"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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martedì 24 gennaio 2012

PERCHE’ I QUATTROFISSA.IT

Un giorno uno dei nostri figli, IV elementare, dice: sai papà, i miei compagni dicono che io sono il più gentile della classe.
E come mai ? – gli viene chiesto – gioia di papino tuo. No… sai…, perché spesso do in prestito le matite ai miei compagni e non le rivoglio indietro oppure loro non me le restituiscono, e anche i colori; regalo le figurine e anche qualche pupazzetto, anche se non l’ho doppione!
Bravo, gli viene detto, per ora ti definiscono il più gentile, tra qualche anno ti diranno che sei u’ cchiù ffissa!
Perché papà? E’ presto per spiegartelo, aspetta fiducioso e lo capirai da solo…..
Anche noi, amici lettori, fondatori e amministratori di questo sito, di fronte a situazioni simili a quelle sopra descritte, di fronte a comportamenti “furbi” e anche un po’ arroganti spesso ci siamo chiesti: ma siamo noi i cchiu fissa? (i più fessi per chi ci legge dalla Calabria in su); la risposta è stata unanime e perentoria: SI! (magari non proprio i cchiù fissa ma in buona posizione certamente…)
E così un pomeriggio, durante una festa familiare per uno dei nostri ninos, la svolta.
“Insomma” dice uno “lo vogliamo aprire sto sito? Si. E come lo chiamiamo? La risposta fu unanime e all’unisono: iquattrofissa! Cosa da farci un flic e floc moltiplicato alla quarta!
Non a caso era un Primo Maggio, un giorno che evoca comunque un bisogno di riscatto.
E quindi eccoci qua.
Ci rivolgiamo a quelli che ancora resistono a non fare i “furbi” o i “furbetti del quartierino” a tutti i costi, a quelli che fanno la fila, a quelli che cercano di rispettare le regole, a quelli che non cercano sempre e comunque “l’amico”….insomma, fissa di tutto il mondo unitevi a noi in questa battaglia che possiamo definire “a livata ru fissa!” ovvero “la ribellione del buono”.
Raccontateci le vostre scene di ordinaria “fissaria” e vi accoglieremo a braccia aperte.
Senza voler essere però censori o moralisti a tutti i costi. Questo non fa parte del nostro DNA.
Il tutto senza piangerci addosso, anzi è d’obbligo l’ironia e l’autoironia, la leggerezza, l’umorismo, magari con un pizzico di riflessione.

Di cosa ci occupiamo ...

Iquattrofissa.it, si propone di essere (almeno nelle intenzioni) un sito “generalista”.
Non abbiamo la pretesa di avere competenza su tutto lo scibile umano ma ... quasi!!.
Ok, non è vero!! comunque, anche da “ignoranti”, vogliamo sottoporre all’attenzione di coloro che avranno la bontà di seguirci spunti di discussione, notizie e commenti sui più svariati argomenti di interesse generale con particolare riferimento alla realtà in cui viviamo (Palermo).
Abbiamo anche tentato di suddividere (in maniera molto elastica e non esclusiva) i compiti di ciascuno, sappiate quindi che:
• il “fissa” n. 1, nella sua qualità di webmaster si occupa del coordinamento generale del sito; cura inoltre i settori fotografia, libri, e cronaca;
• il “fissa” n. 2, polemista del gruppo, cura i settori cronaca, politica, cultura e sport;
• il “fissa” n. 3, musicologo di fama (o ... fame?) riconosciuta, cura i settori musica, cinema, internet e sport;
• il “fissa” n. 4, uomo di grande cultura (a suo dire ...), segue i settori cultura (appunto ..), cinema, libri e arte.
Naturalmente confidiamo molto (anzi moltissimo) nella collaborazione dei frequentatori del sito oltre che su una schiera di amici e parenti che (almeno a parole) hanno dato la loro disponibilità a collaborare.

Mingo - 28 giugno 2007

sabato 21 gennaio 2012

I nuovi deportati della crescita infinita

Questo quotidiano, nel numero di mercoledì, riporta la notizia che in Cina la popolazione cittadina ha superato quella rurale. Sicuramente, ciò che ha determinato l’abbandono delle campagne è stata la massiccia industrializzazione della nazione. Ça va sans dire!

Ma c’è un altro fenomeno, invece molto, ma molto triste che ha contribuito al fenomeno dell’urbanesimo, e cioè la deportazione. Ohibò! La deportazione? Sì, la deportazione per la costruzione di grandi opere in territori agricoli. E di queste grandi opere, la peggiore, la più nefasta (fino ad oggi) è stata la ormai tristemente famosa “diga delle tre gole” sul Fiume Giallo, lo Yangtze. Alta 185 metri, lunga 2,3 chilometri, con 85 miliardi di kilowatt di potenza installata, ed un costo di 25 miliardi di dollari, è la più imponente opera infrastrutturale nella storia dell’umanità.E per creare il gigantesco bacino idrico a monte della diga sono stati cancellati dalla carta geografica 75 cittadine e 1.500 villaggi situati nel corso superiore dello Yangtze. E i loro abitanti, circa un milione e mezzo di persone, sono stati letteralmente deportati, ed in buona parte, appunto, urbanizzati, talvolta anche a migliaia di chilometri di distanza.

Ora il governo cinese ammette che si potrebbe essersi sbagliata, che fare la diga potrebbe essere stato un errore. Mi viene la pelle d’oca a leggere che è stato un errore. E la vita rovinata di un milione e mezzo di persone? Quanto è costato, madonna, questo errore? E se fare grandi dighe è un errore, perché le dighe già realizzate e quelle ora previste in Amazzonia, le dighe del Sarawak in Malesia, o le dighe del Narmada in India? Sbagliare non insegna nulla?

No, purtroppo non sono errori, o meglio, lo sono, certo, dal nostro punto di vista, dal punto di vista di chi ha a cuore le sorti del pianeta, ma dal loro punto di vista, di chi governa in Cina, in India, in Brasile, alla ricerca di un sempre maggiore prodotto interno lordo, sono solo funzionali allo scopo. Cina: + 9,2%; India: + 8,3%; Brasile: solo + 3,5, ma punta al 4,7 nel 2012. Produrre, produrre, sempre di più. La crescita infinita. In un mondo finito.

