"Dagli
anni '20 ai '60
A Sèvres, nel 1921, Francia e Gran Bretagna si spartirono i
possedimenti mediorientali dell'ormai decaduto Impero Ottomano.
Alla
Francia andarono Libano e Siria, alla GB la Palestina, la Transgiordania e
l'odierno Iraq. I confini vennero segnati utilizzando matite, righelli e,
probabilmente, sotto l'influsso di qualche coppa di champagne.
Altrimenti
come ci si potrebbe spiegare l'invenzione folle del Regno dell'Iraq, uno stato
abitato, oltre che da decine di minoranze, da tre popolazioni profondamente
diverse tra loro: i curdi, gli sciiti
e i sunniti?
La
drammatica storia dell'Iraq nasce tutta da qui. Colpi di stato, spinte
autonomiste curde, resistenze sunnite, attentati sciiti, difesa del controllo
petrolifero da parte del Regno Unito, intervento della Germania nazista. Non si
sono fatti mancare nulla fuorché la pace.
La
CIA e i colpi di Stato che fanno meno scalpore del terrorismo
Durante
la crisi di Suez Baghdad divenne la
principale base inglese, nel 1958 venne abolita la monarchia e nel 1963, anche
in chiave anti-sovietica, la CIA favorì un colpo di stato per deporre Abd al-Karim Qasim, l'allora premier
iracheno, colpevole di aver approvato una norma che proibiva l'assegnazione di
nuove concessioni petrolifere alle multinazionali straniere. In Iraq, tra
deserto, cammelli e rovine babilonesi accadde quel che già si era visto
all'ombra delle piramidi maya nel 1954 quando Allen Dulles*, direttore della
CIA, armò truppe mercenarie honduregne per buttare giù Jacobo Arbenz, il Presidente del
Guatemala regolarmente eletto, colpevole di voler espropriare le terre
inutilizzate appartenenti alla statunitense United Fruit Company e distribuirle ai
contadini. Risultato? Presidenti fantoccio, guerra civile e povertà.
Mi
domando per quale razza di motivo si provi orrore per il terrorismo islamico e
non per i colpi di stato promossi dalla CIA. Destituire, solo per osceni
interessi economici, un governo regolarmente eletto con la conseguenza di
favorire una guerra civile è meno grave di far esplodere un aereo in volo?
L'Iraq,
come il Guatemala o il Congo RCD hanno avuto il torto di possedere delle
risorse. I poveri hanno
il torto di avere ricchezza sotto ai piedi. Il petrolio iracheno è stato il
peggior nemico del popolo iracheno. A Baghdad nel 1960, tre anni prima della
deposizione di Qasim, Iraq, Iran, Venezuela e Arabia Saudita avevano fondato
l'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC), per contrastare lo strapotere
delle “7 sorelle”, le principali compagnie petrolifere mondiali così
chiamate da Enrico Mattei, il Presidente dell'ENI
di quegli anni.
Mattei
e la sovranità nazionale in Medio Oriente
Una
digressione su Mattei è d'obbligo, se non altro per capire quanto,
dall'invenzione del “profitto ad ogni costo”, ogni industriale, stato
sovrano o partito politico si sia messo contro il capitalismo internazionale
abbia fatto una brutta fine. E' successo a brave persone e a delinquenti, a
politici democratici e a dittatori sanguinari difesi fino a che lo spargimento
di sangue dei quali erano responsabili non avesse intaccato gli interessi del
grande capitale. Mattei, dopo aver concluso importanti affari con l'Iran, si
stata avvicinando a Qasim quest'ultimo alla ricerca di un nuovo partner
commerciale che gli garantisse maggiori introiti di quelli concessi dagli inglesi.
La sacrosanta ricerca di sovranità economica, politica ed energetica da parte
di alcuni paesi mediorientali era ben vista da Mattei il quale, mosso da una
intraprendenza tipicamente italiana e dall'ambizione di fare gli interessi
dello Stato, ne scorgeva un'opportunità imperdibile.
