«Scusami Gennà, ma tu parli parli e alla fine non hai detto niente» dice il dottor Palluotto.
«Come sarebbe a dire che non ho detto niente?»
«Volevo dire che alla fine di tutta la tua dissertazione politica tu non ci hai fatto capire quale siano in parole povere le tue idee politiche.»
«Il dottor Palluotto, professò, vorrebbe sapere voi per chi avete votato» suggerisce Saverio.
«Ed io l’avevo capito. Voi qua per forza volete schedarmi, e già perché logicamente voi dite che, in una discussione politica, un povero dio come può fare a parlare con uno se prima non ha capito se questo qui è fascista o è comunista. Non è vero, Vittò?»
«Ma che c’entra questo» ribatte il dottor Palluotto. «A me non me ne frega assolutamente niente di sapere per chi hai votato. Io volevo umilmente farti osservare che nella tua conferenza politica di poco fa, tu hai sostanzialmente fatto due asserzioni: hai detto che il potere, qualsiasi sia l’ideale scelto come mezzo di affermazione, altro non è che il manifestarsi di un istinto di sopraffazione da parte di una minoranza nei confronti della collettività, e poi hai criticato qualsiasi iniziativa rivoluzionaria contro il potere, predicando la moderazione riformistica. Ora a me sembra, correggimi se sbaglio, che consigliare il prossimo a disinteressarsi della politica, in quanto corsa al potere, e nello stesso tempo invitarlo a rallentare ogni spinta rivendicativa, equivalga tutto sommato a fare un discorso qualunquista che, guarda caso, coincide proprio con i “desiderata” dei signori che detengono il potere. A questo punto professor Bellavista io ti chiedo: giù la maschera e dicci da che parte stai. Quali sono le tue vere idee politiche?»
«E se ti confessassi che io, Gennaro Bellavista, un’idea politica non ce l’ho? E se ti dicessi: Vittorio mio, l’unica idea politica che mi viene in mente certe volte è quella di restare chiuso in casa a pensare? Mi crederesti sì o no?»
«E no che non ti crederei.»
«E forse avresti ragione. Comunque io adesso vorrei proporvi una cosa: siccome tempo ne abbiamo e parlare ci piace, cerchiamo di fabbricarci, di comune accordo, un ideale politico che vada bene per tutti.»
«Secondo me non ci riusciremo mai.»
«E va bene, e allora vorrà dire che ci avremo provato. Ma vediamo almeno dove andiamo a finire. Dunque iniziamo con una domanda: che cosa pensate che un ideale politico debba volere sopra ogni altra cosa?»
«Be’,» risponde il dottor Vittorio «secondo me su questo non ci sono dubbi: il bene primo è la giustizia sociale. In fondo che cosa è lo stato? Un ente la cui ragione di essere è dovuta al fatto che gli uomini sono ancora dei grandissimi figli di puttana. “Homo homini lupus diceva Hobbes. Ora ragioniamo: se è l’egoismo a creare lo stato, è chiaro che primo obiettivo di questo stato debba essere il controllo di questo egoismo, ovvero il raggiungimento di una giustizia sociale.»
«Sono perfettamente d’accordo con il dottore sull’importanza della giustizia sociale,» dico io «ma veramente vorrei ricordare anche qualche altro bene fondamentale a cui, secondo il mio parere, uno stato dovrebbe tendere. E parlo, mi avrete già capito, della libertà individuale. Il termine libertà purtroppo è vago, dato il grandissimo uso che tutti ne fanno, però se vogliamo collegarci a quanto detto proprio in questo momento dal dottor Vittorio e cioè ai motivi che determinano la nascita dello stato, ci accorgiamo che lo stato nasce coercitivo cioè ha come primo obiettivo la limitazione della libera volontà degli esseri umani...»
«Si ma solo per disciplinarne gli impulsi predatori, cioè per evitare che si commettano atti ingiusti verso gli altri.»
«D’accordo, ma dal momento che la valutazione morale di questi atti è affidata allo stato e che questo stato in ogni caso è costituito da esseri umani cioè da quei lupi di cui parlava Hobbes, non possiamo non tenere in grandissimo conto la libertà individuale...»
