Ringrazio il presidente del partito e tutti gli amici della direzione nazionale e dei gruppi parlamentari, e credo che questa riunione sia un appuntamento utile e per certi aspetti indispensabile per fare chiarezza. Ce n’è necessità per il doveroso rispetto che ognuno deve a se stesso e direi ancor di più per il rispetto che tutti insieme dobbiamo agli italiani.
Lo dobbiamo a quegli italiani che, e non va mai dimenticato, hanno dato fiducia al Popolo della libertà, hanno dato fiducia al governo e hanno consentito al Pdl di vincere le elezioni del 2008 e hanno successivamente consentito alla coalizione di confermare il consenso che gode nella pubblica opinione. Una riunione che serve e che deve essere, a partire da me, utilizzata per cercare di spiegare che cosa sta accadendo.
Non voglio usare espressioni che possano apparire inutilmente polemiche, ma francamente mi sembra che anche nelle regia e nell’avvio dei lavori della direzione ci sia stato un atteggiamento un po’ puerile di chi quasi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto. Come se non dovessimo parlare esattamente di quel che è, o come se gli italiani nell’ultima settimana avessero visto un altro film, non si fossero accorti che nel Popolo della libertà sta succedendo qualche cosa.
Ma non è certo questo un motivo di polemica, e spero che non sia questo il motivo del contendere. Che cosa sta accadendo? Sta accadendo che su alcuni questioni di carattere strettamente politico – relative a quelli che sono i problemi del Paese, relative a quella che è l’azione del governo, relative a quello che è il ruolo del partito – uno dei cofondatori (ho scoperto che eravamo tanti a cofondare il Pdl) ha delle opinioni diverse rispetto a quelle del presidente Berlusconi. Il che ovviamente non vuol dire negare ciò che il governo ha fatto fin qui. Molte delle cose che hanno detto i ministri sono a conoscenza della direzione, degli italiani e sono la ragione del rinnovato consenso che gli elettori danno al centrodestra.
Avere delle opinioni diverse dal presidente del Consiglio e dal presidente del partito – la cui leadership non è mai stata messa in discussione – significa esercitare quello che credo sia un preciso diritto-dovere. E pongo, in primo luogo, una questione: è possibile derubricare delle opinioni diverse, o se volete delle valutazioni diverse, o ancora delle indicazioni diverse che non sono coincidenti con quello che il Pdl quotidianamente fa? È possibile derubicare ciò come se si trattasse di mere questioni di carattere personale? Se fossero questioni di carattere personale non saremmo arrivati a questa direzione con la polemica che c’è stata e nemmeno con questa attesa per ciò che accadrà oggi.
Non sono le mie bizze, non sono geloso di quel che il presidente del Consiglio fa, ci mancherebbe altro. Sono abituato, quando non sono d’accordo, a dire quello che penso. E, lasciatemelo dire perché evidente, non l’ho fatto di punto in bianco come se all’improvviso non mi piacesse più ciò che ho contribuito ad allestire. È qualche mese che pongo delle questioni, ed è qualche mese che vedo queste questioni poste nella migliore delle ipotesi liquidate come delle questioni personali, o in alcuni casi, le vedo essere minimizzate. Per carità, forse non meritano tante attenzioni. Ma non credo che siano questioni poste per intralciare l’azione, men che meno per intralciare l’azione del partito, certamente non sono questioni che vengono poste per compiacere gli avversari.
Vedi Bondi, è stata una certa caduta di stile, quella di citare alcune affermazioni che certamente possono essere, e in alcune casi lo sono state, polemiche nei confronti del presidente del Consiglio e dimenticare che per aver posto delle questioni nei mesi passati sono stato oggetto in molte circostanze di trattamenti mediatici e giornalistici da parte di colleghi lautamente pagati da stretti familiari del presidente del Consiglio, senza che questo determinasse però una presa di posizione.
Non credo che sia motivo di polemica: sappiamo benissimo quali sono le proprietà dei giornali. Sappiamo che sono gli editori che pagano i direttori. Questioni che vanno certamente tolte dal novero delle questioni di cui dobbiamo discutere oggi. Comincio col porre le questioni. Dire che su alcune vicende, su alcuni problemi, su alcune cosa da fare abbiamo opinioni diverse è una dimostrazione di alto tradimento, al punto da meritare bastonature mediatiche, l’allestimento di roghi o addirittura licenziamenti come si fa per i dipendenti infedeli? Oppure è – e Berlusconi te lo dico in faccia come ce lo siamo detto tante volte in privato – è una dimostrazione di lealtà?
Vedi il tradimento, che è nel novero dei comportamenti umani poco dignitosi, alligna in coloro che sono adusi ad applausi, alla pubblica adulazione, salvo poi dire tutt’altro quando il leader gira le spalle. Raramente il tradimento è nella coscienza di chi si assume la responsabilità di quello che pensa in privato e pubblicamente. Io lo considero un fatto di lealtà. Hai il diritto di replica, ne prendo atto positivamente. Credo sia onesto giocare a carte scoperte, non credo sia alto tradimento dire che alcune cose le possiamo e dobbiamo fare meglio.
È una dimostrazione di lealtà, a mio modo di vedere, uscire dal coro di quelli che dicono che tutto va bene. Certamente sono state fatte molte cose positive, non ci sarebbe alcuna ragione per dare un giudizio negativo di quella che è stata l’esperienza del Popolo della libertà e del governo. Credo che sia uno stimolo con spirito costruttivo quello di chi dice che su alcune questioni si può fare di più, che su alcune questioni ci può essere anche una linea che non è al cento per cento quella che fin qui è stata seguita. È, credo, un contributo di doverosa chiarezza e lealtà che parte dal presupposto che non sono opinioni personali.
Possono essere opinioni minoritarie, certamente sì, possono essere opinioni condivise da una quota non maggioritaria della nostra classe dirigente e quindi dell’elettorato. Io non ironizzo quando il presidente del Consiglio tasta il polso della pubblica opinione, cerca di capire cosa pensano gli italiani. Credo che il presidente del Consiglio, da uomo saggio qual è, per tante ragioni si sia chiesto perché sto facendo da tanti mesi qualcuno dice il grillo parlante, il bastian contrario o addirittura l’incendiario che vuole distruggere la casa che ha contribuito a costruire.
Si dà il caso che gli italiani continuino a considerare alcune cose che dico meritevoli di attenzione, senza presunzione. Non è una conta, è la fotografia di una condizione che c’è: alcune opinioni, minoritarie, hanno però un determinato consenso. Allora io non credo che riconoscere la libertà di opinione in un partito possa rappresentare il venir meno a un dovere di lealtà. Il Pdl ha dimostrato di essere un partito democratico, che discute, che vota, ma un partito democratico soprattutto nel bipolarismo europeo, in quel bipolarismo che è uno dei grandi meriti del Pdl e Berlusconi, nel bipolarismo un partito democratico significa un partito che accetta che all’interno non c’è solo, come ovvio, la discussione e poi la votazione e quindi la linea prevalente, ma che accetta una pluralità di opinioni, di posizioni, che all’interno ci può essere qualche indicazione anche molto diversa da quella che poi va per la maggiore.
E non credo che questo significhi mettere in discussione una leadership. Bondi ha detto di venire da una tradizione che conosceva la degenerazione di alcune regole interne, era la tradizione del centralismo democratico. Anche nel Pci si discuteva e poi si votava e poi c’era una maggioranza.
Attenzione però – e anche qui non voglio essere polemico – a non passare dal centralismo democratico a un centralismo carismatico. Non contesto la leadership di Berlusconi, chiedo se sia lecito avere opinioni diverse e cercare di organizzare all’interno del partito quell’area politico-culturale che su certe opinioni si può ritrovare. Il che non vuol dire tornare all’antico, perché il bipolarismo è la novità dei tempi in cui viviamo. Le correnti erano tipiche dei partiti, non mi sento in difficoltà quando viene ricordato che proprio chi vi parla ha definito le correnti una metastasi, perché erano finalizzate ad acquisire fette di potere interno.
