Isteria. Indignazione. Catastrofismo. “Lesa maestà”. La
scomposta reazione mondiale all’esito del referendum britannico stupisce.
Perché le avvisaglie erano molte. Eppure si continua a tuonare contro i
populismi, dimenticando che è l'involuzione autoritaria della politica
continentale ad aver spinto gli inglesi fuori dall'Unione. L'unico modo per
superare la crisi dell'Europa non è criminalizzare la Brexit ma infondervi
democrazia, abbandonando il dogma dell'austerità neoliberista.
Ma i cavalli dei cosacchi non si stanno abbeverando a Trafalgar square né la svastica sventola su Buckingam palace. Eppure proprio questo verrebbe da credere stando alla reazione, ai limiti dell'isteria, all'esito del referendum britannico sull'uscita dall'Unione europea. I mitici “mercati” (sempre al plurale, e sempre “razionali”) hanno bruciato in un giorno, dopo il voto, 2.000 miliardi di dollari, più dell'intero prodotto interno lordo annuo dell'Italia.
Ma i cavalli dei cosacchi non si stanno abbeverando a Trafalgar square né la svastica sventola su Buckingam palace. Eppure proprio questo verrebbe da credere stando alla reazione, ai limiti dell'isteria, all'esito del referendum britannico sull'uscita dall'Unione europea. I mitici “mercati” (sempre al plurale, e sempre “razionali”) hanno bruciato in un giorno, dopo il voto, 2.000 miliardi di dollari, più dell'intero prodotto interno lordo annuo dell'Italia.
Ora i britannici hanno sì compiuto una scelta critica, ma in
definitiva non hanno fatto che rescindere il contratto di adesione a
un'associazione internazionale, già piuttosto malconcia di per sé. Ammettiamo
pure che per qualche oscura ragione i “mercati” non avessero previsto l'esito
del voto. E allora? Per decenni i cantori della globalizzazione ci hanno
frastornato le orecchie raccontandoci che il capitale si è deterritorializzato,
che non ha più radici, che è gioiosamente nomade come un soggetto di Guattari o
di Rosi Braidotti, che è apolide e in perpetuo movimento. Perciò, se anche i
quartier generali di banche, assicurazioni e fondi d'investimento dovessero
emigrare da Londra in un'altra global city,
siamo sicuri che i mercati nella loro infinita razionalità troverebbero una
residenza vivibile per continuare a macinare profitti.
Né è spiegabile la ben orchestrata indignazione europea che
questo voto ha suscitato. Mutatis mutandis, se la Scozia si fosse separata
dall'Inghiterra (e magari lo farà), sarebbe stata una lacerazione ben più grave
e dolorosa, visto che scozzesi e inglesi hanno condiviso la stessa nazione, la
stessa lingua, lo stesso impero coloniale per più di trecento anni, ma certo
non avrebbe suscitato l'indignazione che ha sollevato la Brexit, che pure ha
deciso la separazione di un'unione durata solo 43 anni, ma mai davvero
celebrata e tanto meno consumata, senza comunità di progetto e di obiettivi (il
Regno unito non ha mai fatto propria la carta fondamentale dei diritti europei,
ha aderito solo a quelle norme del trattato di Lisbona che non contraddicono la
sua legislazione, e così via). Il Regno unito non fu uno dei fondatori
dell'Unione europea e anzi ha sempre remato contro, sempre recalcitrante; ma
ora improvvisamene l'Europa scopre che la Gran Bretagna era il suo socio più
importante e che senza di lei la catastrofe incombe.
Anche all'interno dello stesso Regno unito la reazione è
stata tutt'altro che british. La sola
proposta di far ripetere il referendum è assai più che balzana. Immaginate se
in Italia nel 1946 i monarchici avessero voluto far ripetere il referendum che
instaurò la repubblica, o se nel 1974 la Chiesa cattolica avesse lanciato una
campagna di massa per far replicare il referendum che aveva rifiutato
l'abrogazione della legge sul divorzio. Non solo è insensato, ma è una sfida
alla democrazia e costituisce un precedente pericolosissimo, dalle conseguenze,
queste sì, incalcolabili. Sulla proposta di ripetere il voto ha scritto
Wolfgang Munchau sul Financial Times:
“Non riesco a immaginare una singola misura che produca più acrimonia, più
divisione e più danno economico della decisione di ignorare un voto
democratico”. Eppure questa proposta letteralmente eversiva è stata appoggiata
con giulivo entusiasmo dai più benpensanti organi di stampa europei, dalla Repubblica alla Süddeutsche Zeitung.
