Mi sembra che la morte di Ettore Bernabei, Direttore Generale della Tv dal 1961 al 1974, sia passata tra una certa indifferenza. Le Tv e quelli che Travaglio chiama ‘i giornaloni’ gli hanno dedicato il minimo indispensabile, diciamo “una modica quantità”. Un esempio è il Corriere della Sera che si è limitato a fornirci a pagina 11 un articolo, sia pur pregevole, di Paolo Conti seguito il giorno dopo a pagina 35 da una modesta intervista a Pippo Baudo (mentre alla morte di squinzie e di squinzi qualsiasi siamo alluvionati). Forse ha pesato il fatto di dover ammettere che Bernabei era un grande intellettuale, ma democristiano senza se e senza ma e, horribile dictu un vero cattolico, in un’epoca come la nostra dove i democristiani esistono ancora, come mentalità ma nascosti nelle pieghe di tutti i partiti e i cattolici sono ridotti, con buona pace di Papa Francesco, a quattro strapenate vecchiette che vanno in chiesa per paura della morte.
Fa eccezione il Fatto (ogni tanto val la pena autoelogiarsi) con un articolo di Furio Colombo che con Eco, Soldati, Levi, Vattimo e tanti altri fu fra i protagonisti di quella stagione. Colombo parla della sua esperienza personale. Io di quella di uno spettatore.
Negli anni sessanta, a differenza di oggi, non era possibile vedere le Tv di altri paesi. Ma io viaggiavo (era l’epoca hippie e di Sulla strada di Kerouac) quelle Tv le vedevo e mi sento di poter dire che nel campo culturale e dell’intrattenimento la Tv di Bernabei era allora la migliore del mondo perché univa la fantasia italiana al pugno fermo dei dirigenti che avevano cura di evitare le sguaiataggini, anche se con qualche comica pruderie (per esempio era proibita la parola ‘uccello’). Altre Televisioni, come la mitica BBC, c’erano certamente superiori nell’informazione. Ma anche qui bisogna stare attenti. La Tv di Bernabei dava notizie stringate ma vere, non c’erano le bufale (un po’ come, ancora oggi, l’Ansa) tant’è che si diceva “l’ha detto la Tv” e quello che diceva la Tv era legge.
Bernabei partiva con due vantaggi. 1) Era costretto a attingere ai protagonisti delle arti e dei mestieri, cinema, teatro, balletto e persino il circo, mentre in seguito i personaggi si sarebbero creati per partenogenesi televisiva. Cioè uno è noto perché è apparso in Tv, ma non è affatto detto che sappia far qualcosa. È il nulla del cosiddetto ‘contenitore’. 2) Bernabei agiva in regime di monopolio il che gli dava due subvantaggi, poteva programmare senza preoccuparsi dell’audience e, poiché la Dc era dominante, poteva permettersi di assumere anche persone di tutt’altro orientamento politico, purché brave. Tutti coloro che sono usciti dalle selezioni bernabeiane sono professionisti di prim’ordine. Perfino dell’orrido Vespa si può dire tutto il male che si vuole (e io l’ho scritto ad abundantiam) ma non che non sappia fare il suo mestiere.
Tuttavia l’importanza di Bernabei è un’altra. Quella di aver cercato, riuscendovi, di elevare la cultura italiana oltre che di unificare linguisticamente l’Italia dei dialetti. C’erano addirittura delle venature puriste in quella Tv, niente a che vedere col romanesco-simil english di oggi. Era insomma una Tv educativa e, in quanto tale dirigista. Non sono così ingenuo da non conoscere i rischi di totalitarismo che ci sono in ogni dirigismo, ma perlomeno quello di Bernabei era un dirigismo di alto livello che, contrariamente a tutto ciò che si è detto, non aveva affatto l’intenzione di fare dell’Italia una succursale del Papato (mi sembra che questo soccombismo al Pontefice sia molto più presente oggi).
Prendiamo, per esempio, lo spettacolo di intrattenimento ‘popolare’ per definizione: il varietà del sabato sera. Sotto la gestione di Bernabei il varietà si chiamava Un, due, tre di Tognazzi e Vianello; Alta fedeltà (testi di Chiosso e Zucconi); Studio uno di Walter Chiari (1963), Lelio Luttazzi (1964), Ornella Vanoni (1966); Il signore di mezza età a cura di Camilla Cederna, Marcello Marchesi, Gianfranco Bettetini, presentato dallo stesso Marchesi con Lina Volonghi e Sandra Mondaini; L’amico del giaguaro con Bramieri, la Del Frate e Raffaele Pisu; Scarpette rosa con Carla Fracci, Walter Chiari, Mina; Quelli della domenica con Paolo Villaggio (testi di Marchesi e Costanzo). Erano tutti spettacoli che si sostenevano, oltre che su protagonisti d’ottimo livello, su un’idea e la sviluppavano. Adesso, al loro posto, cosa c’è? C’è una tecnica di altissima qualità (ma questo non è merito di nessuno perché la tecnologia va avanti per conto suo) applicata, con qualche rara eccezione, al vuoto, al nulla. Emblematico è il Fantastico di Celentano, sia pur di qualche anno fa. Si trovano sempre critici volenterosi disposti a trasformare le pause penose in silenzi dal profondo significato, l’incapacità a mettere insieme dieci parole con un nesso logico in una forma di profetismo. Oggi ‘popolare’ è diventato sinonimo di banale, di basso livello, di volgare.
Ma il varietà era solo una parte, la parte appunto ‘popolare’ della televisione di Bernabei. Si inventò lo sceneggiato all’italiana: Il mulino del Po di Bacchelli, I Demoni di Dostoevskij con la straordinaria interpretazione di Luigi Vannucchi nella parte del principe Stavroghin, I fratelli Karamazov, Delitto e castigo, i grandi russi insomma, La fiera delle vanità di Thackeray, insomma i classici inglesi. Bernabei si permise anche il lusso di dare alle 20 e 30 Il settimo sigillo di Bergman (che ognuno interpretò secondo il proprio livello culturale). Dal 1968 al 1972 furono trasmessi, spesso in prima serata, 400 concerti di musica classica, sinfonica, operistica.
Anche personaggi apparentemente insignificanti non erano tali. I più anziani ricorderanno forse le ‘tribune politiche’ moderate, con grande equilibrio (niente a che vedere col canaio dei talk di oggi dove il conduttore se la dà da mattatore) da Jader Jacobelli. Jacobelli oltre ad avere un aspetto da gallinaceo sembrava un ometto qualsiasi invece era una persona coltissima. E sulla cultura Bernabei, fiorentino dall’intelligenza finissima, ha sempre puntato anche per personaggi dalle mansioni apparentemente minori.
Si è spesso parlato di Ettore Bernabei come uomo di potere. Io invertirei i termini della questione. Bernabei aveva capito lo straordinario e inquietante potere del mezzo che dirigeva e in qualche modo cercò di smussargli le unghie. In un’occasione affermò: “La televisione ha un potenziale esplosivo superiore a quello della bomba atomica. Se non ce ne rendiamo conto rischiamo di ritrovarci in un mondo di scimmie ingovernabili”. Ipse dixit.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano del 17 agosto 2016)