Trenta anni,
ma sembra un secolo fa. Era un lunedì e c’era vento di tramontana, fuori
dall’aula bunker dell’Ucciardone. Tutti in fila nel freddo per arrivare
ai controlli di sicurezza ed entrare. Lunga fila e pioggerella. Tremila
cronisti, centinaia di avvocati. Io avevo l’accredito per fare cronache per
“Radio Popolare” di Milano e “il manifesto” di Roma e avevo 28 anni. Era poco
dopo l’inizio di qualcosa, non solo per me. Mi guardavo intorno e vedevo un
sacco di cose. Palermo/Italia era così (per chi non c’era o non sa,
magari è utile capire).
La mafia
uccideva non solo d’estate, Salvo Lima faceva l’eurodeputato ed era
vivo, come anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che
lavoravano in un ufficio non blindato in un palazzo di giustizia ancora
smilitarizzato e con finestre blindate ma aperte direttamente sul quartiere
popolare lì intorno. Il comune di Palermo era amministrato da una giunta
strana, “anomala”: sindaco Orlando, uno dei pochi punti di “continuità”
con oggi, e dentro c’erano tutti. Mezza Dc, movimenti, verdi, Pci, preti e
ragazzini, sigle che a dirle ora un ragazzo non sa nemmeno di cosa parliamo. Un
pacchetto di sigarette costava 750 lire, una lettera 22 usata e in buono
stato valeva 40mila, lo stipendio di un operaio specializzato era sulle
500mila. Al giornale (che costava 650 lire) si telefonava per dettare il
pezzo usando il gettone (200 lire) e dalla cabina pubblica. Bevevi un
caffè con 500 lire.
Io vivevo in
piazza Marina, centro storico, un quartiere bello, cadente e senza
illuminazione la sera, a due passi dal rettorato (ex sede dell’Inquisizione) e
al monumento che ricorda l’omicidio di Joe Petrosino: avevo l’auto
targata CT e nel mio palazzo tutti avevano subito furti. Io no, nonostante
fossi catanese, perché col figlio della prostituta che abitava al piano terra,
venditore ambulante di audiocassette avevo un accordo: gli regalavo musica
classica e lui mi faceva trovare musica napoletana sul sedile.
In Italia,
l’inflazione viaggiava intorno al 25 per cento e a Palazzo Chigi c’era Bettino
Craxi; Andreotti era dal 1983 ministro degli esteri. Lo chiamavano
“pentapartito”. Il debito pubblico era l’equivalente di 800 milioni di euro e
il Pil era di un miliardo di euro.
In quella
fila, dalle 8 alle 10, del 10 febbraio ’86, tutti avevamo detto e
scritto che quello era il primo processo alla mafia non solo militare: 474
imputati, da Michele Greco a Luciano Liggio e Totò Riina
in giù. Prima di quel momento, i processi finivano quasi tutti in assoluzioni
per insufficienza di prove oppure non arrivavano neanche in aula. Ora, eccoli i
boss, tutti in gabbia.
I titoli
della mazzetta di quella mattina raccontavano stupore, corrivo, fretta. “La
mafia dietro le sbarre” (la Sicilia, Catania), “Cosa nostra nelle gabbie del
bunker” (Corriere della sera, Milano), “Uomini di mafia, alzatevi” (Stampa
sera, Torino), “Le gabbie piene di boss” (l’Ora, Palermo), “Entra la corte,
silenzio” (Giornale di Sicilia, Palermo). Ma proprio quel giorno, nel
pomeriggio a Firenze, le “nuove Brigate rosse” uccisero anche il sindaco
Lando Conti, così l’indomani di quella lunga mattina in fila a Palermo,
le due notizie si contesero l’apertura.
Nelle
settimane precedenti a quella storica udienza, Falcone, Borsellino e i loro
colleghi del pool antimafia dell’ufficio istruzione (Giuseppe Di Lello e
Leonardo Guarnotta) erano finiti nel mirino di una brutta campagna di stampa: “giudici
sceriffi”, li chiamavano alcuni notisti del “Giornale di Sicilia”, e li
accusavano di diffamare la Sicilia con quelle accuse e quei boss trascinati in
giudizio. “Nessuno tenti di strumentalizzare questo processo per diffamare la
città”, avvertiva l’editore-direttore del Gds, Antonio Ardizzone. E molti
contestavano come incostituzionale la legge Rognoni-La Torre che aveva
introdotto le confische di beni mafiosi.
Intorno a
quei magistrati, la mafia aveva fatto il vuoto: nell’estate 1985, era stato
ucciso Ninni Cassarà capo della squadra mobile che aveva fatto le indagini
alla base di quel processo. Era la “Palude”: l’allora vicedirettore di
Repubblica, Giampaolo Pansa, chiamò così il clima che si respirava a Palermo e
il suo editoriale uscì 4 giorni prima di quel 10 febbraio ’86. C’erano quei
giudici e gli studenti medi a sostenere che la mafia esisteva e culturalmente
comandava lì.
Per mesi,
fummo reclusi a dare uno sguardo attraverso quel bunker a quella
Palermo/Italia. C’era una assurda permeabilità col fuori. Otto mesi dopo
l’inizio del dibattimento, l’8 ottobre, a Palermo uccisero un bambino di 11
anni. Due killer in moto, lo chiamarono e lo ammazzarono come un cane. Claudio
Domino, si chiamava. Figlio di un piccolo imprenditore che aveva un appalto
sulle pulizie nell’aula bunker. Poche ore dopo il delitto, una manifestazione
della società andò deserta. E il giorno dopo quel delitto di un bambino fu
evocato in udienza. Un imputato, Giovanni Bontade, chiese al presidente
e ottenne la parola: “Non siamo stati noi. Non c’entriamo niente. Anche noi
abbiamo figli…”. Disse così. Questa era la Palermo/Italia, nelle ore, giorni,
anni in cui alcuni magistrati-ribelli per la prima volta nella storia
giudiziaria italiana tentarono di mettere sotto processo la mafia militare e un
primo pezzo di sistema politico-economico.
Siccome quel
processo, sei anni dopo, finì non aggiustato (come pretendevano gli imputati
mafiosi di quel lontano evento) e con condanne definitive in Cassazione, la
mafia che “non uccideva bambini”, uccise Falcone e Borsellino. Ma questo, anche
i ragazzi di oggi, ormai lo sanno e lo studiano nelle scuole.
p.s. Ho ritrovato un mio vecchio taccuino. Con questo appunto: “Sera del 9 febbraio 1986, domenica, vigilia di maxiprocesso. Tornando a casa a piedi, davanti al teatro Politeama, ho assistito alla seguente scena: un ragazzo barcollante, arriva, si siede e con gesti lenti e metodici si alza la manica. Tira fuori la siringa e il cucchiaio. Fiamma e tira su. Si buca, si stende per dieci lunghi minuti. Poi si scrolla, si rialza e va via. Tra la folla. Il maxiprocesso non lo citerà in giudizio ma parlerà anche di lui”.
Antonio Roccuzzo (Il Fatto Quotidiano - 10 febbraio 2016)
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