"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

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domenica 5 maggio 2024

“We always return” di Nella Tarantino



Alla Galleria Fiaf – Arvis di Palermo, si è inaugurata la mostra “We always return”, dove sono esposte fotografie dell’architetto-fotografa napoletana Nella Tarantino.
Un insieme d’immagini, tutte rigorosamente in bianco e nero, che catturano e che, onestamente, comportano non poche difficoltà nel voler accingersi anche sinteticamente a raccontarla.
Le foto, che ammaliano, possono anche essere viste, infatti, come introduzioni a pensieri o, se si vuole, costituire spunti che inducono ad andare a leggere oltre; in quanto, rispetto alle apparenze palesate portano a sviluppare e tradurre autonomamente - e personalizzandoli - i tanti accenni concettuali introdotti.
Le stampe, che si esaltano per neri decisi spettacolarizzati da molteplici e delicate gradazioni di grigio, appaiono come dei simboli stenografici (o il desunto di una TAC cerebrale, se si preferisce) - delicati e intensi - che vanno a comporre una folta raccolta di poesie allegoriche, significanti e allusive.
Nel vernissage palermitano Giuseppe Cicozzetti, amministratore della nota pagina di Facebook “Scriptphotography” ha affiancato l’autrice durante la presentazione. Anche una sua prefazione figura fra quelle presenti nel pregevole libro realizzato da Grafica Metelliana per Areablu Edizioni (Un suo ampio commento sull’intera operazione figura pure nel social anzidetto curato da Cicozzetti).
Rispetto al libro, alcune nuove fotografie - che risultano introdotte nella mostra di Palermo - non mutano le cose e lasciano inalterata la formulazione di ogni giudizio.
A mio modo di vedere, le opere esposte portano quasi automaticamente anche a delle considerazioni scientifiche. Le foto esposte sembrano, infatti, corrispondere a una raccolta d’immagini selezionate secondo tracce desunte dalle distinte allocazioni celebrali dei ricordi.
Da un sito web si rileva, infatti, che “le nostre esperienze modificano le sinapsi (le connessioni fra neuroni) e queste alterazioni permanenti sono responsabili della memoria. In pratica, quando accade qualcosa che in futuro ricorderemo, si genera nel cervello un segnale elettrico che provoca variazioni chimiche e strutturali dei neuroni.”
In un altro sito si legge che “La memoria umana non è un’attività unitaria. Non è lecito, quindi, fare generalizzazioni; è più opportuno, invece, fare riferimento a particolari tipi di memoria ...... costituita da sistemi interconnessi e da strutture organizzate che fanno riferimento a diversi correlati neurali, cognitivi e comportamentali.”
In pratica, quindi, ogni volta che riesumiamo un ricordo accade che questo si manifesta attraverso il richiamo di tante informazioni sinottiche allocate in differenti sezioni del nostro cervello (è questa una delle cause che possono produrre anche ricostruzioni deficitarie per parti non più accessibili, rimosse o naturalmente scomparse, che possono procurare distorsioni nel corso della ricostruzione).
Il tutto è meglio comprensibile con la lettura di un resoconto scientifico a firma di Sara Ficocelli, “Ecco come si formano i ricordi - Il momento fermato da una foto“ (Scienze - La Repubblica), più completo rispetto ai temi inerenti all’argomento.
Corredandoli a quanto detto, i tre capitoli in cui è strutturata la mostra e il libro “We always return”, a mio modo di vedere, possono tranquillamente risultare associabili per analogia a tre ipotetiche differenti sezioni cerebrali.
La bellezza della mostra potrebbe pertanto essere accostata a degli unici pensieri/memorie smembrate, ovvero scrisse nei tre blocchi, che occorre ogni volta ricollegare per poter comporre un unico insieme.
Le composizioni poetiche di Nella Tarantino che, costituiscono un forte elemento saldante dell'intera operazione e intendono narrare a parole le sintesi schematiche di sensazioni, mi rafforzano nell'andare a sposare questa chiave di lettura.
Per chiudere, quindi, mi piace leggere la mostra e il libro ad essa collegato come un composito e articolato portfolio fotografico "esistenziale"; dove l’autrice si racconta attraverso una serie d’immagini trascendentali che tendono a fondere ricordi reali e visioni oniriche. In un’operazione complessa ma resa comprensibile e democratica, perchè in grado di offrire anche a ciascun osservatore una serie di specchi dove potersi lui stesso riflettere e così intravvedere, esumandole, le composite memorie che ci accompagnano.
In questa ottica, la poesia che introduce al terzo capitolo del libro (we always return, i am no longer afraid of dying) aiuta a vedere di più e oltre; per comprendere in maniera completa il combinato e poliedrico messaggio - testo/immagini - che ha felicemente realizzato la fotografa Nella Tarantino.
Anche i principianti avviati alla fotografia, nel visitare la mostra o solo sfogliando con attenzione le pagine del libro, avranno l'opportunità di ammirare opere che esemplificano pienamente ciò che di norma si suole intendere parlando di talento artistico, che - fortunatamente per noi - illumina e accompagna non pochi eletti.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

giovedì 2 maggio 2024

“Mussolini il capobanda” di Aldo Cazzullo



Il mito di Benito Mussolini forse in moltissimi s’incentra su un'ignoranza della storia che lo riguarda e del contesto socio-politico che lo ha circondato; basato principalmente su slogan e sul sentito dire.
Al riguardo, l’operazione realizzata da Aldo Cazzullo, supportata da un’ampia e diversificata bibliografia (Scurati compreso), con il suo libro “Mussolini il capobanda” mette a punto un documentario letterario del personaggio e del suo tempo che merita d’essere conosciuto e letto molto attentamente.
Non ultimo consente d'intravvedere similitudini inequivocabili che richiamano alla mente famose ciclicità storiche vichiane e fatti d'oggi.
Le ondivaghe e opportunistiche posizioni politiche e l’assoluto egocentrismo sono ben descritte con fatti particolareggiati e circostanziati; così come il continuo sfruttamento di frustrazioni e paranoie di tutti coloro che lo hanno accompagnato nel ventennio e che hanno fortemente agevolato l’avventurosa repentina ascesa del regime fascista.
Nella vita, del resto, ogni contesto storico è conseguente anche alle combinazioni e alle alchimie determinate dal caso. Abbastanza risaputo è che la Marcia su Roma e l’avvento del partito fascista sono stati influenzati dal clima post bellico di inizio novecento che si respirava in Italia, dalla paura dell'alta borghesia per l'avvento del comunismo in Russia e, principalmente, dalla scarsa autorevolezza del Re d’Italia Vittorio Emanuele.
Dagli anni venti alla seconda guerra mondiale sono stati tanti i "Mussolini" capi di governo e, diversamente dalla famosa citazione andreottiana, finì che il potere venne a logorare chi ce l’ha.
L’imperdonabile peccato che ha sempre accompagnato il suo percorso, oltre alla progressiva autoesaltazione avvalorata dai classici servi sciocchi e dagli opportunisti di turno, è stato la costante violenza, esercitata/disposta/applicata in maniera diretta o per iniziative interposte di suoi cani sciolti.
Finito di leggere il volume non si potrà disconoscere la spregiudicatezza delle azioni e scelte operate del capo del fascismo che, per raggiungere il potere e poi mantenerlo, non ha risparmiato di utilizzare mezzi e di ricorrere all'ausilio di delinquenti naturali, del tutto privi di etica o morale.
“Mussolini il capobanda” edito dalla Mondadori nel 2022 (euro 19,00), che avevo acquistato a suo tempo, era riposto fra quelli messi da parte, per dare intanto precedenza ad altri generi. La superficialità dei media e le palesi manipolazioni storiche di molti protagonisti dell’attualità politica che stiamo vivendo, m'hanno indotto a riesumarlo dagli scaffali per trovare spunti e leggerlo quasi voracemente.
Dato per scontato che ogni lettura, a monte, deve essere sempre scevra da preconcetti e va accompagnata dall'onestà intellettuale necessaria, posso assicurare il potenziale acquirente sul fatto che il libro di Cazzullo è sufficientemente ricco di notizie. Il che consente di conoscere meglio la storia e comunque farsi una propria idea informata, non solo sul personaggio Mussolini, ma anche su coloro che hanno ricoperto altri ruoli in quel tempo. Governativi, neutrali indifferenti o d’opposizione.
Molto si viene a conoscere anche sulle vicende che hanno interessato gli ebrei di ogni nazione del continente.
Le conclusioni tratte dall’autore in merito al fascismo, all’antifascismo e all’afascismo oggi di moda, collegabili all’attualità politica e ai personaggi (noti intellettuali inclusi), risultano altrettanto interessanti per continuare con altri approfondimenti e procedere verso eventuali nuove ricerche.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

mercoledì 1 maggio 2024

Antonino Cusumano è il direttore editoriale di “Dialoghi Mediterranei - periodico bimestrale dell'Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo”



Dialoghi Mediterranei - periodico bimestrale dell'Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo” annovera una moltitudine di collaborazioni, variegate per diverse tematihe.
Nell'editoriale d'esordio del 2013 viene anche scritto che ..... "ci sono diverse ragioni perché una rivista di cultura vada in rete. La prima è che i costi per stamparla sono diventati proibitivi. Un’altra ragione è quella di ampliare la propria diffusione, restando indipendenti".
La sapiente selezione di Antonino Cusumano offre al pubblico - e in maniera gratuita – molti scritti e immagini fotografiche d’interesse e d’attualità che non hanno nulla da invidiare rispetto a quanto viene prodotto da riviste cartacee di analogo profilo.
Le collaborazioni, anch’esse gratuite, consentono pure di coprire argomenti d’ampio spettro e i vari contributi – prettamente originali - si collocano sempre su livelli culturali mediamente elevati.
Quanto fin qui pubblicato costituisce una foltissima raccolta di articoli che può tornare utile per conoscere o approfondire varie tematiche.
Pubblicare in questo portale può ben costituire una buona palestra anche per i più giovani che volessero intraprendere la carriera di scrittore o giornalista.
L’elaborazione che precede ogni uscita è di per sé un aprirsi al confronto, mettersi sempre alla prova, specie nel cercare di trovare argomenti che ingenerino interesse.
Peculiarità del portale è anche quello di accompagnare ogni articolo con una serie d’immagini che abbiano una certa attinenza con quanto viene trattato. Talvolta, per chi ha difficoltà nel produrre fotografie, si procede anche a un combinato tra due autori, uno impegnato nella preparazione del testo e l’altro per conferire il correlato supporto visivo.
Gli autori che volessero proporsi per una collaborazione, troveranno le istruzioni per contattare la redazione e concordare ogni cosa.
Per chi invece volesse solo provare, magari per il piacere di mantenere o stimolare l’attività delle proprie sinapsi, basterà scrivere una email a dm@istitutoeuroarabo.it

Buona luce a tutti!


