Un giorno o l’altro, magari da qualche casuale intercettazione o ritrovamento di elenchi o liste, scopriremo le doti nascoste di Giuliano Amato,
l’uomo che non doveva pensionarsi mai, la salamandra che passava
indenne tra le fiamme, il dinosauro sopravvissuto alle glaciazioni, il
“sederinodoro” (come diceva Montanelli) che riusciva a occupare
contemporaneamente mezza dozzina di cadreghe alla volta.
I
collezionisti di poltrone e pensioni troveranno sul Fatto Quotidiano di
oggi l’elenco completo delle sue. Ma qui c’è di più e di peggio: in un
Paese dove nessuno riconosce più alcun arbitro imparziale, figura terza,
autorità indipendente, non si sentiva proprio il bisogno di
trapiantare un vecchio arnese della politica in quello che dovrebbe
essere il massimo presidio della legalità costituzionale: la Consulta.
Già negli ultimi anni, spesso a torto e qualche volta a ragione, la
Corte è finita nella rissa politica per sentenze o decisioni che
puzzavano di compromesso col potere. Specie da quando
l’arbitro supremo che sta sul Colle ha smesso la giacchetta nera e s’è
messo a giocare le sue partite politiche trasformando la Repubblica in
sultanato (vedi bocciatura del referendum elettorale e verdetto sul caso
Mancino).
Lo vede anche un bambino che di questi tempi la Consulta e gli altri organi di garanzia hanno bisogno di un surplus di indipendenza e di terzietà.
Invece che t’inventa Re Giorgio? Prende un suo amico, ex braccio destro
di Craxi, deputato e vicesegretario Psi, vicepremier, due volte
premier, ministro del Tesoro (due volte), dell’Interno, delle Riforme,
degli Esteri, senatore dell’Ulivo e deputato dell’Unione, candidato al
Quirinale nel ’99, nel 2006 e nel 2013, “vicino” (si dice così?) al Montepaschi, consulente Deutsche Bank, insomma ex tutto, e lo promuove giudice costituzionale.
Possibile che Napolitano non conosca un giurista meno incistato nel
potere politico e finanziario di lui? Gli dicono nulla nomi come Pace, Carlassare, Cordero?
Già la Corte è piena di politicanti camuffati da giureconsulti e
nominati dal Parlamento, cioè dai partiti. Almeno il Quirinale avrebbe
potuto, anzi dovuto scegliere una figura indipendente, fuori dai giochi,
magari sotto i 50 anni (e, se non è troppo, donna): invece ha voluto il Poltronissimo. Nonostante certi suoi trascorsi, o forse proprio per quelli.
Nel
1983, spedito da Craxi e commissariare il Psi travolto dallo scandalo
Zampini, Amato rimproverò al sindaco Novelli di aver portato il
testimone d’accusa in Procura anziché “risolvere politicamente la
questione” (tipo insabbiarla). Nell’84-85 ispirò i vergognosi decreti Berlusconi
– le prime leggi ad personam di una lunga serie – donati da Craxi
all’amico Silvio quando tre pretori sequestrarono le antenne Fininvest
fuorilegge. Infatti nel ’94 il Cavaliere riconoscente lo issò
all’Antitrust, dove Amato non si accorse mai del monumentale trust
berlusconiano sul mercato della tv e della pubblicità (in compenso
sbaragliò impavido un temibile trust nel ramo fiammiferi e
accendini). Non riportiamo qui, per carità di patria, i fax di Bettino
da Hammamet sul “professionista a contratto” che in tante campagne
elettorali non s’era mai accorto delle tangenti al Psi.
Molto più interessante è la sua intervista del 2009 a Report.
Bernardo Iovene gli ricorda che il decreto Craxi-Berlusconi dell’85 era
“provvisorio” e doveva durare solo 6 mesi, in attesa della legge di
sistema sulle tv; ma lui s’inventò che era solo “transitorio”, quindi
non andava neppure rinnovato una volta scaduto. Anziché arrossire e
nascondersi sotto il tavolo, Amato s’illumina d’incenso: “Sa, noi
giuristi viviamo di queste finezze: la distinzione fra transitorio e
provvisorio è quasi da orgasmo per un giurista… Quando discuto attorno a
un tavolo tecnico e qualcuno dice ‘questa cosa è vietata’, io faccio
aggiungere ‘tendenzialmente’…”.
Ora che dovrà esaminare la legittimità delle leggi firmate dall’amico Giorgio, sarà tutto un orgasmo. Provvisorio e tendenziale.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 13 Settembre 2013)
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