Cento anni fa, proprio il 25 agosto 2000, sei settimane prima del suo 50° compleanno, moriva Friedrich Nietzsche.
Durante i precedenti due anni non aveva saputo nulla, sentito nulla, pensato nulla. Per quel che possiamo dire, non sapeva che la madre era morta nè che egli si trovava a Weimar. Non sapeva di essere famoso, nè che la sua fama poggiava sulla conferma di quasi tutto quello che aveva pensato.
Quando morì, non sapeva di vivere da quasi 8 mesi nel XX secolo, della cui prossima storia aveva previsto tanto e con tanta chiarezza: il secolo del "sorgere del nichilismo" e del crollo del vecchio ordinamento mondiale; la "classica età della guerra" e della "politica su larga scala" che avrebbe tratto le ultime conclusioni della "morte di Dio" e della scomparsa di ogni sanzione per la morale; l'età in cui la democratizzazione dell'Europa centrale avrebbe offerto un "involontario campo di cultura alla tirannia" e in cui gli insegnamenti di Hegel ( "la marcia della storia" ) e di Darwin ( "la sopravvivenza dei più forti" ) sarebbero diventati realtà pratiche e avrebbero ridotto gli individui ad "animali o automi".
Il secolo in cui la volontà di potenza, non sublimata e non frenata dalle costrizioni che ancora si imponevano al XIX secolo, si sarebbe impadronita dovunque delle leve del potere, in cui "questo maledetto antisemitismo" avrebbe offerto l'occasione e il movente all'ultimo dei delitti nichilistici, e in cui la sua teoria che "un popolo dalla forte volontà di potenza, privato della soddisfazione esteriore, vorrà la propria distruzione piuttosto che non volere affatto" sarebbe stata dimostrata con terribile compiutezza dalla disperata e tremenda esperienza del Reich.
L'amico e "discepolo" Peter Gast, che l'anno precedente, insieme a Elisabeth, sorella di Nietzsche aveva dato inizio alla terza edizione Omnia delle opere del filosofo, tenne l'orazione funebre nel cimitero parrocchiale di Röchen dove Nietzsche veniva sepolto accanto al padre, e, visibilmente commosso, ma anche rivelando quanto poco avesse capito del suo "Maestro", chiuse il suo indirizzo con queste parole: "Pace alle tue ceneri! Santo sia il tuo nome a tutte le generazioni future!".
In Ecce homo Nietzsche aveva scritto: "Ho una terribile paura: che un giorno mi chiameranno santo". Aveva previsto anche questo.
Oggi, a un secolo dalla morte, di tutte le sue profezie vogliamo mettere a fuoco quella per cui Nietzsche é noto a tutti: l'annuncio della morte di Dio, del Dio cristiano naturalmente, per cui la morte di Dio significa la fine del cristianesimo come religione dell'Occidente.
Nietzsche era profondamente convinto che il cristianesimo fosse nato e fosse morto anche se la sua agonia é durata 2000 anni, quando i discepoli di Gesù non hanno perdonato i suoi nemici.
L'argomentazione di questa tesi (che troviamo nell' Anticristo, opera scritto lo stesso anno, 1889, in cui Nietzsche cadde nella buia notte della follia), prende le mosse dalla convinzione che per il cristianesimo: "E' in sè completamente indifferente il fatto che una cosa sia vera o no, ma é estremamente importante, invece, fino a che punto sia creduta. Così ad esempio, se é insita una felicità nei credenti redenti dal peccato, come premesse di ciò, non é necessario che l'uomo sia peccatore, ma che si senta peccatore."
In questo modo il cristianesimo ha sostituito la verità con la fede che qualcosa sia vero. Anzi alla ricerca della verità ha posto un "divieto", e ha sostituito questa, che é la più autentica delle virtù, con le virtù teologali: fede, speranza e carità, che sono 3 "accorgimenti" a cui il cristianesimo é ricorso per distogliere l'uomo dalla ricerca della verità, e poterlo così "signoreggiare, addomesticare, dominare".
Fu così che il cristianesimo sostituì alla "lotta contro il dolore", che ritroviamo in ogni religione della natura, "la lotta contro il peccato", concepibile solo di fronte a una legge. Ma dov'é l'origine della legge se non nella casta sacerdotale che la promulga e riesce a imporla?
All'inizio non c'era legge nella religione ebraica i cui tratti essenziali erano quelli tipici di ogni religione, dove sono codificati i precetti che regolano il rapporto originario dell'uomo con la natura: "Il culto divino era, nell'antichità ebraica, natura, era il vertice della vita, e chiarirne l'altezza e la profondità costituiva il suo significato autentico". Poi, a seguito della cattività in Babilonia, questa religione andò incontro a un processo di "denaturalizzazione (denaturierung)" e il concetto di dio passò "nelle mani di agitatori sacerdotali" che ne fecero uno strumento di potere sui loro fedeli.
Nel Deuteronomio, infatti, emerge la legge, e alle nozioni naturali di causa ed effetto subentrarono le nozioni antinaturali di premio e castigo che facevano riferimento non più "alle condizioni di vita e di sviluppo di un popolo, ma a quell'unica condizione che si oppone alla vita che é la nozione di peccato".
A questo punto i peccati, "che sono caratteristici appigli per l'esercizio del potere, diventano indispensabili. Il prete vive di peccati, per lui é necessario che si pecchi. Principio supremo: dio perdona chi fa penitenza- o più chiaramente chi si sottomette al prete".