© ESSEC

P.S. - Nel numero del 1^ maggio, tra gli altri:
- Nino Giaramidaro https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/le-citta-del-mondo/
- Carlo Baiamonte https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/writing-pratiche-di-riscrittura-urbana-a-palermo-2/
- Lorenzo Ingrasciotta https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/tutta-la-vita-in-un-ritratto/
- Annamaria Clemente https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/il-corpo-narrante-di-bella-baxter/

domenica 28 aprile 2024

Palermo è Bella!



Mi torna spesso in mente la considerazione di come spesso la scrittura ha un "potere liberatorio" insostituibile. Oltre a far manifestare le proprie idee, induce a riflettere e a riorganizzare i pensieri. Lo scrivere, quindi, non è solo esprimere pareri, considerazioni, impressioni, ma è anche un condensato di tutto quello che induce a formulare con testi il proprio modo di essere, senza fronzoli o barriere.
Seguendo l'istinto l'amica Raffaella mi ha inviato un suo scritto che è una bella sintesi del suo approccio con la mia Palermo. Al di là delle considerazioni positive, il suo articolo esterna le impressioni che hanno manifestato a parole anche altri amici che sono venuti per la prima volta e che hanno scoperto pregi e difetti dei luoghi.
Per questo motivo, ricevuto il consenso di Raffaella, mi piace condividerlo con una foto da lei scattata al mercato più popolare di Ballarò.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

"Palermo è Bella! Sono partita per Palermo con il desiderio di sospendere la routine, godermi alcuni giorni di relax con gli amici e, soprattutto, di vivere senza filtri, a mente aperta, una città che stavo riconsiderando.
A differenza delle passate uscite in altre città, questa volta non mi sono documentata su quello che doveva essere visitato, cosa non potevo assolutamente perdermi e nemmeno mi sono informata su cosa mi sarei dovuta aspettare. La mia preparazione si è limitata, quindi, alla predisposizione del kit fotografico perché a detta di tutti “Palermo offre molti spunti” ed a preparare mente e cuore in quanto: curiosità, desiderio di carpire e vivere senza pregiudizi le persone, i luoghi e gli eventi sarebbero stati, in assoluto, gli strumenti che mi avrebbero dovuto accompagnare in questa escursione.
Così, sono partita alla volta di Palermo con mente e cuore aperto, disposta ad ascoltare e vivere le emozioni che la “città” mi avrebbe regalato, fossero state positive o negative.
Palermo per me, finché non l’ho vissuta, era solo una località intangibile che la mia mente visualizzava, seppur di rado, attraverso il susseguirsi randomico d’immagini di cronaca; assorbite dai telegiornali, nonché d’immagini fantasiose stereotipate.
Non so dire perché Palermo, descritta dagli amici come “bella”, non avesse mai suscitato prima in me la curiosità di scoprirla o perché avessi lasciato che la mia mente si limitasse ad identificarla come un’icona della malavita, come se altro non potesse essere, e relegarla in qualche angolo nascosto per dimenticarla.
Questa curiosità mi è nata recentemente, stimolata dal confronto avuto nell’ultimo biennio con alcuni giovani ex-colleghi palermitani che, nostalgicamente, ne esaltavano il centro storico, la vita notturna, il mare e la cucina. Contemporaneamente gli scatti fotografici di nuovi amici fornivano alla mia mente “immagini” diverse da quelle che avevo catalogato nella memoria: immagini di cultura, vita comunitaria, tradizioni religiose, street art, acuendo un interesse per la città, rendendomi conto di quanto non la conoscessi.
Ora ringrazio chi ha contribuito a smantellare, poco a poco, l’icona sfalsata che mi ero costruita della città ed a rimuovere gli stereotipi assimilati, che ha ingenerato, per l’appunto, la curiosità ed il desiderio di conoscerla e viverla personalmente.
Atterrati in Sicilia, durante lo spostamento dall’aeroporto alla città passando nel punto in cui il 23 maggio 1992 si consumò, per mano di cosa nostra, la strage di Capaci, dove persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della sua scorta, l’eccitazione che mi accompagnava dalla partenza si è per un poco assopita per lasciare spazio al silenzio.
Tutti i ricordi che conservavo di questo drammatico evento, immagini e servizi di cronaca, con il passare del tempo avevano perso quella loro carica emotiva che lì è riesplosa, probabilmente a causa dell’annullamento della distanza. Passare dai luoghi mi ha provocato una reazione inaspettata, infatti, l’impatto è stato forte e tutto è tornato in superficie suscitando un rincorrersi di pensieri, il cui focus erano ipotesi di paura e d’impotenza, provate da chi subiva sulla propria pelle la mafia.
Devo ammettere che da quel momento il mio stato d’animo è cambiato, la mia mente si è spogliata di tutto ciò che lì non mi sarebbe servito, pregiudizi compresi; si è creato il vuoto tra me la mia quotidianità. Fantastico, senza rendermene conto, mi sono trovata in un atteggiamento di totale apertura al nuovo, predisposta e concentrata alla ricezione e all’ascolto.
L’arrivo a Palermo città mi ha lasciata, quindi, pressoché indifferente. Infatti, la periferia non aveva nulla di particolarmente diverso dalle periferie di qualsivoglia città, ma poi, mano a mano che ci si avvicinava al centro, attraverso un labirinto di strade sempre più strette, piazzette e vicoli il mio stupore è stato un crescendo, perché mai avevo visto una realtà cosi.
A questo punto, nel primo impatto, l’aggettivo “bella” che avevo sentito ripetutamente attribuire alla città io proprio non riuscivo a capirlo. Quello che sino a quel momento mi si era presentato era particolarmente trasandato, sporco e in un totale decadimento, ben lontano dai canoni di ordine e cura a cui sono sempre stata abituata. Per non parlare della mancanza di distanze, a garanzia della propria privacy, tra edifici che, disegnando vicoli così stretti, presentavano balconi che consentivano l’ascolto di ogni conversazione tra dirimpettai, senza dover minimamente aumentare l’attenzione per sapere, ad esempio, cosà il vicino avrebbe mangiato a pranzo, il tutto senza necessità di chiedere.
Questo è quanto avevo recepito dall’aeroporto alla sistemazione nell’appartamento in cui avremmo soggiornato e, conseguentemente, nulla mi faceva associare a Palermo l’aggettivo “bella”. È vero, ancora non avevo visto le sue opere d’arte, piazza della Vergogna con la sua fontana (spettacolare, se ci fosse l’acqua, forse, ancora di più), la ricca e turistica via Maqueda o altro ma ho sempre pensato che per definire una città “bella” non bastano le sole opere d’arte.
Solo successivamente, camminando in silenzio in mezzo a quei vicoli così rumorosi (vuoi perché pieni di vita o vuoi perché i loro muri riportato messaggi, gridati o sussurrati, alla città che probabilmente solo il tempo azzittirà), lasciandomi trasportare dalle emozioni, ho cominciato ad interrogarmi sul concetto di “bella”. Perché, a mio avviso, questo aggettivo, molto gettonato, dice tutto e dice nulla ed ho cominciato ad attribuirgli un valore che andava oltre la sola estetica.
Sarei rimasta ore nei mercati di Ballarò, del Capo e della Vucciria, rapita dall’atmosfera vivace che mi circondava, colpita dall’energia di chi ci lavorava e dalle loro urla lanciate per attrarre gli avventori; dalla musica e dall’allegria, dalla presenza multietnica, di qua e di là dei banchi, dalla cortesia e tolleranza da parte di tutti, in particolar modo di chi, con naturalezza, si spostava per dare spazio ai motorini che, contro ogni senso logico (ovviamente il mio senso logico), transitavano “educatamente” in mezzo ai frequentatori dei mercati, dove già a piedi si faticava a passare ed ancora dai banchi di pesce dall’odore di mare, dai fumi delle griglie, dai colori e gli odori delle merci esposte, dalle conversazioni siano esse soltanto ascoltate o avute.
Inoltre, girando per alcuni vicoli e visitando il mercato dell’usato ho respirato tristezza, generata dalla visione della povertà che lì era particolarmente palpabile; allo stesso tempo però, ho visto solo visi che lasciavano trasparire dignità.
Anche per me Palermo è quindi “Bella!” e lo è non perché città curata, pulita, ricca di monumenti, palazzi storici tenuti come bomboniere, urbanizzata a modo con case e palazzi ordinati secondo i canoni con cui normalmente si valuta una città ma perché, se così facessi, direi che Palermo sarebbe veramente brutta e invivibile.
Senza accorgermene, ho cambiato i miei parametri di valutazione ed ora posso asserire che Palermo per me è veramente “Bella!” E lo è perché mi ha rapita, perché mi ha portata a pensare fuori dagli schemi che conoscevo, permettendomi di apprendere cose che, se non le avessi viste, se non le avessi respirate, non le avrei capite.
Palermo per me è “Bella!” E lo è perché mi ha fatta sentire particolarmente viva.
Raffaella Tava (Aprile 2024)"

