Da quando Piazzetta Cuccia si chiama Piazzetta Cuccia per ricordare Enrico, il banchiere di origine siciliana che al vertice di Mediobanca guidò la finanza italiana per più di mezzo secolo, non c’è più il salotto buono. Ha perso lo charme e, soprattutto, i silenzi del Grande Arbitro dell’industria e della finanza italiane. Nel ’92 il mondo della finanza fu rivoltato come un guanto, il banking ebbe il sopravvento sull’industria, gli istituti di credito del sud scomparvero e l’aristocrazia industriale rimase improvvisamente senza soldi. Enrico Cuccia cercò di pilotare con alterne fortune la transizione, ma il passaggio di testimone dalla finanza laica a quella cattolica fu guidata dal governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, e da Cesare Geronzi. Enrico Cuccia non perdette il suo carisma, ma il salotto buono perdette i suoi protagonisti più prestigiosi. Per frequentarlo un tempo occorreva avere bon ton, soldi e due cognomi. O essere riconosciuti per il titolo di studio, come l’Avvocato. Il decennio “tosto” negli anni Novanta avrebbe cambiato tutto: l’intrigo fitto di patti di sindacato, una chiusura netta verso nuovi arrivi, l’arrivo dei furbetti del quartierino, finanziari d’assalt, presto messi a tacere. Allo tsunami del ‘92 sopravvissero in pochi, ma trovarono spazio gente come Tronchetti Provera o Cordero di Montezemolo. Due cognomi, per l’appunto. Mai e poi mai l’astro nascente della politica italiana, il tycoon della televisione commerciale italiana, Silvio Berlusconi, avrebbe potuto accedere ai piani alti della finanza italiana. Nonostante cinque anni di governo, il mondo della finanza continuò a tenerlo “fuori”. Ma le cose sono cambiate, e come. Una serie di circostanze favorevoli hanno fatto sì che Piazzetta Cuccia, laboratorio di ogni patto di sindacato, aprisse le porte a Marina Berlusconi, e che coloro i quali tirano le fila della finanza italiana dovessero tenere conto di Silvio Berlusconi. Morto l’Avvocato, sopito il rimpianto, lo scettro della finanza italiana è passato ad un paria, Silvio Berlusconi. E non certo perché il suo reddito superi di gran lunga quello di tutti gli altri messi insieme, ma perché molti devono girare attorno a lui per evitare di sprofondare nel baratro. La buona sorte c’entra fino a un certo punto, le circostanze hanno aiutato il Premier a conquistare i poteri forti, ma il merito va dato alla sapiente conduzione del governo. Le due crisi italiane – quella della compagnia di bandiera, l’Alitalia, e l’altra, provocata dai subprime statunitensi - sono state usate con sorprendente maestria dal Ministro del Tesoro e dal Presidente del Consiglio. Una partita in tre mosse vinta in breve tempo, che ha dello stupefacente. Il Ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, ha fatto il ghigno duro, proponendo la Robin Tax: togliere agli strozzini del petrolio, che scippano dalle tasche esauste degli italiani quel poco che rimane alle pompe di benzina, per redistribuire reddito ai bisognosi. Come Robin Wood, né più né meno. E’ andata diversamente – i petrolieri hanno ritardato la riduzione del prezzo della benzina per tre mesi ed invece di impoverirsi si sono arricchiti ancora di più - ma non se n’è accorto nessuno: il pensiero è quello che conta, Giulio Tremonti si è schierato dalla parte dei deboli, senza danneggiare i petrolieri. Un autentico capolavoro. Poi è arrivata la spartizione dell’Alitalia in due fette, quella buona e la cattiva, spartizione necessaria per confezionare il pacco dono ai padroni di Piazzetta Cuccia e dintorni, qualunque fosse il loro colore politico. Il regalo è stato consegnato con il fiocco rosa a Corrado Passera e Roberto Colaninno, affidando al primo il compito di comporre la cordata dei salvatori di Alitalia destinatari del regalo, al secondo, quello di guidare la nuova compagnia aerea nata dalle ceneri dell’Alitalia. Terza mossa, geniale come la Yaris. Il fallimento dei colossi americani gettano nel panico le grandi banche, e Unicredit, la più internazionale delle nostre banche, viene colpita dal ciclone: Alessandro Profumo, l’amministratore delegato, come Passera e Colaninno vicino al centrosinistra, viene aiutato in modo disinteressato dal Cavaliere. Come? Il Capo del Governo fa sapere tre volte al giorno, che avrebbe dato le risorse occorrenti a Unicredit in caso di necessità, nessuna banca italiana sarebbe stata affondata dai subprime. Ma le banche italiane erano le meno esposte al mondo, e Unicredit non era poi così malandata. Profumo superò la crisi per conto suo, ma il governo continuò a fargli da custode “disinteressato”, ed ancora oggi è rimasto tale. Risultato: Piazzetta Cuccia non è più quella di una volta, il salotto buono si è trasferito ad Arcore. Come facciamo a dirlo? Cesare Geronzi è diventato il successore di Cuccia, senza averne i titoli e senza darlo a vedere, Giulio Tremonti ha sostituito Guido Carli nell’immaginario degli italiani, il Cavaliere ha oscurato il ricordo dell’Avvocato. Non basta? C’è dell’altro. Roberto Colaninno si lamenta con il PD (“questi non li capisco proprio…, non fanno che attaccarmi ogni giorno…”), e Corrado Passera giudica il Premier più bravo di Romano Prodi sull’affaire Alitalia. Va bene, penserete, il regalo l’ha confezionato lui, Corrado Passera, pensavate che non dovesse mostrare gratitudine? Giusto, ma chi glielo avrebbe fatto fare a compilare la pagella? Dandogli il voto alto per l’affaire Alitalia, è come se l’avesse dato su tutto il resto. O no?
di Salvatore Parlagreco (SiciliaInformazioni)
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