Ieri, a Otto e mezzo, c’era quel furbacchione di Matteo Richetti. Persona intelligente e scaltra, quando si trova a difendere per partito preso ciò su cui è il primo a non credere poi granché – ovvero Renzi e il renzismo – utilizza una tecnica dialettica vecchia come il codice di Hammurabi: fingere di dare ragione a chi ti sta criticando. Ieri lo ha fatto con Antonio Padellaro: “Padellaro qui ha ragione”, “Posso essere d’accordo”, “Non nego che in parte sia così”. Esaurito tale artificio, Richetti ha poi riassunto le motivazioni degli scissionisti con un semplicistico “Renzi gli sta antipatico”. Magari fosse quello. Renzi non è solo antipatico, ma privo pure di qualsivoglia talento. L’antipatia bisogna potersela permettere. E lui non può: si atteggia a Messi quando al massimo è Dertycia.
Il punto non
è personale, bensì politico.
Lasciamo stare gli scissionisti veri o presunti. Pensiamo a quelle centinaia di
migliaia di persone che, pur avendo dato credito a Renzi nel 2014, oggi non lo
rivoterebbero neanche sotto tortura. Davvero, secondo il prima-renziano-poi-no-adesso-sì-domani-vediamo
Richetti, è solo questione di “antipatia”? Se così fosse, gli riassumo (per
sommi capi) la sconfinata lista di disastri
commessi da Renzi. Disastri che, fino all’altro giorno, era il
primo a notare. Infatti, prima di imbarcarlo in fretta e furia nel carrozzone
dei “votiamo sì il 4 dicembre per sconfiggere l’Isis come dice la mia amica
Boschi”, Renzi detestava Richetti ritenendolo una sorta di Civati 2 La Vendetta. Ecco la
lista parziale, caro Matteo (Richetti).
1. Una classe
dirigente improponibile, fatta di “Ciaoni” Carboni e “Dolci Forno” Picierni, al
cui confronto Fedriga è Churchill e Crimi “Bob” Kennedy.
2. La
sconfinata mestizia, e magari fosse solo mestizia, del cosiddetto giglio
magico.
3. “La buona
scuola”, riforma quasi del tutto indecente grazie alla quale il Pd si è giocato
l’appoggio degli insegnanti.
4. Il “Jobs
Act”, che a Farinetti e Briatore è piaciuto
parecchio, ma agli operai meno.
5. I giovani,
così attratti dal giovine gattopardo-rottamatore da votare tutti tranne lui.
6. Gli
intellettuali, che a parte Baricco sono scappati così lontano dal Pd che adesso
Carofiglio, per recuperarli, dovrebbe essere come minimo uno sciamano
navajo coi controcazzi.
7. Liguria,
Veneto, Roma, Napoli, Torino, Arezzo, Sesto Fiorentino. Eccetera.
8. Quel gran
genio di De Luca, forse
esponente illustre di quella sinistra “a cui pensavamo noi emiliani quando
volevamo un mondo unito dopo la caduta del Muro” (cito Richetti ieri sera,
parola più parola meno).
9. Alfano,
Verdini, Lorenzin e questo bel governo rimasto più o meno lo stesso nonostante
la Waterloo meravigliosa del 4 dicembre.
10. Una riforma
costituzionale da vergognarsi in eterno, scritta peraltro peggio delle bozze di
Moccia.
11. Una legge
elettorale “che tutti ci invidieranno”. E infatti si è visto.
12. La
bocciatura della riforma Madia, le
mancette per (non) vincere il referendum, il “salvabanche” per “quelle tre
banchette toscane” (cit Renzi), i condoni
pronunciati all’inglese (do you know volountary disclosure?), la mancata lotta all’evasione. E molti altri demoni.
13.
L’occupazione della Rai, roba che in confronto la Legge Gasparri era quasi figa e Minzolini meritava il Pulitzer.
14. L’Unità attuale, che non è morta perché non la
compra nessuno: si è suicidata leggendo andrearomano.
15. Il
sistematico disprezzo per il dissenso, l’opposizione e tutto ciò che non era
iper-renziano. “Gufi”, “professoroni”. E magari “specchio riflesso”, come si
faceva all’asilo, che è poi lo stadio intellettuale a cui è rimasto il
renzismo.
16. Una
carrellata infinita di sconfitte, al punto tale che – in neanche tre anni – il
renzismo è riuscito a dilapidare quasi tutto.
17. Le bugie come se piovesse, compresa quella mitologica
secondo cui “se perdo mi ritiro a vita privata e faccio triathlon”. Né la prima
e neanche la seconda, a giudicare dal girovita (e dal giromento).
18. La
sistematica sopravvalutazione di un bischeruccio che al bar di Montione avremmo
zimbellato senza pietà, ma a cui avete permesso di spolpare per anni il partito
(e pazienza) e pure il paese (e questo resta imperdonabile)
Potrei
andare avanti a lungo, ma mi fermo qui. Caro Matteo (Richetti), sfottere
gli scissionisti per il poco coraggio o per
quella loro propensione al politichese prebellico è facile. E ci sta pure. Non pretendere però
che tutti gli italiani siano così deficienti da credere che sia solo una
questione di “antipatia”. Ed è pietosa pure la tua – e non solo tua – litania
del Renzi che “ha imparato la lezione, d’ora in poi sarà diverso”: l’uomo
è questo e questo sarà. Lo sai
meglio di chiunque altro. Non conosce velocità diversa da questa goffa e
sciagurata modalità “bulletto comicamente tronfio”. Non è strano che si parli
di scissione: è strano che se ne parli solo adesso, dopo che Renzi e il suo Giglio-Barnum hanno
raso al suolo un partito che, almeno in via teorica, doveva essere di
centrosinistra. Non certo la versione quasi-giovanilista e iper-caricaturale
del berlusconismo 2.0.
P.S. Sai
qual è la cosa triste, Matteo (Richetti)? Che tra le alternative a Renzi ci
siano ormai quasi tutti. Tranne te. Fa un po’
tristezza, constatare come la tua ambizione nascosta fosse quella di assurgere
a “Nardella dotato”. Evidentemente non ti vuoi poi così bene come sembra. Peccato.
Andrea Scansi (Il Fatto Quotidiano – 22 febbraio2017)
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