giovedì 25 aprile 2024

"4 X 9" - Riflessioni e Considerazioni conclusive



Lunedì 22 aprile ha avuto termine il periodo espositivo della collettiva di fotografie in bianco e nero “4 x 9”.
Visite di una scolaresca intrigata e positivi commenti di qualificati addetti ai lavori hanno fortunatamente decretato la riuscita dell’iniziativa che, per molti aspetti, si proponeva anche di far discutere nel presentare un nuovo percorso d’allestimento per una mostra.
L’aspetto che ha maggiormente caratterizzante del “4 x 9” è comunque stata la genesi.
Luigi Pirandello nello scrivere “Sei personaggi in cerca d’autore” racconta di un autore che sostanzialmente rifiuta la rappresentazione dei sei personaggi da lui stesso concepiti. Nel nostro caso Giusy, Salvo, Gregorio e il sottoscritto, non abbiamo mai avuto dubbi e men che meno ripensamenti sull’idea della mostra fotografica che è stata allestita; fin dall’origine immaginata e poi realizzata come un’operazione atipica, per il suo iter sostanzialmente capovolto.
In un ambiente artistico, come a tutti noto, generalmente incentrato nell’autoincensamento e nel culto dell’ego, l’operazione dei quattro fotoamatori creatori del “4 x 9” nasceva da un rapporto paritario che puntasse alla qualità e dalla voglia di voler sperimentare una nuova sintesi nella preparazione di una collettiva. Ricercando anche omogeneità nelle nove quartine pensate e nella stessa strutturazione dell’evento espositivo.
L’unica certezza in fase progettuale era stata, infatti e per tutti, quella di proporre un prodotto artistico pienamente condiviso; che contemplasse una miscellanea di proposte non immediatamente individuabili riguardo agli autori.
Per dire meglio, l’intento era anche quello di venire a presentare delle immagini che riuscissero anche a confondere i profili noti e peculiari dei singoli quattro autori.
Lo spazio espositivo era stato da tempo fissato dai due associati all”ARVIS, senza che gli altri avessero conoscenza del loro coinvolgimento. Una volta accolta la proposta e definito il timing, fin da subito la domanda comune era stata: “ma cosa dovremmo esporre, che tipo di foto, quale tema?”
L’articolo pubblicato sul sito Economia & Finanza Verde descrive gli aspetti della mostra e lascia, ovviamente, anche intendere l’intesa di gruppo indispensabile e necessaria per poter procedere e realizzare un progetto dal risultato preventivamente incerto: sia come valenza, che nella fattibilità pratica.
In conclusione è da dire che per Giusy Tarantino si trattava della sua prima mostra. Al riguardo mi preme sottolineare come la naturale tensione e il suo entusiasmo hanno certamente costituito gli elementi aggiuntivi e gli apporti non secondari che hanno determinato l’attenzione nella cura di ogni dettaglio per avere come obiettivo la qualità, sempre indispensabile per conseguire un buon risultato.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

martedì 23 aprile 2024

La Politica italiana cinque anni dopo e ..... l'Aventino

Uno scritto del settembre 2019 sviluppava un'analisi sulla situazione politica italiana, nel mentre che era in carica il tanto discusso governo gialloverde (https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2019/08/analisi_9.html).
A distanza di quasi cinque anni, parte di coloro che erano all'opposizione sono tornati a ricompattarsi con la Lega e insieme governano, ma non sembrano molto cambiate le questioni d'allora, nonostante i rimescolamenti di casacche e dei colori in campo.
La politica italiota, anche a causa del crescente astensionismo, con la sua classe dirigente continua a rispecchiare sempre piu' i profili e gli aspetti patologici che l'attanaglia; purtroppo sempre piu' lontana dal vivere quotidiano comune e dalle necessita' della gente.
Storicamente la "secessione dell'Aventino" fu un atto di protesta attuato a partire dal 27 giugno 1924 dalla Camera dei deputati del Regno d'Italia nei confronti del governo Mussolini, in seguito all'uccisione di Giacomo Matteotti avvenuta il 10 giugno dello stesso anno.
Oggi l'Aventino e' praticato in maniera soft a monte, in ogni appuntamento elettorale; direttamente da fasce degli stessi cittadini che protestano senza delegare e che, con la progressiva rinuncia al diritto di voto e, conseguenzialmente, astenendosi dal partecipare alle scelte sociali/politiche - in ogni caso - si pongono passivi e subiscono ..... aspettando Godot.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

sabato 20 aprile 2024

"Enigma Palermo"



Forse a suo tempo non sarà stato originalissimo, ma l’allestimento che fu scelto in occasione della mostra "anthologia" di Letizia Battaglia, organizzata nel 2016 allo ZAC dei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo per festeggiare il suo compleanno, risultatò certamente efficace.
Le fotografie erano presentate come una serie di fotogrammi dove, ogni immagine sospesa tendeva a rappresentare, isolandola visivamente, una singola storia che, nell’insieme, si andava a raccordare in un racconto unico.
La strutturazione del libro “Enigma Palermo - La politica, la paura, il futuro. Storia di una città e del suo sindaco”, recentemente pubblicato dalla Rizzoli, in cui la giornalista tedesca Costance Reuscher intervista Leoluca Orlando, sembrerebbe voler perseguire, metaforicamente, un allestimento similare, ovviamente in chiave letteraria.
I tanti capitoli del libro, infatti, nell’illustrare scritti apparentemente indipendenti, costituendo nell’insieme un unico racconto, si raccordano in una narrazione interattiva che, per taluni aspetti, riporta a una esposizione assai analoga a quella seguita nella mostra di Letizia.
Ogni blocco testuale costituisce anche qui un tassello diversamente colorato di un complesso disegno, che delinea capitoli dello sfaccettato vissuto “antologico” di Leoluca Orlando, almeno per quanto già definito. Comunque ancora non completo, in quanto oggi proiettato verso un’ennesima avventura che lo vede impegnato, come candidato AVS, alle prossime elezioni europee di giugno.
Nella serie di domande e risposte viene ripercorso l’intero iter di Leoluca Orlando, come uomo e nel ruolo ripetutamente esercitato di sindaco di Palermo.
Chi ne avrà voglia, potrà anche leggere i vari punti che uniti fanno da filo conduttore nella sua avventura e apprendere i retroscena di tante scelte (talvolta apparentemente imprevedibili) di un percorso che egli stesso indica come ricerche di soluzioni per quello che per lui permane la sua Palermo: un “enigma".
Negli ampi periodi che hanno caratterizzato le varie sindacature - e che hanno contemplato anche ruoli parlamentari (in Italia e in Europa) – sono molte le fotografie che congelano gli atti espletati dal politico Leoluca Orlando durante i suoi mandati.
Senza sconti o accondiscendenze, nel libro le domande di Costance Reuscher toccano le tante questioni con acutezza. Le risposte rese da Leoluca Orlando, che raramente sfuggono ai quesiti diretti, ricostruiscono il suo impegno della sua storia politica, collegata alle scelte antimafia – spesso inaspettate e controcorrente - nella amministrazione della sua Città di Palermo.
Il libro, indipendentemente da come la si pensi, aiuta a riannodare fatti e circostanze che inducono a riflettere sulla storia recente e magari a rivedere i giudizi su tanti eventi e alcuni personaggi.
Scelte classificate come coraggiose o apparentemente avventate, nelle risposte di Orlando evidenziano coerenze o fedeltà a principi e ideali.
In ogni caso l’ampia narrazione talvolta ravviva avvenimenti dimenticati che, riesumati nelle ampie narrazioni e visti al tempo d’oggi, possono tornare utili per rielaborare precedenti considerazioni.
I fatti salienti che riguardano tutti i settantasette anni di Leoluca Orlando sono radiografati e visionati attraverso ingrandimenti che mettono a fuoco dettagli e anche aneddoti familiari intimi poco noti.
Si va dall’Orlando bambino, al giovane studente che ha frequentato il Gonzaga. Per poi passare alle esperienze universitarie, alle specialistiche svolte all’estero, all’impegno didattico, all’esperienza Mattarella (Piersanti), all’impegno politico, alle diverse vicissitudini collegate all’ingresso e all'uscita dalla DC, alla nascita del movimento della Rete, al costante impegno antimafia col pallino fisso di voler risolvere il suo "Enigma" Palermo.
Lungo il suo racconto si allineano tantissimi personaggi di diversi ambienti, che hanno rappresentato figure positive o negative, risultate pure fondamentali in alcune delle sue più importanti scelte.
Molti oggi sono coloro che criticano e sentenziano giudizi su di lui, disattendendo anche minimi doveri di gratitudine per i tanti atti coraggiosi che hanno generato vantaggi e benefici pubblici.
Certamente Orlando politico, nelle tante stagioni, ha rappresentato tanti ruoli; come pure inevitabilmente avrà commesso degli errori ma, come dice il detto palermitano "cu mancia fa muddica" (per dire che anche nell'attività primaria dell'alimentarsi, spezzando il pane, non si puo' fare a meno di disperdere molliche).
Del resto è risaputo che ogni scelta, specie in politica, determina talvolta risultati che sono frutto di compromessi e, quindi, non tutti possono sempre trovarsi contenti per le decisini finali che vengono prese.
“Enigma Palermo” edito da Rizzoli nel 2023 (pagg. 288 e dal costo di 19 euro) potrà risultare molto utile per conoscere il complesso personaggio Leoluca Orlando e quasi indispensabile per apprendere gli elementi necessari a poter valutare le ragioni di un percorso che ha spesso contemplato tante atipiche prese di posizione e singolari scelte di campo.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

