I titoli dei miei articoli domenicali
li faccio utilizzando spesso i versi dei poeti che si attengono secondo
me a descrivere il tema meglio d'ogni altra soluzione. Di solito
utilizzo Dante ma non sempre. Questa volta m'era venuto in mente paggio
Fernando, un bellissimo giovane che gioca una partita a scacchi con una
principessa straniera che corteggia e vuole sposare.
Direi che Renzi che gioca e corteggia Angela Merkel sarebbe stato un buon titolo e un bel finale perché Renzi avrebbe vinto la partita e conquistato la principessa. La gioiosa commedia la scrisse a fine Ottocento Giuseppe Giacosa e fu rappresentata con successo in moltissimi teatri italiani. Ma non credo che le cose sarebbero andate e andranno a quel modo. Sicché sono tornato al canto VI del Purgatorio dantesco di qui il titolo che avrete certamente già letto.
C'è però in quel titolo un errore che mi corre l'obbligo professionale di indicare ai lettori: non è vero che la nave Italia sia senza nocchiere. Il nocchiere c'è ed è Matteo Renzi.
Somiglia, è vero, a paggio Fernando ma è molto più duro di lui e esperto principalmente o soltanto in quella che si chiama politica politichese. Una buona parte dei leader italiani di questo periodo ha questa stessa e sola competenza. Per approfondire temi specifici e specializzati si valgono di collaboratori non sempre all'altezza della situazione. I consulenti di Renzi più noti (a parte Padoan che è un caso speciale emanato a suo tempo dalla volontà di Giorgio Napolitano) sono per lo più donne: la Mogherini, la Madia, la Boschi e tante altre ancora.
Intelligenti senza dubbio ma con scarsa esperienza e conoscenza delle questioni che dovrebbero trattare per dar consigli al loro leader il quale peraltro molti consigli e molto autorevoli non sempre li riceve di buon grado; la politica politichese è appunto questo: si inventa da sola le soluzioni.
Talvolta sono buone e danno buoni risultati, tal altre (il più delle volte) sono pessime e travolgono il Paese nel peggio. Voglio sperare che questa sia la volta buona.
Una delle ragioni per le quali Renzi non può essere battuto in un'aula del Parlamento è che mancano le alternative o almeno così si dice.
È curiosa questa mancanza di alternative della quale l'Italia da quando esiste come Stato repubblicano, ma anche prima, non avvertiva l'assenza. Dopo De Gasperi nella Dc venne Fanfani e con lui La Pira e Dossetti e poi De Mita e poi Cossiga. In un momento di estrema difficoltà economica e politica, l'allora primo ministro Giuliano Amato suggerì al presidente Scalfaro di chiamare a formare il nuovo governo Carlo Azeglio Ciampi e fu un vero e proprio trionfo perché tutte le soluzioni che gli erano state poste furono entro un anno portate a compimento e si fecero le nuove elezioni. Naturalmente Renzi ha degli appoggi ed anche importanti e uno di questi è Giorgio Napolitano il quale, prima di lasciare il suo incarico al Quirinale, vorrebbe che le leggi costituzionali fossero state quantomeno ampiamente avviate e tra queste la legge elettorale, la giustizia civile, la riforma del lavoro. Un tema, anzi un numero sterminato di temi, che farli tutti insieme è molto aleatorio.
Quando Renzi arrivò al governo dopo aver conquistato il Pd con un voto di tre milioni di simpatizzanti, e poi con un colpo di mano si mise al posto di Letta, sembrava che non ci fossero alternative di sorta e sembra tuttora, ma non è affatto vero. Ci sono alternative per il Quirinale, ci sono alternative per la Presidenza del Consiglio. Basta pensare ai nomi di Romano Prodi, Enrico Letta, Walter Veltroni, e molti altri che mi sembra inutile ora elencare e che possono essere tratti anche dalla Corte Costituzionale e da altri luoghi dove persone tra i sessantacinque e i settant'anni hanno formato una loro esperienza di vita.