«Vedo con piacere,» dice Bellavista «che siete subito giunti al nodo del problema: giustizia e libertà, collettivismo e individualismo.»
«Ma perché non diciamo che ci piacciono tutte e due, giustizia e libertà, e non ne parliamo più» propone Saverio.
«Perché pare che tutte e due, Savè, non si possono avere» risponde Salvatore. «E allora uno si deve decidere: vuole mangiare in silenzio o preferisce la libertà di morirsi di fame?»
«Ma questo secondo me,» dice Luigino «dipende dal carattere della persona. Io per esempio se fossi un’antilope e dovessi scegliere tra la foresta vergine insieme con i serpenti ed i leoni, ed il giardino zoologico dove tutti i giorni viene il guardiano a portarmi da mangiare, io non avrei dubbi: foresta vergine.»
«Si va bene Luigi,» interviene Saverio «però tu renditi conto che a Napoli noi siamo quasi tutti disoccupati e che il Comune, che poi sarebbe il nostro giardino zoologico, già tiene venticinquemila dipendenti e che ha detto che non ne può assumere più. Così noi, ogni mattina, ci dobbiamo buttare tutti insieme nella foresta vergine. E siamo tanti Luigì. E allora sai che ti dico? Che un poco di giardino zoologico, magari a turno, in fin dei conti non ci dovrebbe fare tanto male.»
«Signori, un po’ di attenzione per favore!» interrompe il professore. «Vorrei raccontarvi quello che diceva a questo proposito un grandissimo pensatore contemporaneo: Bertrand Russell. Dunque il grande vecchio sosteneva che al mondo esistono due tipi di beni: i beni materiali ed i beni spirituali, e due tipi di impulsi corrispondenti: gli impulsi possessivi e gli impulsi creativi. I beni materiali sono caratterizzati dal fatto di essere finiti nella loro quantità. In altre parole, secondo Russell, se io adesso mi bevo tutto il vino che sta in questa bottiglia, voi qua rimanete tutti a bocca asciutta, e quindi il vino è un bene materiale.»
«Pure secondo me» dice Saverio.
«I beni spirituali sono invece caratterizzati dall’essere illimitati nella quantità. Se a me piace Beethoven, io sono in grado di farmene una scorpacciata senza per questo togliere a nessuno di voi la possibilità di apprezzarlo nella stessa misura. Anzi più io sento Beethoven e più può essere che lo sentite pure voi. Affermata quindi la superiorità qualitativa dei beni spirituali sui beni materiali, Russell fa subito una considerazione di fondamentale importanza ai fini dei nostri discorsi: l’uomo non può essere disponibile ad alcun impulso creativo se prima non ha soddisfatto il suo bisogno base di beni materiali.»
«Se non sbaglio, professò,» interviene Salvatore «questo vostro amico vuole dire che a stomaco vacante Beethoven si sente una schifezza?»
«Precisamente. Ma purtroppo la faccenda è molto più complessa di quello che si pensa: che cosa vuol dire “bisogno base di beni materiali”? Qual è la giusta misura di beni che a ciascuno compete? In un mondo in cui tutti hanno la macchina, un povero cristo che non ce l’ha, giustamente si sente povero. Quindi quando parliamo di giusta distribuzione di beni materiali, dobbiamo riferirci non alla dotazione necessaria e sufficiente per la sopravvivenza fisica dell’essere umano ma bensì alle condizioni medie di vita di quel paese in quel momento storico. Insomma sembra che l’uomo, signori miei, sia disponibile ad evolversi in senso spirituale solo quando è riuscito a superare quello che lui ritiene essere il suo livello consumistico di base. Ora noi in questi ultimi secoli abbiamo visto affermarsi sostanzialmente due modelli politico-economici: il capitalismo ed il comunismo. Sarebbe interessante analizzare, alla luce delle considerazioni adesso fatte, quali siano i limiti di questi modelli politici. Il capitalismo, inventato da un signore che si chiamava Adamo Smith, è un modello di sviluppo basato sulla libera concorrenza che ascrive al proprio passivo due colpe fondamentali: primo, non garantisce la giustizia sociale, secondo, distoglie l’umanità dai beni spirituali. Il motore, di cui si serve il capitalismo per portare avanti il sistema, usa come carburante l’egoismo dell’uomo, ovvero l’unica risorsa energetica attualmente presente in ogni parte della terra. In mancanza di senso civico e di amore evangelico il capitalismo fa appello all’avidità dell’uomo e inventa la religione del profitto. I canoni di questa religione sono abbastanza semplici: l’uomo s’identifica col suo conto bancario. Il merito gli viene riconosciuto con il potere o con i contanti. Siamo in piena spirale consumistica. L’uomo è obbligato a produrre sempre di più per poter comprare quello che ha prodotto in eccedenza. Non esiste tregua. Non c’è spazio per una pausa, per la ricerca di un bene spirituale. L’impulso creativo non riesce a svilupparsi proprio perché l’uomo è troppo distratto dalla ricerca del denaro necessario a sostenere le spese della sua prossima villeggiatura. Ma che cosa è successo? Perché un tempo eravamo felici con meno? La risposta è semplice: il consumismo ha alzato il suo prezzo. Il livello minimo di benessere di oggi è più alto. Domani lo sarà ancora di più e tu uomo dovrai soffrire sapendo di non possedere nemmeno un televisore a colori.»
