Alla vigilia di ogni consultazione avanza, minacciosa,
l'ombra dell'astensione. Se ne parla anche in questa occasione, in vista delle
elezioni amministrative di oggi, che interessano oltre 1300 Comuni, di cui 150
"superiori". Cioè, oltre i 10-15mila abitanti. Compresi tredici
"superiori" a 100mila. In questi Comuni l'affluenza nel 2011 fu del
65%, circa. Se facciamo riferimento alle città dove si vota oggi, a Milano nel
2011 si recarono alle urne poco più di 2 elettori su 3, come a Torino. A Napoli
6 su 10 e a Bologna oltre 7 su 10. Al contrario, a Roma (nel 2013) la
partecipazione elettorale si fermò poco sopra il 50%.
Dovunque, d'altronde, l'affluenza alle urne è calata in modo
continuo e costante, da oltre vent'anni. Anche se ogni volta, in occasione
delle scadenze elettorali che si susseguono frequenti, l'allarme
"democratico" risuona. Ma non c'è nulla di cui allarmarsi.
L'astensione non è una minaccia che incombe sulla nostra democrazia. È, invece,
fisiologica. Anche se, fino agli anni Novanta, in Italia votavano tutti.
Almeno: alle elezioni politiche. Meno - appunto - alle amministrative. Ancor
meno alle europee. Ma allora il voto rifletteva ideologie politiche profonde e
radicate. Poi è caduto il muro di Berlino, Tangentopoli ha affondato la classe
politica insieme ai partiti di massa della Prima Repubblica.
Così il voto ha cambiato significato. Non più un atto di
fede, ma, semmai, una scelta di campo. Pro o contro Berlusconi. E poi: pro o
contro i partiti e i politici. La stessa astensione ha mutato segno. Spesso è
una scelta "contro". E per votare servono, comunque, buone ragioni.
In ambito comunale: occorrono candidati e liste capaci di mobilitare gli
elettori. A proprio favore. O contro. Ma non è facile. Perché non ci sono più
partiti che selezionano i leader. E fanno campagna elettorale. Dovunque è un
fiorire di liste civiche e personali, spesso sconosciute ai cittadini meno
informati. Cioè, la maggioranza. Poi, mancano risorse. Fateci caso: manifesti e
volantini sono una rarità. Il "porta a porta": lo fanno solo i
venditori ambulanti. Invece, spira un sentimento di sfiducia che neppure il M5s
e la Lega riescono a trasformare in un clima anti-politico capace di
coinvolgere.
Siamo, dunque, lontani dal 1993, quando venne istituita
l'elezione diretta dei sindaci, salutata come la rivincita del territorio nei
confronti dello Stato centrale. E dei leader locali sui partiti nazionali. Oggi
i sindaci hanno perduto risorse e poteri. Non sono più attori (politici) ma esattori.
Per conto dello Stato.
D'altronde, in questa campagna elettorale non si è parlato di
problemi del territorio, ma del referendum costituzionale. Pro o contro Renzi.
Così, l'astensione diviene normalità, non un fenomeno
in-atteso. D'altronde, se votare è un diritto e lo è anche non votare. Chi non
vota accetta - e subisce - la scelta di chi vota. A Londra, di recente, è stato
eletto sindaco il laburista di origine pachistana Sadiq Khan. Ha votato meno
della metà degli aventi diritto. Ma a nessuno è venuto in mente di discutere
legittimità del voto. Né il fondamento della democrazia in Inghilterra.
Ilvo Diamanti (La Repubblica - 5 giugno 2016)
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