La mancanza di alternative è dunque una scusa che è stata usata infinite volte in tutti i Paesi. Pensate a Obama di fronte alla dinastia dei Bush o pensate a Mitterrand dopo il postgollismo che aveva in mano il Paese e pensate infine a quanto accadde in Germania quando Schroeder diventò cancelliere e fece riforme fondamentali per ammodernare l'economia tedesca; poi perdette le elezioni successive ma ci fu una larga coalizione con la Merkel che non aveva nulla di simile alle larghe intese che tuttora dominano lo scenario italiano.
La posta in gioco in questo momento (lo dicono tutti e in tutti i Paesi) è quella di ravvivare lo spirito del popolo italiano e da questo punto di vista Renzi sembra la persona più adatta: ha coraggio, è spregiudicato, conosce alla perfezione la politica politichese, è un po' scarso nella qualità dei collaboratori.
All'inizio del periodo renziano, quando con un colpo di pugnale alla schiena fece fuori Enrico Letta dopo averlo rassicurato fino a poche ore prima, sembrava che il processo di risanamento e di rifondazione dello Stato sarebbe stato compiuto nientemeno che in quatto mesi, da giugno a settembre: la riforma elettorale, la riforma del Senato e la sua pratica abolizione, il Titolo V, la giustizia soprattutto quella civile ma non soltanto, e, perla tra tutte le perle, il mercato del lavoro. Quattro mesi per questo lavoro.
Renzi ci mise la faccia, poi quando ha visto come andavano le cose la faccia l'ha ritirata immediatamente e adesso non si sa dove quella faccia la conservi. Da quattro mesi passammo a mille giorni cioè all'intera legislatura.
Sembra molto, ma non lo è. Aldo Moro che di queste cose se ne intendeva a fondo, disse in un'intervista che ci volevano almeno vent'anni per rifondare lo Stato italiano e che quei vent'anni lui li voleva passare in alleanza tra il popolo cattolico e quello operaio dei lavoratori comunisti. Purtroppo lo disse quindici giorni prima di esser rapito dalle Br e due mesi e mezzo prima di esserne trucidato. E così quel disegno procedette ancora un poco zoppicando e poi scomparve. Adesso si parla di manovra. All'inizio, quando dai quattro mesi il crono-programma passò ai mille giorni, si parlò di 23 miliardi che poi salirono a 24, poi a 26, poi a 30, poi a 33 e infine, tre giorni fa, a 36.
Ora si spera che restino questi perché non si tratta di ricchezze miliardarie a nostra disposizione.
C'è un punto che resta fisso: il deficit di bilancio non supererà il 3 per cento. Lo sfiorerà, questo sì, cavandone una cifra di 11 miliardi.
Naturalmente speriamo che la caduta di due giorni fa degli spread di tutto il mondo e delle quotazioni di Borsa delle banche sia decisamente superata come è apparso venerdì mattina, ma coi tempi molti bui nei quali viviamo non ci si può contare in modo certo. Potrebbero nuovamente crescere o non diminuire abbastanza nel quale caso il risparmio che ce ne attendiamo almeno in parte si volatilizzerebbe. Speriamo comunque nel meglio.
C'è poi il ricavo dell'evasione fiscale contabilizzato per circa 3 miliardi. Di solito l'evasione fiscale viene contabilizzata quando è stata incassata e non quando è semplicemente prevista, ma capisco che la situazione è tale per cui la politica politichese impone questo strappo e pazienza.
La spending review dovrebbe dare 15 miliardi. Cottarelli aveva studiato a fondo per due anni questo problema, coadiuvato da persone di estrema competenza. Non paragonabile a quella delle ragazze di paggio Fernando. La conclusione era stata una trasformazione delle strutture dello Stato a cominciare dalla sanità, dai piccoli ospedali, dai posti di pronto soccorso, dai piccoli tribunali o preture. Apparentemente potrebbe sembrare che l'idea centrale di Cottarelli fosse quella di abolire fin dove possibile i piccoli insediamenti sanitari o amministrativi o giudiziari concentrando il massimo del lavoro su quelli maggiori.
