Il trionfo dei ‘grillini’ mi commuove e, insieme, provoca in me un senso di smarrimento.
Mi
commuove perché per la prima volta sento tirare un’aria nuova, una
brezza fresca e leggera senza essere inconsistente. Non è semplicemente
una questione anagrafica anche se certamente l’età ha il suo peso (Raggi
ha 37 anni, Appendino 32 mentre l’età media dei sindaci a 5Stelle, che
in 19 ballottaggi su 20 hanno spianato il Pd, è di 39). Anche Renzi è
giovane. Ma è un giovane nato vecchio che ha fatto tutta la sua carriera
in un partito, l’unico in pratica rimasto su piazza, che nonostante
tutti i suoi cambi di nome (Pci, Pds, Ds, Pd) ne conserva intatte le
logiche. Andare in bicicletta non significa anche essere mentalmente,
psicologicamente e politicamente giovani. E lo stesso vale per l’altro
Matteo, Salvini. La giovinezza dei ‘grillini’ non sta solo, e forse non
tanto, di essere oltre la forma-partito ma di essere oltre la destra e
la sinistra (cosa che li rende indecifrabili secondo i canoni
tradizionali) due categorie ormai vecchie più di due secoli incapaci di
intercettare le esigenze più profonde dell’uomo contemporaneo
occidentale che, al di là delle apparenze, non sono economiche ma
esistenziali. Dal punto di vista politico quella dei 5Stelle è una
mutazione antropologica: cade il mito del lavoro che per Marx era
‘l’essenza del valore’ e per i liberisti è esattamente quel fattore che
combinandosi col capitale dà il famoso ‘plusvalore’. Per i 5Stelle il
lavoro è un valore meno importante del tempo, il tempo a disposizione
per noi stessi e in questa direzione va anche il contestatissimo
‘reddito di cittadinanza’.
Nel
dopoguerra l’Italia ha avuto due ‘rivoluzioni’ giovanili. La prima è
quella rock-beat-hippy che, partita dall’America a cavallo del 1960,
passando per la Londra di Mary Quant, la minigonna, i Beatles, i
‘capelloni’, arrivò fino a noi. Non si trattava di un movimento politico
ma esistenziale, di liberazione dei costumi, soprattutto sessuali, che è
stato facilmente riassorbito dal sistema che ne ha fatto, come sempre,
oggetto e materia di consumo (oggi non c’è musica più commerciale del
rock).
Quella
del Sessantotto (se si esclude il primo terrorismo che però riguardò
solo un’élite) fu la parodia di una rivoluzione o piuttosto il suo
contrario: un movimento reazionario. Cavalcava un’ideologia morente, il
marxismo-leninismo, che difatti sarebbe defunta ufficialmente di lì a
pochi anni. Non c’era nulla di nuovo in quei giovani che quando
arriveranno a occupare posizioni di potere nel mondo della borghesia,
che era la loro vera aspirazione, si comporteranno peggio dei peggiori
‘padroni delle ferriere’. E sul piano del costume fece anzi alcuni passi
indietro. Dopo anni di arrembante femminismo fu un movimento
prettamente maschilista e non è un caso che non abbia espresso nessun
leader donna (le ragazze erano adibite a fotocopiare i volantini). Per
la verità, allargando il discorso, la mancanza di leadership al
femminile riguarda tutto il mondo occidentale. Anche quando in politica
sono emerse delle donne, dalla Thatcher alla Albright a Condoleezza Rice
alla Clinton alla stessa Merkel (“l’unico uomo di Stato europeo” come
io la definisco anche se in senso positivo in contrapposizione a uomini
di governo senza le palle, tipo Hollande o Cameron) si sono appiattite
sul collaudato modello maschile. La sovrastruttura donna ha sempre
sopraffatto la struttura femmina. Mi sembra invece che nella Raggi e
nell’Appendino la componente femminile sia molto presente, non solo
perché sono carine ma nel modo di porgersi al mondo esterno. E contiamo
(anche se per ora ovviamente è solo un wishful thinking) che portino la loro sensibilità femminile anche nel merito delle decisioni amministrative.
Poiché
sono convinto che i 5Stelle vinceranno a redini basse le prossime
elezioni politiche molto cambierà nel mondo dell’informazione,
soprattutto televisiva, col quale il movimento di Grillo è sempre stato
durissimo. La vittoria dei 5Stelle suona come una campana a morto per i
vari Vespa, per i Fabietti Fazio, i Gad Lerner, le Bignardi e gli altri
tenutari del regime.
Il
mio smarrimento invece è simile a quello che deve aver provato Indro
Montanelli quando cadde la Prima Repubblica e perse tutti i suoi
riferimenti polemici. Lo aveva combattuto per mezzo secolo quel regime,
da straordinario ‘bastian contrario’ qual era, ma la sua scomparsa ne
fece uno spaesato. Lo stesso vale per me. Credo di poter dire senza
iattanza di aver contribuito a preparare, nel mio piccolo, il terreno
all’avvento dei 5Stelle con la mia più che trentennale, e quasi
solitaria, battaglia contro la partitocrazia. Ma adesso che, con questo
straordinario e autentico cambiamento generazionale e antropologico,
quella battaglia sta per esser vinta e a condurla ci sono un movimento
ben più strutturato e menti e corpi più freschi e più agili, mi rendo
conto che la campana è suonata anche per me.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 24 giugno 2016)
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