Credo che chi in queste ore ha detto “Gianfranco vai avanti perché non hai tutti i torti” abbia messo in conto innanzitutto di perderla qualche quota di potere. Non si tratta di una corrente finalizzata a quote di potere. Si tratta d’altro, si tratta di animare un dibattito che certo poi si conclude con le votazioni ma che parte da posizioni che siano anche in qualche modo dissimili tra di loro. Dicevo che nel bipolarismo, che è la grande conquista di questi tempi, non ci può essere l’ortodossia e quindi non ci può essere l’eresia e quindi non ci può essere colui che viene messo al rogo se ha delle opinioni diverse perché il bipolarismo è così in tutta Europa.
Vogliamo guardare che cosa accade nelle grandi famiglie europee? Non solo quelle del Partito popolare ma anche quella del Partito socialista? Vogliamo guardare per un attimo qual è la dialettica interna all’Ump francese? Alla Cdu tedesca? Allo stesso movimento del partito di Aznar? O in quello di Cameron? Convivono posizioni che sono certamente distanti, ma poi c’è il dovere di una sintesi che sia il risultato di un confronto senza demonizzazioni.
Un confronto basato sul rispetto che si deve a opinioni dissimili. E credo che ci sia il diritto-dovere da parte mia di precisarlo meglio questo concetto: perché siamo in una giornata che cambia le dinamiche del Pdl. Se esiste una componente di tipo politico e culturale che su alcune questioni ha delle opinioni che sono dissimili da quelle prevalenti certamente non ha tutti i diritti: non ha il diritto, a scanso di equivoci, di sabotare l’azione di governo o di remare sempre contro. Perché ha il dovere di lealtà a un progetto che deriva da un patto tra i fondatori e gli elettori. Non ha il diritto di imporre ad altri delle opinioni minoritarie. Ha però, questo sì, il diritto di confrontarsi su come attuare bene il programma di governo, su come evitare che ci possano essere su alcune questioni posizioni che non sono in piena sintonia con l’opinione pubblica. Animare un confronto, da questo punto di vista, non può che fare bene.
E quanto più questo sarà scevro da demonizzazioni e scevro dal sospetto che sia finalizzato ad impedire al governo di governare, tanto più sarà positivo per il Pdl, per il governo e per il Paese. Certo è che oggi – e questo lo hanno capito tutti – viene meno una fase che ha rappresentato la fase costitutiva del Pdl. Oggi non ha più senso parlare di “quote”. Oggi c’è una larga parte del partito che condivide sostazialmente in toto quella che è l’azione del presidente del Consiglio, che è capo del partito, e c’è una piccola componente, chiamatela come volete – e non la corrente nel senso deteriore – che non condivide più in toto. Perché anche qui non è la pregiudiziale contrapposizione: certo che l’azione del governo è stata positiva, ma il problema non è questo. Il problema è che a mio modo di vedere, il Pdl che ha fatto grandi cose, e ha animato l’azione di un governo che sta facendo grandi cose e che non considero certo l’avversario contro cui combattere, su alcune questioni sta perdendo quella che era la sua identità primaria, la sua ragione d’essere.
Che cos’era il Pdl quando insieme l’abbiamo costruito, rinunciando ognuno a qualche cosa, dagli affetti alle organizzazioni? Era certamente un grande partito nazionale che alcuni di noi avevano sognato, pensando che si chiamasse partito degli italiani o partito della nazione, ispirato ai valori del Partito popolare europeo. Garante della coesione dell’intero Paese, capace di dare delle risposte concrete ai bisogni del lavorati, delle imprese. Difensore del senso dello Stato, che come sosteneva Falcone è un valore interiorizzato, non è una sovrastruttura almeno per una certa cultura politica. Garante della legalità dei diritti civili. Motore di un profondo cambiamento, di riforme nell’interesse generale, condivise quanto più possibili. E io ti ringrazio, presidente, per averlo detto oggi con chiarezza quando dici che le riforme si debbono fare con la più larga condivisione possibile. Non c’è dissenso su questo. Non è la corrente che aprioristicamente dice no. Se ci fossimo capiti meglio, avremmo evitato questo: perché fino a qualche tempo fa non sembrava che fosse questo l’orientamento prevalente nel Pdl.
Il Pdl non ha tradito questa identità: ma su alcuni punti lo smalto si è un po’ perso. Le elezioni le ha vinte la coalizione, certamente. Sono talmente poco prevenuto che non ho difficoltà a dire che in alcuni casi le elezioni le ha vinte personalmente Berlusconi, a partire da Roma, dove però, presidente, adesso che la campagna elettorale è finita, ma credi veramente che la lista non sia stata presentata per un complotto dei magistrati cattivi e radicali violenti? La vicenda secondo me meriterebbe di essere approfondita e un partito serio, oggi che non si vota e le elezioni sono alle spalle, la dovrebbe approfondire. Ma è un dettaglio.
Le elezioni le ha vinte la coalizione, ma all’interno della coalizione il Pdl, che ha avuto il successo che meritava vista l’azione efficace governo – e lo dico senza ironia – rispetto al 2005 ha un saldo negativo e c’è uno squilibrio tra il Nord e il Sud. Al Sud il Pdl è andato bene, al Nord ha perso consensi e li ha persi da un alto per l’emergere di una tendenza astensionista – sulla quale dobbiamo riflettere e che non ha colpito solo il centrodestra ma tutta la politica, che è un segnale di stanchezza nei confronti dei partiti – ma soprattutto le cose non sono andate come pure potevano andare perché c’è stato uno squilibrio tra noi e il nostro unico, maggiore, migliore alleato: la Lega.
Senza annoiarvi, nel 2005 nell’ambito del voto di coalizione la Lega rappresentava il 16% dell’elettorato, nel 2010 rappresenta il 29%; nel 2005 la Lega non era prima in nessuna provincia del Nord, nel 2010 è prima in nove province del Nord. Non è un grande problema. Quando Berlusconi dice “ma sono i nostri alleati, bisogna tenere conto delle loro esigenze” non mi scandalizzo, non sono nato ieri, le elezioni si vincono in questo sistema con le alleanze. Ma vogliamo chiederci perché è accaduto. Sgombriamo il campo dall’equivoco “Fini dice che abbiamo perso”. Non abbiamo perso, la coalizione ha vinto, il presidente del Consiglio ha ragione quando dice ci ho messo la faccia e abbiamo vinto. Ma per il Pdl – perché insieme abbiamo fatto un partito e ci dobbiamo occupare del benessere, della salute, dell’organizzazione del partito – vogliamo capire perché al Nord le cose non sono andate come speravamo?
Ignazio La Russa ha provato a spiegarlo, ma non mi ha convinto al cento per cento. C’è stato chi è arrivato a dire “se tu Fini sull’immigrazione continui a dire le cose che dici è di tutta evidenza che al Nord stravince la Lega”. Ma allora dobbiamo metterci d’accordo, non solo con la nostra coscienza ma anche con la nostra cultura politica perché se diciamo di essere un grande partito nazionale, che si ispira ai valori del Partito popolare europeo e che quindi parte dal valore fondante del rispetto della dignità della persona umana.
Allora non sono io il bastian contrario, che dice qualcosa per urtare il presidente del Consiglio, ma sono tanti quando – per compiacere Lega – si dà corso a ipotesi di intervento in materia di immigrazione per le quali un bambino che è figlio di un immigrato che perde il lavoro e quindi il permesso di soggiorno è cacciato dalle scuole come se si trattasse di un bambino serie b. Il rispetto della dignità umana! Non potete dire che non è vero, perché chiudere gli occhi di fronte alla verità non è saggio.
