Cosa
ci spinge a seguire le gesta della nostra squadra del cuore? Insomma: perché
tifiamo? Di certo non è per essere più felici, almeno secondo Peter Dolton e George MacKerron, due economisti dell'Università del Sussex che in un recente report realizzato per il National
Institute of Economics and Social Research hanno indagato gli effetti che
ha sull'umore la passione per uno dei più diffusi e apprezzati sport del
pianeta: il calcio. Al netto di vittorie e sconfitte, dunque, quanta felicità
ci regala lo sport? Purtroppo per gli appassionati, guardando i risultati dello
studio il saldo sembra essere negativo: prendendo in considerazione i supporter
di entrambe le squadre, a fine match una partita di calcio tende a produrre
quasi due volte più tristezza che gioia, lasciando il mondo un po' meno felice
di quanto non fosse prima del fischio di inizio.
A
rendere possibile la ricerca - spiegano i due economisti - è stato un set di
dati molto particolare: quasi tre milioni di risposte raccolte negli ultimi
anni dall'app "Mappiness", un progetto della London School
of Economics pensato per monitorare gli effetti del lavoro e dell'ambiente
sull'umore dei cittadini inglesi. Fondamentalmente, si tratta di una app
gratuita che a intervalli casuali chiede all'utente di valutare il proprio
stato di felicità, e di fornire alcune informazioni sulle circostanze, il luogo
e la compagnia in cui si trova. In questo modo, Dolton e MacKerron hanno potuto
monitorare l'umore di oltre 32mila persone lungo un arco di diversi anni,
mettendo in relazione gioia e tristezza con i risultati della premier league e
con la fede calcistica degli utenti.
Stando
alla loro analisi, al termine di una partita di calcio i fan della squadra
vincitrice guadagnano 3,9 punti di felicità, in una scala che va da 1 a
100. Per fare un paragone, si tratta dello stesso effetto che provocano
l'ascolto della musica e simili passatempi rilassanti. I perdenti invece si
trovano in una situazione molto più estrema: l'umore dei fan in questo caso
peggiora infatti di 7,8 punti, esattamente quanto si registra al termine di una
estenuante giornata di lavoro o di studio, o mentre ci si trova nel bel mezzo
di una lunga fila. E se gli effetti della vittoria durano circa un'ora, quelli
di una sconfitta svaniscono ben più lentamente, visto che l'umore dei perdenti
resta pessimo anche a tre ore dal termine della partita.
Per
i ricercatori, le conseguenze di questi risultati sono inequivocabili.
Prendiamo un match ideale, in cui entrambe le squadre hanno lo stesso numero di
supporter: a fine partita la tristezza tra i perdenti sarà quasi due volte
superiore alla felicità provata dai vincitori. E aggiustando i risultati
tenendo a mente che gli effetti negativi sono ben più lunghi di quelli
positivi, un match di calcio produce circa quattro volte più tristezza che
felicit.
I
tifosi sembrano dunque irrazionali (se non masochisti) nel loro amore per
un'attività che, nella maggior parte dei casi, non fa altro che renderli più
tristi. Ma sono gli stessi autori della ricerca a proporre alcune possibili
spiegazioni alternative. A partire dai limiti intrinseci dei dati utilizzati
dal loro studio, che aiutano a monitorare l'umore preponderante al termine di
un incontro, ma non dicono nulla sui piccoli rush di emozione e i momenti di
gioia che si sperimentano quando la propria squadra segna un gol, quando il
proprio portiere para un rigore, o si assiste ad azioni di gioco
particolarmente emozionanti. Piccoli momenti di felicità che potrebbero
controbilanciare gli effetti di una sconfitta.
In
alternativa, è possibile che i tifosi non siano particolarmente affidabili nel
valutare le chance del proprio team. E partendo sempre con la convinzione che
la propria squadra abbia ottime probabilità di vittoria, non si rendono conto
di quanti dispiaceri gli diano in realtà le (magari frequenti) sconfitte
subite. O ancora: è possibile che il tifo sia di per sé un'attività che dà
dipendenza, o che più della gioia della vittoria i tifosi cerchino altre
esperienze, come il cameratismo che si crea sugli spalti, o l'approvazione dei
propri amici o del proprio gruppo sociale. Comprendere le ragioni del tifo,
insomma, non è un lavoro da poco, e non basterà un unico studio per avere una
risposta definitiva. L'unica certezza, almeno per ora, è che una sconfitta
brucia molto più di quanto non faccia gioire una vittoria.
Simone Valesini (La Repubblica, 25 luglio 2018)
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