domenica 14 aprile 2024

D'Eroi di mafia e altri ancora



La storia è beffarda perchè viene scritta e tramandata dagli uomini.
Se anche necessita della sedimentazione del tempo nell'essere narrata, infatti, è filtrata da storici non onniscienti che si rivelano molto spesso prevenuti o di parte.
Al di là di quanto riportato dalle cronache, sono tanti i misteri e le nebbie che avvolgono anche molti altri personaggi, anch'essi meritevoli d’essere ricordati; ma o perchè operanti nell’ombra, o per il fatto di non essere mai assurti alle cronache, che rimangono trascurati o, ancor peggio, tristemente derubricati e dimenticati.
La storia deriva da culture politiche indipendenti da ogni etica. Eventi e personaggi ne diventano i protagonisti, spesso in funzione non tanto da nobili propositi ma per i risultati conseguiti e dall’aver inciso sulle vicende del loro tempo.
Negli anni che stiamo vivendo c’è molta confusione e chi non si ritrova con delle basi solide è portato, non solamente a fluttuare ma ad adeguarsi nel seguire il vento e a cavalcare l’onda che possa più avvantaggiare.
Del resto, in assenza di riferimenti ideologici o di chiare stelle polari, l’organizzazione sociale non facilita l’orientamento.
Un sistema ereditario oligarchico colloca i cittadini fin dalla nascita, con privilegi e condanne spesso legate al caso; costituito da discendenze, ubicazioni, opportunità e che si tramandano senza alcun particolare merito.
Il DNA d'origine ha certamente anch’esso la sua influenza ma, se è vero che i bastardi spiccano per intelligenza, diseredati e emarginati del mondo non hanno alcuna colpa nel ritrovarsi collocati fra i dannati della terra fin dalla nascita.
Meritocrazie e ascensori sociali nascono quasi sempre da necessità contingenti e, anche se i periodi post bellici stimolano di più, sono i cambiamenti per alternanze politiche i presupposti che spesso determinano nuove opportunità per chi prima rimaneva escluso.
In ogni realtà e tempo c’è sempre chi tende a consolidare privilegi e a frammentare caste attraverso leggi modificate, quasi sempre seguendo logiche di appartenenza; facendo anche in modo che, quello che prima legalmente era definibile fuorilegge, possa perfino diventare non più perseguibile come un reato.
Negli anni, di fatto, vengono a mutare le regole di convivenza, consolidando vantaggi non sempre consoni a obiettivi e criteri di giustizia. Lobby, categorie, generazioni e territori rimodulano in continuazione – e frequentemente sottotraccia - le realtà per poter aumentare e proteggere discrezionalità e differenze.
Una volta, nelle monarchie, erano solo i reali i predestinati legittimati al potere, oggi, in una democrazia declamata a parole, il ripristino della lunga catena feudale dispensa livelli di privilegio a una pletorica filiera di principi, vassalli e valvassori, di vari colori e sfumature; partecipanti tutti ai convivi, con frammentate porzioni di potere personalizzata e ad ognuno spettante quanto basta. Secondo schemi che comunque contemplino subordinazioni progressive, fedeltà e obbedienze.
Ognuno si colloca pertanto in un gradino differente, per legittimare e mantenere il sussistere di gerarchie e classi. Con l'illusorietà offerta al nugolo dei sudditi, costituenti il “popolo” e posti in fondo alla catena, d’essere destinatari di potenziali e nobili poteri costituzionali nell'essere periodicamente richiamati a esprimere delle scelte, in occasione degli appuntamenti elettivi; che, in assenza di opportune vigilanze e la compiacenza di tanti, sono intanto artatamente resi quasi vuoti.
Gli schemi ideologici che prima erano chiari così si appannano. Comunisti, fascisti, monarchici, socialisti, liberali e quant’altri, che prima erano identificabili si trasformano e s’annacquano, ammorbidendosi e rendendo altresì permeabili/contaminabili i rispettivi confini.
Per tornare al concetto del titolo, tutto ciò che si pone a ostacolo, in un sempre più dilagante consociativismo borghese, quindi, necessita d’essere rimosso, affinché “tutto cambi, perchè nulla cambi”. Per consentire al volano, che alimenta il perpetuarsi dei cicli e ricicli storici, di continuare a girare succede anche che un naturale filtro determini nascite d'anticorpi d’oracoli e di eroi. Così come collateralmente pure si succedono delle riscritture periodiche della storia, ogni volta revisionata e avallata dalla cultura dominante corrispondente al tempo.
In questo, seppur tutti quanti proiettati a raggiungere il potere, mentre il pragmatismo degli schieramenti di destra si compattano sempre in visioni unitarie miranti al governo; gli altri, affetti da virus inestinguibili, si perdono in distinguo, politicamente dannosi oltre che inconcludenti.
Con l’aggravante che accomuna tutte le parti nel voler costantemente ricercare responsabilità in capo agli altri, colpevoli di non pensarla mai come loro.
La politica, quindi, appare sempre più impegnata a ciarlare, magari per dissertare su questioni lontane dai reali problematiche percepite dalla gente, ovvero dalle rispettive basi elettorali di riferimento (indipendentemente dal posizionamento).
“Una volta Atticus mi aveva detto: non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di metterti nei suoi panni, se non cerchi di vedere le cose dal suo punto di vista; ebbene, io quella notte capii quello che voleva dire. Adesso che il buio non ci faceva più paura avremmo potuto oltrepassare la siepe che ci divideva dalla casa dei Radley e guardare la città e le cose dalla loro veranda. Accadde tutto in una notte, la più lunga, più terribile e insieme la più bella di tutta la mia vita.”
È un brano tratto dal film “Il buio oltre la siepe” che ho ricevuto da un’amica e che in qualche modo può trovare attinenza nel complicato rebus che, nell'arte specificatamente, ogni volta si crea tra autore e chi osserva e poi valuta.
Nel voler dire, nel tentativo di far capire dell'uno, combinato alla lettura/critica di chi è invitato/chiamato a interpretare quanto ogni volta viene proposto.
Ovviamente gli stessi ruoli sono attribuibili a quanto attiene al campo e alle varie funzioni differenti, di governo e opposizione, di gestione e controllo, presenti nel complesso insieme della politica attiva.

Buona luce a tutti!


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venerdì 12 aprile 2024

“Dazzling Shadows” (ombre abbaglianti) di Keja Ho Kramer & Joe Schievano



All’ARVIS oggi è stato proiettato in anteprima il cortometraggio “Dazzling Shadows” (ombre abbaglianti) realizzato da Keja Ho Kramer & Joe Schievano, che parteciperà alla prossima rassegna di film indipendenti “Cadavre Exquis”.
Il video, prendendo spunto dalla "Teoria dei colori" di Wolfgang Goethe, si propone di affrontare un argomento non facile riguardante la percezione umana del colore, con una ricerca che intende tradurre con un risultato visivo il trattato letterario del poliedrico autore tedesco.
Per Keja Ho Kramer l’operazione costituisce la prosecuzione di un tema che era stato oggetto di una sua indagine durante il periodo del Covid, peraltro condotta a Palermo, e con già alcune sue foto pure esposte in una mostra collettiva (Fondazione Barbaro - Palazzo Trinacria).
L’approfondimento della ricerca sperimentale, oltre ad arricchirsi di nuove immagini, ha voluto accompagnare la proposta visiva con una riuscitissima originale componente sonora apportata e appositamente studiata da Joe Schievano.
L’incontro fra le due componenti artistiche ha generato un prodotto unico dove fotografia, musica e, in qualche punto, effetti speciali si sono fusi, rafforzandosi vicendevolmente nel risultato finale. Così si è venuto a generare, piuttosto che forse, un prodotto che certamente è andato ben oltre il proposito iniziale ispirato alla Teoria di Goethe.
Ne è derivato, infatti, un messaggio intimo e completo che coinvolge emotivamente, per le dosate varie componenti che ne accompagnano la visione.
In questi casi è difficile descrivere a parole la sintesi di un insieme assai complesso.
Ogni creativo, specie se impegnato in continue ricerche ed esperimenti, ha sempre dei suoi messaggi che intende veicolare. Rimane quindi agli altri osservare, leggere e infine maturare le proprie impressioni.
L’articolo del Giornale di Sicilia pubblicato sul web fornisce più dettagli sul cortometraggio e sui due autori.

Buona luce a tutti!


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domenica 7 aprile 2024

"Centro internazionale di fotografia", un polo d'eccellenza che appare avviato al declino



Ci sono circostanze in cui mancano le parole per esprimere le proprie sensazioni.
Oggi, durante uno dei soliti giri per la città, ritrovandosi al Centro Internazionale di Fotografia, con la curiosità di vedere se nel sito era allestita qualche bella mostra, la realtà è apparsa desolante.
A prescindere da ogni schieramento o appartenenza, la stupidità locale si manifesta quasi sempre e soprattutto nel voler sopprimere le idee altrui piuttosto che svilupparne di nuove.
Non è preso mai in giusta considerazione l’intento di mantenere un dibattito critico, anche attraverso proposte che potrebbero collocarsi su posizioni ideologiche differenti, financo diametralmente opposte.
Nella Città di Palermo, politicamente, l’unico punto che accomuna tutti gli schieramenti è forse la declamazione del Sindaco di turno fatta al Festino: “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Un’affermazione da tifoseria abbastanza vacua e spesso inconcludente rispetto alle necessità reali.
Nel Centro Internazionale, nato nel 2017 e fortemente voluto da Letizia Battaglia, sono passate in questi anni tante mostre e importanti autori che hanno regalato alla comunità opportunità culturali, facendo assurgere il capoluogo siciliano a un centro d’eccellenza, con iniziative e proposte che in ogni caso hanno salvato Palermo dal suo ciclico e atavico provincialismo.
Per come sembrano avviarsi le cose, evidentemente le passate esperienze continuano a non essere d’insegnamento, neanche all’attuale amministrazione, che sembra anch'essa indirizzata a concentrarsi per andare a oscurare idee che, a loro vedere, risultino non omogenee e al proprio modus vivendi.
In questo, alcune delle location risanate dei Cantieri Culturali alla Zisa continuano a essere considerate come dei “covi anarchico-sinistrorsi”, quasi delle insopportabili pagliuzze fastidiose, e con nessuna possibilità di poter essere vissute come dei valori aggiunti, ovvero come strutture utili ad offrire, nel caso, opportunità per argomentazioni differenti, con visioni orientabili su confini diversi.
Circolando per i padiglioni, desolante oggi appare la percezione del senso di abbandono che si respira in modo palese, in un centro che dovrebbe essere di cultura ma che sembra inesorabilmente avviato – e ancora una volta nell’indifferenza dei molti - all’assoluta inutilità di scopo, quindi culturalmente da abbandonare o non rendere frequentabile come luogo d’eccellenze.
Il provincialismo cittadino ancora una volta prevale, rispettando le logiche di appartenenza, delle amicizie, dei clan e delle raccomandazioni. Nulla di nuovo sotto il sole, è lo specchio della nostra società, pertanto: “Viva Palermo e Santa Rosalia”.
In conclusione si torna su quella stupidità atavica che non ha mai una specificità particolare nei colori politici in cui si nasconde e che, da sempre, attraversa tutte le fazioni. Con un piattume che preclude aperture e che trova fastidiosi e quasi intollerabili ogni forma che alimenti dibattiti o contrapposizioni.
Sintomatico appare il neon spento, perchè la luce non illumina più l'angolo libreria, la postazione in cui Letizia era d'uso intrattenersi con chi l'andava a trovare.

