E’ la società immediata. Ha abolito il futuro.
Ma anche il passato. E vive un eterno presente. Immediato. La società
im-mediata. Ostile alle mediazioni e ai mediatori. Predilige le
relazioni dirette. Fra cittadini e leader. Fra i cittadini che discutono
e deliberano. Senza mediazioni.
In fondo, è questo lo scenario in cui ci muoviamo. Ormai da tempo
(ammesso che il tempo abbia ancora un senso). Tanto che non ce ne
accorgiamo neppure. Così si spiegano alcuni fatti altrimenti
inspiegabili. Per primo, il consenso di cui dispone Matteo Renzi. Non mi
riferisco solo al risultato del voto europeo, dove il “suo” partito –
il Pd con la R – ha sfiorato il 41%. Parlo, invece, dei sondaggi
successivi e più recenti (fra cui quelli di Ipsos). Secondo i quali il
gradimento verso il governo supererebbe il 60%, mentre la fiducia
personale nei confronti di Renzi sarebbe vicina al 65%. Insomma, un
tributo senza riserve. Perfino Berlusconi, anche nei tempi migliori,
agli inizi degli anni 2000, aveva “diviso” gli elettori e l’opinione
pubblica. Ottenendo consensi plebiscitari a destra (e per qualche tempo
anche al centro), ma subendo un dissenso altrettanto plebiscitario a
sinistra. Renzi no.
Dispone di un sostegno largamente trasversale. E resiste, nella
considerazione popolare, nonostante il Paese abbia affrontato mesi
difficili. Che hanno lasciato tracce profonde nella società, come
sottolineano i dati dell’Istat sulla disoccupazione – nella popolazione
e, soprattutto, fra i giovani – e le statistiche della Caritas sulla
povertà (il cui impatto sociale è raddoppiato negli ultimi anni e
investe, ormai, oltre 4 milioni di persone). Renzi e il suo governo,
peraltro, non sembrano soffrire, più di tanto, neppure la “prova dei
fatti”. Il confronto fra i programmi (e le promesse), da un lato, e le
azioni concrete, la loro effettiva realizzazione, dall’altro. Certo,
oggi la riforma (meglio, l’abolizione) del Senato arriverà, appunto, in
Senato. In attesa di una prima, probabile, approvazione. Ma il cammino
seguente durerà ancora un anno, almeno. Come l’itinerario della legge
elettorale, presentata ancora in gennaio, dopo un confronto con Silvio
Berlusconi. Da allora, il procedimento è proseguito, con molte e diverse
modifiche. Prodotte dall’esterno, ma anche dall’interno del Pd. In
attesa di un confronto, prima annunciato e poi sospeso, con il M5s.
Così non sappiamo, ancora, cosa e quando scaturirà, da questo
percorso riformista. Che, peraltro, riguarda l’ambito istituzionale.
Fondamentale, per il funzionamento e il cambiamento dello Stato. Ma non
prioritario, nella percezione dei cittadini. Molto più interessati ad
altre materie. Per prime: fisco e lavoro. Su cui la discussione e la
progettazione, per non dire l’attuazione, sembrano “sospese”. Eppure, la
fiducia verso il governo e il suo premier non sembra risentirne troppo.
Anzi, non ne risente proprio. Perché, l’abbiamo detto, siamo in una
società immediata. Dove tutto corre veloce. E Renzi, per primo, ha fatto
della velocità la sua cifra.
E nella società immediata si dimentica in fretta. Soprattutto se le
novità si susseguono. Se ogni giorno irrompono nuovi progetti, nuovi
soggetti, nuove emergenze. Allora diventa difficile “tenere a mente”
programmi e promesse. Basta lanciarne sul mercato di nuovi. Di continuo.
E spendere risultati provvisori, come “fatti”. La prima approvazione
della riforma del Senato, in una commissione o in un ramo della Camera,
corrisponde a una cosa “fatta”. E se il procedimento si interrompe
oppure rallenta, per l’opposizione di avversari o amici: tanto meglio.
Perché è colpa degli altri. Quelli che hanno paura di cambiare.
D’altronde, in Italia c’è un deficit profondo dei soggetti di
rappresentanza. E – appunto – di “mediazione”: fra società e
istituzioni. I partiti, per primi, non esistono quasi più. Privi di
considerazione e fiducia, fra i cittadini. Ma anche i sindacati, le
organizzazioni economiche e di categoria. Hanno perduto credito e peso,
oltre che “adesioni”, nella società e nel mercato del lavoro. D’altra
parte, è difficile “rappresentare” il lavoro, visto che, fra gli operai,
soprattutto giovani, prevale la precarietà. Mentre i ceti “medi” sono
quasi scomparsi. Scivolati in basso.
Così, Renzi, per primo, elabora le proprie scelte e le proprie
strategie, sui temi economici e dell’occupazione, senza consultare
sindacati e rappresentanze imprenditoriali. Anzi: rivendica apertamente.
Ricavandone consenso “immediato”. Perché la “concertazione” è stata
dimenticata. Solo evocarla, genera s-concertazione. Si guardi alla
trattativa su Alitalia. Sottoscritta dal sindacato solo alla fine, di
fronte ad alcune importanti modifiche, annunciate dal governo (in
particolare, sugli esuberi). Ma poi – pare – non trasferite
nell’accordo. Ormai, però, il patto è stato siglato. E, domani, le
ragioni del dissenso (che, peraltro, ha diviso perfino il sindacato) chi
le ricorderà?
D’altronde, nella società immediata, la “democrazia” si sviluppa
attraverso il rapporto diretto dei cittadini con il Capo. Oltre ogni
mediazione. Salvo quella dei media – e, soprattutto, della televisione.
L’alternativa e l’opposizione avvengono, invece, attraverso la “logica
della rete”, che intreccia i blog e i social network. Dove i cittadini
possono informarsi, discutere e decidere, senza mediazioni e senza
mediatori. Senza partiti, politici, giornali e giornalisti. Anzi
“contro” di loro. È la democrazia im-mediata, più che diretta.
Rivendicata da Grillo e dal M5s. Solleva, a sua volta, conflitti e
accuse – anche dall’interno – di essere scarsamente democratica.
Molti attori e osservatori attendono – e
sperano – che, alla fine, l’equilibrio precario si spezzi. E provochi,
di conseguenza, la caduta del governo e del premier. Tuttavia, come si è
detto, questo clima di incertezza non ne ha ridimensionato il consenso.
Ma lo ha perfino fatto crescere. Tanto da suggerire il sospetto che,
almeno in parte, proprio lui, Renzi, sia responsabile di questo presente
senza limiti, senza rappresentanze e senza progetti. Che proprio lui
abbia contribuito ad alimentare questa società immediata, questo tempo
senza tempo. Dove Renzi, veloce e cangiante, si muove a proprio agio.
Anche restando fermo.
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