Proviamo
ad affrontare la questione Mattarella da un altro punto di vista,
lasciando da parte per il momento la gravissima violazione della
Costituzione di cui si è reso responsabile, nel suo discorso urbi et orbi
della sera del 27 maggio, dettando al nuovo governo, qualsiasi esso
sia, la linea politica e trasformando quindi surrettiziamente la nostra
Repubblica da parlamentare in presidenziale.
La
Presidenza della Repubblica è un organo di garanzia, alla parte
dell’arbitro in una partita di calcio. Com’è noto più l’arbitro fa bene
il suo mestiere meno lo si nota. Invece dal momento di quel suo inaudito
e sciagurato discorso non si fa che parlare di Mattarella. Ha spaccato
l’Italia in due. O meglio: almeno due terzi della popolazione del nostro
Paese è contro di lui, il resto, per motivi molto obliqui, è con lui.
Spaccatura che non era avvenuta con nessun altro Presidente che lo ha
preceduto. Certo, sull’operato di questo o quel Capo dello Stato ci sono
state, a volte, delle perplessità, anche forti, ma sempre all’interno
della classe politica, non da parte della popolazione. Se avesse un
minimo di dignità e senso dell’importanza del suo ruolo dovrebbe
dimettersi. Ma da una simile ameba, che ha fatto quasi tutta la sua
carriera sull’onda dell’assassinio mafioso di suo fratello, Piersanti,
non c’è da aspettarsi nulla del genere.
In
questa fase è venuta fuori tutta l’inesperienza politica di Di Maio.
Parliamo della politica politicienne non dei contenuti del contratto
siglato con Salvini, ai quali, al momento, non è stata lasciata nemmeno
la possibilità di mettersi alla prova. Altra cosa inaudita perché, come
ha fatto notare Alessandro Di Battista, un candidato premier c’era,
Giuseppe Conte, sostenuto da forze politiche che avevano la maggioranza
in Parlamento. Di Maio dopo il discorso di Mattarella è partito lancia
in resta, ha minacciato l’impeachment del Presidente, ha chiesto agli
italiani di esporre la bandiera nazionale, per poi fare una precipitosa
marcia indietro e dichiarare che un accordo con Mattarella è ancora
possibile escludendo Paolo Savona dal ministero dell’Economia (per
inciso: non credo che un professore di grande valore e nomea come Savona
accetterebbe un simile, umiliante, trattamento). Insomma Di Maio ha
fatto la parte del sor Tentenna. Molto più abile è stato Salvini,
politico giovane ma già di lungo corso, che non ha fatto subito la
faccia particolarmente feroce, lasciandosi aperta ogni possibilità, e
ora può giocare su due tavoli: portare fino in fondo il niet a
Mattarella e andare a nuove elezioni, dove i sondaggi lo danno al 27%, o
accordarsi di nuovo con un indebolito Di Maio. Insomma il leader dei
Cinque Stelle calandosi improvvisamente le braghe ha fatto a Salvini un
assist all’altezza dell’Iniesta dei tempi migliori.
Ma nel complesso tutto ciò che abbiamo assistito in questi ultimi tre mesi dimostra la fondatezza della mia tesi sostenuta in Sudditi. Manifesto contro la Democrazia.
La democrazia rappresentativa è una farsa, un imbroglio, una truffa,
dove il voto dei cittadini, che dovrebbe essere sovrano, non conta
niente. E’, come scrivo nel mio libro, con una crudezza che il lettore
del Fatto spero mi perdonerà, “un modo sofisticato per metterlo
nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso”.
La novità di questi ultimi tre mesi è che non ci vuole più nemmeno il
consenso per farselo mettere nel didietro. E naturalmente fa più male.
Massimo Fini (Articolo scritto alle 12:30 del 31 maggio 2018)
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