Magari può apparire fuori luogo, se non addirittura blasfemo, ma quando penso a questo drammatico argomento, mi sovvengono delle bellissime e profetiche parole: “vieni, vieni in città, che stai a fare in campagna…come è bella la città…con tanta gente che lavora, con tanta gente che produce”.

Fabio Balocco (Il Fatto Quotidiano - 20 gennaio 2012)





Vocabolario

Girando per la rete si ha sempre modo di scoprire chicche e personaggi nuovi, di creativi che, in un generale piattume spesso amaro, hanno qualcosa da dire con ilarità, ironia, sarcasmo, fantasia, leggerezza.
Il blog http://ilghigno.blogspot.com/ è uno di questi e pubblico di seguito un suo arguto e felice post che distrae e strappa un sorriso:

"VOCABOLARIO:
ABBATTERE Classica risposta di una prostituta a cui chiedono: "Dove stai andando?"
ANAFILATTICO Profilattico per rapporti anali
ANALOGICO Culo intelligente
ANATOMICO Culo radioattivo
APPENDICITE Attaccapanni per scimmie
ASSILLO Scuola materna sarda
BALALAICA Testicolo anticlericale
BISCAZZIERE Persona sessualmente molto dotata
CERBOTTANA Cervo femmina di facili costumi
CHERUBINO Esclamazione di poliziotto in sciopero
CIAMBELLANO Colui che ha il più bel buco di culo del reame
CULINARIA Associazione Paracadutisti Gay
CULMINARE Fare uso di supposte esplosive
CULTURISMO Viaggio di piacere di una supposta
FAHRENHEIT Tirar tardi la notte
FEDINA PENALE Piccolo anello posto alla base del pisello
FOCACCIA Foca brutta e cattiva
FRACASSO Monaco veneto con un uccello di enormi dimensioni
FREGATA Unita navale sottratta al nemico
PALAFITTA Intenso dolore al testicolo
PANGRATTATO Pagnotta ottenuta poco lecitamente
PAPARAZZO Missile vaticano
PARIGINO "Sembri Luigi" in romanesco
PRESUNTUOSA Stretta di mano del meccanico
PRETERINTENZIONALE Un prete che lo fa apposta
RIMEMBRARE Operazione chirurgica consistente nel riattacco del pene
RINCULO Sodomia recidiva
SCORFANO Pesce che ha perduto i genitori
SINCERO Romano che si duole di non essere stato presente (es: sincero eramejo)
STRAFOTTENTE Dicesi di persona di grandi qualità amatorie"

http://ilghigno.blogspot.com/2012/01/vocabolario.html

venerdì 20 gennaio 2012

Tutto te rice resta ("Everything says stay")

Tutto te rice resta ("Everything says stay")

Mai nisciuno ha dditto niente ‘ngoppa a sto paese
non ci’ ha penzato né lo forastiero né lo cassanese.
Ma stammatina ca stao co la panza a lo sole
nce voglio provà io a ddice ddoe parole.

Partenno ra la Pollentina se saglie chiano chiano
e subbeto, subbeto se respira l’aria re Cassano.
Roppo la Croce se vere la Tribuna
addò si piglia lo frisco co lo sole e co la luna.

Arrivato a la Chiazza ti viri attuorno
na casa qua, na casa là e la valle se è juorno.
Tu vardi lo panorama e ddici: quant’è bello!
Ma io te rico: votati ca pure lo paese è bello!

Si sagli ancora ngoppa, fino a lo Potariello
Può verè¨ lo Palazzo e sentì no fattariello
Come rici?! Se saglie sempe? La sagliuta è faticosa!
Ma scusa? Pe ghj ˜mparaviso non se fa la stessa cosa?

Passato ‘o Vico Forno pigli na scalinatella
ca roce roce te porta ngopp a la Serra.
La sagliuta è fernuta ma tu non sì arrivato,
te ne può ghj a la Costa a piglià no poco re fiato.

Ra llà putissi j a verè lo chiano Nocelleto.
Ma lo ‘ssaccio, si stanco e vulissi tornà arreto.
Vabbuò¨, scinni, e fatti ˜na veppeta racqua fressca.
Ma rimmi, non te pare ca qua tutto te rice: resta!