E anche qui, chi c’era nell’altro governo ricorderà che ne discutemmo. Ci sarà stata una ragione per la quale all’epoca non passò l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, perché la considerazione non poteva che essere quella che c’è stata. È eretico dire che io non mi ci ritrovo nei valori del Ppe, del rispetto della dignità umana quando sento dire che i medici devono fare la spia, che quando un immigrato clandestino va in ospedale deve essere segnalato ai carabinieri. Amici ve lo dico col cuor in mano, non fate interesse né del Pdl né di Berlusconi dicendo che sono bugie. Perché sono i problemi con i quali si confrontano in tanti casi i nostri amministratori, sono problemi drammaticamente presenti, discutiamone, cerchiamo di correggerli. Alcune questioni sono state poste in modo incauto o se volete senza prevedere tutte le conseguenze. Allora io non credo che nel Nord la questione rapporto Pdl-Lega sia la conseguenza che siccome Fini e un gruppo di eretici intellettuali dicono certe cose allora i voti li prende la Lega. Do un’altra lettura. Ma non è che lo faccio adesso. Sono mesi che lo dico - e qui l’ironia e le le accuse. Al Nord siamo diventati la fotocopia della Lega. Presidente, molti di quelli che al Nord adesso dicono “per carità Fini che stai dicendo” sono gli stessi che è drammaticamente vero: qual è la bandiera identitaria del Pdl al Nord? Vi risulta che abbiamo lanciato alto il messaggio che pur c’era nel programma di abolire le province? La Lega non vuole. Vi risulta che nel Nord si sia alzata la bandiera della privatizzazione delle municipalizzate? Che sono diventate il tesoretto degli amministratori leghisti in attesa di mettere le mani sulle banche con le fondazioni?
Io considero la Lega un soggetto politico di primaria importanza, con un leader Bossi che sa esattamente cosa vuole. Non è la polemica nei confronti della Lega. E che io ho cercato di fondare il Pdl. Non di dar ad un’unica associazione con la Lega. Che sono alleati ma su alcuni valori non sono i medesimi. La Lega è un alleato strategico, ma nel Nord l’unica bandiera alzata dalla coalizione è il federalismo: contro il quale non ho nulla ma a certe condizioni. Ma vi risulta che federalismo - nella cultura leghista certamente sì - sia prevedere che l’organizzazione della scuola che mi sembra essere prerogativa sia delle regioni, che in Lombardia ci debbano essere soltanto professori lombardi? Non mi risulta che si sia discusso questo.
Ciò vuole dire che l’identità della Lega è chiara, quella del Pdl meno. Il presidente Berlusconi è il terzo statista che si trova in una congiuntura particolare e favorevole: è allo stesso tempo presidente del partito e presidente del consiglio. Credo che il partito in alcuni casi dovrebbe mettere il presidente del Consiglio nella condizione nel rapporto con gli alleati di opporsi ad alcune richieste. O se vuoi di alzare alcune bandiere.Senza andare troppo indietro nel tempo, nell’epoca in cui De Mita era presidente della Dc e presidente del Consiglio era la direzione nazionale che diceva al presidente che le richieste dei socialisti erano eccessive. È un esempio per dire che la condizione in cui si trova oggi Berlusconi è quella di utilizzare il suo partito per affermare un’identità che non sia l’identità di un soggetto certamente leale, ma leale al governo. L’interesse della Lega non coincide necessariamente con gli interessi del governo. E questo non vuol dire remare contro. Ecco un certo appiattimento sulla Lega è pericoloso, in epoca di federalismo. È pericoloso non solo al Nord, ma soprattutto nel centrosud.
Il punto è: nel Sud cresce la preoccupazione perché si ha l’impressione che alcune linee strategiche del governo siano indirizzate dalla cultura leghista. Poi ciò cresce ancora quando si scopre che per risolvere una questione che sta molto a cuore alla Lega – come le quote latte – si sia fatto ricorso ai fondi per le aree sottosviluppate. Tremonti ha ragione nel porre la necessità di queste operazioni. Ma poi è vero che per altre iniziative non ci sono. Così come tanti parlamentari del Nord, caro Berlusconi, tanti del Sud vengono a dirmi che “hai ragione cerca di dirlo tu a Berlusconi” su questo tema. Adesso i nodi vengono al pettine. Ecco voglio il luogo dove si discuta di questo. Il federalismo fiscale o è una grande opportunità, ma quando le risorse sono poche occorre fare molta attenzione per non creare squilibrio.
Ma è soltanto un esempio. La preoccupazione nel centrosud per una prevalenza anche di tipo culturale che la Lega esercita nell’azione di governo c’è e quindi Berlusconi ti dico un’altra cosa che so che ti dà fastidio, ma te lo devo dire, te l’ho detto mille volte in privato, te lo devo dire in pubblico, altrimenti non ci capiamo: così come tanti parlamentari del Nord vengono da me e mi dicono “Hai ragione la Lega ci sta egemonizzando”, altri del Sud vengono a dirmi “Hai ragione cerca di convincerlo tu Berlusconi che oggi abbiamo preso tanti voti nel Sud, che le elezioni le abbiamo vinte per il voto meridionale, ma adesso i nodi vengono al pettine”. Nodi che voglio contribuire a sciogliere, non li voglio aggrovigliare. Ma voglio i luoghi in cui si discute voglio avere la possibilità di dire la mia. Voglio per esempio verificare se sul federalismo fiscale la pensiamo allo stesso modo. Non voglio aprire una querelle con Tremonti. Tremonti è stato ed è il migliore ministro possibile in questa fase, altrimenti ci ritrovavamo come la Grecia.
Ma in un’epoca di risorse scarse il federalismo fiscale è o una grande opportunità per responsabilizzare la classe dirigente o, senza alcune cautele, senza alcuni antidoti collegati a una cultura nazionale e a un senso di appartenenza, rischia di mettere a repentaglio la coesione sociale. I decreti attuativi che deve fare il governo sono estremamente pericolosi se vengono scritti senza avere come stella polare non accontentare Lega ma garantire l’interesse nazionale. Io non dirò mai che Bossi non è sensibile all’interesse nazionale, ma vorrei capire per il Pdl, che è anche il mio partito, i decreti attuativi del federalismo fiscale vanno fatti a ogni costo? Questa è la posizione della Lega. Io dico che vanno fatti, sì, ma compatibilmente con la disponibilità finanziaria e con i valori nazionali indiscutibili.
E quindi forse sarà il caso – ed ecco la proposta, perché non voglio fare un intervento sottolineando solo che cose che non vanno, ma teso anche a dare un’indicazione – di costruire subito non nel governo ma nel partito una commissione con i nostri governatori del Nord e del Centrosud? Perché con tutto il rispetto per due alleati quali Zaia e Cota la logica dei governatori del Nord, che vogliamo capire nel rapporto con i governatori del Sud, non la possiamo ascoltare dai ministri o dai governatori alleati. Quella logica la dobbiamo definire all’interno di una dinamica di partito. Abbiamo nel Pdl parlamentari che sanno di cosa si parla quando si parla di federalismo fiscale.
È provocatorio chiedere, e non in polemica con Tremonti, “Ma i costi li abbiamo previsti?”. Quando si ragionerà con la Lega dei costi del federalismo fiscale e su cosa significhi mettere le regioni del Sud nella condizione ideale, dal punto di vista teorico, del finanziamento che arriva non sulla spesa storica ma sulla spesa standard, abbiamo verificato cosa significa in termini di servizi? È compito certamente del ministro Fitto, ma è compito anche del partito. Allora credo che una commissione che lavori su una road map, sui costi, sui rischi del federalismo fiscale possa essere costituita subito. Ma c’è anche un’altra grande questione, l’ha detto Ignazio, per far capire se siamo davvero un grande partito nazionale, consapevole della importanza di alcuni valori. Ignazio ha ricordato che siamo alla vigilia del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, allora perché non c’è stata ancora alcuna proposta di partito. È malizioso dire le risorse sono troppo scarse? Quelle risorse sono scarse anche perché la Lega su queste questioni è disinteressata. Io non dico che Tremonti è leghista, io dico che Tremonti deve tener conto delle ragioni della coalizione. Quando si sente dire che le risorse vanno destinate ad altro magari non dispiace all’alleato. Quando la Padania, non Farefuturo, non il Secolo d’Italia, scrive, testualmente “Unità d’Italia? Ma che ci sarà mai da festeggiare” c’è un certo atteggiamento culturale.