Dietro la proposta di ripetere il voto, si delinea, neanche
tanto nascosta, l'idea di invalidare la volontà popolare. È quel che l'Europa
fece esattamente un anno fa con Atene quando cancellò il voto dei greci nel
loro referendum sull'austerità. Allora la Troika decise di chiarire al mondo
che le schede elettorali i greci potevano usarle solo come carta da toletta e
che la volontà popolare non ha alcun potere di fronte alla superiore volontà
dei banchieri, dei mercati e delle cancellerie. I greci erano abbastanza deboli
da dover ingoiare questo pitone salato (altri rettili avrebbero ingerito in
seguito). Con il Regno unito l'Europa ha provato la stessa mossa: costringere
la classe politica inglese a vanificare il voto britannico. Solo che
l'Inghilterra non è la Grecia (la Grecia non siede nel Consiglio di sicurezza
dell'Onu, non è la quinta economia al mondo, non ha un arsenale atomico, non è
un ex impero coloniale, non ospita il più importante centro della finanza
mondiale). Ma ciò non vuol dire che alla lunga non si riesca ad annullare il
voto britannico, come si è annullato quello greco.[1]
La definizione più precisa della scomposta reazione mondiale
alla Brexit è quella di “lesa maestà”.
Gli inglesi hanno osato sfidare, “ledere” il volere dei
partner europei, della grande finanza, del padronato industriale, della potenza
imperiale (gli Usa). È questa sfida all'ordine costituito che ha mandato tutti
nel pallone e ha fatto dare a tutti di matto. Se avessero potuto, avrebbero
emanato una lettre de cachet per l'intero
popolo inglese per rinchiuderlo tutto nell'equivalente odierno della Bastiglia.
Eppure le avvisaglie c'erano. Intanto in Gran Bretagna, dopo
Edward Heath nel lontano 1973, nessun politico nazionale ha mai osato esporsi
come europeista convinto. Nessun premier si è mai dichiarato fautore dell'Unità
europea, semplicemente perché sapeva che avrebbe perso voti. C'era chi era poco
o molto antieuropeista, come i laburisti Wilson e Callaghan, i conservatori
Thatcher, Major e Cameron, o più possibilista verso l'Europa come Tony Blair.
Il consenso nazionale era che la Gran Bretagna avrebbe dovuto far parte del
mercato unico europeo, ma mai e poi mai di un'entità politica europea (e questo
consenso è durato solo finché persino la semplice appartenenza al mercato unico
non ha significato anche frontiere aperte agli immigrati europei).
In secondo luogo, per 40 anni con i tabloid in testa – ma non
solo –, la stampa britannica – anch'essa controllata da quel gran capitale che
oggi recrimina – , ha martellato l'opinione pubblica inglese descrivendo
l'Europa come l'origine di tutti i mali, come la pretesa di legiferare sui minimi
aspetti della vita degli inglesi (litri invece di pinte, chili invece di
libbre), come una burocrazia stolta, tracotante, pignola e parassita.
Da tempo frequento la Gran Bretagna (e non solo Londra, a
differenza di molti) e mai ho sentito una voce che spingesse per più Europa. Al
massimo, invece degli insulti, un silenzio pudico. Perciò non aveva la minima
possibilità di successo una campagna basata sul ricatto della paura: “o
l'Europa o la catastrofe”. Scrive sempre Munchau a proposito della reazione al
voto: “Gli anti-Brexit sono ancora intrappolati nella seconda delle cinque fasi
del lutto: la fase della rabbia. La prima fase è il rifiuto, che è quella in
cui sono rimasti durante tutta la campagna: negavano persino la possibilità che
la parte opposta potesse vincere e negavano il disastro politico di una campagna
basata sul Progetto Paura”.
L'antieuropeismo inglese è così radicato che nel 2012, solo
quattro anni fa, uno dei padri spirituali dell'Unione politica europea, Jacques
Delors, invitava Londra a lasciare l'Europa: “Se i britannici non seguono la
tendenza che va verso una maggiore integrazione nell'Unione europea, potremmo
malgrado tutto restare amici, ma in un'altra forma”, “una forma come quella
dello spazio economico europeo”, o un accordo di libero scambio”.[2]
Perciò nel voto di uscita dall'Unione l'unica cosa che
stupisce è lo stupore che ha suscitato. Tutti caduti dalle nuvole.
Questo stupore, questo sdegno è stato condito dal solito,
ennesimo vituperio del populismo. E sempre più si dimostra che questa
categoria, “populismo”, è totalmente inutile da un punto di vista euristico.
