L’apoteosi l’ha toccata Panorama, dipingendo
Tsipras e Varoufakis come due clown da circo. Il che, per il settimanale di
proprietà del più grande pagliaccio che a memoria d’uomo abbia mai calcato la
scena politica italiana, non è davvero male. Ma la rappresentazione del governo
greco come un branco di dilettanti allo sbaraglio, vanesi e soprattutto
“populisti”, è un leitmotiv di tutta la grande stampa, italiana ed europea.
Varoufakis è quello che tiene la camicia fuori dai
pantaloni, studia teoria dei giochi e gira in moto (vuoi mettere i nostri che
circolano su auto blu, aerei blu ed elicotteri blu senza mai toccare terra?).
Tsipras è il magliaro piacione e inaffidabile che rimpiange o fa rimpiangere
Stalin, difende le pensioni d’oro e la temibile corsa agli armamenti greca, e
in Europa fa il gioco delle tre carte. L’idea che questi signori siano stati
democraticamente eletti da un popolo che le ha viste e provate tutte (la
dittatura dei colonnelli, i socialisti, i conservatori, i centristi, i tecnici)
non sfiora più nessuno, in un paese – il nostro – piuttosto disabituato alla
democrazia.
Ma ciò che più sfugge ai nostri trincia-giudizi in
casa d’altri è la serietà, la dignità dei nuovi politici di Atene. Che
magari sbagliano ricetta economica (ma vai a sapere qual è quella giusta: hanno
fallito tutte, ma proprio tutte), però hanno il sacrosanto diritto di essere
messi alla prova: perché, nel disastro greco, non hanno alcuna colpa, non
avendo mai governato prima. Chi dà loro lezioni da Bruxelles o da Berlino
ha colpe molto più grandi di loro, visto che l’austerità ha peggiorato la vita
e l’economia della Grecia, esattamente come quella di quasi tutto il resto
dell’Eurozona.
Qui non si tratta di buonismo – il mantra
prêt-à-porter di ogni talk show – ma di buonsenso. Se l’austerità fine a se
stessa ha prodotto in pochi anni in Europa 23 milioni di disoccupati in più
rispetto a prima, è il pragmatismo a imporre di cambiare registro. È vero,
la Grecia entrò in Europa truccando i suoi bilanci, e le autorità comunitarie
lo sapevano benissimo. È vero, la Grecia è stata malgovernata per decenni, con
una serie di scelte scriteriate che l’han fatta vivere al di sopra delle sue
possibilità. Ed è vero quel che dice la Merkel (persona seria anche lei, pur
con i suoi errori in politica estera, ma non interna: magari i tedeschi ce la
prestassero per qualche anno): le formiche d’Europa non possono pagare le
serenate della cicala.
Ma ciò che chiede la Grecia – al di là di certe
pretese inaccettabili – è l’ossigeno e il tempo per rimettersi in sesto, con il
suo nuovo governo onesto e serio. Ci si può fidare sulla parola? No,
occorrono controlli. Ciò che invece è inaccettabile, e ha fatto stravincere
il No, è che le autorità europee abbiano usato la crisi greca prima per dettare
ad Atene le riforme da fare, mettendo in mora il governo democraticamente
eletto; e poi per provare a rovesciare il governo democraticamente eletto
per sostituirlo con un pateracchio di larghe intese imposto dall’alto e da
fuori, secondo lo schema sperimentato in Italia e nella stessa Grecia nel 2011.
Gli Stati Ue hanno sottoscritto degli accordi e chi non li condivide può, anzi
ormai deve battersi per modificarli: ma, finché esistono, deve rispettarli. Si
tratta di parametri finanziari fissati – almeno a parole – a beneficio dei
popoli: se però sono i popoli a vivere (anzi, a morire) a beneficio dei
parametri, questi vanno cambiati. Ma per farlo occorre l’accordo della
maggioranza degli Stati, che al momento non c’è. Anche perché chi vi avrebbe
più interesse, tipo Renzi, se ne sta sotto la sottana di “Angela”.
La Grecia invece ha detto la sua: se avesse votato
pro o contro l’euro, avrebbe vinto il Sì. Invece ha votato su una proposta
giugulatoria per il popolo e suicida per i creditori (il creditore che affama
il debitore è un cretino, perché non rivedrà mai più i suoi soldi). E ha vinto
il No. Se persino il Fmi giudica plausibile una ristrutturazione, cioè un
taglio, del debito greco, la strada potrebbe essere una conferenza internazionale
che ridiscuta tutti i debiti pubblici: e conceda a chi ce l’ha più
grosso (vedi il nostro, che continua allegramente a crescere) di restituire
solo il giusto.
Ciascuno indichi il percorso che intende seguire: i
governi di destra indicheranno politiche di destra, quelli di sinistra
politiche di sinistra. La scelta di chi debba fare i sacrifici non spetta a
nessuna Troika, ma ai governi nazionali e ai loro elettori. Le autorità
europee devono fissare l’obiettivo: quant’è il conto e quando ragionevolmente
va pagato. Ma chi lo deve pagare lo decidono i cittadini tramite i loro
parlamenti e governi. Si chiama democrazia e, in attesa di inventare qualcosa
di meglio, è bene tenercela stretta.
In fondo è questo il messaggio che è uscito domenica
dalle urne: diteci il quanto, ma il come lo decidiamo noi. Somiglia
molto a quello lanciato dagli elettori italiani che nel 2013 punirono i partiti
delle larghe intese e premiarono il M5S che, come Syriza, non aveva mai
governato.
Com’è finita lo sappiamo: l’eterno Gattopardo ha finto di cambiare
tutto per non cambiare nulla, ma al prossimo giro potrebbe ritrovarsi ancor più
spelacchiato di oggi. Specialmente se continuerà a irridere al governo greco
fingendo di non capire cos’è accaduto ad Atene. E a leccare i tacchi alla
Merkel, dimenticando che dopo la Grecia, buoni penultimi, veniamo noi. O a
farsi fotografare con Orfini alla Playstation. O a tenere lezioni di tiki-taka
contro i gufi. E meno male che il pagliaccio è Tsipras.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 8 Luglio 2015)
Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.