Nel
1991 si svolsero in Algeria le prime elezioni libere dopo decenni di
una sanguinaria dittatura militare e furono vinte dal Fis (Fronte
islamico di salvezza) a larghissima maggioranza. Allora i militari
annullarono le elezioni, con il plauso dell'intero Occidente (che
evidentemente non ha atteso l'11 settembre per diventare islamofobico)
sostenendo che il Fis avrebbe instaurato un regime totalitario. Per
impedire una dittatura del tutto ipotetica (il Fis era composto da varie
componenti, in maggioranza moderate) si ribadiva quella precedente. I
dirigenti del Fis furono arrestati e il movimento messo fuorilegge. Cosa
succede in un Paese dove la volontà della popolazione, democraticamente
espressa, viene cancellata in modo brutale? Una guerra civile. E cosi'
fu. Gli elementi più decisi del Fis formarono il GIA (Gruppo Islamico
Armato) e diedero vita a una guerriglia, ferocemente combattuta da
entrambe le parti, costata decine di migliaia di morti, durata anni e
che solo negli ultimi tempi si è un po' acquietata.
E'
quanto, e in termini ancor più crudi e paradossali, sta avvenendo in
Egitto. Nel gennaio 2011 le rivolte di piazza Tahrir rovesciarono la
trentennale dittatura di Hosni Mubarak sostenuta dall'esercito a sua
volta foraggiato dagli americani. Le prime elezioni libere egiziane
furono vinte dai Fratelli Musulmani che erano stati gli unici, veri,
oppositori di Mubarak pagandone prezzi altissimi. Presidente divenne il
loro leader Mohammed Morsi. Dopo solo un anno e mezzo di governo,
nell'estate del 2013, ci furono delle violente manifestazioni contro
Morsi. Di cosa era accusato? Di aver imposto leggi integraliste, la
sharia? No, di scarsa efficenza. I militari colsero l'occasione, sempre
che, com'è molto probabile, non siano stati loro a sollecitarla, per
deporre Morsi, arrestarlo insieme a migliaia di suoi seguaci mentre
altre centinaia di Fratelli Musulmani venivano uccisi. I media sono
stati messi sotto stretto controllo dagli apparati di sicurezza agli
ordini del generale Al Sisi, il nuovo 'uomo forte'. Il sostenitore del
dittatore Mubarak governa al posto di coloro che lo hanno abbattuto.
Il
referendum per la nuova Costituzione promosso da Al Sisi ha ottenuto il
97,7% dei consensi, peccato che a votare sia andato solo il 27,7%. Non è
vero quindi, come scrive la stampa occidentale, che «in un Egitto che
vuole solo un po' di pace, la maggioranza della popolazione appoggia i
militari». La maggioranza sta ancora con i Fratelli Musulmani che,
dichiarati nel frattempo ufficialmente «un gruppo terroristico»,
ovviamente reagiscono con la violenza che la repressione di un regime
nato da un colpo di Stato sanguinario legittima. Di qui le bombe esplose
al Cairo e i durissimi scontri fra esercito e Fratelli Musulmani, con
un bilancio di almeno 50 morti avvenuti nei giorni in cui si 'celebrava'
la caduta di Mubarak. Non è che l'inizio. Cio' che dobbiamo aspettarci è
un lungo periodo di caos e di violenze, come fu per l'Algeria.
La
cosa curiosa, si fa per dire, è che mentre in Egitto l'Occidente sta
sostanzialmente con i dittatori (Morsi viene definito «l'ex rais», non
era un 'rais' ma un presidente democraticamente eletto), in Ucraina sta
con la piazza contro un presidente, Yanukovich, eletto nel 2010 in
consultazioni considerate regolari dagli stessi occidentali. Insomma è
la solita storia: la democrazia va bene solo quando ci fa comodo.
Massimo Fini (Il Gazzettino, 31 gennaio 2014)
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