Buona luce a tutti!


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venerdì 22 marzo 2024

“Un altro ferragosto”, il nuovo film di Paolo Virzì



Nel visionare l’ultimo film di Paolo Virzì non si può non pensare a “Il Caimano” di Nanni Moretti.
Un superbo Silvio Orlando anche in quest’opera cinematografica incarna il personaggio chiave che, dietro un’apparente demenza, continua a rifiutare tutto quello che nella vita non vuole accettare, mantenendo la lucidità che ha la nobile funzione di leggere la storia.
Nella sua regia Virzì non si limita prendere in giro i social e ad attaccare violentemente la politica, perchè affronta anche le profonde e variegate crisi sociali che attraversano il mondo occidentale in generale e quello italiano in particolare.
Personaggi inverosimili rappresentano molteplici caricature di tante realtà che ci stanno vicine, ci circondano, martellano e spesso condizionano.
Intorno al racconto dell’evento riferito ad un’improbabile influencer - ignorante e di successo - ruotano lucide fattispecie d’individui riconducibili ad un’area politica di centrodestra, mentre confusi idealisti radical scic si associano a Sandro Molino (giornalista e scrittore di sinistra interpretato da Silvio Orlando).
Ma, nel messaggio di Virzì, gli opportunisti, i fanculisti, i qualunquisti, i confusi, sono presenti in entrambe le sponde. E pure, sono tanti i miserabili.
Nel racconto forse lucidi e puri appaiono solo i bambini che, pur cogliendo ogni cosa, sembrano volersi tenere esclusi dalle vicende miserevoli dei grandi.
Nel film il regista intreccia scene del precedente “Ferie d’agosto” per poter mettere a fuoco retroscena e casualità che hanno condizionato la vita degli stessi personaggi, ieri giovanili e oggi giunti ad età matura.
L’autodeterminazione sul fine vita è anch’esso efficacemente rappresentato, con la figura dell’anziana madre/nonna un po’ svampita che, in una delle scene finali, dopo aver sparso nel mare le ceneri del marito morto, decide di farla finita, inabissandosi anche lei nelle stesse acque di Ventotene.
Presenti anche personaggi e scene che mettono in campo questioni transgender, le problematiche connesse all’omofobia e ai tanti altri problemi esistenziali che interessano la vita umana.
Non teneramente vengono descritte le varie burocrazie e classi sociali che molto di frequente, nella vita reale, caratterizzano figure ambigue, faziose, discutibilmente ambiziose, sciatte.
In certi momenti il film può risultare confuso, per sovrapposizioni temporali dei personaggi, per l’affollamento dei messaggi che vogliono mettere a fuoco tante cose, per l’irriverenza palese rivolta alla politica e per tanto altro, ma quanto vuole comunicarci Paolo Virzì è molto chiaro e certamente .... non lo manda a dire.
Una pellicola, infine, che merita di essere vista (quasi obbligatoriamente da dirigenti e militanti nella classe politica) e della quale già si discute sui media per ostracismi e tentativi di oscuramento e, in ogni modo, di cui si parlerà molto.

Buona luce a tutti!


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giovedì 21 marzo 2024

Secondo quello che suggerisce la moda del tempo



L'avvicinamento alla fotografia è sempre variegato. Tanti sono gli spunti che inducono ad imbattersi nella materia e, nel caso, appassionarsi. Come autori o cultori non fa poi molta differenza.
Tutti restano comunque accomunati nell'utilizzare la formula creativa ritenuta più idonea e che riesca a raccontare leggendo la luce, per alimentare proposte e confronti culturali, personalizzando scritture o osservazioni.
Altri sono i discorsi che possono sviluppare, in relazione all'approccio, gli autori. I vari generi fotografici del resto necessitano di processi metodologici talvolta assai differenti.
Fra i tanti forse la difformità d'origine è quella che mette a confronto l'aspetto pittorico con l'utilizzo della macchina per catturare l'attimo fuggente. Il primo alla ricerca di perfezioni estetiche di elementi statici che rimangono spesso fini a sé stessi, il secondo volto a catturare immagini di fatui realismi dinamici - anche provocati - che meritano d'essere congelati in uno scatto.
C’è sempre una fotografia che segue comunque la moda del tempo, che scopre nuove tecniche e modi apparentemente originali o moderni, ma destinati anche a stancare, per evidenti inconsistenze aggiuntive.
Progetti spesso pensati a tavolino dall'ideatore si propongono di tramutare idee in immagini; processi che, negli ultimi tempi in particolare, sconfinano oltre la fotografia, sfociando in componimenti grafici artigianali, frutto di manipolazioni, magari facendo ricorso a usi di software sofisticati.
Un punto che comunque distingue l'approccio fotografico è il talento che presuppone un pensiero o anche occasionalità congenite imprevedibili. Altra considerazione da tenere in conto è che il tutto resta sempre il frutto di elaborazioni umane, con tutto ciò che ne consegue.
Giuseppe Cicozzetti, che torno a citare e che consiglio di seguire, con la sua pagina Scriptphotography costituisce quasi un “tutorial” per il mondo della fotografia. Propone ogni giorno autori diversi, per genere, temporalità e luoghi, mettendo a fuoco esempi di approcci culturali e concettuali sempre differenti.
In nessun caso si pone a concludere con scale di valori ma, anzi, con le sue argomentazioni, s’impegna a illustrare le logiche che consentono di raccontare le foto e avvicinarsi agli autori.
Con il suo spirito divulgativo - e fortunatamente non è il solo - informa con esempi differenti, per stimolare e allargare così le conoscenze di chi lo segue e anche le sue.
Nell'attirare molta curiosità, raccogliendo anche utili segnalazioni da fotoamatori che si propongono (per ricevere consigli o pareri su ciò che realizzano), individua talenti che anche per lui rappresentano un gratificante valore aggiunto.
È sicuramente anche questo il motivo per cui i suoi scritti rimangono comunque interessanti, a prescindere dall'accettare quelle che sono le sue chiavi di lettura e la valenza delle foto d'esempio e gli autori che continuamente propone.
Fortunatamente noi tutti siamo adulti e vaccinati, sicuramente in grado e capaci di discernere su ciò che più ci aggrada o si avvicina alla nostra indole e predisposizione. Senza che possa procurare fastidio, l’eventualità di non condividere quelle che a noi possono apparire solo discutibili impressioni.
Le diversità, nel caso, sono sempre opportunità e fonte di ricchezza. I dialoghi costruttivi che derivano anche da eventuali contradditori inconciliabili, pure.

Buona luce a tutti!


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martedì 19 marzo 2024

Photoghaphies - Viaggi .....



Stampato in double face per consentire letture autonome, in modo che copertine e quarta di copertina (e relativi contenuti) possano indifferentemente invertirsi, propone fotografie esposte durante un’unica mostra.

In “Viaggio intimo” di Gregorio Bertolini: si tratta di una sperimentazione, portata avanti da più di un decennio, che privilegia l’indagine intima alla perfezione tecnica senza alcun limite; scaturisce dal bisogno di fissare le mie emozioni quando mi fermo ad ascoltarle, traducendole in immagini freneticamente alla ricerca della mia ragion d’essere. Frammenti di una realtà personale fatta di visioni oniriche opposti a pezzi di reale.

“China 1991-1995” di Toti Clemente: un reportage sulla Cina frutto di due viaggi effettuati nel 1991 e nel 1995, entrambi con partenza da Pechino. Il primo riguarda la Cina classica, il secondo il percorso carovaniero della Via della Seta (Asia centrale fino al Pamir/Karakorum). Le foto, oltre a rappresentare i luoghi, si soffermano sulle molteplici etnie che popolano il territorio cinese. L’aspetto espositivo vorrebbe creare un mix di “cartoline” proposte secondo composizioni grafiche.

Entrambi i lavori raccolti nel libretto pubblicato in questi giorni, che erano stati esposti presso la Galleria FIAF dell’ARVIS (Associazione per le arti visive in Sicilia) di Palermo, si avvalgono di due presentazioni redatte dai critici fotografici Daniela Sidari e Giancarlo Torresani, pure riportate nel volume.

Buona luce a tutti!


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sabato 16 marzo 2024

Whistleblower - Pesi e contrappesi



Whistleblower è il termine inglese, derivante dalla frase “to blow the whistle” (traduzione letterale: per fischiare), che mira a identificare un soggetto che scopre e denuncia, in genere nel corso dell’operatività attiva, fatti che hanno causato o possono in potenza causare danno allo stesso ambiente in cui lavora o ai soggetti che con questo si relazionano.
Grazie alla denuncia di detta tipologia di figure molte volte è possibile prevenire pericoli o, più semplicemente, assicurare trasparenza negli ambienti e fornire qualità nei relativi servizi produttivi.
Se opportunamente tutelati e messi in grado di favorire comunicazione all'interno dell’organizzazione in cui lavorano, possono migliorare efficienza e, anche, assicurare un'implementazione del sistema dei controlli interni.
Per quanto detto, benefici analoghi possono derivare anche da soggetti non più attivi nel mondo del lavoro che, grazie a questo loro status (ormai liberi da vincoli di appartenenza e da ogni eventuale "condizionamento") possono più facilmente evidenziare - con proprietà e precisione di linguaggio - quelle incongruenze e vizi/abusi procedurali nel caso vissuti, non sempre quindi legati a negligenze o a innocenti trascuratezze.

