Il tempo, solo il tempo darà la ragione a chi oggi la cerca
in questo teatro dell’assurdo, dove è permesso offendere ma non restarsene
offesi, demoralizzati, delusi, schifati. È il tempo l’unica arma che
prevarrà, l’unico strumento che – inviso alle democratiche dittature che
oggi qualcuno vanta di difendere – si imporrà con tutta la propria prepotenza,
la propria democrazia e la propria giustizia davvero
uguale per tutti.
Non è aver impedito un governo scomodo, non è aver
reso instabile un Paese già di per sé traballante quanto un sabato sera, non è
l’inammissibile giudizio di direzione politica del presidente della
Repubblica; è che tu, popolo, non puoi decidere per
cose più grandi di te. È atroce, cinica, crudele la sentenza, ma questa è,
nient’altro. Ed è a questo punto che viene da soffermarsi su un aspetto triste
e demoralizzante: chi difende Sergio Mattarella, chi ne difende il ruolo
istituzionale, chi ostenta l’ennesimo hashtag palesando la propria vicinanza al
Presidente,
urlando ai propri follower un tanto compiaciuto quanto
stravagante #IostoconMattarella, perde la grandiosa opportunità di
domandarsi: ma
Mattarella sta con me?
Se l’incubo di un governo populista, ignorante,
incompetente, burino, cafone, pericoloso e stranamente votato è finalmente
svanito permettendovi di dormire notti serene – o al massimo un po’ agitate per
il finale di quella serie tv, che dà un tocco di nuovo intellettualismo -, una
volta svegli resta l’incubo del come tutto ciò sia avvenuto. E di quel come ne
siamo vittime tutti. Perché se il come può essere tollerato (a seconda del
destinatario), allora siete fuori strada, fuori luogo e fuori dal vostro tempo.
Fate parte
dei mediocri, di quelli che chiudono un occhio e ridono
sgraziatamente quando l’ingiustizia li favorisce, sempre pronti però a
dichiararsi fraintesi quando il tempo torna ad aggiustare il tiro.
Non c’è
da star felici certo ma neanche preoccupati. Ciò che è appena accaduto è il canto del cigno degli
anni 90, di un sistema di potere consolidato negli uffici pubblici,
dove chi sa già di avere la pensione non sa inviare un’email; nelle
televisioni, nelle radio, nei giornali, dove fa carriera chi rinnega l’etica
della propria professione; nelle aziende private, dove la precarietà
del lavoratore è un qualcosa a cui brindare; nelle strade, dove la furbizia
resta una virtù.
È un sistema con le spalle al muro, che ha
dovuto scoprire tutte le proprie carte mostrandosi per ciò che è sempre stato.
È il sistema che è stato criticato, odiato, combattuto, fin quando (che lo
accettiate o meno) un volgare comico con un gruppo di ignoranti cittadini
è riuscito a colpirlo nei suoi punti vitali, dando a chi ha vera e sana
passione politica nuovamente la voglia di avere un’idea, seppur contraria, e
dando un nuovo lavoro da cercarsi a chi ha sempre e solo avuto interessi
politici.
Se foste solo un pizzico meno impegnati a fare ironia
con i vostri meme e a difendere (per pigrizia) posizioni di puro pregiudizio
ideologico, vi accorgereste – ci accorgeremmo – che siamo vicini
e che finalmente in Italia si è tornati ad avere una politica, un
dibattito, un sentimento che dà al tempo una nuova speranza e agli anni 90
un’unica certezza: quella di essere finiti.
Giancarlo Chiarucci (Il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2018)
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