In realtà, come sa chi ha avuto modo di parlare con lui e con i suoi collaboratori, il progetto non era esattamente questo. I piccoli ospedali se situati in zone di difficile accesso dovevano restare e diventare semmai più efficienti e la stessa cosa dicesi per i pronto soccorsi che ne diventavano in qualche modo una filiale minore. Naturalmente bisognava rimodernare in tutti i sensi (quello edilizio compreso) i grandi ospedali eliminando alcuni dei baroni che ormai avevano fatto il tempo loro e potevano tranquillamente proseguire i loro studi e le loro consulenze a casa propria o nei propri studi privati. Analoghi criteri valevano anche per i tribunali e le preture. Non c'era una lotta ad oltranza per far sparire i piccoli e concentrarsi sui grossi ma c'era una selezione tra piccoli efficienti e necessari e grossi a volte pletorici e invecchiati. Questo era il piano - per quanto risulta a me - di Cottarelli. Ma è un piano che mi ricorda le parole e le previsioni tempistiche di Aldo Moro, che non sono certo mille giorni. Io spero tuttavia che Renzi ce la faccia. Tra l'altro mi fa simpatia, del resto è normale perché la seduzione è il suo requisito principale e su quello basa il suo potere in modo non molto dissimile se non in meglio del Berlusca che l'aveva preceduto.
Il "figlio buono". E speriamo che lo sia. Ma se non lo sarà non portiamo in giro la favola che è insostituibile. I principi azzurri sono delle apparizioni di fantasia. Spesso risvegliano le ragazze, ma spesso no e risvegliano soltanto i Cappuccetti Rossi con i guai che ne vengono appresso.
Post scriptum. Vorrei dedicare qualche parola al tema che mi pare non più citato, dell'articolo 18. Ricorderete tutti come fu messo e perché e come fu salutato dai lavoratori che vedevano finalmente scomparire o attenuarsi i padroni e comparire al loro posto imprenditori capaci e disposti a lavorare come e più di loro.
Naturalmente il tempo passa e la società cambia e quindi il tema della giusta causa doveva necessariamente esser ridotto. Lo fece la Fornero, ministro del Lavoro nel governo Monti, donna di sinistra sociale. Restrinse i motivi di giusta causa alla discriminazione indicando a titolo esemplificativo la discriminazione di genere e di etnia. Ma era esemplificativo perché ci potevano essere una serie di discriminazioni abilmente nascoste ma che pure tali erano. Se per esempio l'imprenditore decide di licenziare un lavoratore perché ha gli occhi azzurri e gli sono antipatici, il lavoratore ha diritto di appellarsi al giudice per sapere se questa è una giusta causa non più esistente o una discriminazione esistente. Francamente non so quale sarebbe la risposta del giudice ma ho dei dubbi che sia certamente negativa per il lavoratore. Si possono fare decine e decine di altri esempi, per esempio quello di un lavoratore che viene licenziato perché fa la corte alla moglie dell'imprenditore la quale lo ricambia. È un problema privato o comporta anche un licenziamento? E se lo comporta, il licenziato non può appellarsi alla giurisdizione? E quale giurisdizione, perché alla fine di tribunale in Corte di appello e di Corte d'appello in Cassazione si arriva inevitabilmente alla Corte costituzionale la quale deve affrontare se la discriminazione sia in realtà una giusta causa oppure no. In molti casi non lo sarà, in altri lo sarà, sempre che sia approvata.
Io mi rendo conto che l'abolizione dell'articolo18 - che non conta assolutamente nulla per le ragioni sopraddette - rappresenti però una mano tesa di Renzi alla Confindustria e agli ambienti che ad essa si riferiscono.
Qui il politichese fa il suo gioco ed è naturale che lo faccia. Ma i lavoratori tuttora protetti, sia pure in modi più labili, sono 6 milioni di persone, che equivalgono a 10 milioni comprese le famiglie, ai quali bisogna aggiungere un indotto quindi si parla di molti milioni di persone. Che faranno queste persone? Scenderanno nelle piazze rispondendo alla Camusso e a Landini? Oppure andranno a farsi una partitina a carte e bere una birra in un parco fresco di qualche città? Mancano ormai pochi giorni e per quanto mi riguarda aspetto con molta curiosità se il vero politichese di chi dirige un partito soi-disant di sinistra democratica abbia convenienza a farsi stringer la mano più e più volte dal presidente della Confindustria e lotti a pugni con Camusso, Landini e dieci o dodici milioni di persone. Ecco un punto che per ora non so risolvere ma tra pochi giorni potremo parlarne con più attenzione.
