Lo scorso 6 novembre, lo street artist
francese Christian Guémy, alias C215, ha pubblicato un articolo
sul sito Rue89 per condividere una sua riflessione sulla fase che la street art
attraversa in questi ultimi anni e per offrire la sua visione della storia di
questo movimento artistico. L'articolo è stato ripreso e tradotto in inglese da
RJ Rushmore su Vandalog.
Da oggi, potete leggerlo anche in italiano.
"Negli ultimi tempi, in particolare dopo il
successo planetario di Banksy, i grandi media parlano tutte le settimane di
arti urbane: mostre di street art in galleria, aste di graffiti, “musei a cielo
aperto” o repressione del vandalismo. Il riconoscimento delle arti urbane
da parte del pubblico e dei media ha raggiunto un punto molto elevato. Nonostante
ciò, mi stupisco per l’assenza di una distinzione tra le diverse anime che
compongono questo movimento artistico. Il loro raggruppamento sotto il termine
“street art” è molto comodo, ma confonde più che chiarisce.
Ho quarant’anni e seguo le arti urbane fin dal
1984, cioè da quando comparve in televisione la trasmissione televisiva “Hip
Hop”, diretta da Sydney.
Ho provato a fare i miei primi graffiti nel 1989
e ho assistito all’evoluzione di questo tipo di arte urbana. Mi sembra che più
“generazioni” si siano succedute da allora. Le ambizioni e le pratiche di
ognuna di esse sono così diverse che meritano una distinzione.
I pionieri dei graffiti - I
graffiti esistono da sempre. Si tratta di un fenomeno antropologico. Negli anni
’30 del ‘900, il fotografo Brassaï è stato il primo a interessarsi a questo
tipo di iscrizioni che esistono fin dall’Antichità. Il Colosseo stesso è
ricoperto di scritte lasciate da sconosciuti nel corso dei secoli. Negli anni
‘60, l’apparizione della bomboletta aerosol ha offerto alla gioventù disillusa
degli anni ’70 e ’80 uno strumento particolarmente efficace per lasciare delle
iscrizioni sui muri di città ordinarie, in strade considerate fino ad allora
dei non-luoghi dell’arte. E’ stato lo spray, un’innovazione tecnologica, a dare
slancio al movimento dei graffiti, dominato dalla cultura hip-hop in America e
da quella punk-rock in Europa.
Lo spirito romantico dei graffiti
- Questa prima “generazione” ha definito i codici di una nuova cultura urbana,
il cui impatto sulla cultura visuale occidentale è paragonabile a quello del
rock and roll sulla musica del secondo ‘900. I graffiti trovano origine in uno
spirito romantico. Disinteressati e spesso anarchici, i primi adepti dei
graffiti dipinti con delle gli spray definiscono una vera e propria cultura. Il
coraggio è il principale elemento per giudicare la qualità di un intervento. La
performance serve a trasgredire e a provocare nello spazio pubblico. La
ricercatezza delle loro calligrafie è estrema e arriva fino al criptaggio. Il
loro scopo principale è piacere al proprio gruppo di appartenenza, e non
piacere alla società che intendono provocare. Una logica tribale li conduce a
impossessarsi dello spazio pubblico. Le loro azioni possono essere interpretate
come una reazione alla rapida cementificazione alla quale si assiste in una
società che pensa solo a evolvere e che tende a escluderli.
“Se un giorno autorizzano le tag, smetto”
- Il loro tratto distintivo è costituito dall’apposizione ripetuta di uno
pseudonimo su qualsiasi superficie. Sono gli unici a poterlo decifrare e questo
contribuisce ancora di più alla non-comprensione delle loro azioni da parte
della società. Salvo qualche rara eccezione, queste prime generazioni non
vogliono commercializzare la loro arte, che si fonda esclusivamente su una
contestazione sociale e su una performance fisica. Si limitano a intervenire
senza autorizzazioni, alla ricerca della “bellezza del gesto”. Non cercano il
riconoscimento sociale, anzi… Si tratta di un vero e proprio stile di vita che
mette radici in una generazione disillusa che vuole riconquistare lo spazio
pubblico e che mette in discussione il concetto di proprietà privata. L’arte di
questa prima generazione di writers è rapidamente etichettata dalla società e
dalle autorità come “vandalismo”, perché degrada e diminuisce il valore di beni
pubblici. Ovviamente, verso la fine degli anni ’90, questi interventi provocano
una forte ondata di repressione e una disapprovazione generale da parte della
società nei confronti di questa forma di espressione artistica. O’Clock (uno
dei più importanti writer parigini, ndT) mi ha detto una volta “se un giorno
autorizzano le tag, smetto”: una teoria del vandalismo impeccabile.