Quando nel 1961 il Regno Unito concesse l'indipendenza al Kuwait Mattei fiutò l'affare. Baghdad ha sempre ritenuto il Kuwait parte del suo territorio e quando la GB lo proclamò stato sovrano Qasim si indignò per lo smacco subito convincendosi della necessità di trovare nuovi paesi con cui concludere affari**. Mattei e Qasim, nonostante il primo ministro Fanfani e il ministro degli esteri Segni negarono qualsiasi coinvolgimento italiano, iniziarono una serie di trattative e, sembra, che dei tecnici ENI si recarono in Iraq. Quel che è certo è che le 7 sorelle sono come i fili della luce: “se li tocchi muori”. Tre mesi e mezzo prima che Qasim, con il beneplacito della CIA, venisse trucidato a Baghdad, Mattei esplode in aria con il suo aereo privato. I mandanti e gli esecutori del suo assassinio sono ancora ignoti tuttavia è bene ricordare che Tommaso Buscetta, il pentito che descrisse per filo e per segno la struttura di “Cosa Nostra” a Giovanni Falcone, dichiarò che Mattei venne ucciso dalla mafia per fare “un favore agli stranieri” e che Mauro De Mauro, il giornalista che stava indagando sulla morte di Mattei, venne rapito e ucciso da Mimmo Teresi su ordine di Stefano Bontade***.
Quando nel 1961 il Regno Unito concesse l'indipendenza al Kuwait Mattei fiutò l'affare. Baghdad ha sempre ritenuto il Kuwait parte del suo territorio e quando la GB lo proclamò stato sovrano Qasim si indignò per lo smacco subito convincendosi della necessità di trovare nuovi paesi con cui concludere affari**. Mattei e Qasim, nonostante il primo ministro Fanfani e il ministro degli esteri Segni negarono qualsiasi coinvolgimento italiano, iniziarono una serie di trattative e, sembra, che dei tecnici ENI si recarono in Iraq. Quel che è certo è che le 7 sorelle sono come i fili della luce: “se li tocchi muori”. Tre mesi e mezzo prima che Qasim, con il beneplacito della CIA, venisse trucidato a Baghdad, Mattei esplode in aria con il suo aereo privato. I mandanti e gli esecutori del suo assassinio sono ancora ignoti tuttavia è bene ricordare che Tommaso Buscetta, il pentito che descrisse per filo e per segno la struttura di “Cosa Nostra” a Giovanni Falcone, dichiarò che Mattei venne ucciso dalla mafia per fare “un favore agli stranieri” e che Mauro De Mauro, il giornalista che stava indagando sulla morte di Mattei, venne rapito e ucciso da Mimmo Teresi su ordine di Stefano Bontade***.
Il
futuro è nero, come l'oro che fa scorrere il sangue
In “La verità nascosta sul petrolio” Eric Laurent scrive: “Il mondo del
petrolio è dello stesso colore del liquido tanto ricercato: nero, come le
tendenze più oscure della natura umana. Suscita bramosie, accende passioni,
provoca tradimenti e conflitti omicidi, porta alle manipolazioni più scandalose”.
“Conflitti omicidi, manipolazioni scandalose, tradimenti”. Queste parole
sembrano descrivere perfettamente la storia dell'Iraq moderno. Saddam Hussein divenne
Presidente della Repubblica irachena nel 1979 sostituendo Al-Bakr, l'ex-leader del partito Ba'th
che qualche anno prima aveva nazionalizzato l'impresa britannica Iraq Petroleum Company. Saddam, con
l'enorme denaro ricavato dalla vendita di petrolio, cambiò radicalmente il
Paese. Sostituì la legge coranica con dei codici di stampo occidentale, portò
la corrente fino ai villaggi più poveri, fece approvare leggi che garantivano
maggiori diritti alle donne. L'istruzione e la salute divennero gratuite per
tutti. In quegli anni di profonda instabilità regionale il regime di Saddam
divenne un esempio di ordine e sicurezza. Tuttavia tutto questo ebbe un prezzo.
I cristiani non erano un pericolo per il regime e vennero lasciati in pace ma i
curdi, vuoi per le loro spinte autonomiste che per la loro presenza
potenzialmente pericolosa in zone ricche di petrolio, vennero colpiti,
discriminati e spesso trucidati. Lo stesso avvenne agli sciiti che non
abbassavano la testa. Quando Saddam gli riversò contro le armi chimiche
fornitegli dagli USA in chiave anti-iraniana nessuna istituzione statunitense
parlò di genocidio, di diritti umani violati, di terrorismo islamico. Saddam
era ancora un buon amico. L'amichevole stretta di mano tra il leader iracheno e
Donald Rumsfeld, all'epoca inviato
speciale di Reagan, dimostra quanto per gli USA la violenza è un problema a giorni
alterni. Negli anni '80 Washington era preoccupata dall'intraprendenza
economica di Teheran e Saddam era un possibile alleato per contrastare la linea
anti-occidentale nata in Iran con la rivoluzione del '79.
Anni di guerre
Tuttavia,
sebbene la Repubblica islamica iraniana fosse apertamente anti-americana gli
USA fornirono armi a Teheran durante la guerra Iran-Iraq. Il denaro è sempre
denaro! Con i proventi della vendita di armi all'Iran gli USA finanziarono
tra l'altro i paramilitari delle Contras che avevano come obiettivo la
destituzione in Nicaragua del governo sandinista regolarmente eletto.