Direi che Renzi che gioca e corteggia Angela Merkel sarebbe stato un buon titolo e un bel finale perché Renzi avrebbe vinto la partita e conquistato la principessa. La gioiosa commedia la scrisse a fine Ottocento Giuseppe Giacosa e fu rappresentata con successo in moltissimi teatri italiani. Ma non credo che le cose sarebbero andate e andranno a quel modo. Sicché sono tornato al canto VI del Purgatorio dantesco di qui il titolo che avrete certamente già letto.
C'è però in quel titolo un errore che mi corre l'obbligo professionale di indicare ai lettori: non è vero che la nave Italia sia senza nocchiere. Il nocchiere c'è ed è Matteo Renzi.
Somiglia, è vero, a paggio Fernando ma è molto più duro di lui e esperto principalmente o soltanto in quella che si chiama politica politichese. Una buona parte dei leader italiani di questo periodo ha questa stessa e sola competenza. Per approfondire temi specifici e specializzati si valgono di collaboratori non sempre all'altezza della situazione. I consulenti di Renzi più noti (a parte Padoan che è un caso speciale emanato a suo tempo dalla volontà di Giorgio Napolitano) sono per lo più donne: la Mogherini, la Madia, la Boschi e tante altre ancora.
Intelligenti senza dubbio ma con scarsa esperienza e conoscenza delle questioni che dovrebbero trattare per dar consigli al loro leader il quale peraltro molti consigli e molto autorevoli non sempre li riceve di buon grado; la politica politichese è appunto questo: si inventa da sola le soluzioni.
Talvolta sono buone e danno buoni risultati, tal altre (il più delle volte) sono pessime e travolgono il Paese nel peggio. Voglio sperare che questa sia la volta buona.
Una delle ragioni per le quali Renzi non può essere battuto in un'aula del Parlamento è che mancano le alternative o almeno così si dice.
È curiosa questa mancanza di alternative della quale l'Italia da quando esiste come Stato repubblicano, ma anche prima, non avvertiva l'assenza. Dopo De Gasperi nella Dc venne Fanfani e con lui La Pira e Dossetti e poi De Mita e poi Cossiga. In un momento di estrema difficoltà economica e politica, l'allora primo ministro Giuliano Amato suggerì al presidente Scalfaro di chiamare a formare il nuovo governo Carlo Azeglio Ciampi e fu un vero e proprio trionfo perché tutte le soluzioni che gli erano state poste furono entro un anno portate a compimento e si fecero le nuove elezioni. Naturalmente Renzi ha degli appoggi ed anche importanti e uno di questi è Giorgio Napolitano il quale, prima di lasciare il suo incarico al Quirinale, vorrebbe che le leggi costituzionali fossero state quantomeno ampiamente avviate e tra queste la legge elettorale, la giustizia civile, la riforma del lavoro. Un tema, anzi un numero sterminato di temi, che farli tutti insieme è molto aleatorio.
Quando Renzi arrivò al governo dopo aver conquistato il Pd con un voto di tre milioni di simpatizzanti, e poi con un colpo di mano si mise al posto di Letta, sembrava che non ci fossero alternative di sorta e sembra tuttora, ma non è affatto vero. Ci sono alternative per il Quirinale, ci sono alternative per la Presidenza del Consiglio. Basta pensare ai nomi di Romano Prodi, Enrico Letta, Walter Veltroni, e molti altri che mi sembra inutile ora elencare e che possono essere tratti anche dalla Corte Costituzionale e da altri luoghi dove persone tra i sessantacinque e i settant'anni hanno formato una loro esperienza di vita.
La mancanza di alternative è dunque una scusa che è stata usata infinite volte in tutti i Paesi. Pensate a Obama di fronte alla dinastia dei Bush o pensate a Mitterrand dopo il postgollismo che aveva in mano il Paese e pensate infine a quanto accadde in Germania quando Schroeder diventò cancelliere e fece riforme fondamentali per ammodernare l'economia tedesca; poi perdette le elezioni successive ma ci fu una larga coalizione con la Merkel che non aveva nulla di simile alle larghe intese che tuttora dominano lo scenario italiano.