Anzi, essendo usata come puro insulto, impedisce di capire quel che sta
succedendo e funziona da paraocchi perché veicola solo un malcelato disprezzo
per il volgo, per la plebe, per la teppaglia sempre irrazionale, sempre
bestiale, sempre preda dei demagoghi. En passant, fu la
Santa Alleanza monarchica e reazionaria che in nome dell'amore imprigionò i demagoghi, come avvenne con i
Decreti di Carlsabd (1819) e per l'Hambacher Fest (1832) con la vituperata (ma
oggi rivalutata) Demagogenverfolgung (“persecuzione
dei demagoghi”).[3]
Usando la categoria del “populismo” qualunque evento viene
letto in chiave regressiva, di ritorno al tribalismo, ricaduta nella barbarie. O tempora, o mores!
È ancora sotto i nostri occhi il sorrisino sprezzante con cui
ci è stato annunciato che i fautori del Restare (in Europa) erano giovani,
colti, agiati (magari anche belli), mentre i fautori della Brexit erano poveri,
ignoranti e anziani.
Tutto vero, mi si obietterà, ma intanto chi è uscito
vincitore dalla Brexit in Inghilterra è Nigel Farage, leader dell'Ukip (United
Kingdom Independence Party) e in Europa Marine Le Pen del Front National
francese. A parte il fatto che la Francia non ha aspettato la Brexit per far volare
il lepenismo: già 14 anni fa, nel 2002, il candidato della sinistra Lionel
Jospin fu estromesso dal secondo turno delle elezioni presidenziali che si
giocarono tutte a destra tra Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, va rilevato
che questo spauracchio dell'estrema destra è curiosamente selettivo e viene
sbandierato solo in alcuni casi e mai in altri. Il fascista Viktor Orbán in
Ungheria non preoccupa nessuno, come viene tollerato che in Polonia governi
l'altrettanto fascista partito Prawo i Sprawiedliwość
(Diritto e Giustizia) di Jarosław Aleksander Kaczyński; mentre si regalano
miliardi di euro a un aspirante dittatore come il premier turco Recep Tayyip
Erdoğan (leader del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) che tiene l'Europa
sotto ricatto aprendo e chiudendo il rubinetto dei rifugiati, mentre imprigiona
oppositori e chiude giornali critici.
Non solo, ma con la “vibrata indignazione” nei confronti del
populismo, ci si esime dal capire perché in Francia i comuni delle banlieues rouges siano passati da
giunte di sinistra a giunte lepeniste, perché a Roma le borgate e le roccaforti
del Pci siano tutti passate ai 5 Stelle.
Questa narrazione ci fa dimenticare che a votare per la
Brexit è stato il proletariato inglese in massa, sono state le aree del declino
industriale, mentre a votare per l'Europa sono stati i quartieri bene, i centri
finanziari, i suburbi residenziali delle classi agiate. E ci fa regalare la
Brexit alla destra. Mentre è vero l'inverso (non il contrario) e cioè che è
l'involuzione autoritaria della politica continentale, lo svuotamento
progressivo della democrazia sia a livello nazionale, sia a livello europeo ad
aver spinto gli inglesi fuori dall'Europa.
Non è la Brexit che mette in crisi l'Unione europea, ma è la
crisi dell'Unione europea a provocare le spinte all'uscita. Come ha scritto
prima del voto un lettore della (assai di sinistra) London
Review of Books,[4]
“La Ue di cui la Gran Bretagna è membro, è la stessa Ue che ha brutalizzato il
popolo greco. È la stessa Ue che attualmente, con un piccolo aiuto della Nato,
cerca di respingere i disperati rifugiati dalla Siria, dall'Afghanistan,
dall'Eritrea e da altrove. È la stessa Ue che sta conducendo trattative segrete
sul Ttip (il trattato commerciale transatlantico), sul Ceta (Ue-Canada
Comprehensive Economic and Trade Agreement) e Tisa (Trade in Services
Agreement), trattati che mirano a rafforzare il ruolo delle corporations multinazionali e a
scalzare le regole che proteggono le persone da esse. I socialisti non
dovrebbero scusarsi per lanciare una campagna indipendente e internazionalista
contro l'Ue”.
