Su
wikipedia si legge, fra gli altri, che “la fotografia naturalistica è un genere
fotografico che concentra la propria attenzione sulla natura. Essa comprende
sia la paesaggistica
terrestre sia quella astronomica
come anche quella subacquea e naturalmente tutta la fauna e la flora selvatica
immersa nel proprio ambiente naturale, arrivando alla più piccola e concentrata
ripresa macro, intendendo per lo più soggetti
comunemente visibili più o meno anche ad occhio nudo”. Inoltre, che “lo scopo
di questo genere fotografico è quello di mostrare la bellezza intrinseca della
natura”. Infine, “per la tipologia dei soggetti trattati e per l'indole del
generico fotografo naturalista, si può parlare di una particolare etica
associata a questo genere fotografico che, attraverso la divulgazione delle
riprese fotografiche, educa e sensibilizza verso modelli di coscienza ecologica
e di responsabilità verso l'ambiente”. (wikipedia.org)
Fotografare
un paesaggio è bello, in qualche modo anche facile, il problema rimane sempre
il risultato, perché non basta fare un click per riuscire a raccontare con una
immagine una sensazione.
Premesso
che le sensibilità intrinseche in ciascuno di noi sono alla base del bello
individuale, canoni oggettivi legati anche alla cultura del tempo aiutano a
scrivere e leggere in modo corretto tutto quello che si intende narrare con
l'arte visiva, fotografia compresa.
In
ogni caso fondamentale è cercare di mantenere comunque un approccio asettico,
non legato cioè a pregiudizi. E questo vale per l'autore, artista o neofita che
sia e anche per l'osservatore, occasionale, studioso o critico di professione.
Una
condizione nella fotografia naturalistica orientata al paesaggio è anche una
questione musicale. In qualche modo, infatti, chi fotografa associa alla
visione una certa armonia compositiva che non necessariamente risponda a canoni
di musiche da camera. Del resto paesaggi urbani spesso vengono associati a
brani duri e i tanti videomakers moderni ne sono prova.
Più
in generale, quindi, la complicanza nella fotografia naturalistica rimane
quella della perenne ricerca di una congiunzione fra chi effettua lo scatto ed
il fruitore finale dell'immagine.
Poi,
mentre il pittore che immortala un paesaggio ha dilatati i tempi di
realizzazione, il fotografo deve necessariamente elaborare il suo prodotto in
tempi brevissimi, condizionato dagli elementi atmosferici ed espositivi (tempi
e luce) del momento. Ciò pur conoscendo a priori le caratteristiche delle
temperature della luce nei vari momenti del giorno, della latitudine del luogo
ed a secondo delle stagioni.
In
conclusione però chi vuole potrà sentire nella visualizzazione di un paesaggio
la musica soggettiva insita nella sua cultura, che per alcuni sarà una sinfonia
di Beethoven, per altri un delicato arpeggio al pianoforte di Listz, per altri
ancora una musica country, per i più giovani un brano d’autore contemporaneo,
anche metallaro.
Rimane
l'onere di innescare quell'associazione automatica fra il fotografo autore e l'osservatore
finale indipendente (nello spazio e nel tempo) e non è impresa da poco.
In
conclusione mi piace citare un sapiente commento ad un mio precedente articolo
(“Leggere in positivo”) dell’amico Pippo Pappalardo che ha scritto come “da
sempre abbiamo mosso il nostro sguardo da un pensiero negativo verso un altro
positivo. Perchè il primo non ci liberava, ci chiudeva in noi stessi, non ci
rivelava al mondo. L’immagine era, appunto latente, non importa se negativa o
positiva: era latente, quindi, sfuggente. Quando ci siamo decisi di non
rincorrere la sua latitanza ci siamo accorti che la realtà, se amata, se
contemplata, ci ricambiava sorridendoci: ci siamo accorti che il mondo che ci
circonda è esso stesso immagine e la nostra rappresentazione (in qualunque modo
avvenga) riflette questa natura, e ci riflette proprio la sua bellezza che non
va solo ammirata ma, fondamentalmente, riconosciuta come somma di verità e
bontà (e quindi deposito di senso e ... pretesto per dialogare)”.
Buona
luce a tutti.
© Essec
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