lunedì 16 gennaio 2012

Passaparola - La pista di atterraggio - Alessandro Bergonzoni

La prima rivoluzione è una rivelazione - Un saluto a tutti gli amici del blog di Beppe Grillo, onorato e felice di esserci dentro.
Fai l’attore, fai l’autore, fai l’artista e poi quando hai finito i tuoi spettacoli, i tuoi libri, le tue mostre, le tue rappresentazioni cosa succede? Bisogna cominciare a andare nelle scuole, nelle scuole è molto tardi, nei licei è tardi, all’università è tardissimo, bisogna andare alle scuole elementari, è tardi anche alle scuole elementari, bisogna cominciare a andare negli asili nido, anche negli asili nido è tardi, bisogna andare durante il rapporto proprio a dire: ascolta, per poter raccontare un “r’acconto”, una narrazione non un dogma, nessun dogma è l’opera che preferisco. Non è più possibile in questo momento storico o antistorico che si voglia, accontentarsi del proprio mestiere, bisogna cominciare a fare il mestiere degli altri. Bisogna andare nei posti dove non si è voluti, non si è aspettati, non ho inventato niente, sicuramente qua dentro c’è chi lo fa prima di me e molto meglio di me. Bisogna cominciare ad andare nelle carceri e negli ospedali, non solo nelle piazze e poi vorrei aggiungere, ecco l’argomento che mi interessa di più. Non bastevole il tema del proprio mestiere, cominciare a andare nella piazza interiore, lo so che questa platea forse condivide parzialmente quello che dico, ma la prima rivoluzione è una rivelazione, quello di andare a vedere quanto cambio io, poi vado nella piazza e faccio ha rivoluzione, ma prima devi andare a vedere quanto tu sei responsabile di un cambiamento interno, lo chiamo cambiamento interno lordo, prodotto interiore lordo. Noi abbiamo delle piste di atterraggio molto corte, concetti come economia, morte, vita, malattia, razzismo, sono concetti jumbici, i Jumbo sono aerei grandissimi e dentro hanno un sacco di passeggeri-idee. Questi concetti per atterrare richiedono a noi delle piste di atterraggio enormi, un Jumbo per atterrare ha bisogno di chilometri per poter atterrare, noi abbiamo delle piste corte, cortissime da atterraggio in verticale. Noi dobbiamo cominciare un’espansione che poi permetterà di andare a rivoluzionare, ed è già cominciata questa rivoluzione, voi ne sapete qualcosa più di me stando qua dentro ascoltando e vedendo questo Blog. Gli artisti narrano, non costringono e non educano anche se di sottofondo il tema del poter raccontare vorrebbe anche essere più forte, più energetico. Vorrei far sì che si cominciasse una mutazione, che si cominciasse a dire tutti i giorni, tutti i minuti... perché noi votiamo ogni ora, ogni minuto, ogni secondo, quando guardiamo un handicappato, quando usiamo l’acqua, quando sprechiamo, quando malediciamo, quando diciamo a una persona che ha un tumore: "Poveretto", sono votazione, stiamo votando, siamo dentro l’urna, è un referendum continuo la giornata. Credo che internamente, anche artisticamente, antropologicamente, filosoficamente non dobbiamo avere paura di queste parole.

Personaggi morti ancora vivi - Io ho un mio Parlamento interiore, un governo interiore, che deve fare cultura tutti i giorni, non demandandolo solo a chi mi rappresenta, cioè a qualcuno di politico. La politica viene dopo e è importantissimo, anche il sociale viene dopo, anche il civile viene dopo, anche l’etica per assurdo viene dopo, prima viene una rivoluzione interiore,un grande cambiamento, devi avere dentro di te una massa di organi che votano, che decidono l’esecutivo, quelli che portano poi a avere un allargamento, ecco la vastità, fare voto di vastità significa questo: non accettare più essere piccoli, essere corti, essere limitati, non accettare più solo di imitare, parodiare, lo dico anche all’artista: "Devi cominciare a cambiare codici, cambiare linguaggio, regola ma internamente, devi cominciare a cambiare scrittura, devi andare altrove, senza dimenticare"… Non è una fuga assolutamente, anzi è uno scavo speleologico perché è da dentro, il problema della mafia è sì un problema politico ma l’ho detto e lo ripeto senza presunzione è anche un problema di anima. Quando parlo di anima non parlo di religione, voglio parlare di una condizione interna che se non cambia non puoi aspettarti nulla, allora vai negli asili a raccontare come è possibile un nuovo politico tra 30 anni, un nuovo magistrato tra 30 anni, un nuovo malato tra 30 anni, un nuovo medico tra 30 anni, un nuovo insegnante tra 30 anni, lo devi lavorare lì!
È una prevenzione mentale, è un concetto di grande fatica, di grande investimento. Le prossime generazioni beccano poco, devi andare a lavorare là per poter narrare una letteratura diversa, mancano i poeti, fatemi dire questa cosa retorica, parlo di una poetica, un amministratore delegato oltre al senso di giustizia, di onestà, deve avere anche un senso poetico, se sei un uomo largo capirai cos’è giusto, cos’è sbagliato, cos’è illegale e ci arriverei per una condizione interna che è sì culturale, antropologica ma è anche proprio di crescita ulteriore, non è più possibile solo andare in certe trasmissioni e parlare di etiche, ce ne siamo accorti da quando ci hanno portato via i risparmi, da quando ci hanno derubato e i neuroni che ci derubano. Le intelligenze, le coscienze è un altro furto, è un concetto anche interiore, è da lì dove nasce tutto, poi andiamo nelle piazze quando abbiamo cambiato, credo che lo dicesse anche Gandhi che saluto in questo momento perché so che ci sta ascoltando, esistono infatti personaggi vivi che sono già morti e personaggi morti che sono ancora vivi.
Era importante poter raccontare questo nei luoghi sbagliati, quali sono i luoghi sbagliati? Tutti, dove puoi farlo? Nella famiglia, dove puoi farlo? Nelle scuole, dove puoi farlo? Negli ospedali. Non puoi parlare di malattia quando ti colpisce, non puoi parlare di violenza sulle donne se sei una donna o se hai una figlia femmina, non puoi parlare della sicurezza stradale o delle morti del sabato sera se hai dei figli giovani, lo devi fare comunque, sono stufo di quelli che raccontano i casi di malasanità perché l’hanno subita, devo interessarmene io. Ecco il lavoro interiore, devo immedesimarmi, prendere “p’arte” entrare, non sono parole, le parole, se dietro non hanno un pensiero sono punte di iceberg, allora prima rivelazione e poi rivoluzione, non accettazione!

