Ricerche americane e italiane hanno
rilevato che, da dieci anni a questa parte, tra quanti lavorano, c'è la
tendenza a mettere al primo posto, tra le richieste, non più il denaro o i
benefit di varia natura, ma il tempo libero, quasi si fossero resi conto che se
è vero che per vivere occorre lavorare, non è più vita quella totalmente
assorbita dal lavoro.
In pratica si sono stancati di affidare i propri figli alle
baby-sitter, i propri vecchi alle badanti, la cura della casa alle colf, le
feste dei bambini alle agenzie che si incaricano, perché non hanno più tempo, e
quindi sono costretti a delegare al mercato dei servizi la propria vita
relazionale, quando non addirittura la propria vita intima, di cui si sentono
deprivati dagli orari di lavoro o dall'impiego di entrambi i componenti la
coppia genitoriale, perché altrimenti, senza due stipendi, non si arriva alla
fine del mese.
Nelle società come le nostre, dove il denaro è diventato
l'unico generatore simbolico di tutti i valori, si è pensato, negli anni '80 e
'90, che potendo pagare, e quindi lavorando tutto il tempo per poterselo
permettere, ciascuno potesse meglio realizzare se stesso e, soprattutto in
ambito femminile, realizzare la propria indipendenza. Di qui la scelta degli
asili non in base ai criteri educativi, ma esclusivamente in base al tempo in
cui intrattengono i bambini, l'affido degli adolescenti alle scuole,
preferibilmente quelle private, dove i risultati si crede siano più garantiti,
i disagi giovanili affidati agli psicologi perché i tempi di comunicazione
nell'ambito familiare, quando non sono ridotti, sono del tutto assenti.
Non parliamo poi della relazione emotiva, sentimentale e
sessuale tra i coniugi che, soffrendo per la mancanza di tempo, diventa
svogliata, disinteressata e non compensata dai regali di compleanno,
dall'offerta di cene annoiate al ristorante, o da una settimana di vacanze in
paesi esotici comprata in un'agenzia di viaggio.
Oggi questo stakanovismo nel lavoro per procurarsi denaro con
cui realizzare la propria indipendenza sta svelando il rovescio della sua
medaglia, che è poi la perdita della propria vita emotiva, per cui tutto
diventa indifferente e nulla più stimolante. Neppure il weekend, perché non si
può negli ultimi due giorni della settimana recuperare un mondo relazionale
trascurato negli altri cinque giorni dove, da mane a sera, sia reperita la
propria identità nella propria funzione nell'apparato, che ci prevede
produttori di denaro nei giorni feriali per il suo consumo in quel di festivi.
Lo spostamento dell'auto-realizzazione nel mondo del lavoro
con conseguente de-realizzazione nel mondo della famiglia e più in generale
degli affetti ha fatto crollare anche l'ideologia del "tempo-qualità",
che poi non è altro che il modo con cui, ingannandoci, si chiama il tempo che
si dedica agli affetti quando è "poco", quando non si ha tempo di
ascoltare i figli se non per i risultati scolastici, quando non si ha tempo di
vedere sulla faccia del nostro compagno o compagna di vita i segni del disagio,
quando non si ha neppure il tempo di prendere contatto con quello sconosciuto
che, a furia di lavorare, ciascuno diventa per se stesso.
In questa campagna elettorale sentiamo un gran parlare di
famiglia, ma sempre e ancora in termini di denaro (riduzione dell'Ici sulla
casa, bonus per i nuovi nati), mai in termini di tempo. Come se il mondo
emotivo, affettivo, relazionale, sempre più sacrificato, potesse essere
compensato col denaro con cui affidare al mercato tutta la cura che sottraiamo
ai figli, agli anziani, alle relazioni reciproche, familiari e di vicinato,
cura della propria vita emotiva, senza la quale risulta difficile distinguerci
dalle macchine industriali, informatiche, burocratiche, con cui quotidianamente
interagiamo.
Sembra che i giovani, carenti come sono stati di cure
genitoriali, di tempo a loro dedicato, di affetto continuativo e non saltuario
mescolato con ansia, siano più sensibili al valore del tempo libero (dal
lavoro) che è poi il tempo per sé, anche se questo loro desiderio confligge col
modello produttivo, costretto a diventare turbo - produttivo per effetto della
concorrenza globale.
Eppure qui una scelta si impone, se vogliamo evitare
quell'alienazione, quella lontananza di sé da sé, che già Marx a suo tempo
denunciava, con la sola differenza che al suo tempo avveniva per costrizione e
oggi per autocostrizione, perché ognuno tende a consegnare la propria identità
alla propria disponibilità economica e quel riconoscimento che non viene più
dallo sguardo di un uomo, di una donna, di un figlio, ma dall'avanzamento in
carriera, che conferisce prestigio in una società fatta più di relazioni
formali che affettive.
Chiedere tempo libero e non più solo denaro e benefit è un
modo per recuperare l'umano e non soccombere a quell'atrofia emotiva in cui uno
non solo non è più in grado di riconoscere l'altro, ma alla fine neppure se
stesso. Le nuove generazioni sembra l'abbiamo intuito.
Se riusciranno a rivendicare tempo libero saranno la più
significativa delle rivoluzioni, perché riconsegneranno una speranza all'uomo
nell'età della tecnica che, col suo sguardo guidato solo dalla più fredda
razionalità, fatica a distinguere un uomo da una macchina.
Umberto Galimberti (6 aprile 2006)
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