Marilena Grassadonia,
nasce a Palermo 44 anni fa e vive a Roma da più di 10 anni con la sua famiglia.
È sposata con Laura (con cui sta da più di 18 anni) e insieme hanno tre figli:
Flavio 7 anni, Diego e Jordi 2 anni. La Spagna è stato il paese che hanno
scelto per coronare i loro sogni e l’Italia è il paese dove vivono a testa
alta, con orgoglio, raccontando con il sorriso la loro storia. Fanno parte
dell’Associazione Famiglie Arcobaleno dal 2006 e lottano ogni giorno affinché i
“figli dell’arcobaleno” abbiano gli stessi diritti di tutti gli altri bambini.
"Avevo 26 anni quando finalmente mi fermai ed ebbi il coraggio di
volermi bene fino in fondo; ricordo ancora quel pomeriggio in cui decisi che
non potevo più stare ferma ad aspettare che gli eventi accadessero per caso.
Dovevo prendere per mano la mia vita e con coraggio guardarmi allo specchio
e dirmi chi ero.
Fino a quel momento ero semplicemente una giovane donna con tanti progetti
e voglia di vivere, concentrata a “riuscire” e perché no a fare “bella figura”.
E forse stava proprio lì il punto …. compiacere la gente, dimostrare alla
gente di esser in gamba, farsi apprezzare; tutto questo per me era troppo
importante.
Ma quel pomeriggio decisi che era arrivato il momento!
L’incontro con Laura fu meravigliosamente devastante e l’energia che
scoppiò dentro di me, per fortuna, fu più forte di qualsiasi timore o di
qualsiasi riflessione razionale.
Le scelte, quelle più importanti, si fanno col cuore, con la forza
dell’amore… per la testa, in quei momenti, c’è poco spazio.
Fu così che mi appropriai della mia vita e mi conobbi veramente; ero una
giovane donna lesbica, era questa la verità ed ogni cosa andò velocemente al
suo posto.
Due persone che si innamorano cominciano a conoscersi piano piano,
cominciano a condividere pensieri, esperienze, desideri.
Andare a vivere insieme fu la cosa più naturale di questo mondo e i
desideri presto diventarono progetti di vita comune.
Arrivò la casa, arrivò il lavoro, arrivò la condivisione con i genitori e
gli amici della nostra storia e piano piano arrivò anche la gente, quella gente
che volevo continuare a compiacere e da cui ora pretendevo rispetto.
La visibilità per noi omosessuali è un percorso complesso; devi costruirti
delle basi molto forti per “rischiare”, aprirti al mondo e raccontare la tua
storia.
I segnali che ci arrivano dall’esterno non aiutano, non sono segnali
incoraggianti; la legge non ci vede, la gente pensa sempre che siamo degli ufo
che vivono lontani dalle loro vite.
È necessario abbattere il muro del pregiudizio e sensibilizzare la politica
affinché ci veda e per fare questo non possiamo far altro che metterci la
faccia, ogni giorno, camminando a testa alta e raccontando la nostra storia col
sorriso, con orgoglio e semplicità.
La gente ha bisogno di capire, di conoscere, di confrontarsi.
In Italia i ragazzi più grandi, figli di genitori omosessuali, hanno quasi 18
anni, la più piccola è nata ieri.
In tutti questi anni, soprattutto grazie al nostro raccontarci senza veli
ovunque e in qualsiasi occasione, abbiamo riscontrato all’interno della società
un profondo cambiamento culturale e un atteggiamento molto più maturo e
consapevole nei confronti delle nostre famiglie.
Siamo partiti col fornire alla gente una corretta informazione e passando
attraverso il rispetto delle nostre scelte, siamo arrivati oggi alla
condivisione delle nostre battaglie.
La società è molto più avanti di quello che la politica ci vuole far
credere.
Molta gente ha solo paura di ciò che non conosce; l’immaginario comune
riconduce il mondo Lgbt alle immagini televisive dei Pride dove vengono
trasmesse solo le situazioni più eccentriche.
Bisognerebbe pretendere una telecamera fissa che riprenda tutto il corteo
di un Pride al suo passaggio, che riprenda tutte le realtà colorate che
rappresentano il mondo lgbt con orgoglio e trasparenza.
