Il Laboratorio cittadino
di Arma di Taggia mi ha invitato a dibattere sullo stuzzicante tema:
'Oziare è rivoluzionario?'. Per rispondere bisognerebbe prima definire
che cos'è l'ozio, perchè ne esistono vari tipi: c'è l'ozio del rentier,
c'è quello, obbligato, del disoccupato, c'è quello di chi ne ha fatto
una scelta di vita, c'è l'ozio laborioso e infine quello più delizioso:
'il padre di tutti i vizi' (un uomo senza vizi è pericolosissimo,
Roberspierre insegna). Per semplificare le cose diciamo che l'ozio si
contrappone al lavoro. Il 'Vangelo del lavoro', come si esprime Bertrand
Russell nel suo 'Elogio dell'ozio', nasce con la Rivoluzione
industriale e le due correnti di pensiero da essa partorite: il marxismo
e il liberismo. Per Marx il lavoro è 'l'essenza del valore' (e non a
caso Stakanov diverrà, simbolicamente, un eroe dell'Urss), per i
liberisti è esattamente quel fattore che combinandosi col capitale dà il
famoso 'plusvalore'. Prima il lavoro non era un valore, ma solo, per
dirla con San Paolo, «uno spiacevole sudore della fronte». Tant'è che
nella società preindustriale è nobile chi non lavora e contadini e
artigiani lavorano per quanto gli basta, per assicurarsi la sussistenza
(cibo e vestiario sostanzialmente, una casa ce l'avevano tutti). Il
resto è vita. E lo si spende per andare in taverna, a giocare a birilli,
a corteggiare la futura sposa. Perchè per quegli uomini il valore non
era dato dalle merci, il valore era il Tempo, « il tessuto della vita»
come lo chiama Benjamin Franklin.
I
moderni si sono creati una società diametralmente opposta. Noi ci
sentiamo obbligati a lavorare, a produrre, a consumare, anzi, paradosso
dei paradossi, a consumare per
produrre, a ritmi sempre più ossessivi, parossistici, angosciosi,
stressanti. Il doverismo del lavoro – che è funzionale al sistema non
certo a noi- ci domina e ci sovrasta. Non riusciamo più a distinguere
cio' che è essenziale da quello che non lo è. Siamo travolti da questo
sinistro doverismo, accecati. Come dimostra il caso estremo, ma
significativo, di quel povero padre di Piacenza che, interamente preso
dai suoi doveri aziendali, si è dimenticato in macchina per otto ore il
proprio figlioletto di tre anni che ne è morto (ma casi simili negli
Stati Uniti se ne contano, negli ultimi anni, circa 400).
Abbiamo
perso la capacità di oziare. Il vuoto ci fa orrore, perchè ci
costringerebbe a confrontarci con noi stessi, con cio' che stiamo
facendo, con la vita che stiamo conducendo. E allora lo riempiamo con
ogni sorta di frenesie. Neanche il cosiddetto 'tempo libero' è veramente
tale. Ma è tempo da destinare al consumo perchè senza il consumo tutto
l'Ambaradan crollerebbe. Che senso ha, se non quello della schizofrenia,
che i milanesi si fiondino fuori dalla loro città ogni venerdi'
pomeriggio per andare in luoghi dove incontrano le stesse persone e
fanno, più o meno, le stesse cose che fanno a Milano? Nemmeno la
domenica, come ha notato Papa Bergoglio, è più santificata al riposo.
Ci
siamo anche dimenticati che l'ozio, il riposo, la contemplazione, la
riflessione non sono solo un piacere in sè ma sono anche, per quanto
cio' possa apparire contradditorio, pruduttivi. Newton scopri' la legge
di gravità mentre si riposava sotto un albero e gli cadde in testa la
famosa mela. Ma noi abbiamo utilizzato nel modo peggiore le scoperte
della tecnica. Secondo Russell, che scive nel 1935, le macchine
potrebbero lavorare per noi, lasciandoci, per questa incombenza, non più
di quattro ore al giorno. Invece le usiamo per sbattere la gente fuori
dal lavoro, in una condizione di ozio obbligato di cui, in una società
basata sull'etica del lavoro, non possono godere, sentendosi dei paria.
Diamoci una calmata. L'ozio è rivoluzionario.
Massimo Fini (Il Gazzettino, 7 giugno 2013)
Consoliamoci almeno sette anni sono sempre pochi.
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