L’autore del libro "Pesi e Contrappesi" qui recensito, per la varietà e la ricchezza dei contenuti potrebbe, quindi, ben rientrare nella seconda fattispecie di whistleblower, in quanto sviluppa una serie di vicende (definite come frutto di fantasia), inframezzandole ironicamente con una serie di aneddoti e storie piene di strani protagonisti, dove – con molta probabilità – molti lettori potrebbero poi magari riconoscersi, per il loro vissuto (presente o passato).
La quarta di copertina del volume riporta infatti:

“Come sempre capita, quando si leggono storie ispirate a fatti realmente accaduti, ci sarà chi andrà a riconoscere con immediatezza contesti a lui noti e magari rivedere anche circostante vissute assai simili; ma ci sarà anche chi cercherà comunque di immaginare le istituzioni e i luoghi a cui si allude, nel tentativo di individuare talune delle figure descritte e che fanno parte della narrazione.
Questo è uno degli aspetti più belli della letteratura "verista" che, quando riesce a miscelare con efficacia fantasia e memorie, attualizza le vicende, a prescindere da ogni condizione.
Qualcuno potrà anche ritrovarsi in alcune delle storie e pure riconoscersi in vicende raccontate spesso con ironia.
Qualche altro apprezzerà, forse, la fervida fantasia nell'impegno dell'autore a tentare di enfatizzare paradossi impossibili.
Come capita in tutte le forme espressive che ambiscono ad essere accostate all'arte, ciascuno potrà leggere e vedere ogni cosa a proprio modo: secondo il proprio spaccato professionale, l'ampiezza intellettuale di cui è dotato, la cultura di cui dispone e che ha accumulata e assorbita nel tempo.
In ogni caso le sfumature, le gradazioni di grigio e l'ampia scala di colori usati nel composito racconto sono tante e probabilmente, alla fine, molti saranno indotti a qualche riflessione.”

Editato da Youcanprint ad agosto 2023, il libro si compone di 272 pagine e l’edizione cartacea è acquistabile - anche on line - al costo di 19,50 euro (Ebook euro 4,99).

Buona luce a tutti!


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martedì 12 marzo 2024

"Marx & Keynes – Un romanzo economico"



L’autore del libro in questione è un docente universitario di economia che, attraverso questo romanzo, effettua di certo un’operazione divulgativa e didattica, improntata su una serie di incontri diretti e fantasiosi fra i famosissimi economisti Marx e Keynes.
Grazie gli immaginari confronti fra i due autorevoli uomini storicizzati, vengono messi in luce i principi fondamentali sui quali si basano le rispettive teorie economiche e sociali.
Pertanto, premesso che è sempre arduo tentare di mettere in contrapposizione dialettica idee – specie estrapolandole dai contesti e dal tempo di riferimento - il romanzo di Pierangelo Dacrema torma utile e aiuta ad analizzare aspetti particolari di questioni economiche che restano attuali.
Dai dialoghi fra i due personaggi escono confronti che mai evidenziano contrapposizioni ma, anzi, con un sempre pacato dialogo consentono di discernere certi aspetti in ombra nelle loro rispettive teorie.
Succede pure che entrambi gli economisti, dialogando sempre con reciproca buona fede sui singoli punti, vengano anche a modificare – seppur parzialmente - le loro idee; acquisendo e discernendo sui rispettivi chiarimenti e tenendo conto dei mutamenti intervenuti nel lasso temporale intercorso fra le due esistenze (Karl Heinrich Marx muore infatti nel 1883, che corrisponde all’anno di nascita di John Maynard Keynes).
Per seguire lo sviluppo delle teorie economiche oggetto del romanzo occorrerà comunque andare a leggere il libro (Editoriale Jaca Book – 2014 - Milano, costo 12 euro) che, attraverso una scrittura non sempre piana e semplice, passa sotto la lente d’ingrandimento le peculiarità principali espresse da Marx (nel “Capitale”) e Keynes (nella “Teoria generale dell'occupazione dell'interesse e della moneta”).
Al centro della loro ricerca continua ad essere il fine comune, volto al raggiungimento di un benessere sociale equo e le loro teorie rielaborate li portano a concludere sulla necessità dell’abolizione delle monete poste oggi al centro del sistema economico.
Ovviamente, sono tanti i passaggi che consentono di cogliere il maturare degli aspetti problematici connessi alla distribuzione della ricchezza, alla debolezza e ai punti forti collegati al capitalismo, allo sviluppo delle tecnologie, all’importanza fondamentale dell’apporto umano in ogni processo produttivo, alle regole di giustizia e di politica sociale che regolano i rapporti e a quant’altro.
Nel romanzo, l’inverosimile pacato sviluppo del pensiero economico da parte dei due protagonisti, appartenenti ad epoche storicamente lontane e diverse, costituisce forse l’aspirazione recondita dello stesso autore Dacrema che, magari, intenderebbe immaginare un ideale avvicinamento politico di due scuole di pensiero comunque accomunate da un unico ideale: quello socialista.
A prescindere dalla valenza e percorribilità delle teorie conclusive, prospettata nell’operazione romanzate dall’autore, l’architettura del racconto, già mettendo a confronto - e in maniera asettica - le sole teorie di Marx e Keynes, intriga molto.
Ne deriva una vera e propria fattibilità di poter collazionare i due principali rispettivi scritti che, visionati in parallelo, consentono di cogliere con immediatezza i concetti sottostanti ad ogni argomento trattato.
In conclusione, a mio parere, il romanzo si sviluppa e si muove verso obiettivi che lasciano comunque irrisolta l’eterna differenza che è insita fra teoria e pratica. Poiché restano demandate agli uomini e alle classi dirigenti di ogni tempo, il tentare di trovare le soluzioni più idonee e a quel momento politicamente percorribili.

La valutazione in una recensione su una pagina web editoriale indica tre stelle su cinque e recita:

“Non è necessario essere esperti di economia per poter leggere e comprendere il testo, perché attraverso il confronto tra due personaggi importanti e famosi nella storia delle "idee economiche" l'Autore snocciola in maniera piana e comprensiva i fondamenti delle loro teorie, così contrapposte. Davvero originale e felice la trovata di spostare le loro vite nel mondo contemporaneo: i due personaggi vissuti in epoche diverse si incontrano e dialogano tra di loro. Il romanzo sembra oscillare tra il ricorso allo stratagemma delle "vite parallele" e la contrapposizione di due visioni economiche tanto diverse e tratteggiate in maniera sintetica e non certo approfondita, per approdare al vaneggiamento di una visione economica post-monetaria che più che utopistica sembra solo una brillante finzione romanzesca!”

Il volume è anche acquistabile a prezzo ridotto fra gli outlet. A mia parere merita una lettura, a prescindere da ogni convinzione politica che ci riguarda.

Buona luce a tutti!


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giovedì 7 marzo 2024

"Jean" un racconto di Sura Bizzarri



"Jean di Sura Bizzarri. La Sura, autrice ormai affermata di romanzi, novelle e altro, si è presa una piccola pausa nella definizione dell'opera letteraria di prossima edizione per regalare un racconto in cui mescola allegoria e metafora nel fare una nitida fotografia esistenziale agli esseri viventi. Tecnicamente avrebbe scattato una macro …… ma, con la massima chiusura d'obiettivo prescelta, con le sue mai banali parole e la sintassi, riesce a mettere a fuoco diversi piani che consentono di osservare le immagini a più livelli, senza alcun bisogno di d'inforcare occhiali. Quanto descritto nella sua sempre geniale e spiazzante narrazione risente certamente della visione di “Povere creature”, il recente film candidato agli Oscar, che fa una radiografia impietosa sui tanti aspetti caratterizzanti l’esistenza umana. Come sempre, ciascun lettore potrà comunque farsi una propria idea ed esprimere il suo personale giudizio (di giubilo o di sconcerto, poco importa). E questo è il bello dell’arte, dove ciascun osservatore riesce a vedere, enfatizzare, bocciare liberamente ciò che riesce o crede di vedere, a prescindere dalle intenzioni dell’artista. Buona lettura!" https://salvatoreclemente.blogspot.com/2024/03/jean-di-sura-bizzarri.html

Buona luce a tutti!


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mercoledì 6 marzo 2024

“Scriptphotography”



Sono in pochi coloro che sanno raccontare, che con la loro capacità narrativa riescono a coinvolgere chi li legge o li ascolta.
In questo non occorre essere necessariamente degli artisti, perchè il loro vero compito è quello di riuscire a trasportare il lettore o l’osservatore in un’altra dimensione, indefinita e che prescinde dal tempo.
I critici d’arte non si possono pertanto pensare come degli artisti mancati ma sono altra cosa, poiché il loro compito ha anche aspetti creativi; per il saper tirare fuori, corroborati da ampie conoscenze culturali, letture e messaggi che spesso non necessariamente coincidono con quanto in origine era stato pensato dagli autori delle stesse opere.
In questa chiave gli scritti di Giuseppe Cicozzetti postati su Facebook costituiscono capitoli (eruditi e al contempo intellegibili) di un ampio romanzo (o una raccolta di novelle, secondo i gusti). Essi prendono spunto da fotografie, da personaggi, da vissuti, da considerazioni, per tramutarsi in ciò che poi lo stesso ci viene a dire.
In questo, leggere i suoi testi e poi passare alle fotografie - che sapientemente abbina - costituisce un unicum quasi inscindibile, in quanto parole appropriate determinano sempre un’alchimia che viene a fondersi con le immagini a corollario che completano.
Spesso si viene a parlare molto male dei vari social e delle dipendenze che essi spesso creano in tanti, ma le pagine di “Scriptphotography” dimostrano proprio il contrario, ovvero che la qualità di quanto viene postato dipende dalle caratteristiche di chi scrive, da cosa scrive e, in generale, dai messaggi e i contenuti che s’intendono diffondere.
Cicozzetti, con un suo modo quasi pragmatico di fare cultura, riesce a suscitare interesse e crea proseliti; proponendo, senza tanti fronzoli, recensioni e storie che intrigano e lasciano il segno.
La sua operazione amplia conoscenze e, snocciolando tante forme artistiche della fotografia, appassiona coloro che amano l'argomento.
Evidenzia, peraltro, come oltre ad essere circondati da milioni d’immagini, sono tantissimi i talenti autorevoli che nell’universo fotografico lasciano il segno, tuttora vivi o già andati, e che, con le loro produzioni, continuano ad alzare montagne di opere che ci circondano.
Una volta entrati nel giro di Cicozzetti, si resta catturati fra i “followers” interessati a leggere con avidità i suoi articoli; rimanendo quasi ansiosi e in costante attesa, aspettando di conoscere quanto verrà a proporre con la prossima mossa.