«Dite a me professò?» risponde Salvatore. «Io non tengo nemmeno il secondo canale, e quando è il mercoledì, che ci sta il film sul secondo, dobbiamo andare da mia cognata che sta nel vicolo appresso.»
«E veniamo al comunismo» continua imperterrito il professor Bellavista. «Qui ci troviamo di fronte ad un regime che finora per raggiungere l’obiettivo per cui è nato, la giustizia sociale, è dovuto ricorrere alla forza, cioè alla cosiddetta dittatura del proletariato. E come tutti i fenomeni di potere assoluto, siano essi costituiti da un partito politico o da un’azienda industriale, pretende l’uniformità della base. Perché, signori miei, non ci facciamo illusioni, dove regna il potere assoluto non esiste l’individuo e quindi non esiste la libertà.»
«Ma secondo me» dice il dottor Vittorio «dovremo prima accordarci sul significato della parola libertà.»
«Vittò ti ripeto pari pari le parole di Russell: un ideale politico deve avere come massimo obiettivo l’individualità L’uomo politico non deve pensare al popolo come massa uniforme ma come tanti esseri umani diversi: uomini, donne, bambini. Uomini che pensano, che sono diversi perché d queste diversità di pensiero nasceranno le idee del futuro Individualismo significa vita, uniformità significa morte. Ora invece chi comanda sa che è tanto più facile comandare quanto più è uniforme la base. La omogeneità dei sudditi li rende prevedibili. E come una cattiva giustizia sociale produce un’imperfetta distribuzione dei beni materiali, così una mancanza di libertà individuale costringe le menti in spazi sempre più ristretti, né più né meno, dice Russell, come un tempo usavano fare i cinesi con i piedi delle donne. Morale: anche con il comunismo gli impulsi creativi si vanno a far benedire seppure per motivi completamente diversi da quelli del mondo occidentale.»
«Scusami Gennà, ma io penso che tu qua commetti uno sbaglio grossolano. L’Oriente ha in grandissimo conto il bene spirituale e ciò te lo dimostra sia l’impegno con il quale il mondo comunista ha affrontato fin dall’inizio il problema dell’istruzione, sia il fatto che nelle fabbriche e negli uffici l’incentivazione è esclusivamente morale. In pratica non è la sete del maggior guadagno che spinge l’operaio comunista a lavorare meglio ma la consapevolezza di servire la collettività. Questo è il vero miracolo comunista.»
«Vittorio mio, a prescindere che su questi miracoli io non metterei le mani sul fuoco, qui facciamo a non capirci. Io per libertà intendo principalmente la libertà di pensiero e fino a prova contraria la ritrovo in parte solo nei regimi a democrazia parlamentare.»
«Ma sempre in una economia capitalista.»
«Sissignore, ma benedetto Iddio, perché non tentare di giungere ad un regime democratico che, retto da una pluralità di partiti, limiti attraverso leggi opportune il cinismo del capitale e nel contempo spinga gli uomini, attraverso tutti i canali d’influenza e cioè attraverso i giornali, il cinema e la televisione, alla ricerca dei beni spirituali.»
