Una mattina dell'estate scorsa, alle ore 4, non potevo dormire e decisi di fare la consueta passeggiata quotidiana a quell'ora, attorno a Piazza di Spagna.
Ritorno a casa da Via Condotti, quando due ragazzi (venticinquenni, ho saputo dopo) mi vengono lentamente incontro e, con aria spavalda, uno rivolto a me, che sostengo in maniera decisa il loro sguardo dice: "Noi ci conosciamo, ma dove ci siamo incontrati?"
Rispondo "di botto": "Certamente a Rebibbia!" (si tratta del carcere romano dove sono stato "ospite" per circa sei mesi).
I ragazzi si guardano attoniti tra loro e ll'unisono esclamano: "Impossibile! Noi siamo stati solo a "Regina Coeli" (per chi non lo sapesse altro carcere romano).
Il ghiaccio, come si usa dire, si era rotto e i ragazzi mi "circondano", manifestando grande cortesia ed attenzione.
Uno di loro (sempre lo stesso, il "capo" presumo), osserva: "Ma Lei, data la sua personalità (con capisco da che cosa abbiano derivato la "personalità", tranne il fatto che ero vestito con giacca e cravatta e camicia, come al solito) e la sua età, non può essere stato "dentro" che per associazione mafiosa".
Colpito da tanta perspicacia rispondo: "E' proprio così".
A questo punto, guardandoli in viso, ho la certezza di essere diventato "qualcuno" per loro e chiedo "autorevolmente": "Ma voi che fate?".
"I ladri", rispondono assieme.
Stabilitasi la "familiarità" uno (sempre lo stesso) incalza: "Eppure noi la conosciamo, ma Lei chi è?".
Rifletto per qualche attimo e penso: "Ora mi butto".
"Mi chiamo Vito Ciancimino" sillabo.
Ho, netta, la sensazione di aver pronunciato una parola magica.
Mi rimane, tuttora, impressa nella mente l'immagine dei loro volti. Erano attoniti, sbigottiti e increduli. Ricordo che il "capo" afferrò l'altro, lo trascinò di una ventina di metri, ai piedi della scalinata di Piazza di Spagna e lì confabularono per alcuni minuti, io vedevo solo i gesti che erano molto ampi.
Di ritorno, con grande deferenza e umiltà dissero: "Noi siamo sbalorditi e le chiediamo, per carità, ci può mostrare un documento di identità personale?".
Nei momenti in cui loro parlottavano, divertito e distrattamente avevo pensato a tutto, tranne che mi avrebbero fatto una simile richiesta.
Decisi di aderire e porgendo la carta d'identità, con aria faceta dissi: "Voi avete la 'vocazione' di poliziotti che non quella di 'ladri'".
Accertata la mia identità, si chinarono, mi afferrarono le mani nell'intento manifesto di baciarmele; mi sottrassi con decisione a simili effusioni (che non tollero) e loro umili, in coro, chiesero: "Come è possibile che 'vossia', alle 5 di mattina, cammina 'solo' in Piazza di Spagna?".
Io, autorevole, rispondo: "Chi vi dice che sono solo?".
I ragazzi si guardarono attorno, non videro nessuno e sconsolati affermarono: "Siamo degli imbecilli, non vediamo nessuno eppure siamo circondati da decine di picciotti".
Mi allontanai da "Dio", tale ero diventato ai loro occhi.
Avevo contribuito ad alimentare la "mia leggenda".
Sono stato "peggio" (ed è quanto dire) di un giornalista.
Massimo Ciancimino - Francesco La Licata (Don Vito - Serie Bianca Feltrinelli)
Ritorno a casa da Via Condotti, quando due ragazzi (venticinquenni, ho saputo dopo) mi vengono lentamente incontro e, con aria spavalda, uno rivolto a me, che sostengo in maniera decisa il loro sguardo dice: "Noi ci conosciamo, ma dove ci siamo incontrati?"
Rispondo "di botto": "Certamente a Rebibbia!" (si tratta del carcere romano dove sono stato "ospite" per circa sei mesi).
I ragazzi si guardano attoniti tra loro e ll'unisono esclamano: "Impossibile! Noi siamo stati solo a "Regina Coeli" (per chi non lo sapesse altro carcere romano).
Il ghiaccio, come si usa dire, si era rotto e i ragazzi mi "circondano", manifestando grande cortesia ed attenzione.
Uno di loro (sempre lo stesso, il "capo" presumo), osserva: "Ma Lei, data la sua personalità (con capisco da che cosa abbiano derivato la "personalità", tranne il fatto che ero vestito con giacca e cravatta e camicia, come al solito) e la sua età, non può essere stato "dentro" che per associazione mafiosa".
Colpito da tanta perspicacia rispondo: "E' proprio così".
A questo punto, guardandoli in viso, ho la certezza di essere diventato "qualcuno" per loro e chiedo "autorevolmente": "Ma voi che fate?".
"I ladri", rispondono assieme.
Stabilitasi la "familiarità" uno (sempre lo stesso) incalza: "Eppure noi la conosciamo, ma Lei chi è?".
Rifletto per qualche attimo e penso: "Ora mi butto".
"Mi chiamo Vito Ciancimino" sillabo.
Ho, netta, la sensazione di aver pronunciato una parola magica.
Mi rimane, tuttora, impressa nella mente l'immagine dei loro volti. Erano attoniti, sbigottiti e increduli. Ricordo che il "capo" afferrò l'altro, lo trascinò di una ventina di metri, ai piedi della scalinata di Piazza di Spagna e lì confabularono per alcuni minuti, io vedevo solo i gesti che erano molto ampi.
Di ritorno, con grande deferenza e umiltà dissero: "Noi siamo sbalorditi e le chiediamo, per carità, ci può mostrare un documento di identità personale?".
Nei momenti in cui loro parlottavano, divertito e distrattamente avevo pensato a tutto, tranne che mi avrebbero fatto una simile richiesta.
Decisi di aderire e porgendo la carta d'identità, con aria faceta dissi: "Voi avete la 'vocazione' di poliziotti che non quella di 'ladri'".
Accertata la mia identità, si chinarono, mi afferrarono le mani nell'intento manifesto di baciarmele; mi sottrassi con decisione a simili effusioni (che non tollero) e loro umili, in coro, chiesero: "Come è possibile che 'vossia', alle 5 di mattina, cammina 'solo' in Piazza di Spagna?".
Io, autorevole, rispondo: "Chi vi dice che sono solo?".
I ragazzi si guardarono attorno, non videro nessuno e sconsolati affermarono: "Siamo degli imbecilli, non vediamo nessuno eppure siamo circondati da decine di picciotti".
Mi allontanai da "Dio", tale ero diventato ai loro occhi.
Avevo contribuito ad alimentare la "mia leggenda".
Sono stato "peggio" (ed è quanto dire) di un giornalista.
Massimo Ciancimino - Francesco La Licata (Don Vito - Serie Bianca Feltrinelli)
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