Il Pdl ha il dovere di reagire o no? Io dico che un grande partito nazionale per il 150esimo dell’Unità le risorse le trova perché quando Bossi chiede le risorse per altre questioni le risorse si trovano. Allora non credo di essere io l’eretico se dico che così l’identità rischia di affievolirsi. Il tema dell’identità nazionale non è nostalgia e non voglio annoiarvi con banalità come quelle sul tifo alla nostra nazionale. È evidente che fra tre anni il giudizio complessivo sul governo sarà relativo a quello che è stato fatto per gestire la crisi economica, alle condizioni in cui si troveranno le famiglie e le imprese italiane.
Tra tre anni, quando si arriverà alla fine della legislatura, se non avremo fatto qualcosa di reale, di concreto oltre quello che abbiamo già fatto, non credo che basterà l’ottimismo. Berlusconi ha ragione quando parla di ottimismo, ma poi accanto all’ottimismo serve la realtà. Allora io non credo dire un’eresia se dico che il partito di maggioranza della coalizione, che esprime il presidente del Consiglio e un ottimo ministro dell’Economia, ha il dovere di riflettere su una cosa molto semplice: il programma elettorale è stato scritto in un’altra epoca, quando non c’era stata la crisi globale. Quel programma conteneva impegni che io non credo si possano mantenere al cento per cento da qui a 2013. Perché sarà molto difficile ridurre contemporaneamente il carico fiscale per le imprese e per le famiglie a invarianza di gettito e per giunta avviando quella rivoluzione che è il federalismo fiscale che, come sanno tutti, nella prima fase costa.
Allora è un’eresia chiedere che il Pdl convochi, per esempio, una sorta di stati generali dell’economia per fare il punto su ciò che è realistico fare da qui alla fine della legislatura e su ciò che prevedibilmente non sarà possibile realizzare. Ricordiamo il Fondo monetario di ieri che ha detto che il Pil è destinato a crescere meno del previsto, non me ne compiaccio, me ne addoloro, ma senza le risorse sarà difficile calare le tasse alle imprese e alle famiglie e quando arriverà la prossima campagna elettorale i cittadini ce ne chiederanno conto. Non bisogna ritenere che sia un’eresia quella di rimodulare il programma in base a ciò che si può fare. E discutere questo non solo fra di noi ma anche con chi ne capisce? E ancora non è forse arrivato il momento di dire magari una verità scomoda: che se vogliamo far stare meglio i nostri figli domani occorre chiedere sacrifici.
Abbiamo tre anni, se vogliamo portare interventi che davvero cambieranno la vita degli italiani. Dobbiamo fare ciò che è strategicamente giusto: ipotesi di riforme, non soltanto quelle istituzionali, ma quelle strutturali. Sacconi lo sa benissimo: occorre discutere di welfare delle opportunità, così come di interventi sul sistema previdenziale. È probabile che tutto ciò non sia immediatamente popolare, ma forse ti determina una quantità di risorse poi spendibile in altro. In questo modo questo potrà essere un partito che non solo aiuta l’azione di governo, ma lo indirizza anche verso altro.
Che senso ha, del resto, rimanere legati a un’epoca del 2008 e a un programma che risulta datato perché scritto prima della crisi internazionale? Tremonti stesso lo ha ribadito. Di tutte queste questioni credo che debba parlare il Pdl. Poi c’è l’altra grande questione, connessa al tema della legalità che vuol dire certamente andare fieri di quello che le forze dell’ordine fanno arrestando tanti criminali, di quel preciso e puntiglioso elenco di successi, ma c’è anche qualcosa di più. È indispensabile riformare la giustizia e combattere la politicizzazione di una parte della magistratura, non può in alcun modo mai significare, nemmeno dare la più lontana impressione che la riforma della giustizia che vuole fare il Pdl sia tesa a garantire sacche maggiori di impunità. So che non è così, ma qualche volta l’impressione c’è.
L’impressione ad esempio c’è quando poi si legge che quando si ipotizzava la prescrizione breve ci sarebbero stati 600mila processi cancellati dalla sera alla mattina, un’amnistia mascherata. Ma mi spieghi che significa tutela della legalità, riforma della giustizia, lotta alla magistratura politicizzata se poi passano questi messaggi? Questo è dibattito politico, questa è la diversità culturale. Non abbiamo intenzione di essere i bastian contrari, abbiamo però intenzione di cercare di tenere fede a dei valori in cui ci riconosciamo tutti. Infine l’ultima questione, perché ho parlato troppo, ma spero che quello che ho detto si sia capito non solo qui ma anche agli occhi dell’opinione pubblica, che è molto meno lontana di quello che può apparire.
L’ultima questione è quella delle riforme. Avevo preparato un’argomentazione, ma mi taccio perché Berlusconi ha iniziato con una novità politica di prima importanza quando ha detto che le riforme servono – mi permetto di dire che una riforma essenziale, Lega o non Lega, è il restyling del Titolo V, competenze dello Stato e competenze delle Regioni definite in maniera chiara, perché con le competenze condivise rischiamo un contenzioso enorme. Riforma del Parlamento, nuova forma del governo non ne parlo più perché fa testo quello che è stato detto dal presidente del Consiglio: le riforme le dobbiamo fare nel modo più condiviso possibile. Ma per farlo serve sapere almeno qual è la posizione di partenza del Pdl. Non voglio polemizzare con Calderoli pié veloce che porta al Quirinale la bozza. È un dettaglio, perché mi è stato detto “Quella è la bozza di Calderoli”. Ma sono eretico, sono bastian contrario se dico “Mi fate vedere bozza del Pdl, del mio partito, del partito che ho contribuito a fondare con tutti voi?”.
Possiamo discutere della riforma della Costituzione se non sappiamo nemmeno noi che cosa vogliamo se non per grandi titoli? Vogliamo tradurli in una proposta? Il compito del maggior partito della coalizione, che è nato con la volontà di cambiare l’Italia, è dare agli altri le bozze su cui si discute e non di prenderle e poi magari di discuterle dopo come se fossero delle cambiali che devono essere onorate. Ecco ho detto tutto e spero di aver dimostrato che la mia volontà non è di sabotare, ma di migliorare la qualità della politica del partito e quindi del governo, che è già meritevole di ampia approvazione. Abbiamo dato vita a un miracolo nella politica italiana, il Pdl.
Ora cerchiamo di discutere su come farlo funzionare. Oggi che non c’è più la logica del 70-30, Berlusconi farà quel che vuole, dal mio punto di vista deve prendere atto che qualcosa è cambiato, ma faccia lui, non mi interessa, perché una delle cose più stupide che è stata detta è stata quella relativa all’organigramma. Mi rimetto alle decisioni del presidente del mio partito, faccia quel che vuole, ma discutiamone. Anche qui non dico un’eresia e lo sapete. Questo è un partito che ha fatto grandi sforzi. Verdini è stato bravissimo, insieme a Bondi e La Russa, ma vi siete chiesti perché non in un piccolissimo comune ma in Sicilia convivono due partiti il Pdl e il Pdl Sicilia che non è guidato da un uomo di Fini che vuole sabotare.
No, è guidato da un uomo del governo Berlusconi, da Micciché. E in quella regione, che è una grande regione, è accaduto che per l’impossibilità di sciogliere i nodi politici è cambiata persino la maggioranza. Allora non pongo un problema reale quando dico “Vogliamo discutere delle modalità anche dell’organizzazione?”. Vogliamo discutere di cosa significa garantire degli spazi, ma non degli spazi di potere, degli spazi di dibattito e di confronto per chi porta delle idee? Possono anche non piacere, possono essere proposte da buttare, ma credo che prima di farlo, se c’è la volontà – e da parte nostra c’è – di contribuire a far crescere più sana, più forte la comune creatura, allora prima di buttarle quelle idee almeno vengano esaminate. ( Fonte: il Secolo d'Italia)
Redazioneonline in Osservatorio Nazionale - del 23/04/2010 - (finanzainchiaro.it)
Lo dobbiamo a quegli italiani che, e non va mai dimenticato, hanno dato fiducia al Popolo della libertà, hanno dato fiducia al governo e hanno consentito al Pdl di vincere le elezioni del 2008 e hanno successivamente consentito alla coalizione di confermare il consenso che gode nella pubblica opinione. Una riunione che serve e che deve essere, a partire da me, utilizzata per cercare di spiegare che cosa sta accadendo.
