Gli storici del futuro, se vorranno descrivere
la classe dirigente italiana del 2014 per quello che era, non potranno
prescindere dai Portfolio di Umberto Pizzi e dai Cafonal di Dagospia.
Per esempio il parterre della “prima” del film di Walter Veltroni su
Enrico Berlinguer. Lasciamo da parte l’idea malsana di sporcare un bel
film come “Quando c’era Berlinguer” chiamando a battezzarlo gente come
Gianni Letta, Fedele Confalonieri e Cesare Romiti: la grande soirèe era
per Uolter un certificato di esistenza in vita, e possiamo pure
perdonargliela.
Concentriamoci invece su certi invitati che hanno voluttuosamente risposto alla sua cartolina precetto, in uno sfacciato sfrecciare di autoblu. Per quanto eticamente discutibili, si tratta di persone intelligenti e di prim’ordine, non assimilabili al de-mi-monde froufrou della Roma godona che si mette in posa davanti ai paparazzi e si pavoneggia a favore di telecamera per piazzare la faccia e il nome sui giornali. Ma che gli dice il cervello? Ci vorrebbe un sondino nella materia cerebrale di questa gente per scoprire cosa passava loro per la testa mentre sullo schermo sfilavano le immagini e soprattutto le parole del segretario comunista. Parole di etica, onestà, pulizia, frugalità, rigore, intransigenza, passioni, ideali magari sbagliati o superati ma pur sempre nobili, sinceri e vissuti. Possibile che nessuno dei presenti ne sia rimasto colpito a morte, trasformandosi– come ai bei tempi dell’Antico testamento – in una statua di sale?
Possibile che nessuno si sia domandato: ma che mi direbbe Berlinguer se mi incontrasse oggi? Possibile che nessuno si sia sentito fuori posto o abbia avvertito l’irrefrenabile pulsione di profittare del buio in sala per scivolare via strisciando? Cosa pensava Romiti, noto per una condanna definitiva per finanziamento illecito ai partiti e falso in bilancio, di fronte al politico-simbolo della “questione morale”? Quali pensieri attraversavano la mente di Letta e Confalonieri, dopo un’intera vita trascorsa accanto a Berlusconi, che a parte le prime quattro lettere del cognome è la più plateale antitesi dell’ex segretario del Pci?
Già nel 1975 Confalonieri pranzava ad Arcore con Mangano e Dell’Utri: ma che ci fa uno così alla prima del film su Berlinguer? Letta Zio fu beccato la prima volta nel 1980 per i fondi neri dell’Iri, proseguì con le tangenti (amnistiate) al Psdi (“La somma fu da me introdotta in una busta e consegnata tramite fattorino”), e avanti così, pappa e ciccia con i Bisignani, i Pollari, i Bertolaso: ma che c’entra con Berlinguer? Giuliano Amato era il braccio destro di quel Craxi che Berlinguer chiamava “il gangster”, mentre metà del Pci (i “miglioristi”, detti talvolta “piglioristi” per le loro arti prensili) moriva dalla voglia di cadere nelle sue braccia. Quando morì, squarciato dall’ictus al comizio di Padova, era reduce da uno scontro all’arma bianca col leader migliorista Napolitano, ovviamente ostile alle sue battaglie sulla questione morale e sulla scala mobile. Tant’è che, come rivelò Macaluso, “quando Berlinguer morì, Napolitano aveva in tasca la lettera di dimissioni da capogruppo. Mai recapitata”. Naturalmente anche Napolitano era presente alla première, molto “commosso”, così come uno stuolo di ex comunisti che hanno passato gli ultimi vent’anni a rinnegare e a tradire la questione morale inciuciando col Caimano.
Berlinguer morì da uomo solo, isolato e sconfitto: dai suoi e dagli altri, che avevano già orientato le vele al vento “nuovo” del craxismo e poi della sua malattia senile: il berlusconismo. E ora tutti i craxiani e i berlusconiani di destra, di centro (c’era pure Quagliariello) e di sinistra vanno a piangere con la lacrima retrattile sulla sua tomba, anzi sui titoli di testa e di coda. L’estremo oltraggio camuffato da omaggio. L’altro giorno papa Francesco ha detto, con la sua disarmante semplicità: “Tutti questi preti e suore su quei macchinoni! Ma non si può!”. Ecco, il “non si può” vale forse – da qualche mese – in Vaticano. In Italia no, in Italia si può tutto. Yes we can. Anzi, sepoffà.