Ovviamente
gli USA (anche l'URSS - la guerra fredda diventava tiepida se si potevano fare
affari assieme) finanziarono contemporaneamente Saddam. Il sogno dell'industria
bellica, una guerra infinita combattuta da due forze equivalenti, era diventato
realtà. Per diversi anni le potenze occidentali lasciarono Iraq e Iran a
scannarsi tra loro. Un milione di morti dell'epoca non valevano, evidentemente,
le migliaia di vittime provocate dall'avanzata dell'ISIS di questi giorni. Le
multinazionali della morte appena finito di parlare con Saddam alzavano la
cornetta e chiamavano Teheran. «Ho appena venduto all'Iraq 200 carri armati
ma a te ti do a un prezzo stracciano questa batteria anticarro». Le cose
cambiarono quando l'esercito iraniano prese il sopravvento. Teheran stava per
espugnare Bassora quando gli USA, sedicenti
cacciatori di armi chimiche in tutto il mondo, inviarono una partita di gas
cianuro a Saddam il quale non perse tempo e lo utilizzò per respingere le
truppe iraniane. Ma si sa, gli USA sono generosi e di gas ne inviarono
parecchio. Saddam pensò bene di utilizzarne la restante parte per gassare
l'intera popolazione curda del villaggio di Halabja ma in occidente nessuno si
strappò le vesti, il dittatore era ancora un buon amico. Saddam divenne un
acerrimo nemico quando invase il Kuwait. Anche in quel caso non furono i
morti o le centinaia di migliaia di profughi a preoccupare i funzionari di
Washington sempre a stretto contatto con Wall Street. La conquista irachena del
Kuwait metteva in pericolo gli interessi economici statunitensi. Una cosa
inaccettabile per chi da anni lavora per il controllo mondiale del petrolio.
L'operazione “Desert Storm” venne lanciata, il
Kuwait “liberato” ma Saddam rimase al suo posto. Un'eccessivo
indebolimento dell'Iraq avrebbe favorito Teheran e questo sarebbe stato
intollerabile. I bombardamenti USA causarono oltre 30.000 bambini morti ma
erano “bombe a fin di bene”.
L'11
settembre
L'attentato alle Torri Gemelle fu una
panacea per il grande capitale nordamericano. Forse anche a New York qualcuno “alle
3 e mezza di mattina rideva dentro il letto” come capitò a quelle merde
dopo il terremoto a L'Aquila. Quei 3.000 morti americani vennero utilizzati
come pretesto per attaccare l'Afghanistan, un paese con delle leggi antitetiche
rispetto al nostro diritto ma che con il terrorismo internazionale non ha mai
avuto a che fare, e l'Iraq. Era ormai tempo di buttare giù Saddam e prendere il
pieno controllo del petrolio iracheno. La vittoria della Nato fece piombare
il Paese in una guerra civile senza precedenti e le fantomatiche armi di
distruzione di massa non vennero mai trovate. Ripeto, Saddam le aveva, ahimè,
già utilizzate e gli USA lo sapevano benissimo. A questo punto mi domando
quanto un miliziano dell'ISIS capace di decapitare con una violenza inaudita un
prigioniero sia così diverso dal Segretario di Stato Colin Powell colui che,
mentendo e sapendo di mentire, mostrò una provetta di antrace fornitagli da
chissà chi per giustificare l'imminente attacco all'Iraq. Una guerra che ha
fatto un numero di morti tra i civili migliaia di volte superiore a quelli
provocati dallo Stato Islamico in queste settimane. La sconfitta del sunnita
Saddam Hussein scatenò la popolazione sciita che covava da anni desideri di
vendetta. Attentati alle reciproche moschee uccisero migliaia di persone. Da
quel giorno in Iraq c'è l'inferno ma i responsabili fanno shopping sulla
Fifth Avenue e vacanze alla Caiman. L'avanzata violenta, sanguinaria, feroce
dell'ISIS è soltanto l'ultimo atto di una guerra innescata dai partiti
occidentali costretti a restituire i favori ottenuti dalle multinazionali degli
armamenti durante le campagne elettorali. Comprare F35 mentre l'Italia muore di
fame o bombardare un villaggio iracheno mettendo in prevenivo i “danni
collaterali” sono azioni criminali che hanno la stessa matrice: il primato
del profitto sulla politica.
Cosa
fare adesso?