Contro questa impostazione dell'ordine religioso muove la sua azione Gesù, che per Nietzsche non é il "Cristo della fede", ma il "Gesù storico", che i Vangeli presentano come il ribelle che si oppone "a tutto ciò che era ecclesiastico e teologico", una sorta di "santo anarchico", un "delinquente politico" condannato perciò a subire "per colpa sua" la condanna della croce.
Alla "negazione della dottrina ecclesiastica ebraica" Gesù affianca l'annuncio della buona novella a cui mancano sia la nozione di colpa che quella di castigo; il peccato come segno di distanza tra l'uomo e Dio é eliminato, mentre la beatitudine, che scaturisce dall'innocenza infantile, diventa pratica di vita: "La vita di Gesù non é stata nient'altro che questa pratica di vita- anche la sua morte non fu altro.
Egli sa che solo con la pratica di vita ci si poteva sentire divini, beati, evangelici, figli di dio in qualsiasi momento. Non la penitenza, non la preghiera per il perdono sono le vie che conducono a dio, soltanto la pratica evangelica porta a dio, essa appunto é dio.
Ciò che fu liquidato con l'Evangelo fu l'ebraismo delle nozioni di peccato, remissione dei peccati, fede, redenzione mediante la fede", l'intera dottrina ecclesiastica ebraica era negata nella buona novella". Ma, prosegue Nietzsche: il Vangelo morì sulla croce. Ciò che da quel momento é chiamato buona novella o vangelo era già l'antitesi di quel che lui aveva vissuto: una cattiva novella un Dysangelium.
Come é potuta accadere questa metamorfosi che trasformò la pratica di vita di Gesù in una nuova chiesa in tutto simile alla chiesa dell'ebraismo? Accadde, a parere di Nietzsche, ad opera dei discepoli di Gesù che "non perdonarono quella morte- il che sarebbe stato evangelico nel più alto senso; e al perdono subentrò il sentimento meno evangelico, la vendetta. Questa si tradusse nell'innalzare Gesù in una maniera aberrante, di distaccarlo da loro, proprio allo stesso modo con cui una volta gli ebrei, per vendicarsi dei loro nemici, avevano separato da sè il loro Dio e lo avevano portato in alto. Il Dio unico e il figlio unico di Dio: entrambi prodotti del risentimento".
L'artefice massimo di questa trasformazione del messaggio originario di Gesù fu Paolo: "Questo genio dell'odio che, nella visione dell'odio e nella spietata logica dell'odio ereditato dall'istinto sacerdotale ebraico, trasformò la buona novella nella peggiore fra tutte.
Per questo falsificò la storia di Israele affinchè apparisse come la preistoria della sua azione: tutti i profeti hanno parlato del suo redentore. Poi la chiesa falsificò la storia dell'umanità facendone la preistoria del cristianesimo".
Come ogni sacerdote, Paolo aspirava alla potenza e, per ottenerla, si servì della menzogna: "Quel che lui stesso non credeva, gli idioti, tra cui egli gettò la sua dottrina, lo credettero; così riuscì a realizzare la tirannia dei sacerdoti, per formare delle mandrie: la fede nell'immortalità - vale a dire la dottrina del giudizio".
Oggi, alla luce della morte di Dio, scrive Nietzsche: é indecoroso essere cristiani; un teologo, un prete, il papa, non soltanto errano, ma mentono in ogni frase che proferiscono; anche il prete sa che Dio non esiste, che non c'é nessun peccatore, nessun redentore", perciò, recita l'ultima parte dell' Anticristo: "Sono giunto alla conclusione ed esprimo il mio giudizio . Io condanno il cristianesimo , levo contro la Chiesa cristiana la più tremenda di tutte le accuse che siano mai state sulla lingua di un accusatore. Essa é per me la massima di tutte le corruzioni immaginabili; essa ha avuto la volontà dell' estrema corruzione possibile.
La Chiesa cristiana non lasciò nulla di intatto nel suo pervertimento, essa ha fatto di ogni valore un disvalore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un' abiezione dell' anima.
Computiamo il tempo di quel dies nefastus con cui ebbe inizio questa fatalità - dal primo giorno del cristianesimo! E perchè non invece dal suo ultimo giorno? Trasvalutazione di tutti i valori".
Qui il riferimento di Nietzsche non é solo ai valori cristiani, ma anche ai valori metafisici che, inaugurati dal platonismo, per 2000 anni hanno dominato la cultura dell'Occidente.
Lo scetticismo radicale che erode le fondamenta metafisiche e cristiane della cultura occidentale, a parere di Nietzsche, va portato fino in fondo, affinchè l'umanità sappia creare un "nuovo Dio" che Nietzsche indica in Dioniso, contrapposto non più ad Apollo, come nell'antica Grecia, ma al Crocefisso.
Quindi un Dio della natura e della gioia di vivere, nei limiti che la natura concede, contro il Dio della trascendenza e della glorificazione della sofferenza che abita quel "mondo dietro il mondo" che Platone da un lato e il cristianesimo dall'altro hanno inaugurato.
Ma "la menzogna bimillenaria", come la chiama Nietzsche, é ormai alla fine. E la sua fine coinciderà con la fine di un tipo d'uomo, quello cresciuto sui valori cristiani, che attende di essere superato da un nuovo tipo d'uomo, capace di liberare tutte le possibili risorse umane finora trattenute sotto il giogo di chi aveva la pretesa di parlare in nome di Dio.
Con questo messaggio si é chiusa la vita di Nietzsche e con essa la sua filosofia dell'avvenire con l'indicazione profetica della laicizzazione dell'Occidente che il XX secolo ha registrato come tratto tipico della sua fisionomia.
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