Non voglio usare espressioni che possano apparire inutilmente polemiche, ma francamente mi sembra che anche nelle regia e nell’avvio dei lavori della direzione ci sia stato un atteggiamento un po’ puerile di chi quasi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto. Come se non dovessimo parlare esattamente di quel che è, o come se gli italiani nell’ultima settimana avessero visto un altro film, non si fossero accorti che nel Popolo della libertà sta succedendo qualche cosa.
Ma non è certo questo un motivo di polemica, e spero che non sia questo il motivo del contendere. Che cosa sta accadendo? Sta accadendo che su alcuni questioni di carattere strettamente politico – relative a quelli che sono i problemi del Paese, relative a quella che è l’azione del governo, relative a quello che è il ruolo del partito – uno dei cofondatori (ho scoperto che eravamo tanti a cofondare il Pdl) ha delle opinioni diverse rispetto a quelle del presidente Berlusconi. Il che ovviamente non vuol dire negare ciò che il governo ha fatto fin qui. Molte delle cose che hanno detto i ministri sono a conoscenza della direzione, degli italiani e sono la ragione del rinnovato consenso che gli elettori danno al centrodestra.
Avere delle opinioni diverse dal presidente del Consiglio e dal presidente del partito – la cui leadership non è mai stata messa in discussione – significa esercitare quello che credo sia un preciso diritto-dovere. E pongo, in primo luogo, una questione: è possibile derubricare delle opinioni diverse, o se volete delle valutazioni diverse, o ancora delle indicazioni diverse che non sono coincidenti con quello che il Pdl quotidianamente fa? È possibile derubicare ciò come se si trattasse di mere questioni di carattere personale? Se fossero questioni di carattere personale non saremmo arrivati a questa direzione con la polemica che c’è stata e nemmeno con questa attesa per ciò che accadrà oggi.
Non sono le mie bizze, non sono geloso di quel che il presidente del Consiglio fa, ci mancherebbe altro. Sono abituato, quando non sono d’accordo, a dire quello che penso. E, lasciatemelo dire perché evidente, non l’ho fatto di punto in bianco come se all’improvviso non mi piacesse più ciò che ho contribuito ad allestire. È qualche mese che pongo delle questioni, ed è qualche mese che vedo queste questioni poste nella migliore delle ipotesi liquidate come delle questioni personali, o in alcuni casi, le vedo essere minimizzate. Per carità, forse non meritano tante attenzioni. Ma non credo che siano questioni poste per intralciare l’azione, men che meno per intralciare l’azione del partito, certamente non sono questioni che vengono poste per compiacere gli avversari.
Vedi Bondi, è stata una certa caduta di stile, quella di citare alcune affermazioni che certamente possono essere, e in alcune casi lo sono state, polemiche nei confronti del presidente del Consiglio e dimenticare che per aver posto delle questioni nei mesi passati sono stato oggetto in molte circostanze di trattamenti mediatici e giornalistici da parte di colleghi lautamente pagati da stretti familiari del presidente del Consiglio, senza che questo determinasse però una presa di posizione.
Non credo che sia motivo di polemica: sappiamo benissimo quali sono le proprietà dei giornali. Sappiamo che sono gli editori che pagano i direttori. Questioni che vanno certamente tolte dal novero delle questioni di cui dobbiamo discutere oggi. Comincio col porre le questioni. Dire che su alcune vicende, su alcuni problemi, su alcune cosa da fare abbiamo opinioni diverse è una dimostrazione di alto tradimento, al punto da meritare bastonature mediatiche, l’allestimento di roghi o addirittura licenziamenti come si fa per i dipendenti infedeli? Oppure è – e Berlusconi te lo dico in faccia come ce lo siamo detto tante volte in privato – è una dimostrazione di lealtà?
Vedi il tradimento, che è nel novero dei comportamenti umani poco dignitosi, alligna in coloro che sono adusi ad applausi, alla pubblica adulazione, salvo poi dire tutt’altro quando il leader gira le spalle. Raramente il tradimento è nella coscienza di chi si assume la responsabilità di quello che pensa in privato e pubblicamente. Io lo considero un fatto di lealtà. Hai il diritto di replica, ne prendo atto positivamente. Credo sia onesto giocare a carte scoperte, non credo sia alto tradimento dire che alcune cose le possiamo e dobbiamo fare meglio.
È una dimostrazione di lealtà, a mio modo di vedere, uscire dal coro di quelli che dicono che tutto va bene. Certamente sono state fatte molte cose positive, non ci sarebbe alcuna ragione per dare un giudizio negativo di quella che è stata l’esperienza del Popolo della libertà e del governo. Credo che sia uno stimolo con spirito costruttivo quello di chi dice che su alcune questioni si può fare di più, che su alcune questioni ci può essere anche una linea che non è al cento per cento quella che fin qui è stata seguita. È, credo, un contributo di doverosa chiarezza e lealtà che parte dal presupposto che non sono opinioni personali.
Possono essere opinioni minoritarie, certamente sì, possono essere opinioni condivise da una quota non maggioritaria della nostra classe dirigente e quindi dell’elettorato. Io non ironizzo quando il presidente del Consiglio tasta il polso della pubblica opinione, cerca di capire cosa pensano gli italiani. Credo che il presidente del Consiglio, da uomo saggio qual è, per tante ragioni si sia chiesto perché sto facendo da tanti mesi qualcuno dice il grillo parlante, il bastian contrario o addirittura l’incendiario che vuole distruggere la casa che ha contribuito a costruire.
Si dà il caso che gli italiani continuino a considerare alcune cose che dico meritevoli di attenzione, senza presunzione. Non è una conta, è la fotografia di una condizione che c’è: alcune opinioni, minoritarie, hanno però un determinato consenso. Allora io non credo che riconoscere la libertà di opinione in un partito possa rappresentare il venir meno a un dovere di lealtà. Il Pdl ha dimostrato di essere un partito democratico, che discute, che vota, ma un partito democratico soprattutto nel bipolarismo europeo, in quel bipolarismo che è uno dei grandi meriti del Pdl e Berlusconi, nel bipolarismo un partito democratico significa un partito che accetta che all’interno non c’è solo, come ovvio, la discussione e poi la votazione e quindi la linea prevalente, ma che accetta una pluralità di opinioni, di posizioni, che all’interno ci può essere qualche indicazione anche molto diversa da quella che poi va per la maggiore.
E non credo che questo significhi mettere in discussione una leadership. Bondi ha detto di venire da una tradizione che conosceva la degenerazione di alcune regole interne, era la tradizione del centralismo democratico. Anche nel Pci si discuteva e poi si votava e poi c’era una maggioranza.
Attenzione però – e anche qui non voglio essere polemico – a non passare dal centralismo democratico a un centralismo carismatico. Non contesto la leadership di Berlusconi, chiedo se sia lecito avere opinioni diverse e cercare di organizzare all’interno del partito quell’area politico-culturale che su certe opinioni si può ritrovare. Il che non vuol dire tornare all’antico, perché il bipolarismo è la novità dei tempi in cui viviamo. Le correnti erano tipiche dei partiti, non mi sento in difficoltà quando viene ricordato che proprio chi vi parla ha definito le correnti una metastasi, perché erano finalizzate ad acquisire fette di potere interno.