L'ISIS
avanza, conquista città
importanti e minaccia migliaia di cristiani. In tutto ciò l'esercito iracheno,
creato e addestrato anche con i soldi dei contribuenti italiani, si è
liquefatto come neve al sole dimostrando, se ancora ve ne fosse bisogno, il
totale fallimento del progetto made in USA che noi abbiamo sposato senza
diritto di parola. E' evidente che la comunità internazionale e l'Italia
debbano prendere una posizione. Se non è semplice scegliere cosa fare, anche se
delle idee logiche già esistono, è elementare capire quel che non si debba più
fare.
1) Innanzitutto occorre mettere in
discussione, una volta per tutte, la leadership nordamericana. Gli USA non
ne hanno azzeccata una in Medio Oriente. Hanno portato morte, instabilità e
povertà. Hanno dichiarato guerra al terrorismo e il risultato che hanno
ottenuto è stato il moltiplicarsi del fenomeno stesso. A Roma, nel 2003,
manifestammo contro l'intervento militare italiano in Iraq. Uno degli slogan
era “se uccidi un terrorista ne nascono altri 100”. Siamo stati profeti
anche se non ci voleva un genio per capirlo. Pensare di fermare la guerra in
atto in Iraq armando i curdi è una follia che non credo che una persona
intelligente come il Ministro Mogherini possa davvero pensare. Evidentemente le
pressioni che ha subito in queste settimane e il desiderio che ha di occupare
la poltrona di Ministro degli esteri della Commissione europea, l'hanno spinta
ad avallare le posizioni di Obama e degli USA ormai autoproclamatisi, in barba
al diritto internazionale, poliziotti del mondo. Loro, proprio loro, che hanno
sostenuto colpi di stato in tutto il pianeta, venduto armi a dozzine di
dittatori, loro che hanno impoverito mezzo mondo, loro che, da soli, utilizzano
oltre il 50% delle risorse mondiali. Loro che hanno invaso Iraq e Afghanistan
con il pretesto di distruggere le “cellule del terrore” ma che hanno
soltanto progettato oleodotti, costruito a Baghdad la più grande ambasciata USA
del mondo ed esportato, oltre alla loro democrazia, 25.000 contractors in Iraq,
uomini e donne armati di 24ore che lavorano in tutti i campi, dalle armi al
petrolio passando per la vendita di ambulanze. La guerra è davvero una
meraviglia per le tasche di qualcuno.
2) L'Italia, ora che ne ha le possibilità,
dovrebbe spingere affinché la UE promuova una conferenza di pace mondiale sul
Medio Oriente alla quale partecipino i paesi dell'ALBA, della Lega araba, l'Iran, inserito
stupidamente da Bush nell'asse del male e soprattutto la Russia un attore
fondamentale che l'UE intende delegittimare andando contro i propri interessi
per obbedire a Washington e sottoscrivere il TTIP il prima possibile. Essere
alleati degli USA non significa essere sudditi, prima di applicare sanzioni
economiche a Mosca, sanzioni che colpiscono più le imprese italiane che quelle
russe, si dovrebbero pretendere le prove del coinvolgimento di Putin
nell'abbattimento dell'aereo malese. Non dovrebbe bastare la parola di
Washington, soprattuto alla luce delle menzogne dette sull'Iraq.
3) L'Italia dovrebbe promuovere una
moratoria internazionale sulla vendita delle armi. Se vuoi la pace la
smetti di lucrare sugli armamenti. «L'economia ne risentirebbe» sostiene
qualcuno. Balle! Criminalità, povertà e immigrazione sono il frutto della
guerra e la guerra si alimenta di sangue e di armi. Nel 2012 la Lockheed Martin, quella degli F35, ha
incassato 44,8 miliardi di dollari, più del PIL dell'Etiopia, del Libano, del
Kenya, del Ghana o della Tunisia. Chi si scandalizza dei crimini dell'ISIS è lo
stesso che lo arma o, quanto meno, che lo ha armato. «Armiamo i curdi»
sostiene la Mogherini. Chi ci dice che una volta
vinta la guerra i curdi non utilizzeranno quelle armi sui civili sunniti? In
fondo non è già successo con Saddam, con i signori della guerra in Afghanistan
o in Libia dove la geniale linea franco-americana che l'Italia ha colpevolmente
assecondato, ha eliminato dalla scena Gheddafi facendo cadere il Paese in un
caos totale?
