Tanti scandali. Nessuna certezza. Le Mura Vaticane custodiscono intatti i loro misteri. Vicende che secondo alcuni sfiorano i vertici della Chiesa e che si intrecciano con la storia del nostro Paese. Ma l’accertamento della verità, come l’autorità giudiziaria italiana, pare talvolta essersi fermato all’ingresso dello Stato Pontificio.
“Ieri mattina sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere!”, è il 26 agosto 1978 quando Albino Luciani pronuncia queste parole. Il 28 settembre muore. Il referto parla di “infarto miocardico acuto”. E all’inizio nessuno dubita. Quel Papa dai modi miti, si dice, stroncato da una tensione insostenibile.
Il tempo, però, rivela altro: Luciani si preparava a essere un Pontefice innovatore, con il desiderio di riportare la Chiesa alla semplicità originaria. Un impegno, però, che doveva scontrarsi le influenti gerarchie vaticane abituate a gestire potere e centinaia di miliardi. Saranno le inchieste giornalistiche a pronunciare per la prima volta la parola “omicidio”. Ne parlerà a Paolo Borsellino anche un pentito di mafia, Vincenzo Calcara. Emersero così alcune circostanze mai chiarite: alla morte di Luciani fu deciso di non effettuare l’autopsia. Non fu mai chiarito del tutto chi ritrovò il corpo. Si raccontò poi di un incontro che il Papa aveva appena avuto per verificare le finanze della Chiesa. Infine, si è parlato della lista di nomine (e rimozioni) che avrebbe dovuto essere comunicata proprio il giorno della morte.
Piazza San Pietro, 13 maggio 1981, attentato a papa Wojtyla . L’unica cosa certa è che a sparare fu Mehmet Ali Agca (condannato all’ergastolo e graziato nel 2000). Le sue dichiarazioni contraddittorie hanno lasciato intravvedere perfino complici in Vaticano. L’ipotesi più seguita parla di un attentato progettato dal Kgb insieme con la Stasi della Germania Est. I servizi comunisti si sarebbero serviti di terroristi bulgari e dei Lupi Grigi turchi. Ma il pentito Caldara sosteneva che la mafia aveva avuto un ruolo nella vicenda.
A gettare una luce – o un’ombra – diversa sui gialli del Vaticano sono gli scandali che vedono collegati Ior (l’Istituto Opere Religiose), Paul Marcinkus, Michele Sindona e P2. Dalle inchieste sul crack emerse che lo Ior avrebbe fornito una copertura per drenare 1. 500 miliardi dalle casse dell’Ambrosiano. Non solo: Calcara sostenne che Marcinkus era a contatto anche con ambienti di Cosa Nostra. Uno scandalo, quello del Banco Ambrosiano, finito nel sangue con le morti di Roberto Calvi, della sua segretaria e di Michele Sindona. Oltre a Giorgio Ambrosoli che stava cercando di fare chiarezza sull’Ambrosiano. E Marcinkus? Annullata sulla base dei Patti Lateranensi la richiesta di estradizione, morì con i suoi segreti a Sun City, in Arizona, a 84 anni.
Emanuela Orlandi ha 15 anni quando scompare il 22 giugno 1983. Da quel giorno comincia una storia infinita di depistaggi, di piste che non si sa mai se siano vere o false. È Giovanni Paolo II nell’Angelus del 3 luglio 1983 a dire per primo pubblicamente che si tratta di un sequestro. Intanto è un supplizio continuo di telefonate anonime. Prima tocca a Pierluigi e Mario (telefonisti legati, pare, alla Banda della Magliana) che vorrebbero far credere alla fuga. Poi tocca a un uomo dall’accento americano che qualcuno sostiene fosse Marcinkus. Quindi spunta il possibile collegamento con la Magliana che si dice volesse chiedere la restituzione dei miliardi investiti nello Ior. I testimoni raccontano di aver visto Emanuela per l’ultima volta a due passi dalla Basilica di Sant’Apollinare. C’è chi sostiene che fosse con un uomo che somigliava a Renatino De Pedis, uno dei capi della Banda. Proprio lui che incredibilmente è sepolto all’interno della Basilica. Sabrina Minardi, ex moglie del giocatore Bruno Giordano in quegli anni legata a De Pedis, sostiene di aver assistito alla sepoltura di Emanuela. Agca invece assicura: “Emanuela è viva”. Un sedicente ex agente del Sismi sostiene si trovi in un manicomio inglese. Mille piste, nessuna verità.