La storia del Pride nasce da lontano: Il 28 Giugno del 1969, per la prima
volta, gay lesbiche e trans si ribellarono all’ennesimo controllo
ingiustificato della polizia in un bar gay di New York, lo Stonewall Inn. I
“moti di Stonewall” durarono tre giorni e furono il prologo alla nascita del
Movimento di Liberazione Omosessuale.
Da quel giorno in giugno si celebra l’orgoglio di essere semplicemente se
stessi, si rivendicano diritti uguali per tutti e contemporaneamente si fa
festa.
Avete mai visto una festa senza colori, musica, palloncini e parrucche?
Da qualche anno insieme a parrucche, brillantini e paillettes sfilano anche
le Famiglie Arcobaleno, una realtà dirompente sia all’interno del mondo lgbt
sia all’interno della società tutta.
Le Famiglie Arcobaleno sfilano al Pride con la loro gioia, la loro
positività e il loro carico d’amore che tocca le corde delle emozioni più
intime.
Fino a poco tempo fa era impensabile che il connubio “omosessuale –
genitore” potesse essere possibile.
La generazione precedente alla mia (io sono classe ’70) ha dovuto fare i
conti con quella “sterilità sociale”, imposta ai gay e alle lesbiche, che ha
fatto sì che molti si unissero in relazioni eterosessuali solo perché non
riuscivano a pensarsi “non genitori”.
Le Famiglie Arcobaleno hanno invece fatto un enorme salto culturale
dimostrando a tutti che gli omosessuali non sono sterili.
I gay e le lesbiche “funzionano” e possono essere dei “buoni genitori”
esattamente come una coppia eterosessuale che si ama e desidera un figlio.
Le ricerche scientifiche dimostrano che un bambino per crescere bene ha
bisogno solo di amore e di una, due o più persone che si occupano di lui in
maniera responsabile e attenta.
I nostri figli sono discriminati dalle leggi di questo stato non
dall’omosessualità dei loro genitori o dalla gente con cui condividono la quotidianità.
È proprio dalle ricerche scientifiche che io e Laura siamo partite quando
abbiamo per la prima volta parlato di figli.
Come crescono questi bambini? Bene.
I ruoli genitoriali sono necessariamente legati al genere? No.
L’identità di genere dei bambini è legata all’omosessualità dei genitori?
No.
La società potrebbe discriminarli? Sì.
Tutte le nostre domande trovavano risposte; bastava leggere e studiare,
cosa che purtroppo non fanno tutti coloro che (politici, finti esperti,
opinionisti..) “pontificano” ogni giorno sulle nostre famiglie e si ergono a
paladini in difesa della famiglia.
Ma quale famiglia??? La famiglia “naturale” dicono loro, quella composta da
un uomo e una donna.
Per me la famiglia naturale è quella formata da persone che si amano
naturalmente con rispetto e che condividono la loro vita insieme nell’amore.
Punto. È questa la naturalità dell’amore.
Famiglie adottive, famiglie ricomposte, famiglie con genitori single,
famiglie tradizionali, famiglie omogenitoriali. Tutte queste famiglie (quando
parliamo ovviamente di famiglie sane) hanno una sola cosa in comune: l’amore
per i propri figli.
Il percorso che porta noi coppie di gay e di lesbiche a diventare genitori
è lo stesso identico percorso che fa una coppia eterosessuale che si ama.
Ci si guarda negli occhi e si dice…perché no?
I meccanismi che scattano, le emozioni che ti inondano sono identiche, sono
frutto dell’amore.
L’unica cosa che ci differenzia dalla maggior parte delle coppie etero è
che siamo “coppie sterili” e per procreare siamo costretti ad accedere a quelle
tecniche di fecondazione assistita che già esistono e che soprattutto sono nate
e vengono utilizzate da decenni da coppie eterosessuali con problemi di
sterilità (inseminazione intrauterina, fivet, gestazione per altri, donazione
di gameti).
Niente di illegale, niente di inventato; tutto molto semplice, lineare e
trasparente.
E forse sta proprio qui il problema, la totale trasparenza dei nostri
percorsi, delle nostre storie.