4) L'Italia dovrebbe trattare il
terrorismo come il cancro. Il cancro si combatte eliminandone le cause non
occupandosi esclusivamente degli effetti. Altrimenti se da un lato riduci la
mortalità relativa da un altro la crescita del numero di malati fa aumentare
ogni anno i decessi. E' logico! Vanno affrontate le cause. Si condanna in
Nigeria Boko Haram ma si tace di fronte ai
fenomeni di corruzione promossi da ENI che impoveriscono i nigeriani dando
benzina alle lotte violente dei fondamentalisti.
5) L'Italia dovrebbe porre all'attenzione
della comunità internazionale un problema che va risolto una volta per tutte: i
confini degli stati. Non sta scritto da nessuna parta che popolazioni diverse
debbano vivere sotto la stessa bandiera. Occorre, finalmente, trovare il
coraggio di riflettere su un nuovo principio organizzativo. Troppi confini sono
stati tracciati a tavolino con il righello dalle potenze coloniali del '900.
L'obiettivo politico (parlo dell'obiettivo politico non delle assurde violenze
commesse) dell'ISIS, ovvero la messa in discussione di alcuni stati-nazione
imposti dall'occidente dopo la I guerra mondiale ha una sua logica. Il
processo di nascita di nuove realtà su base etnica è inarrestabile sia in Medio
Oriente che in Europa. Bisogna prenderne atto e, assieme a tutti gli attori
coinvolti, trovare nuove e coraggiose soluzioni.
6) Dovremmo smetterla di considerare il
terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione.
Questo è un punto complesso ma decisivo. Nell'era dei droni e del totale
squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta
rimasta a chi si ribella. E' triste ma è una realtà. Se a bombardare il mio
villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per
difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di
esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto ne
giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua
natura di soggetto che risponde ad un'azione violenta subita il terrorista non
lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore. Compito
difficile ma necessario, altrimenti non si farà altro che far crescere il
fenomeno.
7) Occorre legare indissolubilmente il
terrorismo all'ingiustizia sociale. Il fatto che in Africa nera la prima causa
di morte per i bambini sotto i 5 anni sia la diarrea ha qualcosa a che fare con
l'insicurezza mondiale o con il terrorismo di Boko Haram? Il fatto che Gaza sia
un lager ha a che fare con la scelta della lotta armata da parte di Hamas?
8) L'Italia dovrebbe cominciare a
pensare alla costruzione di una società post-petrolifera. Il petrolio è la
causa della stragrande maggioranza delle morti del XX e XXI secolo. Costruire
una società post-petrolifera richiederà 40 anni forse ma prima cominci prima
finisci. Non devi aspettare che il petrolio finisca. Come disse Beppe Grillo in
uno dei suoi spettacoli illuminanti: «L'energia è la civiltà. Lasciarla in
mano ai piromani/petrolieri è criminale. Perché aspettare che finisca il
petrolio? L’età della pietra non è mica finita per mancanza di pietre»."
Alessadro Di Battista
Note:
*Allen Dulle, famoso per aver preso parte alla “Commissione Warren”,
la commissione presidenziale sull'assassinio di JFK, fu contemporaneamente
direttore della CIA e avvocato delle United Fruit Company, l'attuale Chiquita.
Qualche mese prima di aver sostenuto il colpo di stato ai danni di Arbenz si
era macchiato della stessa vergogna in Iran. Sotto la sua direzione, infatti,
venne lanciata l'Operazione Ajax per sovvertire il governo presieduto da
Mohammad Mossadeq, anch'egli colpevole di aver nazionalizzato l'industria
petrolifera il che avrebbe garantito introiti per il popolo iraniano e non più
per le imprese anglo-americane.
**Anche in quest'ottica va letta
l'invasione del Kuwait da parte di Saddam. Non si è trattato di un capriccio di
un pazzo.
***Bontade e Teresi sono i due mafiosi che
stipularono il “patto di non-aggressione” con Silvio Berlusconi grazie
all'intermediazione criminale di Dell'Utri.
---
---
Il terrorista
"Alessandro Di Battista è stato coperto di insulti per il suo post a proposito dell’Isis: l’accusa corrente è quella di “sdoganare terrorismo ed Isis” aprendo la strada ad un riconoscimento del “Califfato”.