Credo che chi in queste ore ha detto “Gianfranco vai avanti perché non hai tutti i torti” abbia messo in conto innanzitutto di perderla qualche quota di potere. Non si tratta di una corrente finalizzata a quote di potere. Si tratta d’altro, si tratta di animare un dibattito che certo poi si conclude con le votazioni ma che parte da posizioni che siano anche in qualche modo dissimili tra di loro. Dicevo che nel bipolarismo, che è la grande conquista di questi tempi, non ci può essere l’ortodossia e quindi non ci può essere l’eresia e quindi non ci può essere colui che viene messo al rogo se ha delle opinioni diverse perché il bipolarismo è così in tutta Europa.
Vogliamo guardare che cosa accade nelle grandi famiglie europee? Non solo quelle del Partito popolare ma anche quella del Partito socialista? Vogliamo guardare per un attimo qual è la dialettica interna all’Ump francese? Alla Cdu tedesca? Allo stesso movimento del partito di Aznar? O in quello di Cameron? Convivono posizioni che sono certamente distanti, ma poi c’è il dovere di una sintesi che sia il risultato di un confronto senza demonizzazioni.
Un confronto basato sul rispetto che si deve a opinioni dissimili. E credo che ci sia il diritto-dovere da parte mia di precisarlo meglio questo concetto: perché siamo in una giornata che cambia le dinamiche del Pdl. Se esiste una componente di tipo politico e culturale che su alcune questioni ha delle opinioni che sono dissimili da quelle prevalenti certamente non ha tutti i diritti: non ha il diritto, a scanso di equivoci, di sabotare l’azione di governo o di remare sempre contro. Perché ha il dovere di lealtà a un progetto che deriva da un patto tra i fondatori e gli elettori. Non ha il diritto di imporre ad altri delle opinioni minoritarie. Ha però, questo sì, il diritto di confrontarsi su come attuare bene il programma di governo, su come evitare che ci possano essere su alcune questioni posizioni che non sono in piena sintonia con l’opinione pubblica. Animare un confronto, da questo punto di vista, non può che fare bene.
E quanto più questo sarà scevro da demonizzazioni e scevro dal sospetto che sia finalizzato ad impedire al governo di governare, tanto più sarà positivo per il Pdl, per il governo e per il Paese. Certo è che oggi – e questo lo hanno capito tutti – viene meno una fase che ha rappresentato la fase costitutiva del Pdl. Oggi non ha più senso parlare di “quote”. Oggi c’è una larga parte del partito che condivide sostazialmente in toto quella che è l’azione del presidente del Consiglio, che è capo del partito, e c’è una piccola componente, chiamatela come volete – e non la corrente nel senso deteriore – che non condivide più in toto. Perché anche qui non è la pregiudiziale contrapposizione: certo che l’azione del governo è stata positiva, ma il problema non è questo. Il problema è che a mio modo di vedere, il Pdl che ha fatto grandi cose, e ha animato l’azione di un governo che sta facendo grandi cose e che non considero certo l’avversario contro cui combattere, su alcune questioni sta perdendo quella che era la sua identità primaria, la sua ragione d’essere.
Che cos’era il Pdl quando insieme l’abbiamo costruito, rinunciando ognuno a qualche cosa, dagli affetti alle organizzazioni? Era certamente un grande partito nazionale che alcuni di noi avevano sognato, pensando che si chiamasse partito degli italiani o partito della nazione, ispirato ai valori del Partito popolare europeo. Garante della coesione dell’intero Paese, capace di dare delle risposte concrete ai bisogni del lavorati, delle imprese. Difensore del senso dello Stato, che come sosteneva Falcone è un valore interiorizzato, non è una sovrastruttura almeno per una certa cultura politica. Garante della legalità dei diritti civili. Motore di un profondo cambiamento, di riforme nell’interesse generale, condivise quanto più possibili. E io ti ringrazio, presidente, per averlo detto oggi con chiarezza quando dici che le riforme si debbono fare con la più larga condivisione possibile. Non c’è dissenso su questo. Non è la corrente che aprioristicamente dice no. Se ci fossimo capiti meglio, avremmo evitato questo: perché fino a qualche tempo fa non sembrava che fosse questo l’orientamento prevalente nel Pdl.
Il Pdl non ha tradito questa identità: ma su alcuni punti lo smalto si è un po’ perso. Le elezioni le ha vinte la coalizione, certamente. Sono talmente poco prevenuto che non ho difficoltà a dire che in alcuni casi le elezioni le ha vinte personalmente Berlusconi, a partire da Roma, dove però, presidente, adesso che la campagna elettorale è finita, ma credi veramente che la lista non sia stata presentata per un complotto dei magistrati cattivi e radicali violenti? La vicenda secondo me meriterebbe di essere approfondita e un partito serio, oggi che non si vota e le elezioni sono alle spalle, la dovrebbe approfondire. Ma è un dettaglio.
Le elezioni le ha vinte la coalizione, ma all’interno della coalizione il Pdl, che ha avuto il successo che meritava vista l’azione efficace governo – e lo dico senza ironia – rispetto al 2005 ha un saldo negativo e c’è uno squilibrio tra il Nord e il Sud. Al Sud il Pdl è andato bene, al Nord ha perso consensi e li ha persi da un alto per l’emergere di una tendenza astensionista – sulla quale dobbiamo riflettere e che non ha colpito solo il centrodestra ma tutta la politica, che è un segnale di stanchezza nei confronti dei partiti – ma soprattutto le cose non sono andate come pure potevano andare perché c’è stato uno squilibrio tra noi e il nostro unico, maggiore, migliore alleato: la Lega.
Senza annoiarvi, nel 2005 nell’ambito del voto di coalizione la Lega rappresentava il 16% dell’elettorato, nel 2010 rappresenta il 29%; nel 2005 la Lega non era prima in nessuna provincia del Nord, nel 2010 è prima in nove province del Nord. Non è un grande problema. Quando Berlusconi dice “ma sono i nostri alleati, bisogna tenere conto delle loro esigenze” non mi scandalizzo, non sono nato ieri, le elezioni si vincono in questo sistema con le alleanze. Ma vogliamo chiederci perché è accaduto. Sgombriamo il campo dall’equivoco “Fini dice che abbiamo perso”. Non abbiamo perso, la coalizione ha vinto, il presidente del Consiglio ha ragione quando dice ci ho messo la faccia e abbiamo vinto. Ma per il Pdl – perché insieme abbiamo fatto un partito e ci dobbiamo occupare del benessere, della salute, dell’organizzazione del partito – vogliamo capire perché al Nord le cose non sono andate come speravamo?
Ignazio La Russa ha provato a spiegarlo, ma non mi ha convinto al cento per cento. C’è stato chi è arrivato a dire “se tu Fini sull’immigrazione continui a dire le cose che dici è di tutta evidenza che al Nord stravince la Lega”. Ma allora dobbiamo metterci d’accordo, non solo con la nostra coscienza ma anche con la nostra cultura politica perché se diciamo di essere un grande partito nazionale, che si ispira ai valori del Partito popolare europeo e che quindi parte dal valore fondante del rispetto della dignità della persona umana.
Allora non sono io il bastian contrario, che dice qualcosa per urtare il presidente del Consiglio, ma sono tanti quando – per compiacere Lega – si dà corso a ipotesi di intervento in materia di immigrazione per le quali un bambino che è figlio di un immigrato che perde il lavoro e quindi il permesso di soggiorno è cacciato dalle scuole come se si trattasse di un bambino serie b. Il rispetto della dignità umana! Non potete dire che non è vero, perché chiudere gli occhi di fronte alla verità non è saggio.