Le Famiglie Arcobaleno tornano ad essere dirompenti raccontando ai loro
figli e alla gente storie fatte di amore e di verità.
«Amore mio, ora ti racconto la tua storia… Tu sei nato dal-l’amore delle
tue mamme, sei qui perché le tue mamme si amano tanto e ti hanno tanto
desiderato. Ma per venire al mondo sai che è necessario avere un ovetto e un
semino e siccome le tue mamme sono due femminucce hanno solo ovetti e quindi ci
serviva un semino. Siamo andate allora in un paese vicino, in Spagna, dove ci
sono delle cliniche e dei signori gentili che regalano i loro semini alle
coppie che ne hanno bisogno … a volte anche i papà hanno bisogno di un semino
nuovo. La dottoressa ha preso quel semino e lo ha messo dentro la pancia di
mammamari e così sei nato tu».
Adesso fate un esercizio: pensate a questa stessa storia raccontata da una
coppia eterosessuale sterile che va in Spagna. Verrà raccontata allo stesso
modo? Con la stessa “leggerezza”? Con la stessa verità e trasparenza?
Abbiamo incontrato tante coppie etero italiane nelle sale d’aspetto delle
cliniche spagnole e l’imbarazzo e il disagio di essere lì era spesso tangibile.
C’è come un senso di vergogna nell’ammettere di avere bisogno di aiuto per
procreare, specialmente da parte degli uomini.
La cultura religiosa e maschilista di questo paese non aiuta a vivere
serenamente questi percorsi.
Si intrecciano due meccanismi fortissimi; da un lato il non sentirsi dotato
di “procreazione naturale”, essere “genitore non di sangue” e dall’altro
sentirsi “socialmente diverso”.
La biologia. Per molti tutto ruota attorno alla biologia…
L’ipocrisia di questo paese è incredibile. Un paese costituzionalmente
laico che sta sotto scacco del pensiero cattolico.
Credo che la cosa più grave non siano tanto le posizioni della Chiesa
(seppur violente e antiche) che fa pur sempre il suo dovere, quanto il fatto
che il nostro Stato laico, la nostra politica si lasci così tanto condizionare
dallo Stato Vaticano.
Il potere economico della Chiesa passa attraverso il controllo e la gestione
delle coscienze di molti cattolici.
La Chiesa entra prepotentemente nelle scelte politiche di questo paese e
questo dovrebbe essere ormai inaccettabile per tutti.
Il dovere della politica dovrebbe essere quello di tutelare i propri
cittadini, promuovendo azioni e leggi che siano al passo con l’evoluzione della
società al fine di garantire a tutti il diritto alla felicità e alla propria
affermazione personale e sociale.
La politica fa tutto questo?
L’Italia è uno dei fanalini di coda in tema di Diritti e non riesce a
cogliere l’occasione per diventare un Paese civile.
Anche in questo periodo il massimo che la politica ci presenta è una
proposta di legge sulle Unioni Civili fortemente discriminatoria.
Il testo presentato in Commissione Giustizia in Senato è “quasi” come il
matrimonio e prevede (almeno fino a questo momento, mentre vi scrivo si stanno
discutendo i migliaia emendamenti presentati) di dare ai nostri figli e alle
nostre famiglie dei “quasi” diritti.
Il nostro Stato si dice pronto a votare una legge (staremo a vedere) piena
di “quasi”, dicendo che è il massimo a cui oggi possiamo aspirare.
La verità è che siamo stanchi! Siamo stanche di promesse non mantenute e
siamo stanchi di essere considerati ancora cittadini di serie Z.
Vogliamo potere scegliere di sposare i nostri compagni di una vita,
vogliamo la reversibilità della pensione per i contributi che stiamo pagando
come tutti gli altri e pretendiamo PIENI diritti per i nostri figli.
La stepchild adoption prevede che io debba adottare quelli che già sono i
miei figli, prevede che io mi unisca civilmente con l’altra mamma dei miei
figli (anche se magari siamo separate) affinché possa essere riconosciuta come
genitore legale e prevede che i miei figli possano diventare figli miei ma non
nipoti dei loro nonni o fratelli dei loro fratelli nati dalla pancia dell’altra
mamma (adozione “non legittimante”).