Agire interiormente - Il desiderio è dimenticare lo slogan, i giovani devono sognare di più, i giovani non stanno sognando, desiderano, vogliono, sono velleità, parlo di bisogni, necessità, è attraverso anche una dose di irrealtà, sembra irrealtà ma non lo è, che si arriva a conoscere e a pretendere di più dalla realtà.Non posso più andare in una trasmissione e usare gli stessi codici, le stesse parole, gli stessi modi di interpretazione per affrontare satiricamente, parodisticamente le cose, devo cambiare, noi non dobbiamo ricreare ricreazione, dobbiamo creare, inventare e questo lo chiedo a uno studente o a un bambino dell’asilo nido che comincia a guardare un corpo che può essere un corpo anche senza braccia, che comincia a guardare la pelle, i colori, le usanze, i modi di una persona a prescindere dal giudizio di quella persona, che comincia a rendersi conto che non esiste una religione solo, una medicina sola, un corpo solo, una donna sola, ma deve andare a allargare. Piste di atterraggio e concetti enormi e quindi dico anche davanti agli scandali delle prigioni, davanti agli scandali della sanità, non posso pensare solo a ciò che mi capita e quando mi capita. Io sono già colpito da ogni scandalo sulla sanità, da ogni scandalo sulla prigione, anche se non sono io il destinatario di quel danno, ormai l’abbiamo capito: se cade un albero in Amazonia presto ci sono dei problemi anche qua. Metaforicamente uno dice: "Ci sono degli alberi così lunghi ?" Non c’entra, è un concetto di energia che si sposta, tu sei lontano ma sei molto vicino a ciò che accade, non devi solo parlare di cronaca, quello che uccide è il morbo di Kronac, fatemelo ripetere fino alla noia, ormai l’ho detto mi annoio io a dirlo. Il fatto che si parli costantemente di comunicazione, il tema è la conoscenza, non come comunichiamo, non mi interessa come si parla in pubblico, se si parla con più congiuntivi, meno congiuntivi, voglio che ci sia dentro un senso, un concetto, una profondità, della ciccia, è un concetto antivegetariano del pensiero!
A questo punto non è una speranza, io la speranza non ce l’ho, la speranza è l’ultima a morire, a me non interessa chi è ultimo a morire, voglio sapere chi è il primo a rinascere, l’ultimo a morire lo vedo tutti i giorni, la televisione non va accesa, va guardata ma non accesa e l’ho già detto miliardi di volte, ormai noi dobbiamo fare un percorso ulteriore, il problema è il piccolo, l’innocuo, il semplice, non è innocuo il piccolo, è gravissimo, è delinquenziale, allora devi agire prima internamente, interiormente, non è una perdita di tempo. Divulgate, raccontate, parlatene e grazie di questa vostra pista di atterraggio che da chi vi vede sembra comunque abbastanza lunga!

Alessandro Bergonzoni (Passaparola del 16 gennaio 2012)


La cultura dello sciacquone

La cultura superiore. Piscia sui cadaveri dei nemici uccisi, piscia sui prigionieri, dopo averli denudati, derisi, fotografati, portati in giro in carriola per renderli più ridicoli, piscia sui loro simboli religiosi. Pisciano i soldati della cultura superiore, quasi spurgo simbolico del marciume del mondo cui appartengono, ma non sanno più combattere. Per questo il più potente, moderno, sofisticato, tecnologico, robotico esercito che abbia mai calcato la scena, dopo dieci anni di occupazione sta perdendo la partita in Afghanistan ed è costretto a pietire dal nemico una qualsiasi ‘exit strategy’ che mascheri la vergognosa sconfitta. Che oltre, e prima, che militare è morale.

I Talebani sono feroci e crudeli in battaglia, certo, ma non pisciano sui nemici uccisi, non pisciano sui prigionieri ma li trattano, finché conservano questo status, con rispetto e, se sono stranieri, come ospiti. Possono uccidere, e uccidono, ma non torturano. Hanno conservato il senso di sé e della propria e altrui dignità, valori prepolitici, prereligiosi, di cui la cultura superiore si è completamente svuotata. Hanno provato a corromperli in tutti i modi, i Talebani, ma non ci sono riusciti. Sulla testa del Mullah Omar, il loro capo indiscusso, pende una taglia di 25 milioni di dollari, ma in dieci anni non si è trovato un solo afghano disposto a tradirlo per una cifra che è enorme in sé e quasi inconcepibile da quelle parti. Nella cultura superiore uomini ricchi e potenti si vendono per un soggiorno in albergo, per un affitto, per un viaggio in aereo, per una nota spese mentre le donne, libere donne non oppresse dalla necessità, si fan comprare per 1.000 euro o poco più.

La Cia è arrivata al ridicolo di offrire agli anziani capi tribali afghani, che han molte mogli, il Viagra. A questi livelli si è abbassata la cultura superiore. Gli occidentali son sempre pronti ad accusare i propri nemici di perpetrare stupri (nel caso dei Talebani cosa ridicola, esclusa proprio dalla loro sessuofobia) ma non fanno che proiettare, come si dice in psicoanalisi, la propria ombra. Se i Talebani sono sessuofobi, gli occidentali sono sessuomani, ma non per un eccesso di virilità, bensì per il suo contrario, per impotenza, per estenuazione e son costretti a volare a Phuket per trarre, violando bambine, dal loro membro floscio, oltre che piscio, una goccia di sperma.

Gli occidentali, affogati nella grascia del benessere, non sono più abituati al combattimento in senso proprio. Il sudore e la ferocia del corpo a corpo gli fa orrore, la vista del sangue, se non è televisivo, li manda in deliquio. Appena possono i loro soldati evitano il combattimento. Usano quasi esclusivamente i caccia e i bombardieri contro un nemico che non ha aerei né contraerea ed è quindi inerme. E se in qualche caso vengono coinvolti in uno scontro ravvicinato, e subiscono le pesanti perdite che quotidianamente, con tranquilla coscienza, infliggono agli altri, lo sentono come un affronto, una slealtà, una vigliaccata, qualcosa di cui sdegnarsi, un atto illegittimo e immorale. Per la cultura superiore è morale invece che aerei-robot colpiscano e uccidano teleguidati a diecimila chilometri di distanza da piloti che non corrono alcun rischio, nemmeno quello di infangarsi le scarpe. Dall’altra parte ci sono, all’opposto, uomini, armati quasi solo del proprio corpo, del proprio coraggio, della feroce determinazione a difendere i propri valori, giusti o sbagliati che siano, e che, per questo, si implicano totalmente. Il presidente degli Stati Uniti Barak Obama ha detto: “Se potessi farei combattere solo i robot per risparmiare le vite dei nostri soldati”. Ma è il combattente che non combatte a perdere ogni legittimità, ogni dignità e onore. Questa è la cultura superiore. Io ci piscio sopra.