Alois Estermann viene nominato capo delle Guardie Svizzere la mattina del 4 maggio 1998. La sera viene ucciso con la moglie Gladys Meza Romero e con la guardia Cedric Tornay. La soluzione ufficiale del giallo arriva dopo poche ore di indagine condotta tutta dentro le Mura Vaticane: Tornay era un ragazzo instabile, fumava canne. Aveva una cisti nel cervello che lo avrebbe reso più aggressivo. Cedric avrebbe ucciso Estermann per vendicarsi di una promozione negata. La moglie dell’ufficiale si sarebbe trovata nel posto sbagliato. Un mare di prove (troppe hanno pensato in molti). Testimoni che spariscono e riemergono anni dopo accanto al Papa.
Il 27 marzo 2011 monsignor Carlo Maria Viganò, all’epoca segretario generale del Governatorato (che gestisce le casse vaticane) scrive a Benedetto XVI. Viganò, chiamato un anno prima dal Papa a rimettere in sesto le finanze vaticane, lancia un allarme: vogliono di rimuovermi, ma “un mio trasferimento provocherebbe smarrimento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione”. Viganò ha portato i conti da 8 milioni di perdite a 34, 4 di avanzo. Il monsignore accusa “grandi banchieri che sono risultati fare più il loro interesse che i nostri”. Il 18 ottobre Viganò viene nominato nunzio apostolico a Washington dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Una destinazione di prestigio. E lontana dai conti del Vaticano. Ma il programma “Gli Intoccabili” scopre la storia.
Ferruccio Sansa (Il Fatto Quotidiano - 10 febbraio 2012)
"La famiglia cristiana è nuda" di Piergiorgio Odifreddi (La Repubblica - 15 febbraio 2012)
“Ieri mattina sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere!”, è il 26 agosto 1978 quando Albino Luciani pronuncia queste parole. Il 28 settembre muore. Il referto parla di “infarto miocardico acuto”. E all’inizio nessuno dubita. Quel Papa dai modi miti, si dice, stroncato da una tensione insostenibile.
Il tempo, però, rivela altro: Luciani si preparava a essere un Pontefice innovatore, con il desiderio di riportare la Chiesa alla semplicità originaria. Un impegno, però, che doveva scontrarsi le influenti gerarchie vaticane abituate a gestire potere e centinaia di miliardi. Saranno le inchieste giornalistiche a pronunciare per la prima volta la parola “omicidio”. Ne parlerà a Paolo Borsellino anche un pentito di mafia, Vincenzo Calcara. Emersero così alcune circostanze mai chiarite: alla morte di Luciani fu deciso di non effettuare l’autopsia. Non fu mai chiarito del tutto chi ritrovò il corpo. Si raccontò poi di un incontro che il Papa aveva appena avuto per verificare le finanze della Chiesa. Infine, si è parlato della lista di nomine (e rimozioni) che avrebbe dovuto essere comunicata proprio il giorno della morte.
Piazza San Pietro, 13 maggio 1981, attentato a papa Wojtyla . L’unica cosa certa è che a sparare fu Mehmet Ali Agca (condannato all’ergastolo e graziato nel 2000). Le sue dichiarazioni contraddittorie hanno lasciato intravvedere perfino complici in Vaticano. L’ipotesi più seguita parla di un attentato progettato dal Kgb insieme con la Stasi della Germania Est. I servizi comunisti si sarebbero serviti di terroristi bulgari e dei Lupi Grigi turchi. Ma il pentito Caldara sosteneva che la mafia aveva avuto un ruolo nella vicenda.