Fino a poco tempo fa in Italia c’era differenza tra “figli legittimi“ e
“figli naturali”, dopo il Ddl Cirinnà ci sarà differenza tra “figli di italiani”
e “figli dell’arcobaleno” … che, a parte la bellezza del nome, saranno figli
discriminati nei loro affetti e nella loro vita sociale quotidiana; e ci sarà
un’altra categoria di figli ancora più discriminati, “i figli arcobaleno di
genitori separati”.
Tutto questo per noi è inaccettabile.
Qualcuno ci dice: ma non vi accontentate mai???
No, non ci accontentiamo perché fino ad oggi ogni volta che ci siamo
“accontentati” siamo tornati a casa con le mani vuote.
Ma siamo vicini al traguardo, mai come stavolta la sensazione è che si
possa ottenere qualcosa, piena di “quasi” ma comunque qualcosa.
E allora l’attacco alla proposta di legge è un attacco feroce!
La paura del diverso, la paura che il diverso possa essere in qualche modo
“riconosciuto dalla legge” terrorizza, mina le certezze di quella gente che
passa la sua vita davanti la Tv o a farsi indottrinare dal bigotto di turno.
L’attacco allora si fa sottile, attento e utilizza tecniche di
comunicazione consolidate.
L’obiettivo è quello di portare in piazza quanta più gente possibile e per
farlo si fa leva sul timore che possa accadere nelle scuole qualcosa di non
controllabile da parte delle famiglie.
Sono state inventate teorie, è stata distorta la realtà, sono stati diffusi
dei volantini che riportano concetti spesso falsi e che nella realtà non hanno
un nesso tra loro: teoria del gender (inesistente), linee guida dell’Oms
(estrapolate da un documento del 2010) inserite nei programmi scolastici (cosa
non vera) e immagini di libri con due mamme e due papà. La confusione più
assoluta.
Questa gente sa benissimo che se ad un genitore gli sfiori i propri figli
la reazione sarà immediata e non guarderà in faccia nessuno e soprattutto sarà
così concentrato a difendere il proprio figlio che anche se provi a spiegargli
che sono tutte fandonie, gli resterà sempre il dubbio che possa esserci
qualcosa di vero e quindi…. “vabbè intanto in piazza ci vado, che mi costa?
L’ha detto anche il prete!”.
E così anche se la Cei non aderisce ufficialmente alla manifestazione
(altra genialata comunicativa…. “guardate quanti siamo e senza la Cei”) i
manifesti dell’iniziativa campeggiano esposti nelle parrocchie dei nostri
quartieri e dalle stesse parrocchie partono i pullman organizzati per provare a
riempire la piazza.
Rimaniamo esterrefatti, in quei giorni l’attacco alle nostre famiglie è
durissimo.
Si è riusciti a costruire la cultura del sospetto e la paura del diverso.
Quella mattina esco di casa con mia moglie e i nostri tre figli e non
faccio altro che guardarmi intorno per provare a capire se le varie famiglie
del quartiere nel pomeriggio sarebbero andate in piazza a manifestare contro i
miei figli oppure al mare a fare una passeggiata.
Ho sperato con tutta me stessa che molti di loro portassero i loro figli al
mare piuttosto che in quella piazza piena di odio.
E noi? Noi abbiamo un altro stile.
Noi non ci limitiamo a riempire le piazze, noi inondiamo le città!
La risposta è arrivata da tutta Italia in occasione dell’Onda Pride dove molta
gente si è riversata nelle strade (senza pullman organizzati) per dimostrare
solidarietà e manifestare insieme a tutti noi con gioia ed orgoglio.
Eravamo tutti: figli, genitori, nonni, amici, parenti, gay, lesbiche,
etero, trans, bisex … TUTTI!
È questa la strada giusta, manifestare tutti e gridare a gran voce che è
una questione di Diritti Umani.
Non stiamo chiedendo diritti per una minoranza, stiamo chiedendo diritti
uguali per tutti.
Perché una società dove tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e i
medesimi doveri, è una società migliore per tutti ed è quella stessa società
che consegneremo nelle mani dei nostri figli.
I nostri figli crescono, non possiamo più aspettare .....
Marilena Grassadonia"