La posta in gioco in questo momento (lo dicono tutti e in tutti i Paesi) è quella di ravvivare lo spirito del popolo italiano e da questo punto di vista Renzi sembra la persona più adatta: ha coraggio, è spregiudicato, conosce alla perfezione la politica politichese, è un po' scarso nella qualità dei collaboratori.
All'inizio del periodo renziano, quando con un colpo di pugnale alla schiena fece fuori Enrico Letta dopo averlo rassicurato fino a poche ore prima, sembrava che il processo di risanamento e di rifondazione dello Stato sarebbe stato compiuto nientemeno che in quatto mesi, da giugno a settembre: la riforma elettorale, la riforma del Senato e la sua pratica abolizione, il Titolo V, la giustizia soprattutto quella civile ma non soltanto, e, perla tra tutte le perle, il mercato del lavoro. Quattro mesi per questo lavoro.
Renzi ci mise la faccia, poi quando ha visto come andavano le cose la faccia l'ha ritirata immediatamente e adesso non si sa dove quella faccia la conservi. Da quattro mesi passammo a mille giorni cioè all'intera legislatura.
Sembra molto, ma non lo è. Aldo Moro che di queste cose se ne intendeva a fondo, disse in un'intervista che ci volevano almeno vent'anni per rifondare lo Stato italiano e che quei vent'anni lui li voleva passare in alleanza tra il popolo cattolico e quello operaio dei lavoratori comunisti. Purtroppo lo disse quindici giorni prima di esser rapito dalle Br e due mesi e mezzo prima di esserne trucidato. E così quel disegno procedette ancora un poco zoppicando e poi scomparve. Adesso si parla di manovra. All'inizio, quando dai quattro mesi il crono-programma passò ai mille giorni, si parlò di 23 miliardi che poi salirono a 24, poi a 26, poi a 30, poi a 33 e infine, tre giorni fa, a 36.
Ora si spera che restino questi perché non si tratta di ricchezze miliardarie a nostra disposizione.
C'è un punto che resta fisso: il deficit di bilancio non supererà il 3 per cento. Lo sfiorerà, questo sì, cavandone una cifra di 11 miliardi.
Naturalmente speriamo che la caduta di due giorni fa degli spread di tutto il mondo e delle quotazioni di Borsa delle banche sia decisamente superata come è apparso venerdì mattina, ma coi tempi molti bui nei quali viviamo non ci si può contare in modo certo. Potrebbero nuovamente crescere o non diminuire abbastanza nel quale caso il risparmio che ce ne attendiamo almeno in parte si volatilizzerebbe. Speriamo comunque nel meglio.
C'è poi il ricavo dell'evasione fiscale contabilizzato per circa 3 miliardi. Di solito l'evasione fiscale viene contabilizzata quando è stata incassata e non quando è semplicemente prevista, ma capisco che la situazione è tale per cui la politica politichese impone questo strappo e pazienza.
La spending review dovrebbe dare 15 miliardi. Cottarelli aveva studiato a fondo per due anni questo problema, coadiuvato da persone di estrema competenza. Non paragonabile a quella delle ragazze di paggio Fernando. La conclusione era stata una trasformazione delle strutture dello Stato a cominciare dalla sanità, dai piccoli ospedali, dai posti di pronto soccorso, dai piccoli tribunali o preture. Apparentemente potrebbe sembrare che l'idea centrale di Cottarelli fosse quella di abolire fin dove possibile i piccoli insediamenti sanitari o amministrativi o giudiziari concentrando il massimo del lavoro su quelli maggiori.
