Il versamento da quindici milioni risale all'8 marzo scorso, vigilia della sentenza della Cassazione che avrebbe potuto far andare in carcere Dell'Utri; invece arrivò l'ordine di un nuovo processo d'appello e quella prospettiva si allontanò. Il pagamento aveva la formale giustificazione della compravendita di una lussuosa villa sul lago di Como, il cui prezzo fissato a 21 milioni di euro fu molto superiore a una valutazione di pochi anni prima. Berlusconi ne versò in contanti un po' più di 15, il resto andò alle banche per estinguere i mutui che evidentemente aveva acceso Dell'Utri. Di quei 15, 11 furono quasi subito trasferiti in un conto del Paese centroamericano. I magistrati stanno già preparando le richieste di rogatoria per capire meglio la destinazione e l'uso di quei soldi, che evidentemente rappresentano buona parte del pagamento effettuato da Berlusconi. L'unico, tra tutti, con una giustificazione formale nonostante l'ipotetica sopravvalutazione della villa.
Le reali motivazioni di quei pagamenti sono l'oggetto delle domande che i pubblici ministeri antimafia vogliono porre a Silvio Berlusconi, nell'interrogatorio già fissato che l'ex presidente del Consiglio ha rinviato. E poi alla figlia Marina, per via di alcuni conti correnti cointestati, che dovrebbe presentarsi a Palermo mercoledì prossimo. Ma l'avvocato-deputato Nicolò Ghedini ha già fatto capire che difficilmente Berlusconi risponderà alle domande dei pubblici ministeri. «Per la sua situazione processuale pregressa non ha alcun obbligo di rendere dichiarazioni», spiega riferendosi alle indagini sull'ex premier seguite da archiviazione. Anche la figlia, secondo l'interpretazione del codice fatta da Ghedini, si troverebbe nella stessa posizione. In Procura la pensano all'opposto, e così alla Procura generale che ha chiesto di convocare il fondatore di Forza Italia nel nuovo processo d'appello contro Dell'Utri.
L'avvocato accusa i pm di «totale distorsione della realtà», e ritiene che non abbiano alcuna competenza a condurre questa indagine. I fatti contestati «sarebbero pacificamente, a tutto concedere, avvenuti presso ben altre sedi», dice Ghedini che annuncia la volontà di «reagire in ogni sede competente».
Secondo l'ipotesi d'accusa - che parte dal presupposto accertato anche dalla Cassazione dei rapporti tra Dell'Utri e alcuni boss mafiosi tra gli anni Settanta e Ottanta - l'ex premier potrebbe aver pagato al senatore la scelta di tenerlo fuori dagli intrecci e dai rapporti tra lui e i rappresentanti di Cosa nostra. Ed è possibile che agli atti della nuova indagine finiscano i verbali resi nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta trattativa fra Stato e mafia da Ezio Cartotto, ex esponente politico democristiano della Lombardia che collaborò con Berlusconi e Dell'Utri al tempo della nascita di Forza Italia. In un recente interrogatorio Cartotto ha riferito, tra l'altro, che una volta Dell'Utri gli disse: «Se parlo io per Silvio sono grossi guai».
Giovanni Bianconi (Corriere della Sera - 20 luglio 2012)
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