Renzi ci è
ricascato subito. La sberla presa il 4 dicembre da circa 20 milioni di italiani
non sembra avergli insegnato nulla. Si è riproposto con la solita arroganza. Il
che fa venire qualche dubbio anche sulla sua intelligenza. Alla Direzione del
Pd ha parlato solo lui, sorvolando sul fatto che era stato proprio lui, o
soprattutto lui, a portare quel partito alla debacle. Ma di questo potremmo
anche infischiarcene perché i partiti sono delle associazioni private, non
diversamente da una bocciofila, e quel che avviene al loro interno dovrebbe
interessare solo gli affiliati e non far parte nemmeno del dibattito pubblico
che invece ci viene quotidianamente ammannito dai media e dalle Tv. Però Renzi
non si è limitato solo a questo. Con la complicità di Sergio Mattarella, questo
scialbo e ameboide democristiano che in cinquant’anni di carriera politica non
aveva mai dato alcun segno di vita, come la sonda caduta su Marte, e che adesso
è improvvisamente assurto al rango di “uomo di grande competenza e saggezza”, ha
preteso anche di dettare le linee-guida di un futuro di cui, a rigor di logica
e di voti, non dovrebbe far più parte, almeno per un bel po’. Le sue
indicazioni sono: o una ‘grande ammucchiata’ o elezioni subito.
In realtà le
elezioni Renzi, contrariamente, come sempre, a ciò che dice, le teme come la
peste, perché sa che il knock down del 4 dicembre ridurrebbe pesantemente quel
40 per cento che gli hanno regalato le elezioni europee.
Noi abbiamo
fatto male a rendere a Matteo Renzi l’onore delle armi. Perché sottintende un
patto di lealtà per il quale gli sconfitti non usino, alla prima occasione
opportuna, quelle stesse armi che i vincitori gli hanno generosamente lasciato.
Renzi resta quello sleale, slealissimo, di sempre, che rifila all’’amico’
Enrico Letta lo “stai sereno”. E’ un uomo di cui non ci si può assolutamente
fidare.
Naturalmente
adesso, alla faccia di ogni sbandierata trasparenza, i partiti hanno già
cominciato a tessere le loro trame segrete. Gli unici a parlare con lingua
dritta sono stati i Cinque Stelle e Salvini che vogliono elezioni immediate.
Per capitalizzare, legittimamente, la vittoria, che sia pur in proporzioni
assai diverse, hanno ottenuto il 4 dicembre.
Quasi tutti
gli altri parlano con lingua biforcuta: dicono di volere elezioni il più presto
possibile ma sottobanco le temono. Berlusconi –perché di Berlusconi ci tocca
ancora parlare, nonostante il ‘delinquente naturale’ sia stato espulso con
ignominia dal parlamento e, fra le altre cose, sia corresponsabile del disastro
economico ed etico italiano- in un gioco delle parti manda avanti Brunetta ad
affermare che Forza Italia vuole le elezioni subito, subitissimo, ma in segreto
tresca perché arrivino il più tardi possibile. Perché se le elezioni si
facessero ora diventerebbe palese quello che già tutti sanno: che Forza Italia
può contare solo sul voto del suo capo e dei suoi cari. Lo stesso si può dire,
ad eccezione di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, per quella miriade di
partitini, Ncd, Udc, Ala, che formano il cosiddetto centro destra.
Dalla
situazione attuale, in cui è entrato a gamba tesa anche il solito Napolitano
(poteva mancare?), può uscire di tutto, e tutto in barba ai risultati del
Referendum del 4 dicembre, cioè alla volontà degli italiani.
In una
situazione eccezionale come questa bisognerebbe fare come facevano i Romani
quando si trovavano in circostanze analoghe: nominare un ‘dictator’ temporaneo,
con le mani libere (a cuccia quindi anche la Corte Costituzionale), un uomo non
compromesso con la politica italiana degli ultimi trent’anni (vallo a trovare,
forse bisognerebbe ricorrere a un tedesco o a uno svizzero) col compito di
sbrigare le pratiche di normale amministrazione e di portare l’Italia al più
presto possibile a quelle elezioni che ci darebbero finalmente la reale
consistenza delle attuali forze in campo.
Comunque una
strada non è in alcun modo percorribile: un reincarico a Renzi o a una sua
fotocopia. Il quale rinvierebbe le elezioni alle calende greche, un rinvio che
gli strumenti di una democrazia marcia, corrotta e decotta come la nostra, una
parodia di democrazia, rendono possibile. Contando anche sul fatto che,
notoriamente, gli italiani, anche quelli giovani e anziani che hanno fatto
pazientemente la fila per dire No all’attuale premier finto dimissionario, in
politica hanno la memoria molto corta.
Qualora ci
fosse un reincarico a Matteo Renzi, gli italiani se hanno ancora un senso di sé
e della propria dignità dovrebbero dar vita ad una insurrezione popolare.
Violenta.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2016)
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