«Sempre dopo i beni materiali, non è vero professò?» chiede Salvatore.
«Ovviamente, dal momento che la recettività dell’uomo all’impulso creativo è massima quando l’uomo stesso si è liberato delle sue schiavitù materiali.»
«Tutto questo mi sta bene» dice il dottor Palluotto. «Però io vorrei sapere da te perché continui a pensare al comunismo come ad un regime dittatoriale. Insomma tu dici comunismo e pensi alla Russia, confessalo Gennà. Perché invece non ti sforzi di immaginare un comunismo diverso: un comunismo italiano?»
«A prescindere che avrei tutti i motivi per pensare al comunismo come ad un regime dittatoriale, io ho solo detto che preferisco a qualsiasi tipo di regime assoluto un governo democratico.»
«E chi ti dice che il comunismo italiano non possa rimanere un regime democratico?»
«D’accordo, ma allora dimmi in che cosa differirebbe il tuo partito comunista da un partito socialdemocratico? No Vittò, ti ripeto, finché sarà possibile io vorrei comprarmi tre giornali al giorno e mi sentirò libero fino a quando questi tre giornali mi racconteranno lo stesso fatto in tre maniere diverse.»
«I tuoi tre giornali però sono diversi solo nella prima pagina, Gennaro mio, cioè nella pagina politica, mentre invece sono perfettamente uguali nelle pagine successive ed è là che si nasconde l’insidia.»
«Non ho capito dove vuoi arrivare.»
«Ed io te lo dico. Volevo dire che c’è qualcosa di uguale in tutti i mezzi d’informazione, siano essi fatti d’immagini televisive o di carta stampata, e questo qualcosa di eguale è la pubblicità ovvero la propaganda del capitalismo. Tu vagheggi un mondo dove la scala dei valori veda primeggiare i beni spirituali e la pubblicità intanto ti frega plagiando le menti più deboli e spingendole verso i consumi superflui.»
«Qui sono perfettamente d’accordo con te ed è per questo che credo indispensabile combattere il capitalismo moderno.»
«Ma come puoi combatterlo da solo se non attraverso una sostanziale spinta politica, il che tradotto in termini pratici significa attraverso un partito sufficientemente appoggiato dal consenso popolare. Ora fino a prova contraria Bertrand Russell in Italia non ha fondato nessun partito e quindi, tu puoi abbattere il capitalismo solo con l’aiuto del partito comunista italiano.»
«E se invece di delegare alla spinta i soli comunisti provassimo a spingere tutti insieme?»
«Ma per quanto mi riguarda,» dice Saverio «non contate su di me, forza di spingere non ne ho. Datemi prima un posto sicuro e una casarella di due stanze solo per la mia famiglia e poi veniamo a spingere pure noi. Beato a voi professò che ogni mattina vi leggete tre giornali, e non lo dico per il tempo perché io quello ce l’ho, anzi a dire la verità proprio di tempo ce ne ho in abbondanza, ma la cosa che più vi invidio con tutto il cuore professò sono le quattrocentocinquanta lire che voi spendete ogni mattina per comprare i giornali. Ma mònu’ bello bicchiere ‘e vino. Alla vostra salute professò, che possiate campare cent’anni. Io di politica vi confesso che non ne capisco proprio niente. Salvatore s’arrangia perché tiene un cugino extraparlamentare, come si dice, che lo tiene informato, ma io a dire la verità quando debbo andare a votare mi sento come un asino in mezzo ai suoni e finisce sempre che voto per fare qualche piacere a un amico. E così succede che una volta voto destra nazionale e un’altra voto comunista Mi ricordo per esempio che quando ci fu il referendum per il divorzio, mi misi d’accordo con Ferdinando che siccome lui voleva votare “si” ed io volevo votare “no” decidemmo di non andare proprio a votare, ci bevemmo in portineria un litro di Gragnano alla salute del referendum e per evitare che uno dei due potesse votare il giorno dopo buttammo i certificati nel cesso, con decenza parlando. Ma scusate professò, ma come volete che a me possa importare del divorzio se io non tengo nemmeno la forza di separarmi dai Percuoco?» non vi pigliate collera e bevetevi pure voi
«I Percuoco? E chi sono i Percuoco?»
