Nel
libro “La furia delle immagini – Note sulla postfotografia” di Joan
Fontcuberta, edito dalla Einaudi nel 2016,
si legge tra l’altro che “nel suo processo più tradizionale, la
fotografia non è altro che un deposito di atomi d’argento organizzati secondo
una determinata configurazione. Invece la fotografia digitale è un mosaico di
pixel, il risultato di una codificazione numerico-binaria. La postfotografia,
quindi, fornisce un’informazione visiva senza bisogno di un supporto: privo di
corporeità, l’essere postfotografico diviene pura anima, puro spirito.”
Proseguendo nel suo ragionamento scrive ancora che “la fotografia non si stampa
più, anzi opera come un’eterea composizione di pixel che è ubiqua, saltando
come un saltimbanco da schermo a schermo; perde quindi le sue caratteristiche
materiali, la sua fisicità. Senza la sua condizione di oggetto fisico,
l’immagine non può essere investita del suo potere magico e smette di agire
come un talismano o una reliquia.”
Si
potrebbe pure osservare che anche i pixel necessitano di una struttura che,
ancorchè tecnologicamente avanzata, possa permettere la materializzazione
visiva del supposto etereo depositato a sua volta su un supporto moderno che lo
conservi per la decodifica. Ma non è questo il punto.
Un’altra
considerazione espressa da Fontcuberta riguardo allo strumento fotografico è quella che, mentre le reflex manuali o
automatiche, ancorchè necessitanti dell’utilizzo di una pellicola, avevano un loro
limite di utilizzo nel collasso meccanico del mezzo, le nuove macchine digitali (incluse
le mirrorless) hanno un limite certo nella ricettività massima di informazioni di un
sensore, quantificabile in circa duecentocinquantamila scatti.
In
considerazione di quanto detto e di fatto accertato, ascoltare ancora dibattiti sulla scarsa
valenza delle immagini realizzate con l'uso di cellulari (anche i più evoluti) apparirebbe come dialogare su
un qualcosa che è assolutamente fuori dalla logica e dal tempo.
Nell’era
del pixel disquisire oggi sul mezzo che consente di realizzare un’immagine
non ha alcun senso. Costituisce solo un continuare a discutere su qunto può risultare conformante e ottimale la marca della macchina utilizzata
(come per le dispute eterne fra Nikonisti, Canonisti e via dicendo).
Sarebbe sostanzialmente quasi
rimanere fermi alla diatriba della valenza dell’analogico rispetto al digitale.
Cose ormai obsolete che appartengono al passato e superate dai tempi.
Buona luce a tutti!
© Essec
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