Avendo letto due volte il pezzo di Di Battista mi sono reso conto che ci sono molte forzature in queste reazioni basate spesso su estrapolazioni di frasi dal loro contesto. A proposito del terrorismo, Di Battista dice chiaramente che non lo “giustifica“ e manifesta apertamente la propria preferenza per le forme di lotta non violente. Si limita a dire che si può “capire” chi, avendo visto il suo villaggio e la sua famiglia sterminate dai droni americani, poi reagisce facendosi saltare in una metropolitana e facendo così una strage. Quel “capire” non sta per “approvare”(e lui dice chiaramente di non condividere questa scelta), ma è un modo per dire che certe reazioni sono il risultato di una logica di guerra come quella condotta dagli Usa. Si può discutere questo punto di vista, ma, nel suo lungo (forse troppo lungo) pezzo, questo è un aspetto marginale, un inciso, mentre il sugo politico è altro ed è così sintetizzabile :
a - occorre riconsiderare le ragioni della tempesta che investe il Medio Oriente a cominciare dal modo in cui venne spartito l’Impero Ottomano
b - la strategia antiterrorista americana è fallita
c - bisogna arrivare ad una conferenza di pace che metta al tavolo delle trattative Usa, Urss, Alba, Lega Islamica ed i principali paesi dell’area.
d - occorre aprire un confronto con “i terroristi” (l’Isis) capendone la logica politica ed aprendo un confronto con essi.
Sul primo punto bisogna riconoscere che storicamente c’è molto di vero nelle sue affermazioni: in effetti l’Iraq fu una invenzione di Churchill. il disegno dei nuovi stati venne fatto usando matita e squadra (noi diremmo “squadra e compasso”) modellandoli sulla base dell’esperienza dello stato-nazione europeo ecc. E questo ha prodotto buona parte degli esiti che abbiamo davanti, anche se questa è una spiegazione parziale e poi c’è anche molto altro, compresi gli errori delle leadership dei paesi arabi.
Sul secondo punto è difficile non riconoscere che abbia pienamente ragione: dopo 11 anni di guerra con cataste di morti e un diluvio di dollari spesi, gli americani si trovano con un paese in preda al caos, con un regime fantoccio che, per di più, sembra sull’orlo del colpo di stato e con un esercito che si è squagliato come un ghiacciolo, lasciando le proprie armi ai “terroristi”. Ma, soprattutto, dopo 13 anni di “crociata” contro Al Qaeda, dopo l’uccisione di Bin Laden e di molti altri leader dell’organizzazione, si ritrovano con una Al Qaeda più forte di prima che è sul punto di ingoiarsi l’intero Iraq. Bel risultato! E su questo, nessuno dei suoi critici fiata, fosse anche per contestare questa affermazione.
Sul terzo punto è ovvio che una conferenza di pace che risistemi tutta l’area è un punto di passaggio obbligato, perché le varie crisi dell’area (dal conflitto israelo-palestinese al problema curdo, dalla guerra civile siriana alla dittatura militare in Egitto, dal conflitto fra sunniti e sciiti alla situazione iraquena ed alla rivalità fra sauditi ed iraniani ecc.) sono tutte maledettamente collegate fra loro, per cui la soluzione di ogni conflitto presuppone quella dell’altro. Dunque una sistemazione complessiva dell’area è la strada maestra per una pacificazione non precaria di ciascun punto di crisi. Il che, però, non vuol dire che questo sia un risultato facile da perseguire: occorre precisare molto bene quali debbano essere i soggetti da invitare al tavolo delle trattative, come vincere le eventuali resistenze di alcuni di essi, quale debba essere lo spazio delle grandi potenze esterne all’area (come Usa e Russia) e molte altre cose. Ma mi pare che sia una proposta che meriti attenzione ed alla quale l’Italia potrebbe dare un suo contributo.
Perplessità mi suscita l’ultimo punto, il cosiddetto dialogo con i “terroristi”. Non perché io escluda in via di principio dei negoziati politici con “i terroristi”: al contrario, credendo nel realismo politico, sono convinto che in molte situazioni la strada per uscire dal conflitto sia proprio questa. Ed a riprova di questa mia antica convinzione, ripropongo, ai piedi di questo pezzo, la riduzione di un articolo che mi venne richiesto dalla rivista del Sisde “Gnosis” nel 2006 (n° 2), chi poi ne abbia la curiosità, potrà leggere il pezzo per intero sul mio blog.
E spero che la sede in cui il pezzo ebbe accoglienza valga a tacitare il cretino di turno che pensasse ad uno “sdoganamento” del terrorismo. Dunque, non è questo il motivo delle mie perplessità, ma due questioni fra loro intrecciate e di squisito carattere politico.