E anche qui, chi c’era nell’altro governo ricorderà che ne discutemmo. Ci sarà stata una ragione per la quale all’epoca non passò l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, perché la considerazione non poteva che essere quella che c’è stata. È eretico dire che io non mi ci ritrovo nei valori del Ppe, del rispetto della dignità umana quando sento dire che i medici devono fare la spia, che quando un immigrato clandestino va in ospedale deve essere segnalato ai carabinieri. Amici ve lo dico col cuor in mano, non fate interesse né del Pdl né di Berlusconi dicendo che sono bugie. Perché sono i problemi con i quali si confrontano in tanti casi i nostri amministratori, sono problemi drammaticamente presenti, discutiamone, cerchiamo di correggerli. Alcune questioni sono state poste in modo incauto o se volete senza prevedere tutte le conseguenze. Allora io non credo che nel Nord la questione rapporto Pdl-Lega sia la conseguenza che siccome Fini e un gruppo di eretici intellettuali dicono certe cose allora i voti li prende la Lega. Do un’altra lettura. Ma non è che lo faccio adesso. Sono mesi che lo dico - e qui l’ironia e le le accuse. Al Nord siamo diventati la fotocopia della Lega. Presidente, molti di quelli che al Nord adesso dicono “per carità Fini che stai dicendo” sono gli stessi che è drammaticamente vero: qual è la bandiera identitaria del Pdl al Nord? Vi risulta che abbiamo lanciato alto il messaggio che pur c’era nel programma di abolire le province? La Lega non vuole. Vi risulta che nel Nord si sia alzata la bandiera della privatizzazione delle municipalizzate? Che sono diventate il tesoretto degli amministratori leghisti in attesa di mettere le mani sulle banche con le fondazioni?
Io considero la Lega un soggetto politico di primaria importanza, con un leader Bossi che sa esattamente cosa vuole. Non è la polemica nei confronti della Lega. E che io ho cercato di fondare il Pdl. Non di dar ad un’unica associazione con la Lega. Che sono alleati ma su alcuni valori non sono i medesimi. La Lega è un alleato strategico, ma nel Nord l’unica bandiera alzata dalla coalizione è il federalismo: contro il quale non ho nulla ma a certe condizioni. Ma vi risulta che federalismo - nella cultura leghista certamente sì - sia prevedere che l’organizzazione della scuola che mi sembra essere prerogativa sia delle regioni, che in Lombardia ci debbano essere soltanto professori lombardi? Non mi risulta che si sia discusso questo.
Ciò vuole dire che l’identità della Lega è chiara, quella del Pdl meno. Il presidente Berlusconi è il terzo statista che si trova in una congiuntura particolare e favorevole: è allo stesso tempo presidente del partito e presidente del consiglio. Credo che il partito in alcuni casi dovrebbe mettere il presidente del Consiglio nella condizione nel rapporto con gli alleati di opporsi ad alcune richieste. O se vuoi di alzare alcune bandiere.Senza andare troppo indietro nel tempo, nell’epoca in cui De Mita era presidente della Dc e presidente del Consiglio era la direzione nazionale che diceva al presidente che le richieste dei socialisti erano eccessive. È un esempio per dire che la condizione in cui si trova oggi Berlusconi è quella di utilizzare il suo partito per affermare un’identità che non sia l’identità di un soggetto certamente leale, ma leale al governo. L’interesse della Lega non coincide necessariamente con gli interessi del governo. E questo non vuol dire remare contro. Ecco un certo appiattimento sulla Lega è pericoloso, in epoca di federalismo. È pericoloso non solo al Nord, ma soprattutto nel centrosud.
Il punto è: nel Sud cresce la preoccupazione perché si ha l’impressione che alcune linee strategiche del governo siano indirizzate dalla cultura leghista. Poi ciò cresce ancora quando si scopre che per risolvere una questione che sta molto a cuore alla Lega – come le quote latte – si sia fatto ricorso ai fondi per le aree sottosviluppate. Tremonti ha ragione nel porre la necessità di queste operazioni. Ma poi è vero che per altre iniziative non ci sono. Così come tanti parlamentari del Nord, caro Berlusconi, tanti del Sud vengono a dirmi che “hai ragione cerca di dirlo tu a Berlusconi” su questo tema. Adesso i nodi vengono al pettine. Ecco voglio il luogo dove si discuta di questo. Il federalismo fiscale o è una grande opportunità, ma quando le risorse sono poche occorre fare molta attenzione per non creare squilibrio.
Ma è soltanto un esempio. La preoccupazione nel centrosud per una prevalenza anche di tipo culturale che la Lega esercita nell’azione di governo c’è e quindi Berlusconi ti dico un’altra cosa che so che ti dà fastidio, ma te lo devo dire, te l’ho detto mille volte in privato, te lo devo dire in pubblico, altrimenti non ci capiamo: così come tanti parlamentari del Nord vengono da me e mi dicono “Hai ragione la Lega ci sta egemonizzando”, altri del Sud vengono a dirmi “Hai ragione cerca di convincerlo tu Berlusconi che oggi abbiamo preso tanti voti nel Sud, che le elezioni le abbiamo vinte per il voto meridionale, ma adesso i nodi vengono al pettine”. Nodi che voglio contribuire a sciogliere, non li voglio aggrovigliare. Ma voglio i luoghi in cui si discute voglio avere la possibilità di dire la mia. Voglio per esempio verificare se sul federalismo fiscale la pensiamo allo stesso modo. Non voglio aprire una querelle con Tremonti. Tremonti è stato ed è il migliore ministro possibile in questa fase, altrimenti ci ritrovavamo come la Grecia.
Ma in un’epoca di risorse scarse il federalismo fiscale è o una grande opportunità per responsabilizzare la classe dirigente o, senza alcune cautele, senza alcuni antidoti collegati a una cultura nazionale e a un senso di appartenenza, rischia di mettere a repentaglio la coesione sociale. I decreti attuativi che deve fare il governo sono estremamente pericolosi se vengono scritti senza avere come stella polare non accontentare Lega ma garantire l’interesse nazionale. Io non dirò mai che Bossi non è sensibile all’interesse nazionale, ma vorrei capire per il Pdl, che è anche il mio partito, i decreti attuativi del federalismo fiscale vanno fatti a ogni costo? Questa è la posizione della Lega. Io dico che vanno fatti, sì, ma compatibilmente con la disponibilità finanziaria e con i valori nazionali indiscutibili.
E quindi forse sarà il caso – ed ecco la proposta, perché non voglio fare un intervento sottolineando solo che cose che non vanno, ma teso anche a dare un’indicazione – di costruire subito non nel governo ma nel partito una commissione con i nostri governatori del Nord e del Centrosud? Perché con tutto il rispetto per due alleati quali Zaia e Cota la logica dei governatori del Nord, che vogliamo capire nel rapporto con i governatori del Sud, non la possiamo ascoltare dai ministri o dai governatori alleati. Quella logica la dobbiamo definire all’interno di una dinamica di partito. Abbiamo nel Pdl parlamentari che sanno di cosa si parla quando si parla di federalismo fiscale.
È provocatorio chiedere, e non in polemica con Tremonti, “Ma i costi li abbiamo previsti?”. Quando si ragionerà con la Lega dei costi del federalismo fiscale e su cosa significhi mettere le regioni del Sud nella condizione ideale, dal punto di vista teorico, del finanziamento che arriva non sulla spesa storica ma sulla spesa standard, abbiamo verificato cosa significa in termini di servizi? È compito certamente del ministro Fitto, ma è compito anche del partito. Allora credo che una commissione che lavori su una road map, sui costi, sui rischi del federalismo fiscale possa essere costituita subito. Ma c’è anche un’altra grande questione, l’ha detto Ignazio, per far capire se siamo davvero un grande partito nazionale, consapevole della importanza di alcuni valori. Ignazio ha ricordato che siamo alla vigilia del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, allora perché non c’è stata ancora alcuna proposta di partito. È malizioso dire le risorse sono troppo scarse? Quelle risorse sono scarse anche perché la Lega su queste questioni è disinteressata. Io non dico che Tremonti è leghista, io dico che Tremonti deve tener conto delle ragioni della coalizione. Quando si sente dire che le risorse vanno destinate ad altro magari non dispiace all’alleato. Quando la Padania, non Farefuturo, non il Secolo d’Italia, scrive, testualmente “Unità d’Italia? Ma che ci sarà mai da festeggiare” c’è un certo atteggiamento culturale.
