Ci voleva il gup Clementina Forleo per sistemare in un colpo solo la Procura di Roma, il sistema renziano e i sottostanti giornaloni. Chi legge il Fatto
non ne sarà stupito, visto che il caso Consip l’abbiamo sempre
raccontato per quello che è: una doppia, gigantesca trama per pilotare
il più grande appalto d’Europa in cambio di tangenti promesse al padre
di Renzi e al suo galoppino; e poi, scoperti quei traffici dai pm
napoletani Woodcock e Carrano e dal Noe, per rovinare l’indagine con
fughe di notizie dal Giglio Magico ai trafficoni che smisero di
trafficare e persino di parlare, facendo sparire le microspie da Consip.
Chi invece seguiva lo scandalo sui tg e i giornali, si era fatto l’idea
che pm e carabinieri eversivi avessero cospirato col Fatto per
rovesciare il governo Renzi a colpi di false accuse, false
intercettazioni, falsi verbali e false notizie contro quel martire di
babbo Tiziano. Ora l’ordinanza del gup, che rinvia a giudizio i renziani
Lotti, Vannoni, Russo e i generali Del Sette e Saltalamacchia per le
soffiate sull’inchiesta, ma soprattutto proscioglie l’ex capitano
Scafarto dalle accuse di falso e depistaggio, spazza via la più
colossale fake news politico-giudiziaria mai vista dai bei tempi di Ruby
nipote di Mubarak.
Lo scandalo Consip, come aveva ben capito la Procura di Napoli, erano
le trame sugli appalti e le soffiate sull’indagine, non certo gli
errori in buona fede di Scafarto né gli scoop di Marco Lillo,
come volevano far credere la Procura guidata da Pignatone e i suoi
house organ, più impegnati a indagare su chi aveva indagato e informato
che su chi aveva trafficato. Ora qualcuno, se proprio non riesce a
vergognarsi, dovrebbe almeno scusarsi. Scafarto, che coordinava
l’indagine del Noe, fu scippato dell’inchiesta, poi indagato e
addirittura interdetto dall’Arma: tutto perché, in un’informativa con
migliaia d’intercettazioni, aveva invertito i nomi dell’imprenditore
Romeo e del consulente Bocchino. Quella svista, che ora il gup giudica
“sicuramente involontaria” (le trascrizioni erano corrette e l’ufficiale
raccomandò ai suoi di rileggerle per evitare errori), gli costò
l’accusa di falso e depistaggio e la fama di taroccatore di prove per
“incastrare” direttamente Tiziano e indirettamente Matteo. I giornaloni
abbandonarono i condizionali sempre usati per Lotti e babbo Renzi (anche
su fatti assodati) e passarono all’indicativo, dando per certo il dolo
del capitano. Repubblica titolò: “Due carte truccate”, “Così hanno
manipolato le carte per coinvolgere Palazzo Chigi”. Ed evocò addirittura
“la sentina dei giorni peggiori della storia repubblicana”.
Tipo il piano Solo, il golpe Borghese, la strategia della tensione, la P2. Carlo Bonini sentenziò che Scafarto “ha costruito consapevolmente due falsi”, una “velenosa polpetta” per incastrare i Renzis e “alimentare una campagna di stampa che, con perfetta sincronia e sapiente ‘fuga di notizie’ (lo scoop del Fatto, ndr)”
doveva costringere la povera Procura di Roma a seguire quella deviata
di Napoli. Le stesse fandonie uscirono quando Lillo fu indagato per
violazione di segreto in combutta con Woodcock e la Sciarelli (poi
prosciolti con tante scuse, anzi senza). Non contenta, Repubblica (col Corriere e il Messaggero) pubblicò un verbale taroccato del procuratore di Modena Lucia Musti contro Scafarto e il capitano Ultimo,
che le avrebbero intimato di “far esplodere la bomba” Consip per
“arrivare a Renzi”. Poi si scoprì che la Musti aveva detto tutt’altro.
Da allora Renzi grida alla congiura contro il suo governo (peraltro
caduto da solo, dopo la disfatta referendaria del 4 dicembre 2016, due
settimane prima dello scoop del Fatto): “Lo scandalo Consip
è nato per colpire me e credo che colpirà chi ha falsificato le prove
per colpire il premier. Io lo so bene chi è il mandante”. E i migliori cervelli del Pd a ruota. Orfini: “Questo è il Watergate italiano, un caso di eversione, un attacco alla democrazia”. Zanda, Fassino, Nencini e il duo Andrea Romano-Mario Lavia: “Complotto”. E l’allora direttore di Repubblica, con grave sprezzo del ridicolo:
“L’idea che sia possibile disarcionare un primo ministro o chiudere una
carriera politica attraverso la manipolazione di intercettazioni e un
uso sapiente delle rivelazioni ai giornali è sconvolgente… Resta la
necessità di liberare le istituzioni da pezzi di apparati che, come
troppe volte nella storia d’Italia, agiscono in modo deviato ed
eversivo”. Parole degne di Sallusti, Feltri e Belpietro sui
processi a B.: dalle “intercettazioni a strascico” alla giustizia a
orologeria di Woodcock e Scafarto che nel “dicembre 2016, un mese
politicamente decisivo per il Paese… decidono i tempi” e imbeccano il Fatto, che “avvisa della tempesta che sta per succedere… perché la bomba scoppi”.
Poi
la bomba si rivela un’autobomba del Bomba. Il Watergate, un Water
closed. Il Piano Solo, un Piano Sòla. E ora il gup scrive che gli unici
depistaggi “volti a impedire il regolare corso delle indagini” sono
quelli di “ambienti istituzionali vicini all’allora presidente del
Consiglio Matteo Renzi”. Ma intanto il polverone ha
sortito i suoi effetti, dirottando l’attenzione generale dal vero
scandalo Consip a quello falso, consacrando i dogmi dell’Immacolato
Pignatone e del peccato originale napoletano, e fiancheggiando la
sterilizzazione dell’indagine. Che, per fortuna, è stata sventata dai
due gip: la Forleo ha prosciolto Scafarto (salvo ricorsi dei pm in
appello); e Gaspare Sturzo ha respinto la richiesta d’archiviazione per Tiziano e Romeo.
Intanto si son persi tre anni: l’ordinanza di ieri riporta le lancette
dell’orologio al Natale 2016, quando l’indagine passò da Napoli a Roma.
Tutto quel che è stato fatto, detto e scritto da allora è carta
straccia. Come ha sempre sostenuto il Fatto, in beata solitudine.Articolo di Marco Travaglio Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 4 ottobre 2019
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