Internet e la generazione “street art”
- Verso il 2000, alcune innovazioni tecnologiche mettono a disposizione degli
artisti nuovi strumenti: i computer e l’“home office” prima e internet poi
cambiano radicalmente gli equilibri mediatici. Internet confronta una nuova
“generazione” di artisti all’“ipermediazione”, ovvero alla possibilità di
cortocircuitare i canonici attori del sistema dell’arte: giornalisti, critici,
curatori e galleristi. Questa nuova generazione fa suo internet, che diventa un
nuovo “non-luogo” dell’arte. I giovani del 2000 sono cresciuti in mezzo ai
graffiti e ne conoscono i codici alla perfezione. Molti sognano di diventare
artisti e frequentano degli istituti di graphic design, dove studiano la
cultura e l’estetica dei graffiti. Non c’è da stupirsi se un’intera generazione
di graphic designer ha fondato il proprio lavoro sui codici dei graffiti. Rapidamente,
il loro desiderio di diventare degli artisti professionisti li porta a deviare,
se non addirittura a traviare, i codici dei graffiti con il solo fine di
poterli commercializzare.
Dei maestri del marketing virale
- Il marketing è una necessità per qualsiasi professionista, ma impone
un’autocensura che favorisce la ricerca di consenso e che si adatta a scelte
che facilitano l’emersione del movimento. La struttura e la forma stessa della
street art sono condizionati dalle logiche di internet e dai suoi modelli di
diffusione culturale. I nuovi artisti di strada prendono in prestito le forme
dei graffiti, ma le modificano per poterli diffondere su internet, sui loro
siti, su blog specializzati e per permettere al pubblico di condividerli sui
social networks. Prendendo Banksy come modello, numerosi sono diventati
dei maestri del marketing virale. Un nuovo Eldorado. Ai writers interessava
solo il riconoscimento degli altri writers. La Street Art vuole invece sedurre
quanti più spettatori possibili. Lusinga il gusto del pubblico, senza
contrariarlo mai. Anzi, ne asseconda l’ego invitandolo a partecipare, come JR
con il progetto “Inside Art”. Le opere di strada che chiunque può fotografare e condividere sulle proprie pagine
personali intasano i social networks. Numerosi appassionati fotografano le
opere e le condividono perché si illudono di prendere parte a un movimento
dall’aspetto libertario.
Ognuno si sente un po’ artista -
Gli appassionati si sentono persino artisti. Firmano le loro fotografie e aprono
dei blog. Se facessimo un parallelo con la musica popolare, l’illusione che
vive il pubblico della street art sembra quella del karaoke: ognuno si sente un
po’ artista. Per conquistare il mercato e soddisfare il gusto del pubblico,
questa generazione svia i principi cardine dei graffiti. Mentre i graffiti
puntavano a non piacere, gli street artists in erba cercano di piacere e
cercano di allargare quanto più possibile il proprio pubblico. Mentre i writers
proteggevano la loro identità, gli street artists mostrano il loro volto,
perché cercano popolarità e visibilità. I writers deturpano lo spazio pubblico,
gli street artists lo abbelliscono e partecipano alla gentrificazione dei
quartieri popolari nei quali operano.
Doc Gynéco sta ai Black Panthers come…
- Mentre i writers non si sono posti il problema della commercializzazione, gli
street artists hanno calcolato tutto in funzione di questa, dei musei e degli
onori più diversi. Mi spiace incarnare un esempio perfetto di questa dinamica. Abbiamo
mantenuto le apparenze e lo spirito romantico dei graffiti: i codici
vestimentari, gli strumenti e la grafia, la voglia di provocare e la tendenza a
mettere in scena i rischi corsi nel compiere delle azioni illegali. Abbiamo
avuto la pretesa di iniettare un contenuto formale nei graffiti, ma ne abbiamo
invece ridotto il portato rivendicativo, per spacciare dei messaggi
finto-politici che sono solo un insieme di luoghi comuni che sfiorano la
demagogia, come il progetto “Women Are Heroes” di JR. Questa generazione di
artisti si è avvicinata così tanto al sistema che ne fa ormai parte. I writers
non ci sono mai cascati e detestano la street art, perché giustamente la
percepiscono come uno svilimento commerciale della loro pratica. Perché non
bisogna sbagliarsi: la street art è un surrogato dei graffiti e ha tra i suoi
obiettivi la loro commercializzazione e la ricerca di un’arte inseribile nello
spazio pubblico che sia piacevole e facile da condividere su internet. La
street art non è rivendicativa, ma edonista. Per dirlo in poche parole, la
street art sta ai graffiti come Doc Gynéco sta ai Black Panthers.
