Salendo
sul carro di una sentenza che ha condannato il Comune di Brescia a
risarcire due residenti che si sono ritenuti danneggiati dagli
schiamazzi provocati dai giovani all’uscita di alcuni locali del centro,
il sindaco di Firenze Nardella, che non avrà fatto il boyscout come
Matteo Renzi ma ne respira la stessa aria perbenista e ipocrita, già
noto per essere stato il primo in Italia ad aver introdotto il reato di
prostituzione, ha intenzione di inasprire i provvedimenti anti movida:
divieto di vendita di alcol d’asporto e blocco di tre anni per i nuovi
locali e i minimarket che dal 6 maggio scorso ha bloccato l’apertura di
54 nuovi bar. Dichiara Nardella: “ Il combinato disposto tra
Brescia e la circolare Minniti indica la strada per misure sempre più
restrittive”.
Il
divieto di aprire nuovi locali rischia di dividere la città in settori,
in ghetti, alcuni destinati alla movida e altri invece off-limits, e
quindi i ragazzi non possono più scegliersi i luoghi del divertimento
secondo il loro gusto e istinto ma devono radunarsi in qualcosa che
somiglia a dei campi di concentramento decisi dall’Autorità (misure
degne della Cina di Xi Jinping). Questa storia dei ghetti sta già
cercando di introdurla l’assessore al Commercio di Torino, Alberto
Sacco, che insegue l’ambizioso, quanto paranoico, progetto di “una vita
notturna divisa per distretti enogastronomici”.
Dovrebbe
essere arcinoto che il proibizionismo, come certe medicine, provoca
effetti paradossi, cioè opposti al fenomeno che si vuole contrastare.
Negli Stati Uniti, nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale,
sotto la spinta di nobili e pie intenzioni (i promotori erano
soprattutto dei religiosi integralisti) si bandì la vendita di alcol per
una quindicina d’anni. Risultato: consumo di alcol, acquistato al
mercato nero, in ascesa verticale insieme alla criminalità legata al
mercato proibito. Quando in Unione Sovietica Gorbaciov (“distruggi un
Impero e andrai a Sanremo”) salì al potere si mise in testa di limitare
il consumo di vodka dei russi: nei ristoranti non si poteva servire
vodka prima delle due del pomeriggio e la vendita negli spacci era
limitata dalle due alle quattro. Risultato: fino alle due i ristoranti
erano vuoti e dalle due alle quattro, intorno agli spacci, si creavano
lunghissime file che si attorcigliavano, per interi isolati, intorno ai
brutti grattacieli della nuova Mosca costruita da Stalin, e all’uscita
dello spaccio il fortunato che era riuscito a procurarsi le tre
bottiglie di vodka consentite le distribuiva agli amici e tutti insieme
andavano allegramente a ubriacarsi nel primo giardinetto disponibile.
A
parte il fatto che non è che i ragazzi prendano la bottiglia e se la
vadano a bere chissà dove ma, soprattutto d’estate, si bevono il
bicchiere appena fuori dal locale (si vada a dare un’occhiata al
Cocoricò, il più famoso locale che sta fra Rimini e Riccione)
bisognerebbe capire che i nostri giovani, privi ormai, e con buone
ragioni, di passione politica, di idee per cui valga la pena battersi e
ai quali è negata qualsiasi azione che esca dagli infiniti regolamenti,
ordinanze, diktat, hanno bisogno, come vuole la vitalità della loro età,
di un qualche sfogo. Noi adulti siamo diventati troppo insofferenti,
nevrotici non sopportiamo alcun rumore: il bimbo del vicino che piange,
il cane che ci zampetta sopra la testa, quello che abbaia, figuriamoci
gli schiamazzi della movida. Credo che dovremmo, tutti, fare un bello
stage in Siria o nel Kurdistan o in Afghanistan.
Comprimere
la vitalità dei giovani, e la movida in assenza d’altro è un modo per
esprimerla, può portare solo in due direzioni: o se ne fa degli
smidollati, operazione già abbondantemente riuscita, o li si induce alla
violenza vera. Non si può stare in pantofole a vent’anni.
L’aggressività
è un elemento della vitalità e non può essere eliminata del tutto, si
può solo canalizzarla in modo che non superi un certo livello di
guardia. Volendo creare una società perfettina, asettica, sempre più
astratta (oggi un ragazzo non può più nemmeno sfogarsi allo stadio, c’è
“la discriminazione territoriale”) noi abbiamo dimenticato alcuni
elementari che erano ben presenti alle civiltà che hanno preceduto la
nostra ma che sono riconosciuti anche dalla moderna psicanalisi. Si
potrebbero fare infiniti esempi di come alcune civiltà che noi riteniamo
rozze e primitive riuscissero senza negarla a tenere l’aggressività
sotto controllo. Ma ci limitiamo alla Grecia antica e all’istituto del
‘capro espiatorio’. Il ‘capro espiatorio’ era uno straniero o un meteco
che veniva mantenuto e ben nutrito dalla polis. Quando in città, per
qualche ragione, si creavano delle tensioni il ‘capro espiatorio’ veniva
sacrificato per concentrare su di lui l’aggressività che stava
pericolosamente emergendo. Come si chiama in greco il ‘capro
espiatorio’? Si chiama pharmakos, medicina.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 24 ottobre 2017)
Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.