Solo in un’epoca ipocrita, superficiale, ipnotizzata dai media,
attenta al clamore e ignara della sostanza, si poteva creare un fenomeno
come quello di Greta Thunberg diventata nel giro di un solo anno una
superstar, invitata all’Onu e corteggiata dai grandi della terra e anche
da importanti e globalizzanti imprese del mondo. Il problema non è
Greta i cui obbiettivi sono sacrosanti anche se incompleti (salvare la
Terra e gli uomini che la abitano dall’inquinamento). Il fatto è che
Greta e le anime belle che la seguono, credo in buona fede (le grandi
imprese sono invece in totale malafede perché sanno benissimo che dal
vibrante discorso della ragazza non sortirà nulla) sembrano non rendersi
conto che per salvarci non solo ecologicamente, ma per salvare, cosa
ancora più importante, la qualità della nostra vita, bisognerebbe
sradicare completamente l’attuale modello di sviluppo. Bisognerebbe
cioè, come sostengono alcune correnti di pensiero americane, il bioregionalismo e il neocomunitarismo,
“ritornare in maniera graduale, limitata e ragionata, a forme di
autoproduzione e autoconsumo che passano necessariamente per il recupero
della terra e il ridimensionamento drastico dell’apparato industriale e
finanziario”. Bisognerebbe tornare a una vita più povera e più
semplice. San Francesco che coniuga insieme il rispetto della natura
(cioè della terra, dell’aria, dell’acqua, del vento e di tutti i
fenomeni che l’accompagnano) con la povertà aveva capito tutto. Il
fraticello di Assisi che non a caso era figlio di un mercante capì per
primo, con cinque secoli di anticipo, che l’ascesa di quella classe
sociale, fino ad allora disprezzata da quasi tutte le culture del mondo,
ci avrebbe portato alla situazione in cui ci troviamo oggi. Il problema
dell’inquinamento è addirittura di secondo grado, perché l’uomo è un
animale molto adattabile, superato in questo solo dal topo. In primo
piano c’è la nostra vita che la Rivoluzione industriale, col trionfo
progressivo della Scienza tecnologicamente applicata e dell’Economia, ha
reso complessa, faticosa e in definitiva disumana. Insomma bisogna
tornare a essere più semplici e ragionevolmente più poveri (un accenno a
questa consapevolezza nel discorso di Greta Thunberg c’è quando si
scaglia contro il mito della crescita infinita). Se Greta e coloro che
la seguono sono disposti a fare nella loro vita molti passi all’indietro
noi siamo con loro. Sono la produzione e il consumo che vanno
radicalmente ridimensionati. Altrimenti tutto si ridurrà alle truffe
della green economy e della bio, che non solo sono pannicelli caldi di
fronte all’enormità del problema, ma si risolveranno in un ulteriore
rilancio dell’attuale modello di sviluppo e per questo sono viste con
favore dalla grande imprenditoria internazionale. In quanto ai 500
scienziati che hanno inviato una lettera all’Onu vantando la loro
competenza contro l’incompetenza di Greta e dei suoi è un modo di
sgravare la propria coscienza sporca perché è proprio l’idolatria della
scienza, non messa in discussione da nessuno, mi pare nemmeno da Greta,
che ci ha portato al modello disumano in cui oggi viviamo.
Tutte, o quasi, le cose di cui si sta anfanando in questi giorni io,
senza la pretesa di essere un ‘illuminato’ come Francesco (lui, frate,
crede in Dio, io no) le avevo scritte 35 anni fa ne La Ragione aveva Torto?,
dove per Ragione va intesa quella illuminista diventata il solo Dio
unanimamente riconosciuto, insieme al Dio Quattrino suo stretto
congiunto. Ne La Ragione facevo piazza pulita di tutti i luoghi
comuni che hanno portato i vincitori illuministi a definire “bui” i
secoli del Medioevo europeo, mentre i secoli veramente bui, secondo il
mio modo di vedere, sono quelli che abbiamo vissuto a partire dalla
Rivoluzione industriale e che ancora stiamo vivendo in forme sempre più
oppressive. Comunque non ci sarà lotta che potrà abbattere il mostruoso
apparato che abbiamo costruito e in cui ci siamo infognati. Crollerà da
solo sotto il suo stesso peso. Ma ai giovani, e non solo a loro, e in
questo Greta torna ad avere una ragione piena, bisogna lasciare almeno
la speranza: pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà come
diceva Antonio Gramsci.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 27 settembre 2019)
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