In primo luogo, non sono affatto convinto che l’Isis sia minimamente interessato ad accettare una qualsiasi forma di dialogo. L’Isis, ed occorrerà approfondire seriamente la questione, ha come suo obiettivo la costituzione della “grande potenza” di ispirazione islamica ed, a questo scopo, punta alla leadership dell’intero mondo islamico sunnita o, quantomeno, della più vasta area possibile nel mondo arabo. Sedersi ad un qualsivoglia tavolo di confronto (qualunque esso sia) non fa parte della sua strategia politica, almeno per ora, ma, al contrario è funzionale ad essa il conflitto più radicale con l’Occidente e chiunque sia assimilabile ad esso (come i cristiani caldei). E qui si inserisce il secondo ostacolo ad un dialogo nelle condizioni presenti: i massacri di curdi, sciiti e cristiani. I numeri non sono –ancora- quelli di un genocidio, ma i massacri ci sono e le “dichiarazioni di intenti” sono tutt’altro che rassicuranti. Con un soggetto genocidiario non ci si può sedere a discutere in ogni caso, perché il confronto possa avviarsi, prima di tutto, devono cessare i massacri. E questo comporta anche una decisione sul da farsi in presenza di stragi che continuano: un intervento militare americano (dopo quello che è accaduto) servirebbe solo a peggiorare le cose. Un intervento Onu? Ci si può pensare, a condizione che non diventi un intervento americano mascherato. Un intervento iraniano? Possibile ma bisognerebbe vedere le reazioni saudite e turche. Armare i curdi: certo una soluzione che comporta dei rischi, come quelli di rappresaglie dei curdi sui civili sunniti, ma è anche vero che non possiamo assistere inerti ad un massacro reale ed in atto, per evitarne uno possibile futuro. Di Battista sottolinea come l’Iraq sia uno stato inventato che mette insieme tre diverse popolazioni ed auspica che ciascuna, sunniti, curdi e sciiti, si dia un proprio stato. Ma perché questo sia possibile occorre che i curdi ci arrivino vivi e le loro terre non siano occupate.
Insomma se ne può discutere, ma entrando nel merito. Qui invece nessuno delle altre forze politiche si è sentito in obbligo di entrare nel merito delle questioni, ritenendo del tutto sufficiente il solito linciaggio del grillino per una frase o una parola. Il che fa capire come la politica estera sia una cosa troppo seria per farla trattare a questa classe politica." Aldo Giannuli
http://www.beppegrillo.it/2014/08/il_terrorista.html
Avendo letto due volte il pezzo di Di Battista mi sono reso conto che ci sono molte forzature in queste reazioni basate spesso su estrapolazioni di frasi dal loro contesto. A proposito del terrorismo, Di Battista dice chiaramente che non lo “giustifica“ e manifesta apertamente la propria preferenza per le forme di lotta non violente. Si limita a dire che si può “capire” chi, avendo visto il suo villaggio e la sua famiglia sterminate dai droni americani, poi reagisce facendosi saltare in una metropolitana e facendo così una strage. Quel “capire” non sta per “approvare”(e lui dice chiaramente di non condividere questa scelta), ma è un modo per dire che certe reazioni sono il risultato di una logica di guerra come quella condotta dagli Usa. Si può discutere questo punto di vista, ma, nel suo lungo (forse troppo lungo) pezzo, questo è un aspetto marginale, un inciso, mentre il sugo politico è altro ed è così sintetizzabile :
a - occorre riconsiderare le ragioni della tempesta che investe il Medio Oriente a cominciare dal modo in cui venne spartito l’Impero Ottomano
b - la strategia antiterrorista americana è fallita
c - bisogna arrivare ad una conferenza di pace che metta al tavolo delle trattative Usa, Urss, Alba, Lega Islamica ed i principali paesi dell’area.
d - occorre aprire un confronto con “i terroristi” (l’Isis) capendone la logica politica ed aprendo un confronto con essi.
Sul primo punto bisogna riconoscere che storicamente c’è molto di vero nelle sue affermazioni: in effetti l’Iraq fu una invenzione di Churchill. il disegno dei nuovi stati venne fatto usando matita e squadra (noi diremmo “squadra e compasso”) modellandoli sulla base dell’esperienza dello stato-nazione europeo ecc. E questo ha prodotto buona parte degli esiti che abbiamo davanti, anche se questa è una spiegazione parziale e poi c’è anche molto altro, compresi gli errori delle leadership dei paesi arabi.
Sul secondo punto è difficile non riconoscere che abbia pienamente ragione: dopo 11 anni di guerra con cataste di morti e un diluvio di dollari spesi, gli americani si trovano con un paese in preda al caos, con un regime fantoccio che, per di più, sembra sull’orlo del colpo di stato e con un esercito che si è squagliato come un ghiacciolo, lasciando le proprie armi ai “terroristi”. Ma, soprattutto, dopo 13 anni di “crociata” contro Al Qaeda, dopo l’uccisione di Bin Laden e di molti altri leader dell’organizzazione, si ritrovano con una Al Qaeda più forte di prima che è sul punto di ingoiarsi l’intero Iraq. Bel risultato! E su questo, nessuno dei suoi critici fiata, fosse anche per contestare questa affermazione.