Buona luce a tutti!


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“La Palermo segreta raccontata in bianco e nero – La Città come un non luogo”



A intera pagina 11, del giornale La Repubblica del 24 febbraio 2023, veniva pubblicato un articolo di Paola Pottino. Il titolo era: “La Palermo segreta raccontata in bianco e nero – La Città come un non luogo”.
A dimostrazione che, come riporto in un passo di Fotogazzeggiando, “Come è risaputo, la fotografia è un qualcosa di indefinito che coesiste con il nostro essere e che comprende tutto quanto incontriamo e ogni cosa o persona che ci circonda”, nell'articolo della Pottino si racconta la pagina social curata dal fotografo Giuseppe Gerbasi che si diverte a provocare i tanti aspiranti fotografi, pubblicando nella sua pagina social le tante fotografie che vede passeggiando per le strade della sua Palermo.
I suoi scatti, sono frutto di inquadrature di una mente allenata a vedere, selezionare ed elaborare con velocità “l’attimo fuggente” o il particolare significativo che racconta o, ancora, che riesce ad avviare l’immaginazione e la fantasia di chi si trova ad osservare quanto da lui quasi quotidianamente proposto.
La sua operazione costituisce di fatto uno stimolo intelligente a chi aspira a raccontare con l’apparecchio fotografico (macchina o cellulare, poco importa) e viene ad essere un’operazione didattica soft e gratuita, che sottolinea attraverso l’etichettatura © G.Gerbasi "Non sono andato lontano fotografando" Palermo, e data.
Un fotografo che, riscrivendola a suo modo, usa la famosa frase ripetuta da Totò a Peppino: “e ho detto tutto”. Ma in questo caso non enigmatica perché la fotografia che propone è sempre di per sé eloquente.
Personalmente la cosa mi diverte e continuo ad essere attratto dalle fotografie che posta, immagini che necessitano e meritano di essere viste con attenzione, anche per cercare di indovinare i luoghi di ripresa, i particolari, i dettagli, l'eventuale messaggio nascosto.
La sua è quindi un’operazione educata e alquanto ironica per la continua precisazione: “non sono andato lontano fotografando”.
Nell’articolo riporto la pagina del quotidiano da lui stesso postata su FB che, per quanto ovvio, aggiunge tante altre cose rispetto a quanto ho sinteticamente esposto (fotografato, sarebbe più appropriato).

Buona luce a tutti!


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lunedì 4 marzo 2024

"Perfect Days"



Una mia recensione sul film "Perfect Days" (regia di Wim Menders) apparsa sul bimensile "Dialoghi Mediterranei" (Periodico bimestrale dell'Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo) di marzo, curato da Antonino Cusumano. Pubblicazione inserita fra altre recensioni "commissionate" a altri sei soggetti (Federico Costanza, Anna Fici, Aldo Gerbino, Chiara Lanini, Flavia Schiavo e Giuseppe Sorce) che hanno così letto e rappresentato la trama e i messaggi contenuti nella regia di Wenders; ognuno seguendo percorsi personali secondo differenti chiavi di lettura.

Un plauso va a Antonino Cusumano, per l'operazione messa a punto, che è risultata utilissima nell'evidenziare il concetto de "il mondo è bello perchè è vario".

L'incarico conferito a sette soggetti diversi di sviluppare le impressioni suscitate dalla visione del film di Wim Wenders (senza che alcuno di loro conoscesse la contemporaneità delle scritture collaterali distintamente "appaltate"), viene a fornire tanti spunti (se coincidenti o diversi, poco importa) che portano a considerare il valore dei chiari e scuri che ciascuna mente riesce a cogliere e mettere a fuoco, attraverso bagaglio culturale, spirito d'osservazione, sensibilità, e quant'altro di cui dispone.

"Il volto di Kôji Yakusho, protagonista lungamente inquadrato durante la sequenza finale, appare pensieroso, sorridente, intristito, quasi piangente. Le moltitudini espressive contrastanti costituiscono la sintesi di tutto quello che nel film Wim Wenders ha saputo abilmente condensare, sommando con maestria le tante sfaccettature emozionali di una società complessa contemporanea che trova sempre maggiori difficoltà nel riuscire a gestire e, ancor più, esternare sensazioni e sentimenti.

Tante simbologie arricchiscono il film di valori, mettendo a fuoco quelle che forse rappresentano le questioni ritenute maggiormente importanti. Nella narrazione, il protagonista, pur proveniente da un’agiata famiglia, per sostenersi svolge un lavoro molto umile che però non intacca per nulla i suoi molteplici interessi. Nelle sue giornate apparentemente sempre eguali la cultura e i rapporti umani rimangono fondamentali e al centro della sua esistenza. Il protagonista del film non sente alcun bisogno di porsi a protagonista della sua stessa vita.

Nella prima parte del film si vede un uomo taciturno, silenzioso per il semplice fatto che non ha nulla da dire alla gente che incrocia; non necessita di dialogare con soggetti a lui profondamente lontani. Ma, pur nell’evidente silenzio sonoro, riesce a comunicare con talune sensibilità che incontra e così, attraverso un suo sesto senso, riesce a dialogare (con la ragazza che gli restituisce la musicassetta furtivamente sottratta e poi lo bacia, collegandosi a lui attraverso la musica), o con altri anche nascosti nell’ombra (gioco dello zero con una figura sconosciuta, che rimane tale e asseconda e dalla quale riceve un grazie scritto nel foglio del gioco completato).

La sua umanità viene percepita da anime a lui simili, indipendentemente dall’età e dalla condizione sociale. Il bambino smarrito nella toilette, riavutosi dallo spavento e libero da preconcetti, nell’andare via con la madre lo saluta, nonostante lui fosse un semplice pulitore di cessi. Non cessa di manifestare l’amore per la vita con la cura dei germogli d’alberi che casualmente trova e che aiuta a crescere e protegge affinché possano diventare un giorno robusti e imponenti.

La nipote adolescente scappata di casa che lo viene a cercare è, per lui, una di queste piccole piante che necessitano attenzione, empatia, comprensione. Così l’accoglie e l’asseconda, per poi restituirla con tatto alla cura della sorella che non vedeva da tempo. Alla giovane nipote che cercava risposte certe, il protagonista risponde e ribadisce che «un’altra volta è un’altra volta, mentre adesso è adesso». Come a dire che la successione delle giornate, delle ore, dei minuti sedimentano le tante combinazioni di situazioni possibili, mutevoli e comunque legate al tempo, mentre il momento vissuto dell’adesso costituisce l’unità dell’istante da cui muove il divenire.

In questo si collega anche la metafora del gioco di cercar di calpestare le ombre e anche il bisogno confessato da quel marito malato di cancro di comunicare la sua ormai prossima fine all’ex moglie e il conseguente desiderio di affidarne la protezione a qualcuno che individua nel suo immaginario come possibile erede (chiedendosi se due ombre sovrapposte possano diventare più nere).

La solitudine vissuta dal protagonista è una deliberata scelta che gli consente di sentirsi totalmente libero. Ma – a guardar bene – la sua è una concezione di vita niente affatto superficiale, attenta a scrutinare e a cogliere i dettagli di tutto quanto succede intorno a lui. I suoi occhi osservano e restano attratti dai mille particolari offerti dalle esperienze casuali: dal semplice raggio di luce che attraversa le fronde degli alberi e che cerca di catturare con scatti di fotografie analogiche, al barbone che vive in un suo mondo e segue un suo originale modo d’esistere; dalla ragazza sola che consuma il suo pasto durante la sua pausa di lavoro, alle molteplici altre solitudini invisibili che lo circondano.

Così, durante la melanconica canzone della ristoratrice intonata, che narra delle tappe della vita, riesce a dare forma a quel desiderio recondito di voler fermare per sempre l’attimo fuggente del suo treno in corsa. I filmati in bianco e nero dei sogni notturni registrano ombre criptate che, in qualche modo, corrispondono alle foto che ogni giorno ritualmente scatta con la sua Olimpus a uovo – la reflex del suo tempo – e dai cui rullini settimanalmente sviluppati trae una selezione, così da raccogliere immagini che possano somigliare ai fotogrammi notturni elaborati dalla sua mente.

Le fotografie sono custodite in scatole e ordinate con cura per annate. Un po’ come a voler collezionare sintesi di giornate radiografate, per essere catalogate fra quelle passabili come perfette o, quantomeno, più prossime ai suoi racconti onirici che, nelle sequenze proposte, registrano continue sovrapposizioni di ombre, sempre nuove. Quelle fotografie/giornate catalogabili come riuscite corrispondono al titolo del film “Perfect days”. Uno splendido breviario di immagini e di sentimenti. Un sillabo di umanità.

