Con
l'assassinio il 28 giugno del 1914, a Sarajevo, dell'Arciduca Francesco
Ferdinando e di sua moglie per mano di un giovane serbo, Gavrilo
Princip, ha inizio l'età contemporanea. Non quella moderna che era
partita molto prima. In genere a scuola e nelle università si fa
iniziare la Modernità con la scoperta delle Americhe, che poi scoperta
non era, di Cristoforo Colombo (1492). Ma non è solo una data
convenzionale è anche priva di senso. La Modernità comincerà due secoli e
mezzo dopo con la Rivoluzione industriale che partita dall'Inghilterra a
metà del XVIII secolo coinvolgerà prima l'intera Europa e il Nord
America e poi, in seguito alla globalizzazione, che ne è una conseguenza
inevitabile, tutto il pianeta. Sarà questa Rivoluzione a cambiare
radicalmente la nostra esistenza, la vita materiale, la mentalità, gli
stili di vita. Sarajevo 1914 da questo punto di vista non cambia
assolutamente nulla. Muterà invece l'assetto geopolitico dell'Europa. La
'grande guerra' segnerà infatti la fine del grande e civilissimo Impero
austro-ungarico che era riuscito a tenere insieme, senza ricorrere alla
violenza, se non in modo sporadico, popolazioni culturalmente
diversissime, austriaci, ungheresi, rumeni, bulgari, musulmani, sloveni,
croati e serbi. Grande e civile Impero. Se Milano, nonostante tutti i
mascalzoni e sottomascalzoni che l'hanno governata nel dopoguerra
italiano, conserva ancora una burocrazia relativamente efficente, se non
è Napoli o Palermo, è grazie all'imprinting che gli diede Maria Teresa
d'Austria.
Il
miracolo di tenere insieme, in quella che allora era la Jugoslavia,
serbi, croati e musulmani riuscì anche al dittatore Tito, bisogna
riconoscerglielo, ma con metodi assai più brutali, deportando intere
popolazioni su quel territorio, un po' come aveva fatto, ma su una scala
infinitamente maggiore, Stalin in Unione Sovietica.
Gli
americani usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale e con le mani
libere dopo il crollo dell'Urss del 1989, commisero l'errore, insieme ad
alcuni Paesi europei, come la Germania, cui va aggiunto il Vaticano, di
negare ai serbi di Bosnia l'indipendenza (o la riunione con la
madrepatria di Belgrado) che avevano invece concesso senza fiatare a
Slovenia e Croazia. Una Bosnia multietnica a guida musulmana aveva
infatti senso in una Jugoslavia multietnica quale era stata quella di
Tito. Ora non lo aveva più. E così i serbi di Bosnia scesero in guerra e
poiché sul terreno, a detta di chi se ne intende, sono i migliori
combattenti del mondo e oltretutto potevano contare sul retroterra della
Serbia di Milosevic (mentre i musulmani questo retroterra non
l'avevano, potevano contare solo su qualche aiuto dall'Iran), quella
guerra la stavano vincendo. Ma americani ed europei decisero che invece
dovevano perderla, per molte ragioni, fra le quali, e non delle minori,
c'era che il loro grande protettore, Slobodan Milosevic, era a capo
dell'ultimo Paese rimasto comunista, o meglio, paracomunista, in Europa.
E si intestardirono nel mettere in piedi uno Stato che non era mai
esistito e inesistente, la Bosnia.
E
così oggi, a cento anni di distanza, Gavrilo Princip è considerato un
terrorista a Sarajevo Ovest e un eroe a Sarajevo Est. E una volta che le
forze internazionali si saranno ritirate dalla Bosnia, cosa che prima o
poi, come in Kosovo, dovrà avvenire, tutto ha l'aria di poter
ricominciare da capo.
Massimo Fini (Il Gazzettino, 4 luglio 2014)
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