Concentriamoci invece su certi invitati che hanno voluttuosamente risposto alla sua cartolina precetto, in uno sfacciato sfrecciare di autoblu. Per quanto eticamente discutibili, si tratta di persone intelligenti e di prim’ordine, non assimilabili al de-mi-monde froufrou della Roma godona che si mette in posa davanti ai paparazzi e si pavoneggia a favore di telecamera per piazzare la faccia e il nome sui giornali. Ma che gli dice il cervello? Ci vorrebbe un sondino nella materia cerebrale di questa gente per scoprire cosa passava loro per la testa mentre sullo schermo sfilavano le immagini e soprattutto le parole del segretario comunista. Parole di etica, onestà, pulizia, frugalità, rigore, intransigenza, passioni, ideali magari sbagliati o superati ma pur sempre nobili, sinceri e vissuti. Possibile che nessuno dei presenti ne sia rimasto colpito a morte, trasformandosi– come ai bei tempi dell’Antico testamento – in una statua di sale?
Possibile che nessuno si sia domandato: ma che mi direbbe Berlinguer se mi incontrasse oggi? Possibile che nessuno si sia sentito fuori posto o abbia avvertito l’irrefrenabile pulsione di profittare del buio in sala per scivolare via strisciando? Cosa pensava Romiti, noto per una condanna definitiva per finanziamento illecito ai partiti e falso in bilancio, di fronte al politico-simbolo della “questione morale”? Quali pensieri attraversavano la mente di Letta e Confalonieri, dopo un’intera vita trascorsa accanto a Berlusconi, che a parte le prime quattro lettere del cognome è la più plateale antitesi dell’ex segretario del Pci?
Già nel 1975 Confalonieri pranzava ad Arcore con Mangano e Dell’Utri: ma che ci fa uno così alla prima del film su Berlinguer? Letta Zio fu beccato la prima volta nel 1980 per i fondi neri dell’Iri, proseguì con le tangenti (amnistiate) al Psdi (“La somma fu da me introdotta in una busta e consegnata tramite fattorino”), e avanti così, pappa e ciccia con i Bisignani, i Pollari, i Bertolaso: ma che c’entra con Berlinguer? Giuliano Amato era il braccio destro di quel Craxi che Berlinguer chiamava “il gangster”, mentre metà del Pci (i “miglioristi”, detti talvolta “piglioristi” per le loro arti prensili) moriva dalla voglia di cadere nelle sue braccia. Quando morì, squarciato dall’ictus al comizio di Padova, era reduce da uno scontro all’arma bianca col leader migliorista Napolitano, ovviamente ostile alle sue battaglie sulla questione morale e sulla scala mobile. Tant’è che, come rivelò Macaluso, “quando Berlinguer morì, Napolitano aveva in tasca la lettera di dimissioni da capogruppo. Mai recapitata”. Naturalmente anche Napolitano era presente alla première, molto “commosso”, così come uno stuolo di ex comunisti che hanno passato gli ultimi vent’anni a rinnegare e a tradire la questione morale inciuciando col Caimano.
Berlinguer morì da uomo solo, isolato e sconfitto: dai suoi e dagli altri, che avevano già orientato le vele al vento “nuovo” del craxismo e poi della sua malattia senile: il berlusconismo. E ora tutti i craxiani e i berlusconiani di destra, di centro (c’era pure Quagliariello) e di sinistra vanno a piangere con la lacrima retrattile sulla sua tomba, anzi sui titoli di testa e di coda. L’estremo oltraggio camuffato da omaggio. L’altro giorno papa Francesco ha detto, con la sua disarmante semplicità: “Tutti questi preti e suore su quei macchinoni! Ma non si può!”. Ecco, il “non si può” vale forse – da qualche mese – in Vaticano. In Italia no, in Italia si può tutto. Yes we can. Anzi, sepoffà.
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