Preparare una colazione d’affari a Napoli? Non è possibile. La città non è organizzata: mancano i ristoranti specializzati, i menu sono tutti a base di carboidrati, i camerieri e gli avventori non consentono nessuna privacy ed infine i posteggiatori volteggiano implacabili nella convinzione che chiunque mangi in un ristorante sia un turista straniero voglioso di ascoltare o’ surdato ‘nammurato. Tutto questo non significa che a Napoli sia impossibile trattare e concludere affari mangiando. Diciamo semplicemente che è diverso e che bisogna sapersi adattare. Ricordo, per esempio, di una cosiddetta colazione di affari da me avuta con un cliente quando ancora lavoravo a Napoli: avevo deciso di scartare «Ciro a S. Brigida», dove sicuramente avrei mangiato benissimo ma dove altrettanto sicuramente avrei trovato troppa folla, e mi ero avviato verso una trattoria di S. Lucia, proprio di fronte al cinema, dove secondo i miei calcoli a quell’ora non avrei dovuto incontrare molta gente, essendo la clientela abituata a mangiare verso le due. Tutto procedeva secondo le previsioni: sala pressoché vuota, spaghetto a vongole e per dopo la solita micidiale richiesta: carne o pesce? Comunque una volta adempiuto nel bene e nel male alle formalità delle ordinazioni, io avevo appena iniziato il discorso che tenevo a cuore, quando eccolo l’immancabile, il fatalistico, l’emaciato, il sorridente professionista della posteggia. Vestito, come il ruolo comanda, con dignitosa povertà ma con colori e dettagli adatti ad un artista, armato di una vistosa chitarra, egli avanza nel locale deserto per piazzarsi a circa tre metri dal nostro tavolo. Attendo con paziente rassegnazione che il nostro aedo si commuova cantando tu si ‘a canaria, ca pure quanno more canta canzone nove sennonché contro tutte le aspettative egli resta silenzioso e rispettosamente ci guarda. Continuo a parlare di lavoro ed ho l’impressione che questa volta il posteggiatore stia aspettando la fine del la nostra conversazione. Sennonché, nel corso di una pausa, si avvicina con discrezione e con un leggero inchino ci porge un cartoncino stampato: “non suono per non disturbare, grazie”. Gli demmo cinquecento lire e se ne andò. Gaetano, il cameriere, quando venne a portarci il conto ci disse: Puveriello è pate ‘e figli ‘e nun sape sunà! (Poveretto, è padre di figli e non sa suonare).
Luciano De Crescenzo (Così Parlò Bellavista - Ed. Mondadori - 1977)
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