito a dilapidare quasi tutto.

17. Le bugie come se piovesse, compresa quella mitologica secondo cui “se perdo mi ritiro a vita privata e faccio triathlon”. Né la prima e neanche la seconda, a giudicare dal girovita (e dal giromento).

18. La sistematica sopravvalutazione di un bischeruccio che al bar di Montione avremmo zimbellato senza pietà, ma a cui avete permesso di spolpare per anni il partito (e pazienza) e pure il paese (e questo resta imperdonabile) 

Potrei andare avanti a lungo, ma mi fermo qui. Caro Matteo (Richetti), sfottere gli scissionisti per il poco coraggio o per quella loro propensione al politichese prebellico è facile. E ci sta pure. Non pretendere però che tutti gli italiani siano così deficienti da credere che sia solo una questione di “antipatia”. Ed è pietosa pure la tua – e non solo tua – litania del Renzi che “ha imparato la lezione, d’ora in poi sarà diverso”: l’uomo è questo e questo sarà. Lo sai meglio di chiunque altro. Non conosce velocità diversa da questa goffa e sciagurata modalità “bulletto comicamente tronfio”. Non è strano che si parli di scissione: è strano che se ne parli solo adesso, dopo che Renzi e il suo Giglio-Barnum hanno raso al suolo un partito che, almeno in via teorica, doveva essere di centrosinistra. Non certo la versione quasi-giovanilista e iper-caricaturale del berlusconismo 2.0.

P.S. Sai qual è la cosa triste, Matteo (Richetti)? Che tra le alternative a Renzi ci siano ormai quasi tutti. Tranne te. Fa un po’ tristezza, constatare come la tua ambizione nascosta fosse quella di assurgere a “Nardella dotato”. Evidentemente non ti vuoi poi così bene come sembra. Peccato.



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Monte Pellegrino visto da casa natia di Acqua dei Corsari

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