«La famiglia Percuoco, padre, madre, cognata sorda e quattro fedayn che la signora Percuoco si ostina a chiamare “quelle povere creature mie”.»
«E che c’entrano i Percuoco con il divorzio?»
«E adesso ve lo spiego. Lui don Ernesto Percuoco sarebbe pure una brava persona che si arrangia a fare il conoscitore...»
«Come, il conoscitore?»
«Il conoscitore è uno che conosce. Per esempio a voi vi si scassa l’automobile, allora voi andate da don Ernesto e lui subito vi accompagna da un amico meccanico e vi presenta come amico suo, e cosi succede che voi pagate di meno perché il meccanico vi fa lo sconto e don Ernesto si guadagna qualche piccola cosa per la presentazione.»
«E quali fornitori conosce?»
«Qualsiasi tipo di fornitore: piastrellisti, idraulici, sarti, pompe funebri, ristoranti, elettricisti e via dicendo.»
«Ma se ho ben capito questo Percuoco abita nella vostra casa» chiedo io.
«Proprio così» risponde Saverio. «E si perché io, Ernesto Percuoco l’ho conosciuto sotto le armi quando facevo lI militare a Fortezza, che poi in seguito ci siamo visti ancora a Napoli al biliardo di via Mezzocannone, dove ci facevamo di tanto in tanto qualche partitella a scopa. Ora voi sapete come vanno queste cose: “Ma che bella casa che tieni! Ma che te ne fai di una casa cosi grande! Ma perché non mi subaffitti una stanza a me e a mia moglie e uno stanzino a mia sorella che tanto quella tra pochi giorni si sposa ad un maestro di scuola e se ne va. Io e mia moglie siamo delle persone tanto tranquille. Non ci vedi e non ci senti. Siamo sposati da cinque anni e non abbiamo figli. Il Signore non ha voluto”. Ne’ che ne potevo sapere io che il Signore fino allora non aveva voluto e che poi, come i Percuoco mettevano piede in casa mia, cambiava parere! Quattro figli in cinque anni! La signora non arrivava a sgravare che già stava incinta un’altra volta! Adesso il più piccolo tiene otto anni. Giorni fa ha tentato di incendiare l’edicola dei giornali a piazza Sant’Anna perché il giornalaio, don Eugenio, gli aveva schiattato (sgonfiato) il pallone. Amelia, la sorella, è diventata sorda ed il fidanzato si è fatto prete ed anche per questo non se l’è voluta sposare più. Ora a questo punto voi vi dovete immaginare per un momento quello che succede a casa mia. I quattro figli Percuoco ed i tre figli miei fanno complessivamente sette malviventi che un’ora sì ed un’ora no cercano di uccidersi tra di loro e quando fanno pace si mettono tutti insieme per cercare di uccidere qualche estraneo. La mia signora generalmente passa il tempo a ricevere e a dire male parole alla signora Percuoco che essendo figlia di un ex cocchiere di carrozzella ha una vocazione innata per la conversazione colorita. Insomma, in parole povere, il Medio Oriente messo a confronto con casa mia è soltanto un paese dove esiste qualche diversità di opinione. Ora io ce lo dico sempre ad Ernesto. Ernè trovati una casetta! Qua uno di questi giorni ci scappa il morto, qua non si può più andare avanti, separiamoci! Niente. Lui dice che è subaffitto bloccato e che nemmeno un reggimento di truppe corazzate lo farebbe abbandonare la casa. Adesso voi mi direte ma che c’entrano i Percuoco con il divorzio? Ma come che c’entrano! Se uno non riesce nemmeno a separarsi dai Percuoco come volete che si possa separare da una moglie e trovare pure i soldi per vivere in due case diverse?»
«D’accordo Savè, ma se il tuo matrimonio non fosse felice, e se tua moglie ti facesse le corna, mi dici tu senza divorzio che cosa faresti?»
«Che cosa farei? In primo luogo nel dubbio la ucciderei e poi, trovandomi facendo, ucciderei pure la signora Percuoco cu tutt’e guagliune.»
Luciano De Crescenzo (Così parlò Bellavista - Mondadori - 1977)
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