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 14 Gennaio 2012)

venerdì 13 gennaio 2012

Il patto scellerato

Non tiri un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, trattenga ancora il fiato. Non creda che questa congiura dell'omertà che si è frapposta tra lei e le richieste della magistratura, possa sottrarla dal dovere di rispondere di anni di potere politico esercitato in uno dei territori più corrotti del mondo occidentale. Non tiri un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, perché quel fiato non dovrà usarlo solo per rispondere ai giudici. Il fiato che risparmierà lo deve usare per rispondere a chi ha visto come lei ha amministrato - e lo ha fatto nel peggiore dei modi possibile - la provincia di Caserta, plasmando una forma di contiguità, i tribunali diranno se giudiziaria ma sicuramente culturale, con la camorra.

Onorevole Cosentino, per quanto ancora con sicumera risponderà che le accuse contro di lei sono vacue accuse di collaboratori di giustizia tossicodipendenti. I pentiti non accusano nessuno, dovrebbe saperlo. I pentiti fanno dichiarazioni e confessioni; i pm ne riscontrano l'attendibilità ed è l'Antimafia a formulare l'accusa, non certo criminali o assassini. Lei, ribadisco, non è accusato da pentiti, lei è accusato dall'Antimafia di Napoli. Ma anche qualora i tribunali dovessero assolverla, lei per me non sarebbe innocente. E la sua colpevolezza ha poco a che fare con la fedina penale. La sua colpa è quella di avere, per anni, partecipato alla costruzione di un potere che si è alimentato di voti di scambio, della selezione dei politici e degli imprenditori peggiori, il cui unico talento era l'attitudine al servilismo, all'obbedienza, alla fame di ricchezza facile. Alla distruzione del territorio. La ritengo personalmente responsabile di aver preso decisioni che hanno devastato risorse pubbliche, impedito che nelle nostre terre la questione rifiuti fosse gestita in maniera adeguata. Io so chi è lei: ho visto il sistema che lei ha contribuito a produrre e a consolidare che consente lavoro solo agli amici e alle sue condizioni. Ho visto come pretendevate voti da chi non aveva altro da barattare che una "x" sulla scheda elettorale.

Sono nato e cresciuto nelle sue terre, Onorevole Cosentino, e so come si vincono le elezioni. So dei suoi interessi e con questo termine non intendo direttamente interessi economici, ma anche politici, quegli interessi che sono più remunerativi del danaro perché portano consenso e obbedienza. Interessi nella centrale di Sparanise, interessi nei centri commerciali, nell'edilizia, nei trasporti di carburante, so dei suoi interessi nel centro commerciale che si doveva edificare nell'Agro aversano e per cui lei, da quanto emerge dalle indagini, ha fatto da garante presso Unicredit per un imprenditore legato ad ambienti criminali.

Onorevole Cosentino, per anni ha taciuto sul clan dei casalesi e qualche comparsata ai convegni anticamorra o qualche fondo stanziato per impegni antimafia non possono giustificare le sue dichiarazioni su un presunto impegno antimafia nato quando le luci nazionali e internazionali erano accese sul suo territorio. Racconta che don Peppe Diana sia suo parente e continua a dire essere stato suo sostenitore politico. La prego di fermarsi e di non pronunciare più quel nome con tanta disinvoltura. È un uomo già infangato per anni, i cui assassini sono stati difesi dal suo collega di partito Gaetano Pecorella, peraltro presidente della commissione bicamerale sulle ecomafie e membro della Commissione Giustizia. Perché non è intervenuto a difendere la sua memoria quando l'Onorevole Pecorella dichiarava che il movente dell'omicidio di Don Diana "non era chiaro" gettando, a distanza di anni, ancora ombre su quella terribile morte? Come mai questo suo lungo silenzio, Onorevole Cosentino? Sono persuaso che lei sappia benissimo quanto conti questo silenzio. È il valore che ha trattato in queste ultime ore con i suoi alleati politici. È questo suo talento per il silenzio a proteggerla ora. E' scandaloso che in Parlamento si sia riformata una maggioranza che l'ha sottratta ai pubblici ministeri. Ma in questo caso nessuno, nemmeno Bossi - anche al prezzo di spaccare la Lega- poteva disubbidire agli ordini di un affannato Berlusconi.

Perché lei, Onorevole Cosentino, rappresenta la storia di Forza Italia in Campania e la storia del Pdl. E lei può raccontare, qualora si sentisse tradito dai suoi sodali, molto sulla gestione dei rifiuti, e sulle assegnazioni degli appalti in Campania. Può raccontare di come il centro sinistra con Bassolino, abbia vinto le elezioni con i voti di Caserta e come magicamente proprio a Caserta il governo di centro sinistra sia caduto due anni dopo. Lei sa tutto, Onorevole Cosentino, e proprio ciò che lei sa ha fatto tremare colleghi parlamentari non solo della sua parte politica. Sì perché lei in Campania è stato un uomo di "dialogo". Col centro sinistra ha spartito cariche e voti. Onorevole Cosentino, so che il fiato che la invito a risparmiare in questo momento lo vorrebbe usare come fece con Stefano Caldoro, suo rivale interno alla presidenza della Regione. Ha cercato di far pubblicare dati sulla sua vita privata. Ha cercato di trovare vecchi pentiti che potessero accusarlo di avere rapporti con le organizzazioni criminali. Pubblicamente lo abbracciava, e poi lanciava batterie di cronisti nel tentativo di produrre fango. Onorevole Cosentino, so che in queste ore sta pensando a quanti affari potrebbe perdere, all'affare che più degli altri in questo momento le sta a cuore. Più del centro commerciale mai costruito, più dei rifiuti, più del potere che ha avuto sul governo Berlusconi. Mi riferisco alla riconversione dell'ex aeroporto militare di Grazzanise in aeroporto civile. Si ricorda la morte tragica di Michele Orsi, ammazzato in pieno centro a Casal di Principe? Si ricorda la moglie di Orsi cosa disse? Disse che lei e Nicola Ferraro eravate interessati alla morte di suo marito. Anche in quel caso ci fu silenzio. Michele Orsi aveva deciso di collaborare con i magistrati e stava raccontando di come i rifiuti diventano soldi e poi voti e poi aziende e poi finanziamenti e poi potere.

