Siccome è nell’interesse di tutti che il governo Renzi combini
qualcosa di buono, si spera vivamente che le anticipazioni sui possibili
ministri uscite sui giornali, compreso il nostro, siano tutte false. E cioè che
il turbopremier e il suo entourage si divertano a far filtrare nomi improbabili
e impresentabili per nascondere la vera lista dei ministri, da sfoderare al
momento giusto per stupirci tutti. Se così non fosse, ci sarebbe da dubitare
non solo della buona riuscita del nuovo governo, ma anche della sanità mentale
del suo capo. Renzi giurava di non voler cambiare il governo, ma l’Italia. Ora
ha cambiato il governo e l’Italia (almeno quella politica) rischia già di
cambiare lui. Lui che il 4 dicembre, appena prima di diventare segretario del
Pd, domandava a Letta: “Ma come si fa a governare con Alfano, Giovanardi e
Formigoni?”. Ora ce lo spiegherà lui come si fa, visto che governerà con
Alfano, Giovanardi e Formigoni, mentre persino i più autorevoli suoi supporter
rifiutano di entrare nel suo governo.
Per carità, sappiamo bene quali prezzi deve pagare chi deve
gestire un’Armata Brancaleone che – stando alle elezioni di un anno fa e agli
ultimi sondaggi – rappresenta poco più di un terzo dei votanti e di un quinto
degli italiani, e che in Parlamento si regge sul premio di maggioranza del
Porcellum raso al suolo dalla Consulta. Ma un forte segnale di novità e
discontinuità rispetto al governo Letta è d’obbligo, non foss’altro che per
giustificare l’improvviso e improvvido ribaltone a Palazzo Chigi. Oltreché per
tener fede alla fama di Rottamatore, Innovatore, Demolition Man.
Qualche nome nuovo e valido circola (Colao, Guerra, Gino Strada),
ma stradomina l’Ancien Régime. Agli Esteri e all’Interno si dice che lascerà la
Bonino, entrata in Parlamento 38 anni fa, e Alfano. Ma come fa? L’estate
scorsa, quando esplose lo scandalo Shalabayeva, Renzi disse che, se fosse già
stato il segretario del Pd, avrebbe sfiduciato Alfano, colpevole di “una
vicenda di cui come italiano mi vergogno, che coinvolge una bambina di sei
anni” ed era “indegno scaricare su servitori dello Stato e forze dell’ordine
tutte le responsabilità senza che venga mai fuori un responsabile politico”.
Tutto dimenticato?
Un altro uomo forte del “nuovo” governo Renzi dovrebbe essere
Dario Franceschini, che qualcuno vorrebbe financo vicepremier: ma quando, nel
2008, divenne segretario del Pd al posto di Veltroni, Renzi lo chiamò
“vicedisastro” perché aveva condiviso con Uòlter la disastrosa campagna
elettorale che aveva portato al trionfo di B.. Come può un vicedisastro
diventare il vice-Renzi, o anche soltanto un suo ministro? Per l’Economia si
alternano fautori di una mega-patrimoniale, come Barca; rigoristi come la
Reichlin, aspirante banchiera londinese, il bocconiano Tabellini e i boiardi
Bernabè e Padoan; e vecchi politici come Delrio (sindaco di Reggio Emilia) e
addirittura Fassino. Per dire quant’è grande la confusione sotto il cielo. Idem
per lo Sviluppo e il Lavoro, dove sembra non si riesca a immaginare nulla di
più nuovo e discontinuo di un Ichino, un Moretti, un Montezemolo: le
quintessenze del vecchio establishment.
La Giustizia, devastata da vent’anni di leggi vergogna
trasversali, chiederebbe uno sforzo supplementare di coraggio e fantasia. E
invece ecco un “ex” di 18 anni fa come Flick; il solito Vietti che, sebbene
abbia materialmente scritto la porcata sul falso in bilancio, pare non piaccia
(più) a B.; Guido Calvi, l’avvocato di D’Alema e Geronzi e il coautore di
pessime leggi; Andrea Orlando, diplomato al liceo scientifico; e – udite udite
– Livia Pomodoro, che già negli anni 80 lavorava al ministero della Giustizia
con la Dc e il Psi e poi con Conso in piena trattativa (dovrà testimoniare al
processo), e tre anni fa concordò con Ghedini un calendario del processo Mills
così lento che andò in prescrizione prim’ancora della prima sentenza. Che
cos’è, uno scherzo? Speriamo.
Marco Travaglio (Jack’s Blog – Il Fatto Quotidiano, 19febbraio 2014)
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