Il Pdl ha il dovere di reagire o no? Io dico che un grande partito nazionale per il 150esimo dell’Unità le risorse le trova perché quando Bossi chiede le risorse per altre questioni le risorse si trovano. Allora non credo di essere io l’eretico se dico che così l’identità rischia di affievolirsi. Il tema dell’identità nazionale non è nostalgia e non voglio annoiarvi con banalità come quelle sul tifo alla nostra nazionale. È evidente che fra tre anni il giudizio complessivo sul governo sarà relativo a quello che è stato fatto per gestire la crisi economica, alle condizioni in cui si troveranno le famiglie e le imprese italiane.
Tra tre anni, quando si arriverà alla fine della legislatura, se non avremo fatto qualcosa di reale, di concreto oltre quello che abbiamo già fatto, non credo che basterà l’ottimismo. Berlusconi ha ragione quando parla di ottimismo, ma poi accanto all’ottimismo serve la realtà. Allora io non credo dire un’eresia se dico che il partito di maggioranza della coalizione, che esprime il presidente del Consiglio e un ottimo ministro dell’Economia, ha il dovere di riflettere su una cosa molto semplice: il programma elettorale è stato scritto in un’altra epoca, quando non c’era stata la crisi globale. Quel programma conteneva impegni che io non credo si possano mantenere al cento per cento da qui a 2013. Perché sarà molto difficile ridurre contemporaneamente il carico fiscale per le imprese e per le famiglie a invarianza di gettito e per giunta avviando quella rivoluzione che è il federalismo fiscale che, come sanno tutti, nella prima fase costa.
Allora è un’eresia chiedere che il Pdl convochi, per esempio, una sorta di stati generali dell’economia per fare il punto su ciò che è realistico fare da qui alla fine della legislatura e su ciò che prevedibilmente non sarà possibile realizzare. Ricordiamo il Fondo monetario di ieri che ha detto che il Pil è destinato a crescere meno del previsto, non me ne compiaccio, me ne addoloro, ma senza le risorse sarà difficile calare le tasse alle imprese e alle famiglie e quando arriverà la prossima campagna elettorale i cittadini ce ne chiederanno conto. Non bisogna ritenere che sia un’eresia quella di rimodulare il programma in base a ciò che si può fare. E discutere questo non solo fra di noi ma anche con chi ne capisce? E ancora non è forse arrivato il momento di dire magari una verità scomoda: che se vogliamo far stare meglio i nostri figli domani occorre chiedere sacrifici.
Abbiamo tre anni, se vogliamo portare interventi che davvero cambieranno la vita degli italiani. Dobbiamo fare ciò che è strategicamente giusto: ipotesi di riforme, non soltanto quelle istituzionali, ma quelle strutturali. Sacconi lo sa benissimo: occorre discutere di welfare delle opportunità, così come di interventi sul sistema previdenziale. È probabile che tutto ciò non sia immediatamente popolare, ma forse ti determina una quantità di risorse poi spendibile in altro. In questo modo questo potrà essere un partito che non solo aiuta l’azione di governo, ma lo indirizza anche verso altro.
Che senso ha, del resto, rimanere legati a un’epoca del 2008 e a un programma che risulta datato perché scritto prima della crisi internazionale? Tremonti stesso lo ha ribadito. Di tutte queste questioni credo che debba parlare il Pdl. Poi c’è l’altra grande questione, connessa al tema della legalità che vuol dire certamente andare fieri di quello che le forze dell’ordine fanno arrestando tanti criminali, di quel preciso e puntiglioso elenco di successi, ma c’è anche qualcosa di più. È indispensabile riformare la giustizia e combattere la politicizzazione di una parte della magistratura, non può in alcun modo mai significare, nemmeno dare la più lontana impressione che la riforma della giustizia che vuole fare il Pdl sia tesa a garantire sacche maggiori di impunità. So che non è così, ma qualche volta l’impressione c’è.
L’impressione ad esempio c’è quando poi si legge che quando si ipotizzava la prescrizione breve ci sarebbero stati 600mila processi cancellati dalla sera alla mattina, un’amnistia mascherata. Ma mi spieghi che significa tutela della legalità, riforma della giustizia, lotta alla magistratura politicizzata se poi passano questi messaggi? Questo è dibattito politico, questa è la diversità culturale. Non abbiamo intenzione di essere i bastian contrari, abbiamo però intenzione di cercare di tenere fede a dei valori in cui ci riconosciamo tutti. Infine l’ultima questione, perché ho parlato troppo, ma spero che quello che ho detto si sia capito non solo qui ma anche agli occhi dell’opinione pubblica, che è molto meno lontana di quello che può apparire.
L’ultima questione è quella delle riforme. Avevo preparato un’argomentazione, ma mi taccio perché Berlusconi ha iniziato con una novità politica di prima importanza quando ha detto che le riforme servono – mi permetto di dire che una riforma essenziale, Lega o non Lega, è il restyling del Titolo V, competenze dello Stato e competenze delle Regioni definite in maniera chiara, perché con le competenze condivise rischiamo un contenzioso enorme. Riforma del Parlamento, nuova forma del governo non ne parlo più perché fa testo quello che è stato detto dal presidente del Consiglio: le riforme le dobbiamo fare nel modo più condiviso possibile. Ma per farlo serve sapere almeno qual è la posizione di partenza del Pdl. Non voglio polemizzare con Calderoli pié veloce che porta al Quirinale la bozza. È un dettaglio, perché mi è stato detto “Quella è la bozza di Calderoli”. Ma sono eretico, sono bastian contrario se dico “Mi fate vedere bozza del Pdl, del mio partito, del partito che ho contribuito a fondare con tutti voi?”.
Possiamo discutere della riforma della Costituzione se non sappiamo nemmeno noi che cosa vogliamo se non per grandi titoli? Vogliamo tradurli in una proposta? Il compito del maggior partito della coalizione, che è nato con la volontà di cambiare l’Italia, è dare agli altri le bozze su cui si discute e non di prenderle e poi magari di discuterle dopo come se fossero delle cambiali che devono essere onorate. Ecco ho detto tutto e spero di aver dimostrato che la mia volontà non è di sabotare, ma di migliorare la qualità della politica del partito e quindi del governo, che è già meritevole di ampia approvazione. Abbiamo dato vita a un miracolo nella politica italiana, il Pdl.
Ora cerchiamo di discutere su come farlo funzionare. Oggi che non c’è più la logica del 70-30, Berlusconi farà quel che vuole, dal mio punto di vista deve prendere atto che qualcosa è cambiato, ma faccia lui, non mi interessa, perché una delle cose più stupide che è stata detta è stata quella relativa all’organigramma. Mi rimetto alle decisioni del presidente del mio partito, faccia quel che vuole, ma discutiamone. Anche qui non dico un’eresia e lo sapete. Questo è un partito che ha fatto grandi sforzi. Verdini è stato bravissimo, insieme a Bondi e La Russa, ma vi siete chiesti perché non in un piccolissimo comune ma in Sicilia convivono due partiti il Pdl e il Pdl Sicilia che non è guidato da un uomo di Fini che vuole sabotare.
No, è guidato da un uomo del governo Berlusconi, da Micciché. E in quella regione, che è una grande regione, è accaduto che per l’impossibilità di sciogliere i nodi politici è cambiata persino la maggioranza. Allora non pongo un problema reale quando dico “Vogliamo discutere delle modalità anche dell’organizzazione?”. Vogliamo discutere di cosa significa garantire degli spazi, ma non degli spazi di potere, degli spazi di dibattito e di confronto per chi porta delle idee? Possono anche non piacere, possono essere proposte da buttare, ma credo che prima di farlo, se c’è la volontà – e da parte nostra c’è – di contribuire a far crescere più sana, più forte la comune creatura, allora prima di buttarle quelle idee almeno vengano esaminate. ( Fonte: il Secolo d'Italia)
Redazioneonline in Osservatorio Nazionale - del 23/04/2010 - (finanzainchiaro.it)
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