Lei si è fatto forte per anni di un potere basato sull'intimidazione politica e mi riferisco al sistema delle discariche del Casertano che a un solo suo cenno avrebbero potuto essere chiuse perché la maggior parte dei sindaci di quel territorio erano stati eletti grazie al suo potere: il destino della monnezza a Napoli - cui tanto si era legato Berlusconi - era nelle sue mani. Onorevole Cosentino, non tiri un sospiro di sollievo, conservi il fiato perché le assicuro che c'è un'Italia che non dimenticherà ciò che ha fatto e che potrebbe fare. Non si senta privilegiato, non la sto accusando di essere il male assoluto, è solo uno dei tanti, ahimè l'ennesimo.

Lei per me non è innocente e non lo sarà mai perché la camorra che domina con potere monopolistico ha trovato in lei un interlocutore. Non aver mai portato avanti vere politiche di contrasto, vero sviluppo economico in condizioni di leale concorrenza e aver difeso la peggiore imprenditoria locale, è questo a non renderle l'innocenza che la Camera dei Deputati oggi le ha tributato con voto non palese. Onorevole Cosentino prenderà questo atto d'accusa come lo sfogo di una persona che la disprezza, può darsi sia così, ma veniamo dalla stessa terra, siamo cresciuti nello stesso territorio, abbiamo visto lo stesso sangue e abbiamo visto comandare le stesse persone, ma mai, come dice lei, siamo stati dalla stessa parte.

Roberto Saviano (La Repubblica - 13 gennaio 2012)

mercoledì 11 gennaio 2012

Arte


André Chastel è uno dei grandi specialisti del Rinascimento italiano. Insegna al Collège de France.
A un intervistatore ha raccontato qualche segreto dei grandi della pittura, gli aneddoti, la petite histoire che in qualche caso contiene più verità dell'altra, quella importante e ufficiale. E se ne ricava, ovviamente, oltre alla certezza che le miserie umane non hanno stagione, anche qualche ammonimento.
Così si impara che un maestro della critica, Adolfo Venturi, battezza “La derelitta” una figura prostrata esposta alla Galleria Pallavicini di Roma e l'attribuisce al Botticelli: più tardi si scopre che l'autore è Filippo Lippi e che il ritratto non rappresenta una donna, ma Mardocheo.
E, poi, le irrefrenabili rivalità: Raffaello che consiglia al papa Giulio Il di far dipingere la volta della Sistina a Michelangelo, che dimostrerà così di essere un incapace, e il Bramante è al centro dell'intrigo; e poi lo stesso Michelangelo è così di cuore tenero che disprezza Leonardo e non può trattenersi dal dirgli: E quegli imbecilli di milanesi che han creduto in te; e ancora Michelangelo ingiuria il Perugino, maestro nelle pubbliche relazioni, definendolo goffo nell'arte, e finiscono davanti a un tribunale, per un processo per diffamazione.
E il Pordenone e Tiziano, che si amavano poco, tanto che l'artista friuliano dorme con una spada accanto, temendo qualche iniziativa sgradevole dell'autore della Venere di Urbino.
Niente di nuovo.
Come diceva il mio amico Luciano Minguzzi, guardando le opere degli etruschi: Ci hanno copiato.

Enzo Biagi (I Come Italiani - Rizzoli - 1993)