Resto convinto che se l'Europa non avesse trattato la Grecia
come ha fatto, se non avesse dato questa brutale dimostrazione di come si
schiaccia una volontà popolare in nome di ragioni sovranazionali, forse il voto
inglese sarebbe stato diverso. Non ci rendiamo conto che di quest'Europa è
restato ben poco da difendere. Destra e sinistra propongono le stesse
politiche, tanto che spesso, come in Italia e in Germania, governano insieme,
mentre in Francia la politica di Hollande è indistinguibile da quella di
Sarkozy. Non sono i partiti cosiddetti populisti a svuotare la democrazia, ma è
lo svuotamento della politica a produrre le scelte elettorali a cui assistiamo.
Cosa deve fare un elettore che non la pensa come i benpensanti moderati unanimi
gli impongono di pensare? Sono decenni che la sinistra non offre più soluzioni
“di sinistra”, ma fa propria la vulgata neoliberista secondo cui l'equità
costituirebbe un ostacolo all'efficienza economica (e quindi, all'inverso,
l'ingiustizia va ricercata per avere un'economia più “efficiente”).
Non so se per opportunismo, calcolo, per vocazione o per
convinzione, ma Angela Merkel è stata nell'ultimo decennio la regista della più
grande controrivoluzione sociale a livello continentale che l'Europa abbia mai
visto. L’Ue della Merkel ha fatto a livello europeo quello che alla Thatcher
non era pienamente riuscito in ambito inglese: lo smantellamento dello stato
sociale, l'annientamento dei sindacati, lo sbriciolamento della sinistra
politica. Negli ultimi 10 anni in tutti i paesi, Germania compresa, la
diseguaglianza è cresciuta (l'indice Gini è aumentato), in tutti i paesi
(Germania compresa) i cittadini delle fasce basse hanno perso potere d'acquisto
e hanno visto scemare il loro tenore di vita. Le protezioni sociali sono state
smontate, le possibilità di ascensione sociale stoppate. A un numero sempre
crescente di giovani è stato letteralmente scippato il futuro.
Perciò l'unico modo per superare la crisi dell'Europa non è
criminalizzare la Brexit, non è tuonare contro i populismi o il ritorno al
tribalismo. È infondervi democrazia, è invertire rotta nelle politiche sociali,
abbandonare il dogma dell'austerità neoliberista. Solo così saranno sottratti
argomenti all'euroscetticismo. A meno di non ritenere che la ricetta giusta
fosse quella ironicamente suggerita da Bertold Brecht quando lesse che il
segretario generale dell'Unione degli scrittori della Ddr, di fronte ai moti
operai del 1953 aveva detto: ”Il popolo ha tradito la fiducia che il governo
gli aveva riposto: ora dovrà lavorare il doppio per riconquistarla”. Brecht
disse “Non sarebbe più facile se il governo sciogliesse il popolo e ne
nominasse un altro?”[5].
NOTE:
[1]
Anche Etienne Balibar ha accostato Brexit e vicenda greca su Libération del 27 giugno: “la
debolezza della Grecia, abbandonata da tutti coloro che logicamente avrebbero
dovuto sostenere le sue rivendicazioni, ha portato a un regime di esclusione interiore; la forza
relativa del Regno unito (che può contare su solidi appoggi in seno all'Ue)
porterà senza dubbio a una forma accentuata di inclusione
esteriore”.
http://www.liberation.fr/debats/2016/06/27/le-brexit-cet-anti-grexit_1462429.
[2] “Delors invite Londres à
quitter l'UE”, L'Express del 28 dicembre 2012.
http://www.lexpress.fr/actualite/politique/jacques-delors-invite-le-royaume-uni-a-quitter-l-union-europeenne_1203673.html
[3]
Sempre di passaggio, potremmo far osservare agli implacabili censori del
populismo, che nel vertice a tre con i leader di Canada e Messico, il 29
giugno, di fronte al messicano Peña Nieto che appunto attaccava il populismo,
il presidente Usa Barack Obama abbia rivendicato questa nozione e abbia detto “Io
sono populista”. https://www.youtube.com/watch?v=4le6FhgZBHg
[4]
Vol. 38, n. 7, 31 marzo 2016, Letters.
http://www.lrb.co.uk/v38/n07/letters
[5] Nach dem Aufstand des 17. Juni
Ließ der Sekretär des Schriftstellerverbands
In der Stalinallee Flugblätter verteilen
Auf denen zu lesen war, daß das Volk
Das Vertrauen der Regierung verscherzt habe
Und es nur durch verdoppelte Arbeit
Zurückerobern könne. Wäre es da
Nicht doch einfacher, die Regierung
Löste das Volk auf und
Wählte ein anderes?
Marco
D’Eramo (http://temi.repubblica.it/micromega-online/brexit-il-mondo-e-caduto-dalle-nuvole/
-
1 luglio 2016)
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