Milano - Una
mafia sempre più invisibile che non spara e non uccide, ma che silenziosa si
infiltra nell'economia, conquista pezzi di tessuto produttivo con la prepotenza
imprenditoriale di chi ha un'immensa quantità di denaro a disposizione.
In "La
mafia siamo noi", il cronista giudiziario di Repubblica, Sandro De
Riccardis, racconta anche la colonizzazione dell'economia legale da parte dei
clan che riciclano capitali sporchi scalando, non sempre amichevolmente, le
imprese in crisi o acquisendo bar, ristoranti, locali, discoteche.
Impossessandosi di pezzi dell'industria italiana del divertimento e del
turismo. "Sulle piste da ballo, nei dehors degli aperitivi, tra i tavoli
dei ristoranti, nelle notti del nostro divertimento si perfeziona la più
capillare operazione di riciclaggio, con i contanti provenienti dal traffico di
droga, dalle estorsioni, dallo sfruttamento della prostituzione che vengono reintrodotti
nell'economia legale - si legge nel libro -. Un flusso inverso a quello che
siamo abituati a immaginare: i capitali freschi si muovono dalle zone più
arretrate del Paese per conquistare quelle più sviluppate".
Tutto questo
- è il filo conduttore di "La mafia siamo noi" (Add Editore, 240
pagine, 15 euro) - richiama a una maggiore consapevolezza sulle nostre
abitudini e i nostri consumi. Perché spesso rischiamo di diventare
"inconsapevole strumento di riciclaggio quando pranziamo nei ristoranti,
balliamo nei locali, facciamo shopping nei negozi acquistati dai colletti
bianchi dei clan".
"La
mafia siamo noi" è un lungo viaggio nella società civile, attraverso le
storie di chi per - indifferenza o connivenza - favorisce la crescita e il
consolidamento della criminalità organizzata sul territorio. Ma anche di chi si
ribella e prova a cambiare lo stato delle cose. Racconta la svolta antimafia di
Confindustria del 2007 con il primo "Codice etico" che sancisce
l'incompatibilità tra l'iscrizione all'associazione degli industriali e forme
di complicità con le cosche, ma anche come la scelta di campo dell'associazione
di categoria sia stata messa in crisi dalle contraddizioni e dai sospetti di
contiguità alla mafia di alcuni tra i suoi principali esponenti.
Ricostruisce
la strenua lotta della per la legalità e la libertà d'impresa di imprenditori
del passato, come Libero Grassi, ucciso da Cosa Nostra nel 1991, ma anche le
denunce solitarie di imprenditori di oggi come il pasticcere di Cinisi, Santi
Palazzolo, o il meccanico del Comasco, Vincenzo Francomano, che credono nello
Stato e fanno arrestare i loro estorsori. "Non mi piace l'antimafia
strombazzata ai quattro venti, l'antimafia spettacolo - dice il pasticcere
siciliano -. L'antimafia vera si fa ogni giorno e la devono fare tutti i
cittadini, nel loro piccolo, rispettando le regole. Quella vera la fanno i
cittadini che si alzano tutte le mattine e che fanno rispettare le regole,
insomma che fanno il proprio dovere. Noi abbiamo un patto etico: i fornitori
vanno pagati alla scadenza, gli stipendi vanno pagati sempre quando previsti.
Questo è il rispetto degli altri. Ho sempre detto ai miei figli che ognuno di
noi deve fare la propria parte".
Sandro De
Riccardis (La Repubblica – 25 marzo 2017)
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