Quando la lettura fa bene

In una delle sue Epistulae familiares, Francesco Petrarca detta le condizioni che esige dal suo lettore. Dico «esige» perché questo è il tono, che definirei imperativo, né c'è da meravigliarsi. I libri costituivano la vera passione del poeta («librorum avidum»), sempre molto severo con tutti dal punto di vista professionale, a cominciare da se stesso. Per quel che riguarda i libri la sua volontà suona così:
Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi solo a me e non stia a pensare alle nozze della figlia, alla notte che ha passato con l'amante, alle trame dei suoi nemici, alla causa in tribunale, alla terra o ai soldi, e almeno mentre legge voglio che sia solo con me.
Mi piace moltissimo questa pretesa così «professionale» che, del resto, il poeta giustifica subito dopo, precisandone le ragioni:
Io non voglio che nello stesso tempo faccia i suoi affari e studi, non voglio che si impadronisca senza fatica di ciò che non senza fatica io ho scritto.
Sul fatto che la «conoscenza» costi comunque fatica quando si tratti sia di trasmetterla sia di apprenderla, vorrei raccontare una versione scherzosa del celebre episodio del serpente, di Eva e della mela nel paradiso terrestre, che un giorno mi raccontò il mio amico rabbino. Mi disse, dunque, il sant'uomo che il Signore del Tempo e dello Spazio, vedendo che Eva e quell'altro scervellato di Adamo pensavano che per acquisire la conoscenza bastasse mordere una mela colta dall'albero giusto, chiamò indignato l'arcangelo e gli ordinò: «Vedi quei due laggiù? Per favore toglimeli dai piedi. Va' e scaccia per sempre quei due scemi dall'Eden, non li voglio più vedere».
Nell'episodio, quindi, non ci sarebbe alcuna allusione al sesso o ad altri peccati. La cacciata sarebbe la semplice e meritata punizione per una stupidità senza rimedio. Infatti, eccoci quaggiù, ridotti come siamo. L'interpretazione è scherzosa, tipica di quell'umorismo ebraico che si caratterizza spesso per una notevole capacità autoironica. È probabile che il mito del paradiso perduto sia nato, piuttosto, da vicende o sentimenti molto più drammatici, che hanno a che fare con la nostra finitezza, l'umana presunzione, la consapevolezza della fine.
Per tornare a Petrarca, l'atteggiamento che il poeta esigeva dal suo lettore possiamo vederlo riflesso, direi «in controcampo», rubando un'espressione al cinema, in un lettore di eccezione, nonché autore fra i più geniali: Niccolò Machiavelli.
Siamo nel dicembre 1513, ser Niccolò, segretario fiorentino compromesso proprio a causa di quel segretariato al servizio del governo repubblicano della città, si trova a
malpartito con il ritorno dei Medici. È un uomo già oltre la quarantina, viene prima incarcerato poi confinato nella sua villa in un paesino vicino a San Casciano in Val di Pesa. Qui passa giornate forzatamente oziose, delle quali, però, approfitta per mettere mano ad alcuni dei suoi testi maggiori, compreso il suo capolavoro, Il Principe.
L'opera, prima nel mondo, svela la natura della politica, in qual modo, con quali strumenti, si possa perseguire l'utile e conquistare o mantenere il potere. Di tale lavoro, in corso o appena terminato, dà notizia al suo amico Francesco Vettori, che in quel momento è, come recita l'intestazione della missiva, «Magnifico ambasciadore fiorentino presso il Sommo Pontefice [si tratta di Leone X] suo Patrono e benefattore in Roma».
Per la prima volta, nel suo splendido italiano, Machiavelli espone una concezione che svincola l'attività politica dalle leggi morali. Il che non vuol dire, sia chiaro, che per il politico sia lecito intascare il denaro pubblico, vuol dire che la reale «virtù» d'un principe consiste nel tenere presente l'utilità generale dello Stato anche quando questa comporti il ricorso alla doppiezza, all'inganno e perfino al delitto. Sempre, però, avendo come fine supremo il bene dei sudditi. Gli uomini sono malvagi e avidi, dice Machiavelli con sacrosanta ragione; ecco perché i reggitori di un principato possono essere costretti, se vogliono operare nel mondo, ad allontanarsi dalla moralità corrente.
Molte altre cose dice il segretario, fondando con quel piccolo libro ogni posteriore scienza della politica. Una sopra tutte, per quel che ancora oggi ci interessa: che le divisioni hanno fatto la rovina dell'Italia, che la frammentazione in piccoli Stati, mentre in Europa si vanno formando le grandi monarchie nazionali, rischia di togliere alla penisola ogni possibilità di supremazia, che o l'Italia saprà ritrovare un'unità politica o sarà condannata al declino. Veda chi legge se il segretario non aveva colto già allora l'eterna radice del nostro problema. Infatti, l'Italia, che aveva primeggiato fra Quattro e Cinquecento nella finanza e nei commerci, riuscirà a comporre un'unità nazionale solo nella seconda metà dell'Ottocento, in un momento, cioè, di debolezza economica e culturale, che ne segnerà il successivo destino.
È l'ennesima digressione, lo so. In realtà ho richiamato Machiavelli per via della lettera a Francesco Vettori e a quella devo tornare, però chiedo ancora qualche riga. Prima vorrei dare un piccolo esempio della prosa con cui II Principe è scritto, perché l'italiano di Machiavelli è quanto di più vicino io conosca alla mirabile concisione del latino. Le prime righe dell'opera ne offrono buona testimonianza:
Tutti gli stati, tutti e' dominii che hanno avuto et hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati. E' principati sono, o ereditarli, de' quali el sangue del loro signore ne sia suto lungo tempo principe, o e' sono nuovi. E' nuovi, o sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco Sforza, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del principe che li acquista, come è el regno di Napoli al re di Spagna. Sono questi dominii così acquistati, o consueti a vivere sotto uno principe, o usi a essere liberi; et acquistonsi o con le armi d'altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù.
Ma torniamo alla lettera a Vettori. Siamo, come dicevo, nel dicembre 1513 e si può
immaginare quali fossero le condizioni materiali di vita di messer Niccolò in quel borgo sperduto. Quale freddo, quali disagi, quale povero cibo (come egli stesso scrive), quali umili compagnie e occupazioni, lui che aveva spirito vivace ed era amante della buona cucina e della compagnia femminile, senza escludere, all'occasione, quella maschile (il famoso «vizio fiorentino»).
Sempre a Vettori, in un'altra lettera, vedendolo attraversare un momento di tristezza e di astinenza, aveva rivolto questo scherzoso rimprovero: «Ambasciadore, voi ammalerete; e non mi pare che vi pigliate spasso alcuno; qui non ci è garzone, qui non sono femmine; che casa di cazzo è questa?». Dove si vede, fra l'altro, che la celebre espressione, oggi di uso così frequente, può accampare nobile e antica attestazione.
La lettera, dunque. Nel corpo centrale della missiva Machiavelli fa una specie di cronaca delle sue giornate, che risultano come divise in due parti. Vediamo la prima:
Transferiscomi poi in su la strada, nell'osteria; parlo con quelli che passono, dimando delle nuove de' paesi loro, intendo varie cose, e noto varii gusti e diverse fantasie d'uomini. Vienne in questo mentre l'ora del desinare, dove con la mia brigata mi mangio di quelli cibi che questa povera villa e paululo patrimonio comporta. Mangiato che ho, ritorno nell'osteria: quivi è l'oste, per l'ordinario, un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m'ingaglioffo per tutto dì giuocando a cricca, a tócche trach, e poi dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole ingiuriose; e il più delle volte si combatte un quattrino, e siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano. Cosi, rinvolto entra questi pidocchi, traggo el cervello di muffa, e sfogo questa malignità di questa mia sorta, sendo contento mi calpesti per questa via, per vedere se la se ne vergognassi.
Fine della prima parte in questa mia capziosa suddivisione, che ha il solo scopo di accrescere la sorpresa per le righe che seguono, poiché lì è l'essenza e, ai miei fini, lo scopo della citazione. Prosegue dunque il segretario:
Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto i panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà; non mi sbigottisce la morte.
Il racconto di questo rito fonda, a mio parere, una vera etica della lettura, ci introduce in un mondo «altro», riferisce di un incantamento, restituisce con forza straordinaria il trasferimento in una dimensione diversa da quella ordinaria: «non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà; non mi sbigottisce la morte». L'avvertenza del Petrarca, che metteva in guardia il suo lettore dicendogli: quando leggi le mie cose, non devi pensare alla notte con l'amante, alle trame dei nemici, a una causa in tribunale, alla terra o ai soldi,
Machiavelli la mette in pratica, rivelandosi anche lettore ideale: concentrato, serio, totale.
Fra le numerose osservazioni che questo brano straordinario suscita, mi preme far notare il modo in cui Machiavelli legge, così simile al nostro: è solo, in silenzio, seduto, immerso nella pagina in una luce, immagino, fioca, forse quella della tremolante fiamma d'una lucerna. Non è sempre stato così. Il modo in cui gli esseri umani hanno letto è molto cambiato nel corso dei secoli e quello ormai adottato dalla maggioranza di noi è relativamente recente. A parte le letture per dir così specializzate, come quella meditata della Torah o quella ripetitiva del breviario, i libri sono via via stati letti ora declamando, ora sussurrando, raramente nel totale silenzio.
Agostino d'Ippona, cioè sant'Agostino, rivela con sorpresa nelle sue Confessioni come leggesse il «dottore della Chiesa» sant'Ambrogio da Milano:
«Quando leggeva, gli occhi scorrevano lungo la pagina e la mente ne coglieva il senso, ma voce e lingua restavano immobili. Spesso, trovandosi lì -chiunque poteva entrare, e non si usava annunciargli l'arrivo di un visitatore -, lo vedevamo leggere così, in silenzio, mai in altro modo».
Questa maniera di leggere contraddiceva quella allora più usuale (siamo nel IV secolo) che consisteva nell'accompagnare la decifrazione delle parole e delle frasi biascicandole a mezza bocca, sicché entrando, per esempio, in una biblioteca si udiva «come un ronzio incessante di api».
Noi siamo abituati a dare a parole come «silenzio» e «solitudine» un significato di malinconia, negativo. Nel caso della lettura non è così, al contrario quel silenzio e quella solitudine segnano la condizione orgogliosa dell'essere umano solo con i suoi pensieri, capace di dimenticare per qualche ora «ogni affanno».
Elogi della lettura silenziosa se ne trovano, del resto, parecchi; uno, recente, è nel bel romanzo di Paul Auster Follie di Brooklyn, libro che fortemente consiglio. Dice il protagonista: «Leggere per me era evasione e conforto, era la mia consolazione, il mio stimolante preferito: leggere per il puro gusto della lettura, per il meraviglioso silenzio che ti circonda quando ascolti le parole di un autore riverberate dentro la tua testa».
Un altro aspetto della lettura è quello, molto controverso, del rapporto fra l'opera e il suo autore. Questione lungamente dibattuta e che non ha mai trovato una risposta davvero definitiva, anche perché molto probabilmente è impossibile trovarla. J.D. Salinger, nel suo celebre romanzo di «culto» Il giovane Holden, fa dire al protagonista:
I libri che mi piacciono di più sono quelli che almeno ogni tanto sono un po' da ridere. Leggo un sacco di classici, come II ritorno dell'indigeno e via discorrendo, e mi piacciono, e leggo un sacco di libri di guerra e di gialli e via discorrendo, ma non è che mi lascino proprio senza fiato. Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.
Il punto è proprio nelle parole finali: vorremmo davvero avere come amico, per la
pelle o no, un autore che amiamo? Non lo so, anzi non credo. Per spiegare questa diffidenza devo richiamare brevemente una famosa polemica originata nell'Ottocento da Charles-Augustin de Sainte-Beuve, poeta ma, in primo luogo, critico letterario. Il suo metodo dichiarato consisteva nell'analizzare un'opera soprattutto mettendola in relazione al suo autore.
«Tale l'albero, tale il frutto» soleva dire, ovvero: se non conosciamo bene chi ha scritto qualcosa, e come e perché, come potremo valutare ciò che ha scritto? Indicava così un metodo critico molto romantico in cui, avvalendosi di ogni possibile strumento, compresi quelli storici, si cercava di mettersi in sintonia con le inquietudini di un artista, la sua ispirazione profonda.
Sainte-Beuve era tanto convinto della bontà della sua intuizione che riteneva di poterla applicare non solo agli individui, ma anche ai gruppi umani e alle correnti letterarie.
Contro tale metodo si pronunciò Marcel Proust con una celebre opera che ha per titolo appunto Contre Sainte-Beuve. Che cosa obietta l'autore della Recherche? Sostiene che è assurdo tentare di giudicare l'opera di un poeta o di uno scrittore, filtrandola attraverso l'uomo che egli è o è stato. L'uomo è solo un uomo, e può addirittura ignorare il poeta che vive in lui. Chi osserva dall'esterno dev'essere in grado di scovare certe qualità nell'opera di un autore valutando, per conseguenza, quale valore dare all'autore stesso e, addirittura, quale dovrebbe essere il suo comportamento. Nelle parole di Proust, «c'est notre raisonnement qui, dégageant de l'oeuvre du poète sa grandeur, dit: c'est un roi, et le voit roi, et voudrait qu'il se conduisìt en roi».
Nella mia esperienza, sono rimasto molte volte deluso dalla conoscenza diretta di un autore del quale avevo apprezzato l'opera. Tanto che spesso ho evitato di invitare uno scrittore in televisione nel timore che, comportandosi in modo inadatto, si danneggiasse da solo; avendo amato il suo libro, ho preferito chiamare qualcuno che parlasse in sua vece.
Una volta, a Londra, mi è pure capitato di essere invitato a un party dove, mi dissero, sarebbe stato presente anche Philip Roth, a mio giudizio il più grande scrittore vivente. Ho risposto che ero già impegnato per il timore che, conoscendolo di persona, l'uomo avrebbe potuto danneggiare l'immagine dello scrittore, tanto più in un'occasione come quella, in cui, con un bicchiere in mano e nel cicaleccio generale, non si sa più bene che cosa dire dopo le prime frasi di rito.

Corrado Augias (Leggere - Mondadori 2007)


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Monte Pellegrino visto da casa natia di Acqua dei Corsari

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