In realtà, come sa chi ha avuto modo di parlare con lui e con i suoi collaboratori, il progetto non era esattamente questo. I piccoli ospedali se situati in zone di difficile accesso dovevano restare e diventare semmai più efficienti e la stessa cosa dicesi per i pronto soccorsi che ne diventavano in qualche modo una filiale minore. Naturalmente bisognava rimodernare in tutti i sensi (quello edilizio compreso) i grandi ospedali eliminando alcuni dei baroni che ormai avevano fatto il tempo loro e potevano tranquillamente proseguire i loro studi e le loro consulenze a casa propria o nei propri studi privati. Analoghi criteri valevano anche per i tribunali e le preture. Non c'era una lotta ad oltranza per far sparire i piccoli e concentrarsi sui grossi ma c'era una selezione tra piccoli efficienti e necessari e grossi a volte pletorici e invecchiati. Questo era il piano - per quanto risulta a me - di Cottarelli. Ma è un piano che mi ricorda le parole e le previsioni tempistiche di Aldo Moro, che non sono certo mille giorni. Io spero tuttavia che Renzi ce la faccia. Tra l'altro mi fa simpatia, del resto è normale perché la seduzione è il suo requisito principale e su quello basa il suo potere in modo non molto dissimile se non in meglio del Berlusca che l'aveva preceduto.
Il "figlio buono". E speriamo che lo sia. Ma se non lo sarà non portiamo in giro la favola che è insostituibile. I principi azzurri sono delle apparizioni di fantasia. Spesso risvegliano le ragazze, ma spesso no e risvegliano soltanto i Cappuccetti Rossi con i guai che ne vengono appresso.
Post scriptum. Vorrei dedicare qualche parola al tema che mi pare non più citato, dell'articolo 18. Ricorderete tutti come fu messo e perché e come fu salutato dai lavoratori che vedevano finalmente scomparire o attenuarsi i padroni e comparire al loro posto imprenditori capaci e disposti a lavorare come e più di loro.
Naturalmente il tempo passa e la società cambia e quindi il tema della giusta causa doveva necessariamente esser ridotto. Lo fece la Fornero, ministro del Lavoro nel governo Monti, donna di sinistra sociale. Restrinse i motivi di giusta causa alla discriminazione indicando a titolo esemplificativo la discriminazione di genere e di etnia. Ma era esemplificativo perché ci potevano essere una serie di discriminazioni abilmente nascoste ma che pure tali erano. Se per esempio l'imprenditore decide di licenziare un lavoratore perché ha gli occhi azzurri e gli sono antipatici, il lavoratore ha diritto di appellarsi al giudice per sapere se questa è una giusta causa non più esistente o una discriminazione esistente. Francamente non so quale sarebbe la risposta del giudice ma ho dei dubbi che sia certamente negativa per il lavoratore. Si possono fare decine e decine di altri esempi, per esempio quello di un lavoratore che viene licenziato perché fa la corte alla moglie dell'imprenditore la quale lo ricambia. È un problema privato o comporta anche un licenziamento? E se lo comporta, il licenziato non può appellarsi alla giurisdizione? E quale giurisdizione, perché alla fine di tribunale in Corte di appello e di Corte d'appello in Cassazione si arriva inevitabilmente alla Corte costituzionale la quale deve affrontare se la discriminazione sia in realtà una giusta causa oppure no. In molti casi non lo sarà, in altri lo sarà, sempre che sia approvata.
Io mi rendo conto che l'abolizione dell'articolo18 - che non conta assolutamente nulla per le ragioni sopraddette - rappresenti però una mano tesa di Renzi alla Confindustria e agli ambienti che ad essa si riferiscono.
Qui il politichese fa il suo gioco ed è naturale che lo faccia. Ma i lavoratori tuttora protetti, sia pure in modi più labili, sono 6 milioni di persone, che equivalgono a 10 milioni comprese le famiglie, ai quali bisogna aggiungere un indotto quindi si parla di molti milioni di persone. Che faranno queste persone? Scenderanno nelle piazze rispondendo alla Camusso e a Landini? Oppure andranno a farsi una partitina a carte e bere una birra in un parco fresco di qualche città? Mancano ormai pochi giorni e per quanto mi riguarda aspetto con molta curiosità se il vero politichese di chi dirige un partito soi-disant di sinistra democratica abbia convenienza a farsi stringer la mano più e più volte dal presidente della Confindustria e lotti a pugni con Camusso, Landini e dieci o dodici milioni di persone. Ecco un punto che per ora non so risolvere ma tra pochi giorni potremo parlarne con più attenzione.
Eugenio Scalfari (La Repubblica - 19 ottobre 2014)
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