Sul terzo punto è ovvio che una conferenza di pace che risistemi tutta l’area è un punto di passaggio obbligato, perché le varie crisi dell’area (dal conflitto israelo-palestinese al problema curdo, dalla guerra civile siriana alla dittatura militare in Egitto, dal conflitto fra sunniti e sciiti alla situazione iraquena ed alla rivalità fra sauditi ed iraniani ecc.) sono tutte maledettamente collegate fra loro, per cui la soluzione di ogni conflitto presuppone quella dell’altro. Dunque una sistemazione complessiva dell’area è la strada maestra per una pacificazione non precaria di ciascun punto di crisi. Il che, però, non vuol dire che questo sia un risultato facile da perseguire: occorre precisare molto bene quali debbano essere i soggetti da invitare al tavolo delle trattative, come vincere le eventuali resistenze di alcuni di essi, quale debba essere lo spazio delle grandi potenze esterne all’area (come Usa e Russia) e molte altre cose. Ma mi pare che sia una proposta che meriti attenzione ed alla quale l’Italia potrebbe dare un suo contributo.
Perplessità mi suscita l’ultimo punto, il cosiddetto dialogo con i “terroristi”. Non perché io escluda in via di principio dei negoziati politici con “i terroristi”: al contrario, credendo nel realismo politico, sono convinto che in molte situazioni la strada per uscire dal conflitto sia proprio questa. Ed a riprova di questa mia antica convinzione, ripropongo, ai piedi di questo pezzo, la riduzione di un articolo che mi venne richiesto dalla rivista del Sisde “Gnosis” nel 2006 (n° 2), chi poi ne abbia la curiosità, potrà leggere il pezzo per intero sul mio blog.
E spero che la sede in cui il pezzo ebbe accoglienza valga a tacitare il cretino di turno che pensasse ad uno “sdoganamento” del terrorismo. Dunque, non è questo il motivo delle mie perplessità, ma due questioni fra loro intrecciate e di squisito carattere politico.
In primo luogo, non sono affatto convinto che l’Isis sia minimamente interessato ad accettare una qualsiasi forma di dialogo. L’Isis, ed occorrerà approfondire seriamente la questione, ha come suo obiettivo la costituzione della “grande potenza” di ispirazione islamica ed, a questo scopo, punta alla leadership dell’intero mondo islamico sunnita o, quantomeno, della più vasta area possibile nel mondo arabo. Sedersi ad un qualsivoglia tavolo di confronto (qualunque esso sia) non fa parte della sua strategia politica, almeno per ora, ma, al contrario è funzionale ad essa il conflitto più radicale con l’Occidente e chiunque sia assimilabile ad esso (come i cristiani caldei). E qui si inserisce il secondo ostacolo ad un dialogo nelle condizioni presenti: i massacri di curdi, sciiti e cristiani. I numeri non sono –ancora- quelli di un genocidio, ma i massacri ci sono e le “dichiarazioni di intenti” sono tutt’altro che rassicuranti. Con un soggetto genocidiario non ci si può sedere a discutere in ogni caso, perché il confronto possa avviarsi, prima di tutto, devono cessare i massacri. E questo comporta anche una decisione sul da farsi in presenza di stragi che continuano: un intervento militare americano (dopo quello che è accaduto) servirebbe solo a peggiorare le cose. Un intervento Onu? Ci si può pensare, a condizione che non diventi un intervento americano mascherato. Un intervento iraniano? Possibile ma bisognerebbe vedere le reazioni saudite e turche. Armare i curdi: certo una soluzione che comporta dei rischi, come quelli di rappresaglie dei curdi sui civili sunniti, ma è anche vero che non possiamo assistere inerti ad un massacro reale ed in atto, per evitarne uno possibile futuro. Di Battista sottolinea come l’Iraq sia uno stato inventato che mette insieme tre diverse popolazioni ed auspica che ciascuna, sunniti, curdi e sciiti, si dia un proprio stato. Ma perché questo sia possibile occorre che i curdi ci arrivino vivi e le loro terre non siano occupate.
Insomma se ne può discutere, ma entrando nel merito. Qui invece nessuno delle altre forze politiche si è sentito in obbligo di entrare nel merito delle questioni, ritenendo del tutto sufficiente il solito linciaggio del grillino per una frase o una parola. Il che fa capire come la politica estera sia una cosa troppo seria per farla trattare a questa classe politica." Aldo Giannuli
http://www.beppegrillo.it/2014/08/il_terrorista.html
Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.