Nello
splendido film "L'attimo fuggente" il professor John Keating invitava
i suoi allievi a salire sul proprio banco allo scopo di potere avere una
visuale più ampia rispetto a quella limitata offerta dallo stare seduto; nel
caso di Federico Rampini scrittore è lui che si eleva per noi, per descriverci panoramiche più
ampie e complesse, rispetto a quelle che i nostri occhi vedono e
che i media ci ripropongono.
Accendi la TV ed ogni giorno vedi tanti giornalisti parolai che invece di concentrarsi a raccontare - anche se secondo una loro visuale - più semplicemente i fatti argomentano su questioni.
Accendi la TV ed ogni giorno vedi tanti giornalisti parolai che invece di concentrarsi a raccontare - anche se secondo una loro visuale - più semplicemente i fatti argomentano su questioni.
Un sempre
più folto stuolo di opinionisti, poi, ha diffuso il vezzo di infiorare o
preconfezionare notizie usando corollari che talvolta manipolano realtà. Sembra come
se l'umanità intera, dedita a distrazioni consumistiche, ormai fosse stanca e
ci fossero intellighenzie delegate a ragionare per essa.
Si accresce progressivamente lo stuolo di coloro che si incaricano di risparmiarci il cervello da ogni
preoccupazione, per confezionarci realtà più comode con un ottimismo light.
In questo
scenario Federico Rampini costituisce ancora un rappresentante della
sparuta riserva indiana del "giornalismo correct".
Col suo modo
di raccontare i fatti, anche seguendo un suo punto di vista culturale apertamente palesato, egli cerca di rimanere fedele a ciò che vede o
intravvede.
Con una
scrittura semplice ed efficace ci accompagna, con onestà
intellettuale, nell'osservare dall'alto e descrivere realtà sempre più
complesse; le sue visioni aeree risultano utili perché ci consentono
di concettualizzare e relativizzare cose che altrimenti rischierebbero di rimanere occultate
o incomprese.
Del resto
l'eccessiva vicinanza ai fatti e la scoperta delle contaminazioni o degli
effetti domino connesse comporta spesso, in chi racconta, letture e reazioni non
sempre illuminate, anche se, razionalmente, umanamente concepibili.
Già in
"Rete padrona" egli anticipa tante cose sulle innovazioni che ci
condizionano nel quotidiano e che in qualche caso riusciamo solo ad intuire. In
"L'Età del Caos" offre una visione cruda e preoccupante della nostra
attuale umanità; legge le complessità ideologiche e le realtà politiche che
rendono precario e sempre più instabile l'equilibrio socioeconomico dell'intero
pianeta.
Illustra
verità diversificate che il giornalismo ciarlante non racconta, che forse
neanche vede, perché distratto da servilismi utili o affetto da miopie sempre
più diffuse, se non congenite.
Splendido
poi il paragrafo in cui narra degli strani pensieri che lo assalgono mentre passeggia sotto un sole tropicale dentro il cimitero monumentale dell’Avana. Una radiografia che, filtrata dai colori che tanto spesso distraggono, in una scala di grigi rivela i contrasti e le patologie manifeste o latenti del nostro vivere.
Difficile condensare i contenuti dei due volumi in così poche parole, l'unica cosa
è acquistare questi libri di Rampini e leggerli con attenzione.
Essec
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