A gettare una luce – o un’ombra – diversa sui gialli del Vaticano sono gli scandali che vedono collegati Ior (l’Istituto Opere Religiose), Paul Marcinkus, Michele Sindona e P2. Dalle inchieste sul crack emerse che lo Ior avrebbe fornito una copertura per drenare 1. 500 miliardi dalle casse dell’Ambrosiano. Non solo: Calcara sostenne che Marcinkus era a contatto anche con ambienti di Cosa Nostra. Uno scandalo, quello del Banco Ambrosiano, finito nel sangue con le morti di Roberto Calvi, della sua segretaria e di Michele Sindona. Oltre a Giorgio Ambrosoli che stava cercando di fare chiarezza sull’Ambrosiano. E Marcinkus? Annullata sulla base dei Patti Lateranensi la richiesta di estradizione, morì con i suoi segreti a Sun City, in Arizona, a 84 anni.
Emanuela Orlandi ha 15 anni quando scompare il 22 giugno 1983. Da quel giorno comincia una storia infinita di depistaggi, di piste che non si sa mai se siano vere o false. È Giovanni Paolo II nell’Angelus del 3 luglio 1983 a dire per primo pubblicamente che si tratta di un sequestro. Intanto è un supplizio continuo di telefonate anonime. Prima tocca a Pierluigi e Mario (telefonisti legati, pare, alla Banda della Magliana) che vorrebbero far credere alla fuga. Poi tocca a un uomo dall’accento americano che qualcuno sostiene fosse Marcinkus. Quindi spunta il possibile collegamento con la Magliana che si dice volesse chiedere la restituzione dei miliardi investiti nello Ior. I testimoni raccontano di aver visto Emanuela per l’ultima volta a due passi dalla Basilica di Sant’Apollinare. C’è chi sostiene che fosse con un uomo che somigliava a Renatino De Pedis, uno dei capi della Banda. Proprio lui che incredibilmente è sepolto all’interno della Basilica. Sabrina Minardi, ex moglie del giocatore Bruno Giordano in quegli anni legata a De Pedis, sostiene di aver assistito alla sepoltura di Emanuela. Agca invece assicura: “Emanuela è viva”. Un sedicente ex agente del Sismi sostiene si trovi in un manicomio inglese. Mille piste, nessuna verità.
Alois Estermann viene nominato capo delle Guardie Svizzere la mattina del 4 maggio 1998. La sera viene ucciso con la moglie Gladys Meza Romero e con la guardia Cedric Tornay. La soluzione ufficiale del giallo arriva dopo poche ore di indagine condotta tutta dentro le Mura Vaticane: Tornay era un ragazzo instabile, fumava canne. Aveva una cisti nel cervello che lo avrebbe reso più aggressivo. Cedric avrebbe ucciso Estermann per vendicarsi di una promozione negata. La moglie dell’ufficiale si sarebbe trovata nel posto sbagliato. Un mare di prove (troppe hanno pensato in molti). Testimoni che spariscono e riemergono anni dopo accanto al Papa.
Il 27 marzo 2011 monsignor Carlo Maria Viganò, all’epoca segretario generale del Governatorato (che gestisce le casse vaticane) scrive a Benedetto XVI. Viganò, chiamato un anno prima dal Papa a rimettere in sesto le finanze vaticane, lancia un allarme: vogliono di rimuovermi, ma “un mio trasferimento provocherebbe smarrimento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione”. Viganò ha portato i conti da 8 milioni di perdite a 34, 4 di avanzo. Il monsignore accusa “grandi banchieri che sono risultati fare più il loro interesse che i nostri”. Il 18 ottobre Viganò viene nominato nunzio apostolico a Washington dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Una destinazione di prestigio. E lontana dai conti del Vaticano. Ma il programma “Gli Intoccabili” scopre la storia.
Ferruccio Sansa (Il Fatto Quotidiano - 10 febbraio 2012)
"La famiglia cristiana è nuda" di Piergiorgio Odifreddi (La Repubblica - 15 febbraio 2012)
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