Alcuni registi hanno la capacità di saper trasmettere messaggi indirizzati più che a un pubblico osservatore alle loro anime. Dopo aver visto, nel lontano 1991, il film “Rapsodia d’agosto” di Akira Kurosawa, interpretato da un magistrale Richard Gere, mi pare di ritrovare nel cinema di Wenders e nella storia di Kôji Yakusho gli stessi valori universali, le intense sensazioni, le poesie fatte d’immagini, le musiche senza stagioni. Sono i bagliori puri che inebriano la mente, genialità di artista che parla con la gente. Sono gli eterni codici privi di ogni barriera che, con battute semplici, illuminano la scena. E dentro di te destano sentimenti cheti: mille violenze inutili, molte miserie umane, gli inverni malinconici, le primavere strane. E in qualunque campo spuntano sempre dei fiori: la forza della vita c’è sempre in tutti i cuori. Le pagini sublimi di questo bel racconto trapassano steccati, colorano lo sfondo di un universo umano tanto diverso e vero che vede come in una epifania molti ideali brillare nel suo cielo.

In conclusione, l’ambientazione in Giappone appare come una deliberata volontà di Wim Wenders di sviluppare un racconto quasi in bianco e nero e in un ambiente asettico, costituito da una metropoli affollata da abitanti quasi invisibili o nascosti. Evita anche possibili distrazioni di colori, che sarebbero potuti risultare inutili rispetto alle tante concettualizzazioni espresse.

Concetti e simbologie che, nel film, dopo un lento inizio, prendono l’abbrivio e si susseguono quasi accavallandosi nella parte finale. Sviluppandosi con una velocità sempre più crescente che trascina lo spettatore in un vortice che lascia senza fiato."

Buona luce a tutti!


© ESSEC

giovedì 29 febbraio 2024

“Povere Creature”- Leone d’Oro come miglior film all’80^ Mostra del cinema di Venezia



L’originalità delle scene e ogni aspetto fiabesco senza tempo alleggeriscono e tendono a distrarre dai tantissimi temi messi in campo da Yorgos Lanthimos attraverso una sapiente, lucida e geniale regia.

Il film ricostruisce in video i complessi caleidoscopi possibili rappresentabili in ogni modello di convivenza sociale e condizionati dalla natura umana. Ne esalta le eclatanti ipocrisie e l’incidenza dei condizionamenti ideologici presenti in ogni formula aggregativa evidenziandone i paradossi, presentati in chiave a tratti burlesca e tragicomica.

Intanto mette in risalto il concetto di generosità di un Frankenstein buono e dall’infanzia infelice, per un padre che definire severo sarebbe poco; sottolineando come la bellezza dell’animo non ha nulla a che vedere con gli aspetti estetici insiti in ognuno. Godwin Baxer peraltro viene posto su un livello superiore a quello di solo scienziato. Filantropo è impegnato a divulgare con l'esercizio universitario le sue teorie improntate a una ricerca che non si pone limiti, disallineata da ogni dogma e vincolo etico-religioso.

Il cervello del bambino destinato a morire è la chiave centrale su cui ruota l’intero film. Il buffo procedere a scatti nell’andatura della protagonista appare quasi un voler far visivamente risaltare la meccanica inerente alla catalogazione di ogni sua specifica esperienza evolutiva (assemblaggio dei vari step, intesi questi come passi elementari di un programma).

Il suicidio della protagonista in cinta, solo nel finale mette in evidenza di come questo avesse costituito l’estremo gesto di ribellione verso uno sposo maschilista e possessivo, propenso e, con ogni probabilità, inesorabilmente proiettato verso un femminicidio. Il generale viene mostrato pure caricaturalmente sempre armato di pistola, per assicurarsi il rispetto, con tante paranoie riguardo ai domestici e legate a una malvagità sua intrinseca, ampiamente e crudelmente praticata – come dallo stesso affermato - e spesso per rivalsa pure in campo di battaglia. Volendo, venendo a simboleggiare con tale personaggio, politicamente, il consenso che usano imporre i despoti nelle dittature.

Lo sviluppo cerebrale eccezionale di Bella dipende dal progetto illuminato di Godwin Baxer che va ad operare affinché lei possa pienamente disporre del “libero arbitrio”. Il cervello del nascituro, inserito in un corpo adulto e maturo", riesce a progredire con una velocità cognitiva sorprendente che evidenzia una sete infantile verso una continua crescita culturale che via via mette a nudo una serie di questioni etiche ed esistenziali.

Le contraddizioni sociali esplodono in paradossi che mescolano le differenze di stato e per le disponibilità economiche che determinano e condizionano il vissuto di ogni essere umano. Esemplificativo, al riguardo, appare la disinvoltura con la quale Ducan, avvocato senza scrupoli, rapisce Bella allo scopo di perseverare nella ricerca volta al godimento personale. Ricercando anche nella lussuria oltre che nel gioco d’azzardo la felicità assoluta, rimane lui stesso vittima perché catturato dalla emancipazione che sempre più va a maturarsi nella bellissima amante. La giovane donna già deceduta e riportata a una seconda vita dallo scienziato, scappa per rispondere all’irrefrenabile desiderio di dare delle risposte alle sue continue domande. Con l’avallo del suo “dad virtuale” si avvia quindi a vivere esperienze con il losco avvocato - e sempre nuove avventure - in diversi continenti: mantenendosi però nello status prodigo di privilegi sociali più che borghesi che, alla lunga, la portano infine a scoprire l’ingiustizia.

Emblematici risultano a questo punto anche i paradossi dei personaggi che ruotano all’interno del bordello che, oltre a varie tipologie di clienti manifestanti le diversità intrinseche alla specifiche nature di appartenenza, mettono in campo i temi della vecchiaia (tenutaria che non vuole arrendersi a rinunce) e connessi alle fedi politiche ingabbianti. Tocchi d’ipocrisia eccelsa – al limite del sublime - si manifestano anche nella scena dell’introduzione barocca al sesso, messa a punto da parte di quel padre che si accompagna ai figli - ovviamente di sesso maschile - nel suo incontro, affinché possano apprendere e annotare ogni dettaglio sui vari aspetti.

Analoghi temi sono pure percorsi attraverso i simbolici passeggeri di crociera, esplicitati in una vecchia signora ormai disinibita che ha maturato esperienze e disillusioni (e che portano Bella alla scoperta della lettura). Significativo risulta pure l’andare a gettare nell’oceano i libri che fruttano conoscenze, perché ritenuti non utili a femmine, in quanto ritenute inferiori e destinate a compagnia, al piacere e alla continuazione della specie. Ovvero la figura dell’intellettuale cinico (provocatoriamente proposto attraverso un uomo di colore) che la induce a scoprire l’ampio scenario d’idee proposte dalla filosofia. Così come i due marinai (ritrovatisi casualmente nei ruoli del Gatto e la Volpe della favola di Collodi) che raggirano l’ingenua Bella la quale, confidando in una scontata lealtà, affida loro un tesoro trafugato a Ducan; al nobile scopo e con l'intento di poter così dare sollievo alle moltitudini di diseredati isolati che l’amico cinico le ha prima fatto scoprire: Emarginati e senza speranza allocati in bassifondi (emblematica la scala crollata che teoricamente avrebbe potuto mantenerne un collegamento). Oppure il comportamento pragmatico del capitano della nave che, venuto a conoscenza della sopravvenuta insolvenza di quello ritenuto prima un facoltoso avvocato, rimuove ogni possibile credito e lo sbarca (con la stessa Bella) nel più prossimo porto.

Nel vissuto di Bella tutto quanto scorre con una velocità sorprendente, in forza del suo cervello vergine trapiantatole dal bambino sopravvissuto al dramma, che assorbe avidamente come una spugna e che è stato programmato per riuscire a discernere, catalogare ed assemblare principalmente valori positivi.

I tanti bizzarri animali che affollano la casa londinese di Godwin costituiscono delle fantastiche parodie, che poi si sublimano al massimo in occasione del trapianto di cervello praticato (dalla neo-scienziata Bella, unitamente a Max ormai destinato a starle accanto) al suo marito generale, per renderlo animale mansueto.

Altre questioni, anche solo accennate o sotto traccia, si profilano nel film. Una fra tutte è: quanto può risultare etico salvare per trapiantare un cervello sacrificando uno sviluppo naturale di un nascituro?
Si delineano qui anche le tante questioni e problematiche attinenti all’aborto o, riducendo il raggio d’argomento, alle contrattazioni di organi clandestine di frequente spacciate come donazioni; per lo più rese da disperati diseredati, rassegnati abitanti dei tanti bassifondi del mondo, relegati ai margini e disposti a tutto pur di sopravvivere.

In merito al rapporto uomo donna, i quattro personaggi maschili delineano diverse tipologie di rapporto: affettivo quello di Godwin è delicato e rispettoso, quello di Alex generoso e di larghe vedute (specie riguardo alla gestione del corpo); invece possessivo e diversamente violento è quello degli altri due (dell’avvocato votato a perpetuare senza scrupoli qualunque pratica egoistica che gli procuri il piacere; dell’ex marito padre e amante, esclusivo e padrone, fino al punto da segregare e mantenere nel terrore quella sua ex sposa che evidentemente trattava come proprietà in quanto donna).

Massimo esempio di vendetta crudelissima è infine rappresentata nella scena che conclude il film, nella quale, pur rifacendosi al dramma di Edipo Re di Sofocle (perché, ricordiamolo, nel film è del neonato il cervello alloggiato nella testa di Bella Baxer), il regista supera l’atto cruento dell’arrecare morte, con un generale reso animale belante e condannato a brucare per il resto della sua vita.

Tante le metafore e le allusioni che si intrecciano nella trama e che ciascuno spettatore potrà leggere e eventualmente attenzionare secondo le proprie diottrie o le lucidità connesse alle quote di onestà intellettuale personali.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

P.S. - Un cartello avvisa che il film e' vietato ai minori dei 14 anni. Per i contenuti (fatta forse esclusione delle palesi scene erotiche, accessibili comunque agli adolescenti tramite web) potrebbe essere un film adatto a portare chiarimenti sulle differenze di genere e per una qualificata educazione sessuale.

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