L’avvento del “muralismo” - La
street art ha raggiunto un duplice obiettivo verso il 2010: il movimento ha
ottenuto un vasto riscontro da parte del pubblico e i suoi attori si sono
professionalizzati. Più recentemente, la commercializzazione ha raggiunto un
apice. Le istituzioni culturali iniziano a investire in questo nuovo filone, ma
non provano né capirlo né a renderlo comprensibile al grande pubblico. La
street art è ormai un prodotto come gli altri.
Non senza aberrazioni, si organizzano aste e mostre di street art, anche se si dovrebbe usare il termine street art solo per degli interventi eseguiti in strada e nonostante il fatto che i graffiti non siano mai stati un bene commercializzabile.
Non senza aberrazioni, si organizzano aste e mostre di street art, anche se si dovrebbe usare il termine street art solo per degli interventi eseguiti in strada e nonostante il fatto che i graffiti non siano mai stati un bene commercializzabile.
Il ritorno dei mediatori - Gli
attori del mercato – galleristi, collezionisti, pubblicitari e i media – se la
godono, perché si è ormai creata un’economia molto simile a quella
dell’industria dell’entertainment. I writers e gli street artists hanno
accettato le regole del gioco e producono opere per decorare i salotti
borghesi. La provocazione è ormai solo simulata. I media parlano di street art
con gli stessi toni con cui segnalavano un tempo i concerti dello “sfrontato”
Michel Sardou. I graffiti e la street art sono diventati un mestiere qualunque
e sono talmente apprezzati, da essere integrati nei corsi di alcune scuole
d’arte. Molte istituzioni, municipalità, sponsor e gallerie, oltre ad una
miriade di altre possibilità commerciali fanno oggi della street art un
mestiere rispettabile. Il fiorire dei festival mette a disposizione di una
nuova generazione di artisti quelle superfici legali che non hanno avuto ne i
primi writers ne la prima generazione di street artists. E’ un sogno che si
avvera.
Delle commissioni monumentali - Le
commissioni di muri di dimensioni monumentali implicano una censura collettiva
(progetto preliminare, toni politically correct che non turbino la
cittadinanza, censure politiche locali) e hanno genrato un nuovo tipo di street
art: il “muralismo”. Questi interventi sono realizzati in gran parte
nell’ambito di festival sostenuti dalle municipalità. Sono affidati a un gruppo
relativamente ristretto di pittori, a cui non viene offerta nessuna possibilità
di trasgressione o di provocazione. Il finanziamento di operazione come queste
è il terreno su cui stanno tornando in pompa magna i galleristi, i curatori e
gli sponsor, ovvero tutti quegli attori che erano stati schivati dalle due
prime generazioni. Con la nuova pratica semi-istituzionale del muralismo, non
rischia di sparire solo la libertà di espressione, ma anche l’indipendenza
stessa degli artisti. Bisogna quindi sperare che il muralismo non trasformi un
po’ alla volta la street art in un’arte decorativa e priva di contenuti
polemici… Per quel che mi riguarda, la valanga di insulti che ho ricevuto per
il mio recente ritratto di Christiane Taubira (il ministro della Giustizia,
nata nella Guyana francese, ndT) mi incoraggia a prendere sempre più posizione
sui temi che mi stanno a cuore.
Le strade hanno una bella cera -
Ecco in che direzione stiamo andando. Muri monumentali dipinti nello spazio
pubblico si commissionano da sempre. E’ quindi lecito chiedersi in cosa il
muralismo di oggi sia moderno, tenendo comunque a mente che non si può parlare
di “normalizzazione”, perché le strade dei nostri quartieri hanno finalmente
una bella cera e sono più vivibili di quelle grigie della mia infanzia. Sono
invecchiato e mi capita piuttosto spesso di dipingere dei gattini. Avrete
capito che questa presa di posizione con valore di autocritica è il tentativo
di descrivere la storia di un movimento complesso, che i grandi musei di arte
contemporanea continuano a ignorare. Se ne capisce anche il perché. Per quel
che mi riguarda, dovrei probabilmente pubblicare questo testo sulla mia pagina
Facebook e diffonderlo con il buon vecchio metodo della pubblicità, perché si
tratta senza alcun dubbio del supporto più efficace. Vi ringrazio di avermi
letto fino in fondo."
Christian
Guémy, alias C215
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